LI YÜ
IL TAPPETO DA PREGHIERA DI CARNE 4
TESTO INTEGRALE IN ITALIANO




CAPITOLO XI

Dal trasferimento nella nuova casa erano trascorsi due mesi di felicità senza ombre, quando Aroma rivelò all'amato che il suo ventre era stato benedetto. Egli accolse la notizia con soddisfazione. La cupa previsione del medico ambulante, secondo la quale a causa dell'operazione egli sarebbe rimasto privo di prole, non si avverava.
Alcuni mesi più tardi il corpo della donna cominciò ad arrotondarsi sempre più, ed ella si sentiva gravemente impedita durante gli amplessi. Non poteva più collaborare come avrebbe voluto. Per fortuna adesso le cose non andavano più come in quei primi dieci giorni di amore, quando s'incontravano di nascosto e trasalivano al primo canto del gallo che li costringeva a staccarsi, ed egli doveva fuggire come un ladro alle prime luci dell'alba, ansimando per la continua paura di venire sorpreso. Ora il canto del gallo non li spaventava più; ora potevano gustare pienamente il loro amore, in pace e ogni volta che ne avevano voglia. Per questo egli, viziato com'era, si sentì piuttosto duramente colpito il giorno in cui ella espresse il desiderio di una pausa nei loro rapporti.
«Facciamone a meno, per un po'. lo ho bisogno di riguardi, e anche a te non farà male riprendere fiato per un certo tempo e raccogliere nuove forze. Abbiamo un po'di pazienza, fino al parto.»
Il suo desiderio, espresso nella forma decisa di un ordine, non ammetteva opposizioni. Da quel momento dormirono separati. Egli stabilì il suo giaciglio in una stanza che gli serviva anche da studio, e che due cortili interni dividevano dalla camera della donna.
Adesso era di nuovo gelidamente solo, come nella sua cella al tempio. Come poteva, ora che s'era abituato al calore di una compagnia femminile e al gaio cinguettio di una donna, sopportare a lungo il pesante silenzio che all'improvviso lo circondava? Era come se lo avessero trasferito in una regione glaciale. Aveva i brividi. Nessuna meraviglia se il suo cervello cominciò a lavorare alla ricerca di qualcosa che sostituisse le gioie che gli erano negate.
Quando Aroma era ancora irraggiungibile per lui ed egli si struggeva per lei, aveva presunto che, se solo l'avesse potuta conquistare, si sarebbe accontentato di lei per tutta la vita e non avrebbe cercato nessun'altra. Invece non appena l'ebbe posseduta, nel suo animo spuntò un nuovo desiderio. Doveva essere proprio straordinariamente bello conquistare una seconda donna dello stesso stampo di Aroma; solamente così la sua fortuna sarebbe stata perfetta.
Sarebbe stato conveniente anche in considerazione della sua futura posizione di dignitario in un ufficio importante, almeno secondo un nobile esempio che gli veniva dall'antichità. Non aveva forse l'imperatore Yao [terzo millennio a.c.] dato come moglie a Shun, che aveva scelto come suo successore, le sue figlie Nii Ying e O Huang, per metterlo alla prova? Se il principe fosse riuscito ad andare d'accordo con due donne e a condurre con esse una vita pacifica e armoniosa, aveva sicuramente le qualità per governare un intero popolo con tutti i suoi contrasti. Questa era stata la riflessione che aveva fatto il saggio imperatore Yao.
Ora, non era forse egli, il Chierico della Prima Veglia, destinato, dopo aver superato l'esame finale a diventare il rappresentante dell'imperatore in una regione ricca e popolosa esercitando in piccolo il potere di governo?
Il pensiero di un doppio matrimonio, che nasceva da esigenze diverse, già da tempo gli sorrideva e non lo aveva abbandonato neppure nel periodo del più intimo rapporto con Aroma, ma covava latente sotto la superficie nonostante il suo bisogno di gioie d'amore fosse ampiamente soddisfatto da Aroma. Adesso ch'ella gli era negata e che sentiva il bisogno di una donna, la scintilla nascosta balzò fuori divampando improvvisa e crebbe fino a divampare come un incendio, una necessità assoluta.
