BIOGRAFIA - LETTERE E SCRITTI 1842


Dal Memoriale:


Nel mese di gennaio 1842, Schumann avverte Kossmaly che sta per partire per due mesi con Clara. La Società dei Concerti Filarmonici di Amburgo li ha invitati: Clara svolgerà un programma al pianoforte e l'orchestra eseguirà la Sinfonia in si bemolle. I due sposi partono in febbraio e, prima di tutto, si dirigono a Weimar dove abita Liszt.
La loro commozione, nel ritrovare l'amico che li ha conosciuti separati, infelici, è grandissima. Da Weimar si recano a Brema e qui Clara viene invitata a tenere un concerto a Oldenburg senza la collaborazione di Robert. Essa accetta e assolve l'impegno; ma la prima nube offusca la loro unione. Poi i due giovani ritornano a Lipsia, reduci da Amburgo, ed ecco si scoprono oppressi dalla minaccia di un conflitto imminente, inevitabile, che scoppia, infatti, provocato da una proposta dei circoli musicali di Copenaghen. Ecco il punto di vista di Clara, nel Memoriale:


Si noti bene che, questa volta, Clara non è invitata senza il marito; l'invito riguarda tutti e due. Ma Robert, per quanto abbia tanto desiderio di incontrare Andersen, rifiuta, come si sentisse umiliato in una condizione di principe consorte.
Clara invece accetta. Così, è la separazione, tanto più dolorosa in quanto deliberata, in quanto ciascuno rifiuta di tornare sulla propria decisione e si irrigidisce nel proprio orgoglio. In casa l'atmosfera è cupa, glaciale. La piaga aperta nel suo spirito lo rende incapace di qualsiasi creazione musicale; si limita a sfogare il suo lamento nel
Memoriale iniziato nel settembre 1840, un libro di meditazione, di riflessione e di riconciliazione "quando, per caso, - aggiunge Schumann, - avremo potuto fraintenderci".
Il "per caso" - che non ha di caso che il nome - è venuto presto. Fra Robert e Clara c'è separazione deliberata e, insieme, sofferenza per tale separazione; dunque si è creato un malinteso. Schumann, in sostanza, scrive nel diario, senza che l'assente per il momentò gli possa rispondere:

Non avresti dovuto lasciarmi, Clara. Il tuo posto è al mio fianco. Lo sai bene che io non avrei avuto il coraggio di rompere, sia pur per qualche giorno soltanto, la dolce catena che ci lega.

