PAUL VERLAINE

POESIE IV


da UN TEMPO E POCO FA

UN TEMPO

Prologo

In marcia, mala truppa!
partite, miei ragazzi perduti!
Questi ozi vi erano dovuti:
la Chimera tende la sua groppa.

Partite, aggrappati alla sua schiena,
come sciama un volo di sogni
da un malato nei brevi
fiori vaghi delle sue tende.

La mia tiepida mano che si agita,
debole ancora, ma infine
senza febbre, e che palpita
soltanto per sforzo divino,

la mia mano vi benedice, piccole
mosche dei miei soli neri
e delle mie notti bianche. Presto,
partite, piccole disperazioni,

piccole speranze, dolori, gioie,
che da ieri il mio cuore
in cerca d'altre prede rinnegò...
Andate, ægri somnia.

SONETTI E ALTRI VERSI



Pierrot


a Léon Valade.

Non è più il sognatore lunare della vecchia aria
che rideva agli avi da sopra gli stipiti:
la sua allegria, come la sua candela, ahimè! è morta,
e oggi il suo spettro ci ossessiona, sottile e chiaro.

Ed ecco, nel terrore di un lungo lampo,
la sua pallida blusa scossa dal freddo vento
sembra un sudario, e a bocca spalancata
pare ch'egli stia urlando per i morsi del verme.

Col rumore d'un volo d'uccelli notturni,
le sue maniche bianche fanno vagamente nello spazio
folli segnali cui nessuno risponde.

Gli occhi sono due grandi buchi dove striscia
del fosforo, e la farina fa ancor più spaventosa
la faccia esangue dal naso aguzzo di moribondo.

Caleidoscopio


a Germain Nouveau.

In una strada, nel cuore d'una città di sogno,
sarà come quando sembra d'avere già vissuto:
un istante molto vago eppure acuto...
Oh, questo sole, nella nebbia che s'alza!

Oh, questo grido sul mare, questa voce nei boschi!
Sarà come quando s'ignorano le cause:
un lento risveglio dopo tante metempsicosi:
le cose saranno ancora più le stesse d'un tempo

in questa strada, nel cuore della città magica
dove organetti macineranno gighe nelle sere,
e i caffè avranno dei gatti sugli scaffali,
e bande musicali l'attraverseranno.

Sarà così fatale che parrà di morirne:
lacrime scivolando dolci lungo le guance,
risa singhiozzate nel fracasso delle ruote,
invocazioni alla morte perché venga,

parole antiche come un mazzo di fiori appassiti!
Giungeranno i suoni aspri dei balli pubblici,
e vedove dalla fronte adorna di rame, contadine,
fenderanno la folla delle donnacce

che si aggirano a chiacchiera con orridi marmocchi
e con vecchi senza ciglia che l'èrpete infarina,
mentre a due passi, tra odori di urina,
qualche pubblica festa lancerà dei petardi.

Sarà come quando si sogna e ci si sveglia!
e ci si riaddormenta e poi si sogna ancora
la stessa fiaba e lo stesso paesaggio,
l'estate, nell'erba, nello screziato ronzìo d'un volo d'ape.

Strofa milleottocentotrenta


Sono nato romantico e sarei stato fatale
in un frac attillato coi bottoni di metallo,
la barba a punta e i capelli a spazzola.
Hablando español, lealissimo e ferocissimo,
l'occhio pronto all'occhiata e carico di sfide.
Bellezze malridotte e borghesi sconfitti
avrebbero riempito la mia vita e inebriato il mio cuore di uomo
pallido e giallo, d'altronde, e taciturno come
un infante scrofoloso in un Escurial...
E poi sarei stato così feroce e così leale!

A Orazio


Amico, non è più il tempo delle chitarre, delle piume,
dei creditori, dei duelli allegri a proposito
di nulla, dei cabarets, delle pipe a fornello
e di quella banale allegria di cui ci compiacemmo.