Ciò che prima aveva sempre rimandato a dopo, divenne ora bisogno impellente. Improvvisamente egli si ricordò del diario che aveva compilato nel tempio, e che. nascosto da qualche parte nella sua valigia, da tempo era stato dimenticato; gli vennero anche in mente le tre bellezze che aveva registrate come «fuoriclasse». Se solo avesse saputo dove trovarle! Ma nella confusione di quel momento aveva perso l'occasione di far seguire le loro portantine dai suoi servi, perchè scoprissero dove abitavano. Il loro indirizzo gli era sconosciuto. Che peccato! Le due più giovani, con Aroma, avrebbero formato un meraviglioso tripode, nel cui bacino il triplice fuoco di caldi piaceri d'amore avrebbe crepitato allegramente verso il cielo senza mai spegnersi. Peccato, veramente peccato!
Soprappensiero continuò a consultare mentalmente l'elenco delle bellezze degne di nota, per fermarsi su una che aveva classificato tra quelle di prima categoria. Questa lo avrebbe aiutato a superare momentaneamente le necessità brucianti del momento. Poi avrebbe fatto ricerche delle tre più belle. La sua decisione era presa.
Chiuse a chiave le porte dello studio e prese dalla valigia, all'insaputa di Aroma, il suo diario. Lo sfogliò e trovò il nome Hsiang Yiin, «Nuvola Profumata». Lesse poi le frasi con le quali aveva illustrato le caratteristiche della donna.
La sua glossa a Nuvola Profumata si distingueva dalle altre perchè ad essa era dedicata una descrizione piuttosto minuziosa e i suoi pregi erano messi in rilievo più di quelli delle altre.
Sulle altre donne elencate - escluse naturalmente le tre fuoriclasse - trovava sempre qualcosa da ridire e da criticare; la lode era sempre mista alla critica e, nell'insieme, a volte dominava la lode, altre volte la critica. Non aveva avuto quasi critiche per Nuvola Profumata. Nel suo giudizio ella veniva subito dopo le tre eccelse.
Il giudizio suonava così: «Il suo aspetto esteriore presenta alcuni pregi rari. Il portamento e il modo di muoversi mostrano una naturale eleganza. Il suo incedere è armonioso. Le sue forme sono così gracili che si crederebbe di poterla sollevare nella mano distesa. Il suo sguardo, la sua espressione sono degni di essere immortalati dal pennello di un artista. Ma la cosa più straordinaria in lei è il particolare profumo che emana dalla sua persona e che l'avvolge come una nuvola. È come se le fosse rimasto attaccato il profumo di un fiore prezioso che aveva impregnato il suo corpo. E la melodiosa cadenza della sua voce sembra il dolce singhiozzo di un usignolo o il suono flautato e lontano di una siringa dalle molte canne. Insomma in un'orchestra i cui strumenti di legno o di ottone del tutto comune, è un gong di nobile bronzo, un ornamento tra gli ornamenti del sesso femminile, degna di occupare un posto molto elevato in una gara per la corona della bellezza.»
Egli cercava di ricordare il suo viso, la sua figura. Pensava che avesse circa vent'anni. Ciò che allora lo aveva più impressionato era proprio il profumo particolare che gli aveva stuzzicato le mucose del naso, quando gli era passata davanti. Non era uno di quei soliti profumi che le donne eleganti usano portare in un astuccio attaccato alla cintura o nella tasca della manica. Era qualcosa di diverso.
Egli ricordò anche un altro particolare. Quando era uscita dal tempio egli aveva raccolto dal suolo un oggetto che ella, intenzionalmente o no, aveva fatto cadere: un ventaglio. Lo aveva trovato a lato dell'altare dove si bruciavano le candele, davanti al quale s'era inginocchiata e aveva offerto il suo olocausto. Lo aveva conservato e lo aveva riposto come ricordo tra gli altri che custodiva nella sua cella. Sul ventaglio c'era una poesia di Li T'ai-po. Evidentemente l'aveva scritta lei di sua mano.
Dove poteva abitare? Cercò ancora una volta nel diario.
Qui, sotto la nota che la riguardava, trovò scritta in piccolo, l'indicazione della strada in cui ella abitava. Era proprio la stessa strada in cui ora abitava lui! In quella via c'erano solo una dozzina di case; dunque non poteva abitare molto lontano e non doveva essere difficile trovare la sua casa.
Si mise subito in strada per chiedere informazioni ai vicini. E, chi l'avrebbe mai pensato? Cielo e terra e tutti gli spiriti benigni e maligni evidentemente benedicevano il suo disegno lussurioso, se gli alleggerivano tanto il compito. Risultò che la bella abitava proprio nella casa vicino alla sua e che la sua camera era proprio la stanza accanto al suo studio, dal quale era divisa solo da un muro.