Schumann, tuttavia, si sforza di essere giusto, di riconoscere le necessità e i diritti della moglie. Tuttavia, per quanto faccia, non ci riesce mai interamente. Proviamo a sostituirci a lui per cercare di scoprire il delicato punto di equilibrio.
In Clara dobbiamo considerare, prima di tutto, il carattere, cioè l'insieme di quei tratti morali senza i quali non esisterebbe un'individualità. Clara è una Wieck. Alla base della sua personalità appaiono l'orgoglio, la volontà, il senso pratico in dose uguale al disinteresse e, sotto le apparenze della petulanza, una certa rigidezza, accompagnata da violenza.
Sono queste sfolgoranti virtù o grandi difetti? Tutto dipende dall'uso che se ne fa. Ma se oggi Schumann, urtando contro le loro punte di diamante, se ne sente lacerato a sangue, bisogna convenire che, senza di esse, egli non avrebbe mai posseduto la sua sposa. Alla feroce ostinazione di un padre che l'aveva foggiata con le sue stesse mani, Clara ha replicato con un'ostinazione non meno energica e costante. A vent'anni appena, non avendo nemmeno quella sicurezza teorica che dà la maggior età, privata di quell'infallibile impresario che era Wieck, è partita sola (dico sola, perché la persona che l'accompagna serve appena a salvaguardare le convenienze) per Norimberga e Stoccarda.
Era un rischio terribile, e noi tremiamo ripensando adesso a quali insidie la fanciulla si fosse esposta. Ma la sua energia è indomabile. Sebbene ferita a una mano, Clara ha suonato con uno slancio che rasenta il sublime. E proprio figlia giusta di Friedrich Wieck. Al suo carattere si aggiunge, inoltre, una singolare precocità e una sensibilità ardente che la spinge a decisioni brusche ed estreme.
Ora quest'orgoglio, quest'intrepidezza, questa forte emotività appartengono a un'artista, cioè a un essere che porta le sue sensazioni a una potenza estrema e che è più di ogni altro cosciente della sua "unicità". Infine, essa è un'artista che, a buon diritto, si giudica completa. Non aveva forse tenuto, a nove anni, il suo primo concerto nel solenne Gewandhaus? Non aveva suonato davanti a Goethe, e il poeta stesso non le aveva forse portato lo sgabello su cui si sarebbe seduta? Non aveva studiato canto e violino, appreso l'armonia da Kupsek e Dorn, non aveva composto i Caprices en forme de valse, le Soirées, un Concerto per pianoforte e buon numero di Lieder ? Soprattutto, non era una pianista grandissima? La più grande forse del secolo XIX. Taluni la collocano al di sopra di Liszt, ingiustamente, certo, se si tien conto che in Liszt l'uomo e l'artista travolgono il pianista, ma giustamente, forse, se ci si limita all'esecuzione. Il modo di suonare di Clara sembra infatti aver posseduto maggior interiorità che non quello dell'Ungherese. Al museo di Zwickau esiste un calco della mano di Clara: è una mano meravigliosa che racconta una storia senza pari. Alle necessità, alle esigenze di Robert, Clara poteva dunque validamente opporre le proprie esigenze, le proprie necessità. Ed era fatale che una volta almeno essa affermasse la sua autonomia.
Clara avrebbe potuto, senza fatica, assicurarsi grossi vantaggi sul marito; non l'ha fatto ed ecco così stabilito il prezzo della sua divinazione e del suo sacrificio.
Clara Schumann, infatti, rinuncerà a poco a poco alle sue preferenze, alle formule che avrebbero potuto consacrare il suo successo per votarsi, secondo il desiderio di Robert, al culto dei giganti. Abbandonerà Thalberg ed altri autori del genere, a vantaggio di Bach e di Beethoven. Una formazione troppo rapida l'ha tesa ostile alle forme severe della musica più alta? Ebbene, essa supererà le sue prevenzioni e si darà a quelle forme che sono le predilette del geniale consorte: la "Fuga", il "Quartetto "... Cesserà di comporre. La sua presenza non verrà mai meno a Robert. Essa contribuirà a sporadiche ristrettezze dell'economia familiare, educherà i figli, affronterà l'inquietudine, gli intrighi, la malattia farà insieme da tramite e da paravento fra l'artista e il mondo, poiché l'artefice non può sottrarsi a un universo che tende costantemente a schiacciarlo. Ciò nonostante, si è osato mettere in dubbio l'affetto di Clara per il marito, accusarla di non so qual tirannia verso il compagno! Nulla di più falso. Clara ha adorato, compreso, rispettato Schumann con tutto il fervore possibile; ferma, risoluta, certo, ma soltanto per salvaguardare l'integrità del focolare di cui si sente responsabile. Le frasi che affida al Memoriale sono quasi sempre vere esplosioni di felicità e di ammirazione.
All'inizio della loro unione, gli Schumann non possedevano che un unico pianoforte: quello di Clara. Ebbene, la giovane donna ne stava lontana perché il marito potesse comporre a suo piacere, in pace assoluta: la più grande concertista della Germania romantica priva di pianoforte, perché un uomo possa lavorare a opere che spesso vengono accolte con freddezza, se non misconosciute... La coppia Schumann? Due artisti infiammati d'amore, che si sono attesi a lungo e che, nel matrimonio, si cercano, si urtano, si adattano. La donna si piega sotto la personalità dell'uomo. Il talento si arrende a discrezione del genio. È una strada lunga, dolorosa, beatificante, seminata di impazienze, di turbamenti, di tenerezze, di illuminazioni così come possono intenderla soltanto coloro che hanno molto amato.
Quando Clara ritorna al focolare, in marzo, è anch'essa triste e disorientata. Benché colui che parte sia sempre in vantaggio rispetto a chi rimane, essa ha sentito l'anima svuotarsi durante la lontananza del compagno. Scrive allora nel Diario: "Mi sono separata da Robert, ma ciò non avverrà mai più".
Nel ritrovarsi, tutti e due riprendono forza e vita. Di un sol tratto, Robert compone tre Quartetti per due violini, viola e violoncello e, modesto come sempre, li riunisce in un unico numero (op. 45). Vuol forse dire che abbandona l'orchestra? Egli la lascia semplicemente, come ha lasciato il pianoforte e il canto, a vantaggio di forme musicali nuove per lui, capaci di arricchirlo spiritualmente. Ecco perché il 1842 è l'anno della musica da camera. Uno dopo l'altro appaiono il sublime Quintetto (op. 44), il Quartetto per pianoforte, violino viola e violoncello (op. 47), e i Phantasiestücke (Pezzi fantastici) per violino e violoncello con accompagnamento di pianoforte (op. 88). E forse in queste occasioni che Schumann si accosta di più alla musica pura; in esse tutto è solo amore del ritmo, tenerezza melodica, ardore polifonico, ineffabile sovreccitazione.
Dopo l'Andante e Variazioni per due pianoforti (op. 46), a Schumann non resta più da tentare che la forma in cui canto, quartetto e orchestra si fondono insieme. Brancola qua e là, sollecitato da vari soggetti importanti e si ferma infine su Lalla-Rookh di Thomas Moore. È la storia di un'anima (anima materializzata, come si conviene in Oriente) che viene a conquistare quaggiù la beatitudine eterna. L'azione si svolge in Paradiso e nella valle del Nilo. Schumann è profondamente colpito da questo scenario dai puri contorni. Ma come deve trattarlo? Non è il caso di musicare per intero il testo; pensa di isolare le scene principali, che saranno riunite fra loro con recitativi, come hanno fatto Bach, Haendel e Mendelssohn nei loro "Oratori". Sola differenza, Il Paradiso e la Peri non avrà carattere sacro ma profano.
Schumann affronta l'impresa con ardore misto a timore. Non dubita del suo talento, ma delle sue forze.
La presenza di Clara, la mirabile sollecitudine di lei rendono più facile il lavoro all'artista. Un'altra bambina nasce il 25 aprile 1843 e la sposa fa in modo che l'evento procuri al marito il minor disturbo possibile.