Ecco che viene, tenerissimo amico che ti incendi
per un dado truccato, mio dolce distruttore di brocche,
Orazio, terrore e gloria delle bische,
caro bestemmiatore da riempirne cento libri,

ecco che viene tra le nebbie d'Elsinore
qualcosa di meno piacevole, sul mio onore,
di Ofelia, l'amabile fanciulla stupefatta.

È lo spettro, lo spettro imperioso! La sua mano
indica un punto e il suo occhio lampeggia e il suo piede batte,
ahimè! e nessun modo di rinviare a domani!

Sonetto zoppo


a Ernest Delahaye.

Ah, è veramente triste, davvero va a finire troppo male!
Essere talmente disgraziati non è permesso.
Ah, è troppo davvero la morte dell'ingenuo animale
che vede scorrere tutto il suo sangue con uno sguardo appannato.

Londra fuma e grida. Oh, che città della Bibbia!
Il gas fiammeggia e nuota, e le insegne sono vermiglie.
E le case, terribilmente rattrappite,
spaventano come un senato di vecchiette.

Tutto il passato orrendo salta, miagola e guaisce
nella nebbia rosa e gialla e sporca dei Soho
con degli indeed e degli all right e degli haô.

No, è veramente troppo un martirio privo di speranza,
davvero va a finire troppo male, davvero è triste:
oh, il fuoco del cielo su questa città della Bibbia!

Il clown


a Laurent Tailhade.

Bobèche, addio! buonasera, Pagliaccio! indietro, Gille!
Largo, buffoni invecchiati, al perfetto burlone,
largo! serissimo, discreto e molto altèro,
ecco che viene il maestro di tutti, l'agile clown.

Più svelto di Arlecchino e più prode di Achille,
è proprio lui, nella sua bianca corazza di raso;
vuoti e chiari come specchi senza stagno,
i suoi occhi non vivono nella maschera d'argilla.

Brillano azzurri tra il belletto e gli unguenti,
mentre la testa e il busto, eleganti,
si dondolano sull'arco paradossale delle gambe.

Poi sorride. Intorno la folla sciocca e laida,
la canaglia fetida e santa dei Giambi,
acclama l'istrione sinistro che la odia.

Arte poetica


a Charles Morice.

Musica, prima d'ogni altra cosa;
per questo preferisci l'Imparisillabo,
più vago e più solubile nell'aria,
senza niente che vi pesi o si posi.

Bisogna poi che non ti metta a scegliere
le tue parole senza qualche errore:
nulla è più caro della canzone grigia
in cui al Preciso si unisce l'Indeciso.

Sono begli occhi dietro dei veli,
è la gran luce tremula di mezzogiorno,
è, in un tiepido cielo d'autunno,
l'azzurro brulichìo delle chiare stelle!

Perché è la Sfumatura ciò che vogliamo,
non il Colore, solo la sfumatura!
Oh, solo la sfumatura fidanza
il sogno al sogno e il flauto al corno!

Evita più che puoi la Frecciata assassina,
lo Spirito crudele e il Riso impuro,
che fanno piangere gli occhi dell'Azzurro,
e tutto quell'aglio di bassa cucina!

Prendi l'eloquenza e torcile il collo!
E farai bene, in vena d'energia,
a moderare un poco anche la Rima.
Senza alcun controllo, dove arriverà?

Oh, chi dirà i torti della Rima?
Quale fanciullo sordo o negro pazzo
ci forgiò questo gioiello da un soldo
che suona cavo e falso sotto la lima?

Musica ancora e sempre!
Il tuo verso sia la cosa che vola via,
che sentiamo fuggire da un'anima in fuga
verso altri cieli, ad altri amori.

Il tuo verso sia la buona avventura,
sparsa al vento increspato del mattino
che odora di menta e di timo...
E tutto il resto è letteratura.

Il pagliaccio


Il palchetto, scosso da un'enfatica orchestra,
cigola sotto i gran piedi del magro saltimbanco
che arringa, non senza fierezza e disdegno,
i grulli che scalpicciano davanti a lui nel fango.