Nelle sue ricerche venne a sapere anche un altro fatto. Il marito di Nuvola Profumata era un cinquantenne chiamato Hsien Hsien-tzu che, dopo la recente morte della prima moglie, l'aveva presa come nuova corda della sua lira coniugale, ed era un ricco accademico arrivato però soltanto alla dignità di dottore di primo grado. Non aveva mai ottenuto un incarico perché egli era sì profondamente colto e molto rispettato nei circoli accademici, ma poco pratico e nemico di qualsiasi ufficio. La sua attività preferita e più importante consisteva nel preparare i giovani candidati all'esame di stato. Egli la prendeva tanto sul serio che risiedeva nel distinto istituto nel quale teneva i suoi corsi di lezioni. Tornava alla sua abitazione privata non più di una volta al mese e dedicava solo uno o due giorni e notti alla giovane moglie. Quindi le circostanze erano estremamente favorevoli e rendevano molto più facile la realizzazione dei propositi del nostro giovane. Si fregò soddisfatto le mani.
«A sentir tutto questo sembra quasi che noi siamo destinati l'uno all'altra dal fato e che degli spiriti buoni hanno voluto che abitassi in questa casa perchè facessi da consolatore alla giovane signora, degna di compassione nella sua solitudine... » così esultava tra sé.
Il punto da risolvere subito dopo era questo: come entrare in contatto con lei? Si mise a camminare su e giù per la stanza, riflettendo fervidamente. Poi si fermò e guardò con attenzione il muro divisorio tra il suo studio e la casa vicina. Era, com'è giusto che sia, un muro di cinta, troppo alto perché lo si potesse semplicemente scavalcare e troppo spesso per potervi praticare un'apertura. Per un attimo il Chierico si era bloccato con l'idea di praticarvi un foro, poi l'aveva respinta perché impossibile. Avrebbe dovuto picchiare con martello e scalpello contro i molti strati di mattoni strettamente connessi, facendo un gran rumore a cui si sarebbe aggiunto quello delle pietre e dei frammenti di calcinacci che sarebbero caduti di là, e tutto questo baccano sarebbe stato udito dai vicini, che avrebbero magari pensato a un'aggressione violenta. Questa idea era quindi senz'altro da scartare.
Soprappensiero fece ancora una volta un accurato esame con lo sguardo. Il suo sguardo fu attirato all'improvviso da un particolare nel muro della casa di fronte. Aveva trovato un punto debole. Proprio sopra i merli la parete della casa, che in quel punto quasi toccava con un angolo acuto il muro divisorio, c'era un rettangolo lungo circa cinque piedi e alto tre che non era costruito, come il resto della parete, con mattoni, ma con un assito di legno, evidentemente un ripiego di cui si eran valsi gli operai perché non avevano una scorta sufficiente di mattoni. Subito gli venne alla mente l'idea di togliere un paio di quelle tavolette incastrate l'una nell'altra, il che si poteva fare senza far molto rumore. Dopo avrebbe potuto salire senza fatica e avuto almeno la possibilità di farsi sentire dalla sua vicina e di parlarle attraverso il foro così praticato.
Per prima cosa prese una scala e la appoggiò obliquamente al muro. Poi pose mano alla sua cassetta degli attrezzi, che aveva sistemato sullo scaffale dei libri. Era lì da tempo, non ancora usata, più per ornamento che per uso pratico, come una specie di curiosità. Aveva comperato quella bella scatola di cartone colorato solo per divertimento, durante una passeggiata per i negozi, e se l'era portata a casa. Nella cassetta c'erano dieci diversi tipi di attrezzi: scalpello, martello, tenaglia, sega, lima e altri ancora. Nel negozio era in vendita con il nome di «Cassetta dei dieci utensili utili.»
Chi avrebbe mai pensato che la cassetta che egli aveva così a lungo trascurata sarebbe tornata tanto utile ai suoi scopi! Ancora una volta si dimostrava la verità della massima del saggio Confucio:
A questo mondo nulla è inutile.
Non disprezzare nulla, niente è troppo misero.

