RAFFAELLO DE RENSIS

BONDÌ CARA VENEZIA



È fuor di dubbio, tuttavia, che quando indovina - quando fa centro dice Wolf-Ferrari - è la giovinezza eterna e il fascino irresistibile di Goldoni che lo avvolgono, lo eccitano, è l'azzurro luminoso di Venezia che lo riscalda e lo allieta.
Così è che al riflesso del clima politico italiano, che gli preparava favorevoli condizioni spirituali, fu risospinto a guardar la vita e l'arte a traverso i vetri iridescenti e sorridenti di papà Goldoni. E compose La vedova scaltra - su libretto in collaborazione di Mario Ghisalberti - divertendosi ad indulgere benevolmente alle debolezze, alle illusioni ed alle vanità umane, dando suoni, canti, colori, gesti a tutto il piccolo, mondo di una dama civetta e furba. Nella dipintura dei quattro innamorati di razza e nazionalità diverse - un francese, un inglese, una spagnolo e un italiano - scolpisce ingegnosamente e causticamente i segni particolari di ciascuno.
Il successo al Teatro Reale di Roma - 6 marzo 1931 - nella signorile interpretazione di Gino Marinuzzi, fu vibrante e completo; e non importa se l'opera non fu, a tutt'oggi, mai ripresa. La Casa Sonzogno, la prima,editrice italiana che s'era decisa ad acquistare Sly di Wolf-Ferrari - le precedenti otto appartengono al Weinberger di Vienna - rimase pienamente soddisfatta per l'acquisto de La vedova scaltra.
Venne, quindi, la volta dell'editore Ricordi, che rese giustizia all'artista italiano e lo accolse nelle sue braccia. Sotto l'egida della grande Ditta, ambita esclusivamente per ragioni morali ed affettive, compose Il Campiello - aiutato dal Ghisalherti per il libretto - e lo compose con animo lieto, con giocondità sfrenata, sotto l'azzurro cielo di Roma, in una via e in una casa che pochi seppero rintracciare.
In un colloquio con Lucio d'Ambra confessò: «Che gioia di scrivere, di lavorare, di comporre, di far cantare le parole del mio gran dio veneziano, del mio immenso Goldoni! Avevo ventisei anni e per Le donne curiose ridiventai fanciullo. Come adesso, a sessanta per Il Campiello. Sì, un ragazzo... così ero, così sono, così sarò».
Alla Scala toccò il privilegio di rappresentare la novità - il 12 febbrailo 1935 - e l'accoglienza fu fervida e festosa. Alceo Toni del Popolo d'Italia - che fu sempre un po' dubbioso dell'arte di Wolf-Ferrari - ponendola ora in rapporto con quella d'uso, dichiarò schiettamente: «Del maestro rimani ammirato, che all'orpello tecnico di cui oggi si lasciano malamente abbagliare i creduli e gl'ignari, oppone l'autentico oro di coppella su cui si incidono le opere d'arte che non si affidano soltanto, alle fortune delle labili mode. Dell'artista sei preso, negl'incanti di un suo fascino verbale, arieggiato sulle riposanti grazie di una vecchia parlata, con sottili carezzevoli inflessioni dialettali.»
Ugualmente fervida e festosa, ma più accentuata nella intenzione, fu l'accoglienza del pubblico romano, al Teatro Reale il 23 gennaio, 1937. L'autore si sentì compreso senza esitanza, in un impeto d'entusiasino, da una folla intelligente, pronta e magnifica di oonnazionali.
Il suo sogno - che apparì e svanì nel 1913 - il suo lungo sogno d'italiano all'estero e di forzato, esilio eccolo realizzato davvero e in pieno fulgore. Bondì, Venezia cara, sussurra Gasparina, Bondì, Venezia mia, e la melodia s'irradiò nell'animo dell'autore come l'alba di un nuovo giorno, del giorno atteso.
In un palco, il Capo del Governo aveva assistito all'intero spettacolo, e alla fine volle compiacersi col Maestro. Gli disse, tra l'altro: « Questa sua musica tanto semplice dev'essere molto difficile a comporsi, è vero?».
Nell'acuta osservazione del Duce si contiene una realtà estetica che qualcuno non è capace ancora di riconoscere, per pregiudizio dottrinale o per errore di visione, e quindi di comprendere e godere un'arte di pura sorgente, spontanea come gli effetti sani, deliziosa e arguta perché elementare e profonda, sapiente come la vera sapienza che non l'ostenta e non ingombra.
I mezzi adoperati nel Campiello sono, naturalmente, quelli propri, sentiti e ricreati dall'autore; sempre più plastici ed adesivi. E non si parli più di derivazione, perché altrimenti dobbiamo, ricordarci che si tratta di una derivazione logica, storica, di marca italianissima; né si parli di maniera, perché bisogna convenire che si tratta di una bella maniera. Wolf-Ferrari può vantarsi di uno stile che s'allaccia al più glorioso passato, ma rivissuto in una interiorità profonda e riconoscibile al primo istante: nei ritmi veloci, fluidi, mutevoli; nei timbri policromi e iridescenti; nei coloriti strumentali e, nei passaggi polifonici; nelle graziose melodie, nelle canzoni, nelle danze e sopratutto, nell'accentuazione delle parole; nelle pause e nelle reticenze, nei ritardi e negli arguti commentini. Ogni sillaba, ogni nota, ogni gesto concordano mirabilmente; e c'è la danza -all'infuori dei veri e propri balli del secondo, atto - c'è la danza nel senso estetico e psicologico di espressione per mezzo del gesto.
Nel Campiello, inoltre, si trova qualche cosa di più e diverso che nei celebrati Rusteghi. Si sa che quasi tutte le commedie di Goldoni s'improntano e si snodano nella molteplicità dei tipi e delle situazioni; ma, in fondo, un'azione centrale e un intreccio principale esistono per concentrare l'attenzione e l'interesse. Nel Campiello si cercherebbe invano un filo conduttore negli innumerevoli episodi e contrasti, tra i dieci personaggi tutti sullo stesso piano, tutti importanti e necessari, nessuno protagonista: è la vita popolaresca, agitata, bizzarra di un angolo di Venezia che freme e prevale. Ed occorreva un artista che conoscesse ed amasse questa vita, ne sapesse scrutare i segreti, i moti, i sentimenti più reconditi; occorreva la sensibilità e l'orchestra di Wolf-Ferrari, la sua fede immutabile nel far rivivere e vibrare una illustre spiritualità, per trarre da essa la essenza immanente, per esaltare nella gioia e nella nostalgia il poema gentile della laguna.
Ed ora - autunno del 1937 - il maestro, dopo essersi svagato in lavori orchestrali e in un multiforme Canzoniere quasi per mantener agile e fresca la fantasia, risveglia dal fondo della sua memoria, ove giaceva da gran tempo, una favola gentile per la decima opera.
Non tradimento a Goldoni, se Lope de Vega presta la rete per trapuntar nuovi suoni. La dama Boba - la scioccherella che per virtù d'amore ritrova se stessa (amo: ergo sum) e diviene intelligente al punto di saper fingersi di nuovo scioccherella per non perder l'amore - non è molto dissimife dalle creature goldoniane, né dissimili sono gl'intrecci, gli sfondi, la comicità, la interiorità. Se pur lo fossero basterebbe la linfa canora che vi stillerà dentro l'arte di Wolf-Ferrari a trasfigurarli e portarli sul piano delle più fortunate e squisite sue commedie.
Una cosa è certa: che La dama Boba s'avanzerà leggera sulla scena per effondere la sua umanità e cantare il prodigio d'amore.