Il gesso sulla fronte, il belletto sulle guance
destano meraviglia. Sproloquia e all'improvviso tace,
riceve pedate nel sedere, faceto,
bacia sul collo la sua enorme comare, e fa la ruota.

Le sue chiacchiere, col cuore e con l'anima approviamole.
Il suo corto giubbetto di tela a fiori e i polpacci
piroettanti meritano che ci si fermi a guardare.

Ma ciò che tutti devono ammirare, è soprattutto
quella parrucca da cui si drizza sulla testa,
svelto, un codino con in cima una farfalla.

Allegoria


a Jules Valadon.

Dispotica, pesante, incolore, l'Estate
come un re fannullone che presieda un supplizio,
si stira nel bianco ardore del complice cielo
e sbadiglia. L'uomo dorme lontano dal lavoro lasciato.

L'allodola al mattino, stanca, non ha cantato,
non una nube, né un soffio, niente che pieghi
o increspi l'azzurro implacabilmente levigato
dove il silenzio bolle nell'immobilità.

L'aspro torpore ha raggiunto le cicale
e nello stretto letto di pietre ineguali
i ruscelli quasi asciutti non saltano più.

Un'incessante rotazione di marezzi
luminosi dilata i suoi flussi e riflussi...
Vespe, qua e là, volano gialle e nere.

Circospezione


a Gaston Sénéchal.

Dammi la mano, trattieni il respiro, sediamoci
sotto quest'albero gigante dove la brezza muore
in sospiri ineguali sotto le grige fronde
che il pallido e dolce chiaro di luna carezza.

Immobili, chiniamo lo sguardo sulle ginocchia.
Più non pensiamo, sognamo. Lasciamoli perdere,
la felicità in fuga e l'amore che si consuma,
e i nostri capelli sfiorati dall'ala dei gufi.

Dimentichiamo di sperare. Discreta e contenuta,
l'anima d'ognuno di noi due prolunghi
questa calma e questa morte serena del sole.

Restiamo silenziosi nella pace notturna:
non è bene disturbare nel suo sonno
la natura, questo dio feroce e taciturno.

Versi per essere calunniato


a Charles Vignier.

Stasera m'ero chinato sul tuo sonno.
Tutto il tuo corpo riposava casto sull'umile letto,
e ho visto, come chi si concentri e legga,
ah! ho visto come tutto sia vano sotto il sole!

Che si viva, oh! quale delicata meraviglia,
tanto il nostro organismo è come un fiore esangue!
Pensiero che conduce alla follia!
Dormi, povero mio! mi tiene sveglio lo sgomento per te.

Ah, miseria d'amarti, mio fragile amore
che vai respirando come un giorno si spira!
O sguardo chiuso che la morte farà tale!

O bocca che in sogno ridi sulla mia bocca,
in attesa dell'altro sorriso più feroce!
Presto, svegliati. Di', è immortale l'anima?

Lussurie


a Léo Trézenik.

Carne! il solo frutto morso dei giardini di quaggiù,
frutto amaro e dolcissimo, sugoso ai soli denti
degli affamati di solo amore, bocche o gole,
e buon dessert dei forti, loro pasto gioioso;

Amore! unica emozione di chi non è turbato
dall'orrore di vivere, Amore che frantumi sotto le tue mole
gli scrupoli dei libertini e dei puritani
per il pane dei dannati eletti dai sabba,

Amore, anche mi appari come un bel pastore
che la filatrice sogna accanto al focolare
le sere d'inverno nel chiaro calore di un tralcio,

ed è la Carne la filatrice, e rintocca l'ora
che il sogno stringerà la sognatrice, - ora santa
o no! alla vostra estasi che importa, Amore e Carne?

Vendemmie


a Georges Rall.

Le cose che cantano nella testa
quando è assente la memoria,
ascoltate, è il nostro sangue che canta...
Musica lontana e discreta!