Con la casseta degli attrezzi sotto braccio salì la scala ed esaminò da vicino com'era fatto l'assito. Risultò che le assi di legno, piuttosto solide, non erano state né incollate né agganciate con graffe a forma di dente di cane, ma erano state semplicemente messe l'una sull'altra in senso orizzontale. Questo semplificava molto il suo compito, tanto più che un'assicella non combaciava perfettamente e lasciava una fessura. Egli vi spinse la lima e allargò la fessura fino a ottenere una scanalatura lunga due pollici, poi layorò di lima finché la scanalatura non diventò abbastanza larga per potervi inserire lo scalpello e fissarvelo.
Adesso doveva solo premere fortemente per far leva e la prima assicella era già estratta e appoggiata accanto a lui sui merli del muro. Estrasse con facilità anche maggiore la seconda e la terza assicella. Non ebbe neppure bisogno della lima e dello scalpello: le poté liberare ed estrarre con la nuda mano.
Ce l'aveva fatta. Era riuscito a fare un buco grande abbastanza per passarci la testa e guardare nella stanza di sotto.
Prima però doveva portare via le assicelle staccate e la cassetta degli attrezzi, per potersi muovere più liberamente nel suo posto d'osservazione e non essere tradito da una tavoletta caduta per distrazione dai merli del muro divisorio. Scese la scala con la massima cautela e il più leggermente possibile, portando quel peso, per poi risalire libero tanto più agilmente. Bruciava dal desiderio di conoscere ciò che c'era di là del muro.
Arrivato quasi in cima si fermò improvvisamente sentendo il suono di passi lievi e il fruscio di una gonna di seta. Si portò sul piolo successivo e spiò prudentemente attraverso l'apertura.
Appena passata la testa attraverso l'apertura, si rese conto con stupore che la stanza che stava guardando era un certo servizio del quale in genere non si parla, annesso al boudoir della bella vicina. E con lieta sorpresa ve la vide.
Ella sedeva volgendogli le spalle sulla «bigoncia di cavallo», e (egli trattenne il fiato), stava concedendosi una pkcola «comodità». Quando ebbe finito si alzò e si chinò prima fino a terra per raccogliere il coperchio. Mentre stava così piegata, con le gonne sollevate fino alla vita, offriva all'occhio dell'osservatore segreto la deliziosa visione dell'amabile paesaggio della sua valle del piacere stesa tra le dolci cupole della tondeggiante collina della luna. La vista voluttuosa arrivava fino a metà della fossa del piacere, che il favore di un raro momento gli concesse.
Ma era proprio lei? Nuvola Profumata? Fino ad allora gli aveva mostrato solo il lato posteriore, non il viso. Egli aspettò. Ora si era tirate su le mutandine, ne aveva annodato il legaccio facendo cadere le sottane. Infine si volse di profilo verso la finestra. Era lei! Nuvola Profumata! La trovò ancora più incantevole di quando l'aveva vista nel tempio del dio dell'amore. Avrebbe preferito farle subito qualche complimento. Ma due preoccupazioni lo trattennero dal farsi notare immediatamente: in primo luogo il timore che le sue parole giungessero a orecchie estranee, poi la paura di spaventarla. Infatti egli era lassù al buio, all'ombra del tetto spiovente; la donna invece si trovava nella chiara luce del giorno che veniva dalla finestra. Non lo avrebbe riconosciuto, lo avrebbe probabilmente preso per un rapinatore venuto con l'intenzione di introdursi in casa sua. Avrebbe levato alte grida e provocato uno scandalo. No, non poteva agire in modo tanto goffo. Doveva farsi notare in un altro modo, più raffinato.
Rapidamente tirò indietro la testa e si affrettò a scendere la scala. Aveva avuto un'idea: il ventaglio. Lo aveva accuratamente conservato insieme ad altri dolci ricordi in una valigetta speciale, che portava l'iscrizione: «Dolci ricordi di donne belle». I quattro ideogrammi della scritta li aveva tratti da un passo dello Shihching, il «Sacro libro dei canti», e precisamente dal primo capitolo, intitolato «Arie cortesi». Pensava di utilizzare i ricordi, quando ne avesse avuto l'occasione, come argomento valido e come mezzo di pressione. Erano pegni d'amore e nessuna bella, di fronte ad essi, si sarebbe rifiutata ai suoi desideri.
