RAFFAELLO DE RENSIS

AURORA VENEZIANA



Il pittore Augusto Wolf era uno di quei tedeschi della piccola Germania idealista, povera, religiosa, prima di Sedan. Carattere sano, sereno, aperto, vedeva solo gli aspetti buoni della vita, ignorando i cattivi. Il problema del ben e del male non affliggeva il suo cervello e non gli creava delusioni. Era preso tutto ed esclusivamente di arte, arte nel senso puro, assoluto, all'infuori e al disopra di epoche, di tendenze e di nazionalismi: viveva in un magnifico mondo di bellezze e di idealità. Si era dedicato, appunto per il suo senso spiccato di ammirazione e di contemplazione, particolarmente alla copia dei capolavori della pittura. Presentato dal celebre Lenbach al conte Schack, il noto poeta, amatore e collezionista di belle arti questi lo mandò in Italia a trarre copie di quadri del 400 e 500, che arricchirono via via la sua Galleria donata poi allo Stato, ed ora aperta al pubblico.


DISEGNO DI E.W.F. A 16 ANNI

Augusto Wolf prese stanza a Venezia, la città incantatrice, e quivi rimase, salvo gli spostamenti a scopo di lavoro, fino alla morte. Qui si incontrò e s'innamorò d'una bella veneziana, che condusse a nozze: Emilia Ferrari, tipo genuino di lagunare, vivacissima, la quale più che alle astrazioni spirituali si interessava della realtà delle cose. Ella ricordava sempre, con orgoglio paesano, come suo nomo fosse stato l'ultimo degli scrivani pubblici, occupando lo storico scrittoio semicircolare, alto e massiccio, ancor oggi in vista nel cortile del Palazzo Ducale. La giovine coppia, congiungendo due razze diverse,. seppe, per virtù d'amore e di gentilezza, creare una perfetta armonia, che improntò la figliolanza.
Primo figlio, Ermanno, nato a S. Barnaba il 12 gennaio 1876. A tre anni fu messo nell'Asilo «Vittorino da Feltre», dove nei primi tempi si trovava a disagio, tra tanti bambini irrequieti, e stava sempre lì lì per scapparsene presso la mamma. Un grande spavento provò quando vide, per la prima volta, l'insegnante di canto, maestro Malipiero, dalla barba curiosa e dal collo lungo. In seguito, a poco a, poco, si familiarizzò con i compagni e si diverti alle belle canzoni che insegnava la maestrina e che Rgli apprendeva con molta facilità.
L'anno appresso il padre lo condusse a Ladenburg a far la conoscenza della nonna. Questa, appassionata di musica, si dilettava a sentir le canzoni del nipotino, e lo accompagnava volentieri al pianoforte, osservando in lui una istintiva percettibilità dei suoni, una perfetta intonazione, una ingenua delicatezza.
Il padre raccontava che quando il bambino ascoltava la-banda, in piazza S. Marco, non voleva mai stare dalla parte dei tromboni e dei piatti, che gl'incutevano paura, e si spostava sempre verso il gruppo dei clarinetti.
Queste naturali attitudini decisero il signor Augusto ad acquistare un pianoforte e ad incaricare tal Leonardo Brusa dell'insegnamento della musica al figliolo. Il Brusa, in verità, non era il modello dei maestri, mentre, invece, era iottimo fotografo; ma abitava nello stesso palazzo a S. Barnaba, faceva comodo e, in ogni modo, poteva ben servire a condurre i primi passi dell'allievo.
Infatti Ermanno, dai sei ai dieci anni, rimase alla scuola del fotografo con questo profitto: che, appena capì che la musica si poteva leggere, vi acquistò una tale prontezza che a undici anni, nel giorno dei Santi del 1887 - come risulta da un'annotazione del padre, - suonò, a prima vista, la Fantasia Cromatica di Bach.
Il padre si compiaceva di ascoltarlo, e lo incoraggiava a suonare anche dinanzi agli amici di casa; non perché ammirassero la valentìa e la precocità del figlio, bensi per far loro; conoscere e godere,la musica, specie del Settecento e del primo Ottocento, che non conoscevano. In tal modo il ragazzo non ebbe possibilità di divenire orgoglioso e vanitoso, essendo egli un semplice mezzo, per quanto abile, di divulgazione. E intanto, pur senza alcun metodo, arrivò a piegare le sue dita e il suo tocco a tutte le necessità della riproduzione e dell'espressione.
Precedentemente - verso i sette annni e sprovvisto delle più elementari cognizioni - aveva osato tentare la composizione, dopo che si era esercitato a copiare e ricopiare musiche celebri; fatica che compiva diligentemente, con nitida scrittura, con precisione di spazi, come se si trattasse di un disegno. Notevoli vantaggi traeva dal riunire in una sola le due parti dei pezzi per pianoforte a quattro mani. Un ingegnoso espediente adottò per qualelie tempo, ma senza risultati effettivi: intingeva le dita nell'inchiostro, pensando che sulla tastiera si fissassero le note e gli accordi delle sue invenzioni, per indi riportarli sul pentagramma. Ne ricavava solo delle dita sporche.
Tutti tentativi che faceva in segreto, chiuso nel suo pudore infantile, e che, in fondo, lo addestravano e lo incitavano.
Una vera gioia la provò quando il padre lo condusse al Teatro Rossini per ascoltare il Barbiere di Siviglia. Era la prima volta, a dodici anni, che entrava in un teatro e sentiva un'opera in musica.
L'anno dopo ebbe la ventura di mettersi in viaggio e di penetrare nel misterioso e fantastico tempio di Bayreuth. Il Tristano, i Maestri Cantori, Parsifal sconvolsero il suo piccolo cervello dalla mattina alla sera si attaccava al pianoforte per suonare Wagner.
S'aggiunga che una zia, che colà viveva ed aveva conosciuto personalmente Wagner, di questo colosso gli parlava con calore e fanatismo assai contagiosi.
I nuovi avvenimenti eccitarono più che mai la immaginazione del fanciullo. Lì, a Bayreuth, mise su un'orchestra di ragazzi composta di due ottavini, un violino, un violoncello, una tromba e pianoforte! Complesso un bel po' squilibrato, ma che aguzzò il suo ingegno a comporre musiche adatte ad esso. Nella «grande» esecuzione presso la zia, poiché voleva, wagnerianamente, l'orchestra invisibile, interpose una grossa tenda tra questa e gli ascoltatori. Sistema pericoloso, perché accadde che, terminata la esecuzione e sollevata la tenda, gl'intrepidi suonatori notarono che tutti erano scappati via... per andare a pranzo.
Amara delusione!