Ascoltate! è il nostro sangue che piange
quando l'anima è fuggita,
con voce mai udita fino allora
e che tra poco tornerà a tacere.

Fratello del sangue della vigna rosa,
fratello del vino della vena nera,
o vino, o sangue, è l'apoteosi!

Cantate, piangete! Scacciate la memoria,
e scacciate l'anima, e fino alle tenebre
magnetizzate le nostre povere vertebre.

VERSI GIOVANI



I lupi


Nell'oscuro campo di battaglia
vagando silenziosi sotto il cielo nero
i lupi obliqui fanno bisboccia
ed è un piacere vederli,

agili, occhi verdi, zampe
leggere sui cadaveri molli,
- gole larghe e teste piatte -
gioiosi, rizzare il pelo rosso.

Un ruggito men che tenero
accompagna la masticazione
ed è un piacere udirlo
quest'osanna vile e malvagio:

- "Carne tagliata a pezzi, sangue che cola,
davvero han qualcosa di buono gli eroi,
la fame sazia e la sete soddisfatta
devono loro questo complimento.

"Ma anche, detto senza rimproveri,
quante pene e quanti passi
ci sia costato soltanto avvicinarli
non si potrebbe immaginarlo.

"Da quando, senza pietà né pause,
risuonarono i loro passi fanfaroni,
i nostri cuori di belve e di vili,
al tempo stesso ghiottoni e poltroni,

"presentendo la guerra e la preda
per molte notti e per molti giorni
batterono di paura e di gioia
all'unisono coi loro tamburi.

"E quando infine apparvero
tutti scintillanti di metallo,
oh! che paura e che fuga
verso la femmina, nel bosco natale!

"Se ne andavano fieri, i giovanotti,
calmi sotto la loro bandiera al vento,
e, più forti di quanto siamo noi,
avevano tuttavia un dolcissimo aspetto.

"Il terribile ferro delle loro spade
brillava ancora meno dei loro occhi
in cui il candore di augusti sogni
esplodeva in sguardi gioiosi.

"I loro capelli frustati dal vento
battevano sotto gli elmi, simili
ad ali di gabbiani,
pallidi con toni vermigli.

"Cantavano cose elevate!
che parlavano di libere lotte,
d'amore, di catene infrante
e di malvagi dèi abbattuti.

"Passarono. Quando la loro coorte
non fu più che un punto blu,
noi ci organizzammo in modo
da seguirli col minimo rischio.

"A lungo, a lungo raso terra,
discreti, dietro, a distanza, mentre
loro avanzavano a passo militare,
noi marciammo in file di dieci,

"passando a nuoto i fiumi
quando loro spezzavano i ponti,
con appena un po' d'erba per macello,
avanzando a piccoli balzi,

"perdendo fiato ad ogni istante...
Finalmente una notte quei dèmoni
si accamparono in fondo a una pianura
tra foreste e montagne.

"Là li spiammo comodi,
poiché quasi tutti dormivano.
I nostri occhi simili a brace
brillavano intorno al loro campo,

"e il rumore secco dei nostri denti bianchi
in attesa di festini tanto belli
faceva ticchettare tra i rami
l'avido becco dei corvi.

"L'aurora esplode. Una fanfara
orribile fa balzare in piedi
tutta la truppa spaventata.
Ognuno si equipaggia come può.

"Dietro le alte fustaie
noi ci siamo nascosti
mentre le siepi vicine
celano i corvi spaventati.

"Il sole che sale comincia
a bruciare. Rabbrividisce la terra.
Improvviso un immenso clamore
ha risuonato. È il nemico!

"È lui, è lui! Il suolo rimbomba
sotto i passi duri dei conquistatori.
I polemarchi in persona
vanno e vengono lungo i ranghi.

"E le lance e le spade
tra le pieghe degli stendardi
fiammeggiano tra gli sprazzi
di luci e di nebbie.

"E così, in questi epici corrucci
la giovane banda avanzò,
lieta e serena sotto le picche
e iniziò la battaglia.