***

Robert e Clara tengono un diario domestico che compilano a turno; esso non solo registra e conserva fedelmente gli eventi significativi della vita familiare, ma anche ospita un silenzioso dialogo tra i due coniugi che, attraverso esso, si inviano messaggi. Sulla prima pagina si trova scritto: "Ciascuno ascolterà i desideri dell'altro, presenterà o approverà delle richieste, e soprattutto valuteremo con cura gli avvenimenti della settimana". Ed è in esso che possiamo cogliere le insoddisfazioni di Clara pianista:

Il mio pianoforte è di nuovo relegato in secondo piano, come sempre quando Robert deve comporre. In tutto il giorno egli non trova neppure un'oretta per me.

Ciononostante nel '42 Clara riprende le sue tournées concertistiche; Robert la segue a Weimar e a Brema, ma poi sente di essere fuori posto, si accorge che questo vagabondare gli toglie tempo prezioso e decide di separarsi dalla moglie attesa a Copenaghen. E un evidente segnale della difficile ricomposizione sotto un unico tetto di due carriere che comportano impegni tanto differenti. Schumann scrive:

La separazione mi ha di nuovo fatto sentire la mia difficile e strana situazione. Devo io dunque sacrificare il mio talento per servirti da turiferario? E tu devi sacrificare il tuo perché io mi sono legato alla rivista e al pianoforte? Sino a che tu sarai forte e giovane noi abbiamo trovato una via conciliativa. Tu hai preso una dama di compagnia, io sono ritornato a nostra figlia e al mio lavoro. Ma che dirà il mondo? È questo che mi tortura. Bisogna che noi troviamo il modo di esercitare e sviluppare il nostro talento una a fianco dell'altro.

Non è estraneo a Robert un certo disappunto nel dover stare al fianco di una musicista più famosa e celebrata di lui, anzi una delle più amate pianiste dell'Ottocento. Non di rado alle cene ed ai ricevimenti che seguono gli applauditi concerti della moglie Robert si è sentito domandare: "Anche lei si occupa di musica?".
Tornato a Lipsia egli è preso da un nuovo impetuoso slancio creativo in un campo ancora inesplorato: la musica da camera con gli archi. Stende in soli due mesi i tre Quartetti per archi op. 41, cui seguono il Quartetto per pianoforte ed archi op. 47 e il mirabile Quintetto per pianoforte ed archi op. 44.

