ATTO III [LIBRETTO]
Quadro primo. Nei giardini della regina, di notte. Carlo crede d’esser stato convocato a un appuntamento da Elisabetta: la missiva anonima è invece di Eboli, innamorata del principe, che giunge e che, per qualche istante, Carlo crede la regina: quando la luce lunare rivela la vera identità della convenuta, Eboli comprende quale amore proibito l’infante porti in cuore, e lo minaccia. Arriva Rodrigo, che sta quasi per uccidere la furibonda Eboli (terzetto «Trema per te falso figliuolo»). Rimasto solo con Don Carlo, l’invita a confidare nel suo aiuto e nella sua fedeltà.
Quadro secondo. Nella grande piazza davanti alla cattedrale di Valladolid il popolo si prepara ad assistere alla cerimonia dell’autodafé. Quando il re sta per dare inizio al rito, sopraggiunge Carlo alla testa di sei deputati fiamminghi per chiedere al padre d’esser nominato viceré di Fiandra e Brabante. Al rifiuto di Filippo, Carlo snuda la spada e giura di salvare dalla tirannia il popolo fiammingo. Filippo ordina che si disarmi l’infante, ma nessuno osa avvicinarsi. Solo Rodrigo osa togliere la spada a Carlo, che si sente tradito dall’amico; il rito riprende con gli eretici condotti al rogo dai frati dell’Inquisizione.
Le troisième acte se subdivise en deux tableaux assez courts : le premier dure un peu moins d'un quart d'heure, le deuxième n'atteint pas vingt minutes. Le premier tableau débute par un prélude orchestral qui s'élabore à partir du «thème» de «Don Carlo» qui avait servi à la romance du personnage au début du premier acte. Au lever du rideau, nous entendons le duo entre Don Carlo et Eboli (déguisée en Elisabeth) et le tableau se termine par le trio entre Don Carlo, Eboli et Rodrigo. Tout cela est d'une structure relativement simple, mais d'une extraordinaire concentration. Les caractères musicaux mettent admirablement en valeur l'ambiance nocturne de ce moment crucial du drame. Le trio constitue un nouvel et merveilleux exemple d'un «ensemble psychologique». Notons qu'il s'achève sur un postlude orchestral puissant qui utilise le thème du «pacte» entre Don Carlo et Rodrigo que nous avions entendu au cours du premier tableau du deuxième acte.
Bien qu'étant lui aussi de dimensions relativement réduites, le second tableau du troisième acte se présente sous la forme d'une structure monumentale extrêmement complexe. Sans doute sommes-nous parvenus au sommet du drame, et Verdi ne craint pas de mettre en œuvre ici certains procédés parmi les plus extrêmes et les plus puissants qu'il est possible de puiser au sein des moyens d'expression de l'art lyrique. Il faudrait une étude particulière pour analyser ces pages qui constituent l'une des «scènes de foule» les plus grandioses et les plus réussies du répertoire. Contentons-nous de noter que, après avoir atteint une sorte de point culminant dramatique grâce à une écriture polyphonique d'une rare intensité (où participent Elisabeth, son page, Don Carlo, Rodrigo, Philippe, les six députés flamands, les six prêtres et le chœur du peuple), le morceau semble devoir se terminer sur l'accord de la bémol majeur soutenu par tous les personnages qui se trouvent sur la scène. Mais c'est à ce moment que Verdi réussit à intercaler un épisode totalement imprévu qui précède la coda et qui augmente encore l'intensité dramatique. La furieuse intervention de Don Carlo à laquelle répond celle, plus furieuse encore, de Philippe, le geste de Don Carlo qui dénude son épée, les interventions effrayées ou indignées des autres personnages, la brève et violente intervention de Rodrigo («A me il ferro») qui s'apprête à désarmer son ami, tout cela porte le drame au comble de l'exaspération. Une nouvelle fois le thème du pacte se fait entendre pendant que Don Carlo stupéfait remet son épée à Rodrigo, mais, pour la première fois, ce thème abandonne son ton triomphal et se trouve exécuté dans la nuance piano.
C'est maintenant la coda. L'autodafé se prépare. Une variante des fanfares avec lesquelles avait débuté le tableau ramène la violence du ton initial qui se trouve interrompue par le sombre thème des six moines et voici que, soudaint s'élève la voix céleste soutenue par une harpe et un harmonium (tout cela dans les coulisses, l'orchestre de la fosse n'intervenant que discrètement et sporadiquement). Les flammes du bûcher éclatent; les différents groupes des chœurs (députés flamands, moines, peuple) ainsi que Philippe se joignent à la voix céleste, et le rideau tombe - en pleine lumière diurne - sur une nouvelle et brève reprise des fanfares du début.