"Ah! fu una lotta accanita:
grida confuse, scontro d'armi, il tutto
per un intero giorno,
sotto l'ardore rosso di un cielo d'agosto.

"La sera. - Silenzio e calma. Appena
un vago moribondo tardivo
che sputa il suo dolore e il suo odio
in un singhiozzo definitivo;

"appena, nel grigio lontano, il triste
appello di una tromba smarrita.
Il tramonto d'oro e di ametista
si spegne e a gradi imbrunisce.

"Cade la notte. Ecco la luna!
Essa nasconde e mostra a metà
la sua ipocrita faccia come un
complice che finge pietà.

"Noialtri, liberi da simili pensieri,
e che sempre lo rimarremo,
non conosciamo tali debolezze,
perché la fame ci scaccia dal bosco,

"e abbiamo di che cibare
questo appetito imperiale:
il campo di battaglia è libero
e non è vuoto né piccolo.

"Dunque, senza più perdere in frasi vane,
di cui qualche sciocco sarebbe geloso,
questo momento di grassa pacchia,
beviamo e mangiamo, noi, Lupi!"

ALLA MANIERA DEI PIÙ



I o La principessa Berenice


a Jacques Madeleine.

La testa fine nella mano minuta,
ascolta il canto delle lontane cascate,
e nel languido lamento delle fontane
còglie un'eco benedetta del nome di Tito.

Ha chiuso i suoi occhi divini di vitalba
per dipingervi, nel cuore di altère battaglie,
il suo dolce eroe, il più amorevole dei capitani,
e, Giudea, ella si sente in potere d'Afrodite.

Allora un grande affanno prende l'innamorata
perché a Roma una legge barbara, terribile, bandisce
dal trono imperiale ogni donna straniera.

E nel nero dolore di cui singhiozza l'anima,
tra le braccia della sua serva più cara,
la regina, ahimè! teneramente sviene.

II o Languore


a Georges Courteline.

Io sono l'Impero alla fine della decadenza,
che guarda passare i grandi Barbari bianchi
componendo acrostici indolenti
in aureo stile in cui danza il languore del sole.

L'anima solitaria soffre di un denso tedio.
Laggiù, si dice, lunghe battaglie cruente.
Oh, non potervi, così debole nei miei lenti desideri,
oh, non volervi fiorire un po' quest'esistenza!

Oh, non volervi, non potervi un po' morire!
Ah, tutto è bevuto! Batillo, hai finito di ridere?
Ah, tutto bevuto, tutto mangiato! Più nulla da dire!

Solo, una poesia un po' sciocca da gettare nel fuoco,
solo, uno schiavo un po' donnaiolo che vi trascura,
solo, una noia di chissà cosa che vi affligge!

V o Consiglio buffo


a Raoul Ponchon.

Brucia negli occhi delle donne,
ma difendi il tuo cuore
e temi il languore
degli epitalami.

Bevi per dimenticare!
L'acquavite è una
che porta la luna
nel suo grembiule.

L'ingiuria degli uomini,
che importanza ha?
Va', soltanto il nostro cuore
sa ciò che siamo.

Ciò che valiamo,
lo canta il nostro sangue!
La spina malvagia
ti morde il calcagno?

Il vento dispettoso osa
schiaffeggiarti spesso?
Canta nel vento
e cògli la rosa!

Su, tutto va per il meglio
in questo mondo pessimo!
Soprattutto lascia dire,
soprattutto sii felice

d'essere una vittima
per questi poveretti:
gli dèi indulgenti
hanno amato il tuo crimine!

Rifiorirai
in un eliso!
Anima disprezzata,
risplenderai!

Non sei di quelle
che un colpo del Destino
disperde all'improvviso
in mille scintille.

Metallo duro e chiaro,
ogni colpo ti affina
in arma divina
per un fiero progetto.

Indietro la forgia!
Tu stai per fremere,
vibrare e gioire
nel pugno di san Giorgio

e di san Michele,
in glorie calme,
al vento puro delle palme,
sull'ala del cielo!...