In fretta tirò fuori il ventaglio e lo guardò meglio. Vide che la donna vi aveva scritto di sua mano in una graziosa scrittura tre poesie di Li T'ai-po, il grande poeta dell'epoca T'ang. Si disse che se avesse recitato ad alta voce una di quelle poesie, ella dall'altra parte lo avrebbe sentito, avrebbe ascoltato con attenzione e, spinta dalla curiosità, si sarebbe affacciata al buco nella parete. Una volta che fosse riuscito ad attirarla fin lì e che ella avesse potuto vederlo in viso, egli non doveva più temere per il seguito. Non avrebbe più avuto bisogno di arrampicarsi con tanta fatica fino a lei. Al contrario, sarebbe stata lei a chinarsi verso di lui. Ed egli avrebbe potuto trovare, nel momento giusto, due parole galanti capaci di conquistarla definitivamente. Questo era il suo astuto calcolo.
Le tre poesie di Li T'ai-po si riferivano a un episodio galante avvenuto alla corte dell'imperatore T'ang Hsiian-tsung che avrebbe dato inizio alla memorabile epoca del fatale influsso politico della famosa e lussureggiante bellezza di Yang Yii-huan. Il suo illustre spasimante le offrì un giorno, a lei che era stata fin allora soltanto l'amante di un principe che era diciottesimo nella linea di successione al trono, un intero bosco lussureggiante di peonie in fiore. La peonia era considerata a quei tempi la regina dei fiori e con quell'offerta egli la invitò simbolicamente a divenire la sua concubina, con l'intenzione di innalzarla presto a favorita imperiale, con il rango di «preziosa concubina», titolo che spettava alla concubina imperiale Gi primo grado.
Il nostro giovane lesse le tre poesie. Sentiva brividi di venerazione. Poteva declamare un sublime esempio della più alta arte poetica, uscito dal pennello del grande Li T'ai-po, così, senza le dovute cerimonie. Vestito da casa? No, non osava farlo! Sarebbe stata una profanazione. Egli aveva intenzione di compiere un atto solenne e sacro, e occorreva un aspetto coerentemente dignitoso e un interiore raccoglimento. Dunque si lavò, cambiò il semplice berretto di tutti i giorni con un berretto da festa, la consunta veste di tela di cotone con un abito da cerimonia splendido di seta crepitante. Poi accese ceppi di aloe profumati in un braciere di bronzo e stette per un certo tempo in silenziosa devozione davanti ai cerchi di fumo azzurrastri che salivano dal collo del braciere. Alla fine fece dei gargarismi, si purificò la gola con acqua fresca come fanno i mimi o i cantanti d'opera prima di entrare in scena.
Dopo essersi così preparato sia interiormente che esternamente, cominciò a declamare con tutta la potenza delle sue corde vocali e con la più chiara dizione possibile, rivolto verso l'apertura nella parete, la prima delle poesie del ventaglio.
La balaustra umida di fitta brina
il primo soffio di favonio con una carezza sfiora...

Cominciò così e recitò con cadenza musicale tutta la composizione di dodici versi di sette piedi ciascuno. Poi fece una pausa ad effetto. Chissà se di là la donna l'ascoltava tendendo l'orecchio? Si sarebbe fatta vedere lassù? Niente si mosse. Allora egli decise di recitare di nuovo la poesia. Ripeté lo stesso testo con voce sempre più stentorea. Non si accontentò di offrire una o due repliche, no: ne fece addirittura dieci, una dopo l'altra.
Di nuovo fece una pausa, tese le orecchie e lo sguardo.
Lassù tutto rimaneva tranquillo e non compariva nessuno. Doveva dunque riuscire ancora più chiaro. Usò un trucco. Come un impresario o un presentatore, che a metà concerto o rappresentazione si compiace di fare una pausa per presentare la famosa artista al pregiato pubblico, egli s'interruppe durante un'ennesima replica, intrecciò al testo del poeta il nome della sua bella vicina e non mancò di dire con precisione giorno e ora e luogo in cui ella aveva fatto cadere il ventaglio.
Il trucco ebbe pieno successo.
D'un tratto egli sentì dall'altra parte, sotto l'apertura nella parete, un debole rumore, come un sospiro o un leggero colpo di tosse. Dunque era riuscito felicemente ad attirarla al buco. Finse di non aver udito nulla, chinò il viso verso il ventaglio che aveva in mano e, simulandosi adirato, esclamò: «A che mi serve possederti, se devo fare a meno della tua padrona? Dov'è nascosta? Perché non si fa vedere? Ma ora ne ho abbastanza: se dovessi incontrarla di nuovo, ti ridarò a lei, visto che non servi a nulla...»