ANALISI DI CHARLES OSBORNE

Il terzo atto ha un grave preludio orchestrale costruito sull'aria di Carlo del primo atto «Io la vidi». Non è una semplice trascrizione strumentale dell'aria, ma uno sviluppo del tema, che crea lo stato d'animo di un romantico chiaro di luna, ma aggiunge nelle parti basse un accenno del ruolo che il Grande Inquisitore ha, secondo il testo originale, nella vicenda personale di Carlo. Il breve, ma magico poema musicale sostituisce il balletto della prima edizione parigina. (Il terzo atto della versione di Parigi si apriva con una breve scena in cui Eboli invia il messaggio a Carlo fissandogli l'appuntamento. Questa scena era seguita da un balletto in cui la Regina delle Acque e tutte le perle dell'Oceano porgevano un omaggio alla- perla piú bella: la regina di Spagna. I cinque pezzi, Introduzione, Andante e Valzer, Variazioni, Pantomima, Galop Finale, sono tra le musiche per balletto piú riuscite di Verdi, sebbene, come quelle precedentemente scritte per le esecuzioni francesi de «Il trovatore» e dì «Les Vépres siciliennes», ricordino stranamente Ciaikovski, qua e là.) Il quadro nel giardino della regina è scritto come un unico pezzo, che Verdi ha intitolato: « Scena, duetto e terzetto». Dopo il recitativo di apertura di Carlo, si inizia il duetto, allegro agitato, con Eboli al suo sopraggiungere. Quando Eboli si toglie il velo, un episodio in recitativo porta al duetto strutturato su un lirico andante mosso. All'arrivo di Rodrigo ha inizio il terzetto «Al mio furor», incominciato dai due uomini che sviluppano un tema lirico al quale si oppone Eboli con una linea vocale agitata e fiorita. Dopo il finale in allegro agitato, «Trema per me», Eboli esce e il tormentato dialogo tra Carlo e Rodrigo, in cui il primo per un momento sospetta dell'amico, si risolve con una breve cadenza seguita da una citazione del tema del duetto dell'amicizia.
L'auto-da-fé costituisce il gran finale dei terzo atto. Una introduzione marziale affidata alla banda, un pomposo coro festivo, e una cupa marcia lunebre annunciano la processione degli eretici condannati al rogo, mentre un coro di monaci, bassi all'unisono, canta del giorno del Giudizio. La sommessa e deprimente monotonia di questo canto è immediatamente seguita da una bella melodia affidata ai violoncelli: un cantabile espressivo che manifesta un sentimento di pietosa consolazione; e un genere che Verdi usa raramente ma sempre in modo molto commovente. (Il postludio a «Il lacerato spirito» di Fiesco, nel «Simon Boccanegra», torna subito alla mente.) È come se Verdi stesso intervenisse personalmente a offrire la sua benedizione alle vittime della chiesa militante. Verdi non « inflaziona » le sue melodie alla Puccini. Quest'ultima melodia quando scompare riappare una sola volta, al tempo giusto, cantata da una voce celestiale alla fine del quadro. Il popolo prosegue nelle sue acclamazioni e una banda introduce la processione ufficiale. La marcia è redatta prima in la maggiore e ripetuta immediatamente in do. Ne consegue un effetto inaspettato di crescente eccitazione, anche se il poco piú animato successivo è piú vicino alla bucolica Busseto che alla Spagna. Il coro riprende con violenza e la marcia si conclude animatamente. Le otto battute dell'arioso non accompagnato dell'araldo sono ripetute armonicamente dal coro, ma sempre senza accompagnamento, e dopo un vigoroso intervento orchestrale il recitativo del re viene salutato con entusiasmo dalla folla.
Poi Carlo e sei deputati fiamminghi interrompono la processione: le sei voci di basso dei deputati cantano all'unisono, per sottolineare la loro unanimità di idee; è un espressivo cantabile dal colore cupo, rafforzato dall'accompagnamento, in cui gli archi di tessitura grave raddoppiano le voci. Il re reagisce adirato con un arioso che genera un superbo pezzo d'insieme dal quale emerge la melodia dei deputati fiamminghi con la quale si fonde. La perorazione in allegro di Carlo e la risposta del re costituiscono uno scambio di battute in un libero recitativo melodico, seguito da un recitativo carico di tensione corrispondente all'epísodio di Carlo che sbuda la spada davanti al padre. Il tema dell'amicizia eseguito con calma dai clarinetti è di grande effetto quando Rodrigo impone a Carlo di consegnargli la spada. Il clima festoso è ripreso dal coro e dall'orchestra, mentre si ode ancora la marcia funebre per gli eretici. La melodia che invoca pietà è ora cantata da un soprano solista accompagnato dall'arpa e dall'armonio: «Una voce dal cielo (molto lontana)» come dice la didascalia della partitura con sarcasmo presumibilmente inconscio. La cantilena dei monaci continua sotto i trilli della voce celeste che sale fino al si naturale per tornare su un mi in quarto spazio. La folla risponde alla acclamazione di Filippo «Gloria al ciel», e scende il sipario.