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Nel febbraio 1842 partirono per un analogo giro verso Brema, Oldenburg e Amburgo, durante il quale Schumann si rese conto con dispiacere del suo ruolo piuttosto passivo al fianco di Clara (aveva rifiutato un invito a dirigere la sinfonia, giustificandosi con la miopia). Per questa ragione, e perché assentarsi più a lungo dalla «Neue Zeitschrift» avrebbe creato problemi, tornò da solo a Lipsia il 12 marzo, mentre Clara proseguì per Copenhagen dove si trattenne per un mese, dal 20 marzo al 18 aprile. Schumann trascorse questo periodo di separazione in uno stato di profonda melanconia, che cercò di annegare in «birra e champagne», incapace di comporre, lavorando su studi di contrappunto e fuga e meditando sulla possibilità di portare Clara in America. Wieck intanto diffondeva la voce che la coppia si era separata. In febbraio, prima di partire, Schumann si era impegnato in «riflessioni quartettistiche»; ora, nella sua solitudine, tornò allo studio prima dei quartetti di Mozart e Haydn, poi di quelli di Beethoven.
Il ritorno di Clara, il 26 aprile, lo riportò a uno stato d'animo più sereno.

Il 2 giugno si dedicava a «esperimenti quartettistici»; due giorni dopo iniziava il Quartetto in La minore; l'11 cominciò un secondo quartetto, senza aver ancora concluso il primo, e tra l'8 e il 22 luglio compose il terzo quartetto dell'op. 41. Nell'intervallo tra il secondo e il terzo quartetto Schumann si scagliò ancora contro il vecchio nemico Banck, per attaccare il suo Wallfahrt zur heiligen Madonna in un violento articolo che però anni dopo, quando raccolse i suoi scritti in volume, non ristampò. Intorno a quel periodo un violento attacco diffamatorio contro un altro nemico di vecchia data, Gustav Schilling, valse a Schumann una condanna a sei giorni di prigione, commutata in una multa di cinque talleri. Dopo una breve vacanza a Karlsbad e Marienbad, in agosto, e una riuscita prova dei tre quartetti l'8 settembre, il 23 Schumann cominciò un quintetto con pianoforte, completandone la bella copia il 12 ottobre; malgrado le «continue, terribili notti insonni», cominciò il 24 ottobre un quartetto con pianoforte che fu terminato un mese più tardi. Gli ultimi frutti di questo periodo di interesse alla musica cameristica furono un Trio con pianoforte in La minore, completato nel dicembre 1842, e un Andante e Variazioni per due pianoforti, due violoncelli e corno, completato alla fine di gennaio del 1843. [ABRAHAM]

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A H. C. Andersen [97] (Copenhagen)
Lipsia, 1 ottobre 1842

Cosa penserà di me, che Le sono rimasto così a lungo debitore d'una risposta alle Sue amabili parole, che m'hanno fatto tanto piacere? Ma... io non volevo apparirLe dinanzi a mani vuote, quantunque sappia molto bene che in realtà Le restituisco soltanto ciò che ho prima ricevuto da Lei. Accolga, dunque, favorevolmente la musica composta sulle Sue poesie. Al primo momento essa Le sembrerà forse strana: le Sue poesie m'hanno dapprincipio fatto lo stesso effetto. Man mano che ne penetravo lo spirito, anche la mia musica assumeva un carattere sempre più strano. È Lei, dunque, la colpa di tutto. Sulle poesie di Andersen bisogna comporre musica ben diversa di: «Fiorisci, cara violetta, ecc.»...

Mia moglie m'ha tanto parlato di Lei, e io mi son fatto raccontar tutto così dettagliatamente che La riconoscerei, credo, anche se una volta La incontrassi per caso. La conoscevo già, del resto, attraverso le Sue poesie, il Suo «Improvvisatore», il Suo «Racconto al chiaro d luna», il Suo stupendo «Violinista», la più stupenda poesia che abbia trovato nella letteratura tedesca moderna, all'infuori di... [98] di Immermann. Se avessi soltanto una traduzione completa delle Sue poesie brevi! Un musicista deve certamente trovarvi più d'una perla
Che il Cielo La conservi ancora lungamente ai Suoi amici ed ammiratori, tra i quali Le chiedo il permesso di annoverare me pure.