È essere un sorriso
tra le lacrime,
è essere dei fiori
nel campo del martirio,

è essere il fuoco
che dorme nella pietra,
è stare in preghiera,
è attendere un po'!

VI o Il poeta e la musa


Camera, conservi ancora i loro spettri ridicoli,
piena di luce sporca e di rumori di ragni?
Camera, conservi ancora le loro forme disegnate
da quelle macchie sui muri, da quelle virgole?

Al diavolo! Eppure, camera d'affitto che indietreggi
in questo arido gioco ottico accigliato
dal ricordo di troppe cose destinate,
quanto rimpiangono quelle notti, notti d'Ercoli!

Si pensi pure ciò che si vuole, non è così:
brava gente, voi non capite niente.
Vi dico che non si trattava di ciò che si pensò.

Solo tu, camera che fuggi in desolanti coni,
solo tu sai! ma certamente quante notti di nozze
avranno sverginato, da allora, le loro notti!

VIII o Un pidocchioso


a Jean Moréas.

Con gli occhi d'una testa di morto
che la luna scarnifichi ancora,
tutto il mio passato, diciamo tutto il mio rimorso,
sogghigna attraverso la mia finestrella.

Con la voce d'un vecchio malandato,
come se ne vede solo a teatro,
tutto il mio rimorso, diciamo tutto il mio passato,
canticchia un burlesco trallallà.

Con le dita d'un impiccato già verde
il mariuolo gratta una chitarra
e danza sull'avvenire spalancato
con rara elasticità.

"Vecchio buffone, non mi piace per niente;
piantala con i canti e con le danze."
Con la voce che ha, lui mi risponde:
"È meno farsa di quel che pensi,

e quanto alla futile questione, o mocciosetto,
di piacerti o dispiacerti,
me ne preoccupo al punto che, se vuoi,
puoi andartene a quel paese!"

POCO FA



Crimen amoris


a Villiers de l'Isle-Adam.

In un palazzo, seta e oro, a Ecbatana,
bei dèmoni, Satana adolescenti,
al suono d'una musica maomettana,
ai Sette Peccati spargono i loro cinque sensi.

È la festa, stupenda, dei Sette Peccati!
In fuochi brutali raggiavano tutti i Desideri;
gli Appetiti, docili paggi cui non si dà tregua,
portavano rosei vini nei cristalli.

Danze su ritmi di epitalamî
languivano dolcissime in singhiozzi lunghi
e bei cori di voci d'uomini e di donne
si svolgevano palpitando come flutti,

e la bontà che da ciò scaturiva
talmente era possente e affascinante
che la campagna intorno fiorì di rose
e la notte sembrava di diamante.

Ora, il più bello di quegli angeli malvagi
aveva sedici anni sotto la corona di fiori.
Con le braccia incrociate sopra collane e frange,
egli sogna, l'occhio pieno di fiamme e lacrime.

Invano la festa, intorno, si faceva più folle,
invano i Satana, suoi fratelli e sorelle,
per strapparlo all'angoscia che lo affligge,
l'incitavano con appelli di amorevoli braccia:

egli resisteva a tutte le blandizie,
e la tristezza metteva una farfalla nera
sulla sua cara fronte corrusca di gioielli.
Oh, l'immortale e tremenda disperazione!

Diceva loro: "Oh, voi, lasciatemi in pace!"
poi, dopo aver tutti baciato teneramente,
evase dal gruppo con agilità,
lasciando loro in mano dei lembi di vestito.

Non lo vedete sulla torre più celeste
dell'alto palazzo, con una torcia in pugno?
La brandisce come un eroe il suo cesto:
dal basso sembra che a spuntare sia un'alba.

Ma cosa dice con voce profonda e tenera
che si mescola al chiaro scoppiettìo del fuoco
e che la luna ascolta estasiata?
"Oh! io sarò colui che creerà Dio!

