Scorrendo le edizioni bachiane curate da Busoni si nota, soprattutto nelle indicazioni esplicative, nelle alternative compositive e nel suggerimenti "migliorativi" dell'originale, lo sforzo di promuovere nell'esecutore la comprensione del testo originale attraverso la rielaborazione o la trascrizione.

La trascrizione di composizioni altrui non persegue soltanto finalità didattiche. Busoni la considera come una forma di responsabilità artistica nei confronti della composizione. Egli ammette infatti la trascrizione di una composizione soltanto quando i mezzi espressivi convenzionali, o non corrispondono alle intenzioni del compositore, o non le soddisfano sufficientemente. Ad esempio Busoni riteneva che Bach nel suo pensiero compositivo sentisse e pensasse «in dimensioni a cui i mezzi espressivi dell'epoca non erano adeguati» [Sguardo lieto, p. 251]?

Soltanto il livello raggiunto nella costruzione dei pianoforte moderno e il nostro dominio dei suoi vasti mezzi espressivi ci consentono di esprimere le inequivoche intenzioni di Bach in modo esauriente. [Sguardo lieto, p. 252]

Da questa convinzione Busoni traeva le debite conclusioni:

Ho creduto quindi di imboccare la via giusta prendendo la rincorsa dal «Clavicembalo ben temperato», per mostrare come da questo per così dire ceppo originario derivino le molteplici ramificazioni della tecnica pianistica odierna. [p. 253]'

Di tutt'altro avviso era Busoni su Haydn e Mozart, compositori che, a suo dire, rientrano

completamente nella cornice dei loro tempo. Tentativi di trascrizione di qualche loro opera - nel senso delle succitate trascrizioni di Bach - sarebbero errori grossolani. Le composizioni per pianoforte di Mozart e di Haydn non possono esser adattate in alcun modo al nostro stile pianistico: al loro contenuto ideale basta e corrisponde soltanto la scrittura originale. [p. 252]

Una prova però di netta contraddizione fra questa formulazione di Busoni e la sua pratica trascrittiva si trova nei grandi interventi strutturali e nelle modifiche agli originali dei Concerti per pianoforte in mi bemolle maggiore K 271 e in fa maggiore K 459 (terzo movimento, dal quale Busoni trasse il «Duettino concertante» per due pianoforti). Resta comunque aperta la questione, se il valore e il «contenuto» della musica primigenia e universale rimangano veramente inalterati nella trascrizione.
Busoni usa i termini «trascrizione» e «rielaborazione» con significati vari, più generici che chiaramente definiti, in riferimento sia alla composizione, sia all'interpretazione. Anche a quest'ultima Busoni riconosce infatti la possibilità di liberare la musica per ricondurla al suo stato primigenio:

L'esecuzione della musica proviene da quelle libere altezze dalle quali la musica stessa è discesa. Quando essa corre il rischio di divenire terrena, all'esecuzione spetta di risollevarla, aiutandola a ritrovare il suo originario 'librarsi'. [p. 50]

Nell'intendimento busoniano l'interprete dunque non è più colui che è tenuto a restituire interpretazioni conformi, ma è l'artista creativo il cui ruolo è pari a quello del compositore. Su questo punto Busoni si trova in contrasto con i suoi contemporanei . Sia un avanguardista come Schönberg, sia un conservatore conte Pfitzner criticavano proprio questo postulato busoniano della parità fra compositore ed esecutore, ritenendo ambedue che l'interprete deve avere sempre un ruolo inferiore a quello del compositore, le cui intenzioni vanno rispettate dall'interprete severamente e con totale dedizione.
All'esecutore Busoni assegna invece il compito di «sciogliere la rigidità dei segni e [di] rimetterli in movimento» [p. 50]. Perché ciò avvenga è necessario che l'esecutore riconosca intuitivamente l'Ursprung dell'idea musicale, perduta nel momento della notazione, e la converta interpretativamente. Nella citazione che segue l'interpretazione della composizione è di nuovo orientata dalla legge fondamentale dell'«eterna armonia», legge che può essere vista sotto un duplice aspetto: da una parte in relazione al contenuto musicale intrinseco della composizione, dall'altra in riferimento alla disposizione personale, allo "stato d'animo" dell'esecutore nel momento dell'interpretazione. Significato quest'ultimo che diventa evidente nel caso per Busoni ideale del dualismo fra compositore e interprete:

Ogni giorno comincia in modo diverso dal precedente e pur sempre con un'aurora. - Grandi artisti suonano le loro proprie opere in modo sempre differente, le riplasmano secondo l'ispirazione del momento; affrettano e trattengono i tempi - in un modo che non è possibile fissare sulla carta - e sempre secondo rapporti suggeriti da quell'«eterna armonia». [p. 51]

Il postulato di un'interpretazione "creativa" si scontra non solo con la limitatezza della notazione, incapace di riprodurre l'essenza musicale in modo adeguato, ma, più in generale, anche con la riproduzione di una composizione in modo stereotipo e conforme, che è quanto di più contrario all'ideale busoniano di sviluppo libero della musica e dell'interprete:

Per i legislatori appunto i segni sono ciò che più importa, e sempre più importanza acquistano: la musica nuova viene dedotta dai segni antichi - essi significano la musica stessa.
Se dipendesse dai legislatori, lo stesso pezzo dovrebbe esser suonato sempre nello stesso movimento ad ogni esecuzione, poco importa per opera di chi e in quali circostanze?
[p. 51]

Non c'è dubbio che questa concezione conferisce all'interprete la più grande libertà creativa, legittimando con essa il valore della rielaborazione di composizioni altrui. L'unico rimedio, dunque, al pericolo da Busoni evocato sembra essere veramente nell'identità tra compositore e interprete.