Il suo devotissimo
Roberto Schumann


STUDI DI BRAVURA DAI CAPRICCI DI PAGANINI
trascritti pel pianoforte da Franz Liszt

L’opera originale ha il titolo: 24 Capricci per Violino solo, composti e dedicati agli artisti da N. Paganini. Oeuvre 1. Una trascrizione di 12 di essi fatta da Robert Schumann, in due fascicoli, apparve già negli anni 1833 e 35... La raccolta di Liszt comprende cinque numeri dei Capricci; il sesto è una trascrizione del notissimo rondò della Campanella. Qui non si può parlare d’una copia pedante, d’un puro riempimento armonico della parte del violino; il pianoforte agisce con altri mezzi che il violino.
Produrre degli effetti analoghi, non importa con quali mezzi, era il compito qui più importante del trascrittore. Come Liszt conosca i mezzi e gli effetti del suo strumento, sa bene chiunque l’abbia udito. È dunque del massimo interesse avere le composizioni del più grande violinista-virtuoso (quanto ad audace abilità), P a g a n i n i, commentate dal più ardito pianista-virtuoso del tempo, L i s z t. Uno sguardo alla raccolta, a questa strana impalcatura di note rovesciata, è sufficiente per convincersi che qui non si tratta di cose facili. Pare che Liszt abbia voluto riversare nell’opera tutte le sue esperienze e lasciare ai posteri i segreti del suo modo di suonare; egli non poteva provare la sua venerazione per il grande artista defunto più splendidamente che mediante questa trascrizione così accuratamente elaborata sin nei minimi particolari e che riflette così fedelmente lo spirito dell’originale. Se la trascrizione di Schumann voleva mettere maggiormente in rilievo il lato poetico della composizione, Liszt accentua (senza però disconoscere quello) di più il lato virtuosistico; i pezzi sono giustamente designati Studi di bravura, giacché è ben chiaro che si suonano per conseguire lo scopo di meravigliare il pubblico. Pochi, veramente, saranno coloro che s’attenteranno di venirne a capo, forse non più di quattro o cinque in tutto il mondo. Ma questo non può impedirci di trattare ugualmente la cosa. Quando si tratta del più estremo limite del virtuosismo ci rallegriamo d’esserci avvicinati a questo limite, anche se soltanto a qualche distanza. Se noi osserviamo con maggior attenzione parecchie cose di questa raccolta, salta subito agli occhi che il fondo musicale spesso non sta in nessun rapporto colle difficoltà meccaniche. Sotto la protezione della parola “studi” passano molte cose. Dovete in ogni modo esercitarvi a studiarli non importa a qual prezzo.
Diciamo, dunque, che questa raccolta è la cosa più difficile che mai sia stata scritta per pianoforte, come l’originale d’altronde è per il violino. Paganini ha voluto significar questo con la sua bella e breve dedica “Agli artisti” cioè “io sono accessibile soltanto agli artisti”. Lo stesso è per l’opera pianistica di Liszt; soltanto i virtuosi di professione potranno capirla a poco a poco. Questo è il punto di vista da cui bisogna giudicare la raccolta. Dobbiamo vietarci, del resto, un esame analitico dell’originale con la trascrizione: ci costerebbe troppo spazio. Val meglio prender in mano le due opere. Interessante è il confronto del primo studio col corrispondente della trascrizione di Schumann, a cui ingegnosamente v’invita quella di Liszt stesso, per la copia fattane, battuta per battuta. È il sesto capriccio dell’edizione italiana. L’ultimo studio è in forma di variazioni (come nella raccolta dell’originale): queste variazio-ni devono essere quelle che hanno stimolato H. W. Ernst pel suo Carnevale veneziano; noi riteniamo la trascrizione di Liszt come la cosa musicalmente più interessante di tutta l’opera; ma anche qui si trovano, spesso in piccolissimi passi di qualche battuta, difficoltà d’ordine immenso, che Liszt stesso avrà dovuto studiare. Chi possiede totalmente queste variazioni (e cioè così leggermente e scherzosamente che esse ci scorrano innanzi come scene d’un teatro di fantocci) può correre il mondo senza paura per ritornarsene poi con un’aurea corona d’alloro come un secondo Paganini-Liszt.