"Noi, angeli e uomini, troppo abbiamo sofferto
per questo conflitto tra il Peggio e il Meglio.
Umiliamo, miserabili come siamo,
tutti i nostri slanci nel più semplice dei voti.

"O voi tutti, o noi tutti, o peccatori tristi,
o lieti Santi, perché questo scisma testardo?
Ah, se avessimo fatto, da abili artisti,
dell'opera nostra la stessa e unica virtù!

"Basta per sempre con lotte troppo uguali!
Bisognerà che infine si riuniscano
i Sette Peccati e le Tre Virtù Teologali!
Basta per sempre con lotte dure e laide!

"E in risposta a Gesù che pensò di far bene
mantenendo l'equilibrio di questo duello,
per mezzo mio l'inferno di cui è qui la tana
si sacrifica all'Amore universale!"

La torcia cadde dalla sua mano aperta
e allora l'incendio s'innalzò urlando,
rissa enorme di aquile rosse, sommersa
nel nero risucchio del fumo e del vento.

L'oro fonde e cola a fiotti e il marmo esplode;
è un braciere tutto splendore e ardore;
la seta, con fremiti brevi, come ovatta
vola in fiocchi tutti ardore e splendore.

E i Satana morenti cantavano tra le fiamme,
avendo compreso, come rassegnati!
E bei cori di voci d'uomini e di donne
si alzavano nell'uragano dei fragori di fuoco.

E lui, con le braccia incrociate fieramente,
gli occhi al cielo dove il fuoco sale, e lambisce,
pronuncia a bassa voce una specie di preghiera,
che si spegne nell'allegria del canto.

Pronuncia a bassa voce una specie di preghiera,
con gli occhi al cielo dove il fuoco sale, e lambisce,
quando rimbomba un orrido colpo di tuono
ed è la fine dell'allegria e del canto.

Dunque non si era gradito il sacrificio:
qualcuno, forte e giusto certamente,
senza fatica aveva colto la malizia e l'artificio
in un orgoglio che a se stesso mente.

E del palazzo dalle cento torri nessuna traccia,
nulla rimase in quel disastro inaudito,
affinché attraverso il più orrendo prodigio
altro non fosse che un vano sogno svanito...

Ed è la notte, la notte blu dalle mille stelle;
una campagna evangelica si stende
severa e dolce, e vaghi come vele
i rami degli alberi sembrano ali palpitanti.

Freddi ruscelli scorrono su un letto di pietra;
i dolci gufi nuotano vagamente nell'aria
profumata di mistero e di preghiera;
talvolta scintilla un'onda che salta.

E lontana sale la morbida forma delle colline
come un amore ancora non ben definito,
e la nebbia che si alza dalle forre
sembra uno sforzo verso qualche mèta.

E tutto ciò come una sola anima e un cuore
e come un verbo, e d'un amore verginale,
adora, si schiude in un'estasi e invoca
il Dio clemente che ci salverà dal male.

da AMORE



a mio figlio
GEORGES VERLAINE


Romances sans paroles · Paysages belges


Bournemouth


a Francis Poictevin.

Il lungo bosco di abeti si torce fino alla riva,
lo stretto bosco di abeti, di lauri e di pini,
con la città intorno travestita da villaggio:
rossi sparsi chalets tra il fogliame
e le bianche ville delle stazioni balneari.

Il bosco cupo scende da un pianoro d'erica,
va, viene, scava una valle, poi sale verde e nero
e ridiscende in delicate selve dove la luce
filtra e indora l'oscuro sonno del cimitero
che digrada cullato da una vaga indolenza.

A sinistra la torre tozza (in attesa d'una guglia)
s'innalza da una chiesa che da qui non si vede;
lontanissimo il pontile; alta, la torre, e asciutta:
c'è tutto l'anglicanesimo imperioso e rude
cui manca anche lo slancio del cuore verso il cielo.

Fa un tempo di quelli che io amo,
né bruma né sole! il sole immaginato,
presentito nella nebbia morente che danza
con l'altissimo cielo che ruota e fugge, rosa-crema,
l'atmosfera è di perla e il mare d'oro pallido.

Dalla torre protestante parte un canto di campana,
poi due e tre e quattro, poi otto in una volta,
istintiva armonia che piano si diffonde,
entusiasmo, gioia, richiamo, dolore, rimprovero,
con oro, bronzo e fuoco nella voce;

rumore immenso e dolce che il lungo bosco ascolta!
La Musica non è certo più bella. Lentamente
si stende sul mare che canta e freme tutto,
come sotto un'armata al passo una strada rimbomba
nell'eco persistente d'uno scontro d'avanguardie.

Lo scampanìo è finito. Una striscia rossa
di grandi singhiozzi palpita e si spegne sul mare,
il bagliore freddo d'un tramonto dell'anno nuovo,
insanguina laggiù la città incoronata
di notte calante, e vibra all'occidente ancora chiaro.

Si fa cupa la sera. Si gela. Il pontile
ha un brivido e la risacca geme nel suo legno
canoro, poi ricade pesante
su un ritmo brutale come la noia tetra
che un tempo martellava i miei colpevoli giorni:

solitudine del cuore nel vuoto dell'anima,
la lotta dei mari e dei venti dell'inverno,
l'Orgoglio vinto, straziato, che rantola e declama,
e questa notte in cui serpeggia un agguato infame,
catastrofe fiutata, preannuncio dell'Inferno!...

Ecco tre rintocchi come tre note di flauto,
ancora tre! tre ancora! l'Angelus dimenticato
si ricorda, ecco che dice: Pace a queste lotte!
Il Verbo s'è fatto carne per rialzarti dalle tue cadute,
una vergine ha concepito, il mondo è assolto!

Così Dio parla attraverso la sua cappella
a mezza costa a destra e al margine del bosco...
O Roma, o Madre! Grido, gesto che ci richiama
senza sosta all'unica felicità e dona al cuore ribelle
e triste il pratico consiglio della Croce.

- La notte è di velluto. Il pontile lontano
a poco a poco tace nel riflusso dell'acqua.
Una strada assai diritta, ben disegnata,
guida fino a casa il mio affrettato ritorno
in quel nero assoluto nel lungo bosco muto.

Gennaio 1877.

There


a Émile Le Brun.

"Angels"! solo angolo di luce in questa Londra serale
dove scarso fiammeggia il gas e un po' di gente chiacchiera,
è strano che, simile a certa tenace speranza,
il tuo ricordo m'ossessioni e avvolga possente
intorno al mio spirito un rimpianto rosso e nero:

vetrine, canzoni, omnibus e le danze
nei vapori impregnati di un gusto di rhum,
decenza, tuttavia, la cura delle cadenze,
e pure nell'ebrezza un certo decoro,
fin quando la nebbia e la notte si fanno dense.

"Angels"! giorni già lontani, soli morti, prosciugati flutti,
i miei vecchi peccati errarono a lungo per le tue vie,
arrossendo d'un tratto, miseria! e stupefatti
di prender gusto davvero alle tue gioie oneste,
loro, giunti da Parigi proprio per il contrario!

Spesso l'Infanzia incontenibile si fa gioco così,
sia pure in questo rapporto infinitesimale,
del mostro interiore che c'increspa la guancia
nel freddo ghigno dell'odio e del male,
o gonfia il nostro labbro amaro in una smorfia greve.

L'Infanzia battesimale emerge dal peccatore,
inattesa, all'erta, e schernisce questo selvaggio
con sorriso non privo di franchezza né freschezza
che suo malgrado gli si posa sulla bocca,
per un prodigio squisitamente vendicatore.

È la Grazia che amabile passa e ci fa segno.
Oh, l'originaria semplicità, ancora lei!
Caro nuovo inizio, così umile! Fuga insigne
dell'ora verso l'azzurro che matura frutti d'oro!
"Angels"! oh nome rivisto, calmo e fresco come un cigno!