LE OUVERTURES PER LA «LEONORA» DI BEETHOVEN

Più d’uno si ricorderà con gioia di quella sera in cui, sotto la direzione di Mendelssohn, l’orchestra di Lipsia ci fece udire, l’una dopo l’altra, tutte e quattro le ouvertures per la Leonora. La rivista già ne ebbe a parlare. Oggi vi torniam sopra perché è apparsa stampata la quarta ouverture (la seconda in ordine di composizione).
Non vi potrà essere dubbio sull’ordine in cui Beethoven scrisse le ouvertures. Forse più d’uno potrebbe ritenere quella testé pubblicata [Èeffettivamente la prima. Gli studi più recenti hanno dimostrato l’incertezza delle notizie della biografia dello Schindler, a cui lo Schumann si riferisce] come la prima di quelle che Beethoven ha abbozzato per la sua opera, perché ha interamente il carattere d’un primo getto ardito, tale da sembrar scritta nella gioia più violenta per l’opera compiuta, che si riflette in linee più piccole nei tratti principali. Ma il libro dello Schindler (pag. 58) elimina questo dubbio nel modo più assoluto. Ecco quel che si ricava dalla sua precisa assicurazione. Beethoven scrisse dapprima l’ouverture che dopo la sua morte apparve come op. 138 nell’ediz. Hasslinger; venne eseguita soltanto a Vienna davanti ad un ristretto cerchio di intenditori, ma fu trovata all’unanimità “troppo facile”. Beethoven, piccato, scrisse allora l’ouverture ora apparsa presso Breitkopf e Haertel, ma mutò poi anche questa, e ne venne fuori quella più nota, in do maggiore, che bisogna indicare col n. 3. Infine Beethoven scrisse la quarta ouverture in mi bemolle maggiore nel 1814, quando il Fidelio fu di nuovo messo in repertorio.
Quasi tutti i musicisti concordano nel considerare la terza ouverture come quella di maggior effetto e la più artisticamente perfetta. Ma non si stimi troppo poco la prima ch’è, salvo un passo debole (pag. 18), un pezzo fresco e bello, ben degno di Beethoven. L’introduzione, il passaggio all’allegro, il primo tema, il ricordo dell’aria di Florestano, il crepuscolo finale - tutto questo rispecchia l’anima ricca del maestro. Più interessanti, invero, sono le relazioni in cui sta la seconda colla terza. Qui possiamo seguire l’artista nel procedere del suo lavoro. Osservare e confrontare com’egli abbia variato e rifiutato pensiero e strumentazione, come non abbia potuto liberarsi dell’aria di Florestano, come le tre battute iniziali di quest’aria sian trascinate attraverso tutto il pezzo, come non abbia potuto tralasciare il richiamo delle trombe dietro la scena (sì da rimetterlo nella terza ouverture in modo ancor più bello che nella seconda), come non abbia avuto né riposo né tregua perché la sua opera raggiungesse la perfezione, quale ammiriamo nella terza - osservare e confrontare, dico, tutte queste cose appartiene a ciò che di più interessante e istruttivo si possa proporre per l’utilità d’un giovane artista. Come seguiremmo volentieri passo per passo le due opere! Questo si raggiunge colle partiture in mano con molto maggior piacere che con delle lettere sulla carta e perciò abbiamo accennato soltanto in breve alle differenze più essenziali. Dobbiamo osservare ancora un fatto. Nella partitura che s’è trovata in possesso di Breitkopf e Haertel, purtroppo mancano verso la fine alcuni fogli. Allo scopo dell’esecuzione per i concerti di qui, questa lacuna viene integrata coi passi corrispondenti della terza ouverture. In ogni modo, era l’unica cosa opportuna da farsi. È vero che il direttore d’orchestra deve guardarsi dall’animare l’orchestra in modo tale che il passo

(21 battute prima della fine) non sia troppo lento rispetto al presto

L’inconveniente sarebbe evitato se dopo la battuta

della seconda ouverture (parte dei violini primi, nono sistema, ultima battuta) fosse proseguito forse subito col fff della seconda ouverture (pag. 68 della partitura). La perdita delle piccole varianti dell’istrumentazione, che il completo abbandono del presto secondo la prima lezione porterebbe con sé, ci pare assai poco notevole.
D’altra parte si deve far valere il “rispetto” che non vuoi sacrificare nessuna battuta. Ma non si potrebbe trovare un’altra copia dell’ouverture, che contenga anche il finale al completo?