Era a questo punto del suo soliloquio quando un richiamo dall'alto lo interruppe: «Vi sbagliate, la sua padrona è qui. Non dovete continuare ad irritarvi senza motivo. E ora, rendetemi per favore il mio ventaglio. Gettatemelo su.»
Fingendo meraviglia, egli alzò lo sguardo dal ventaglio alla finestrella nella parete. Là nell'apertura poté vedere, come una figura in cornice, una soffice chioma scura, un volto di pesca, un petto dolcemente arrotondato; il resto del corpo rimaneva nascosto dietro la parete. Finalmente era comparsa!
«Oh, ma che sorpresa! Veder la bella tra le belle così vicina a me! Mi sono proprio adirato ingiustamente!» esclamò con trasporto, e in un batter d'occhio s'era arrampicato per i dieci pioli della scala e con altri cinque passi era a cavalcioni sui merli del muro. Senza tante cerimonie s'introdusse attraverso la stretta cornice, chiuse tra le sue braccia il quadro vivente che stava dall'altra parte, la strinse a sé con trasporto e la baciò con impeto. Fu un bacio lungo e appassionato. Da entrambe le parti s'intrecciarono le lingue, come se si fossero voluti sposare. E non volevano lasciarsi. Alla fine egli si riscosse e tirò il suo corpo di nuovo indietro, fuori dall'apertura. Era senza fiato. Il che non era strano, data la posizione scomoda e sforzata a cui aveva costretto il suo corpo.
Come poteva avviare, in queste condizioni, un discorso serio? Eppure doveva parlare seriamente con lei. La donna gli lasciò il tempo di riprendere fiato, poi cominciò lei il discorso: «Briccone, dove ti sei nascosto tutto questo tempo? Perché mi hai trascurata così a lungo? Perché ti ricordi solo adesso di me, del ventaglio e della poesia?»
«Abito qui vicino. Siamo vicini. Non lo sapevi?»
«Vicini? Da quando? A quanto so io, i miei vicini sono altri.»
«Mi sono trasferito qui da poco.»
«Dove abitavi, prima? Perché ti sei trasferito qui?»
Egli ritenne di doverle raccontare una piccola bugia per lusingarla.
«Per te, solo per te mi sono deciso a questo trasloco! Volevo starti vicino: capisci? Da quando, nel tempio del dio che tende gli archi - ti ricordi? - ho visto il tuo dolce viso, la tua divina figura, non ho fatto che pensare a te! Incoraggiato dal ventaglio, che hai fatto cadere per amor mio nel tempio - non è forse vero che lo hai lasciato lì per me come dolce pegno? - da allora non ho avuto che quest'idea in testa: venire vicino a te. Finalmente si è presentata l'occasione di venire ad abitare vicino a te. Così mi sono trasferito.»
Raggiante in viso, Nuvola Profumata gli batté sulla spalla.
«Allora mi ami! E io che pensavo ... quasi quasi ero offesa con te! Con te abita qualcuno?»
«Ah, solo una piccola amica. Me l'ha regalata un amico.
Oltre ai miei due camerieri e alla cameriera della mia amica, nessun altro abita con me. Non ho portato in viaggio con me i miei congiunti, che sono rimasti a casa.»
«Bene, bene. E perché non sei venuto prima e mi hai lasciato consumare gli occhi per cercare di vederti?»
«Non sapevo dove abitavi. L'ho saputo da poco e mi sono subito trasferito.»
«Bene, bene. Quanto tempo fa?»
«Ah, non è ancora mezzo anno, saranno cinque mesi.» Nuvola Profumata mutò improvvisamente atteggiamento. Dopo aver riflettuto per un attimo disse severamente: «Cinque mesi, dunque! Perché non hai pensato a me per tutto questo tempo, e poi hai fatto sprigionare tutto a un tratto una scintilla dalle fredde ceneri del tuo amore, proprio oggi?»
Il discorso non gli faceva presagire niente di buono. La bugia era stata scoperta. L'imbarazzo si dipinse chiaramente sul suo viso. Disperato, cercò una scappatoia.
«Pensavo ... credevo a torto che il tuo degno marito fosse a casa. Per questo ho evitato di mettermi in evidenza e di prendere iniziative: per prudenza e per un riguardo a te! Non volevo che tu ti potessi trovare in una situazione penosa per qualche passo prematuro o irriflessivo da parte mia. Capisci? Così per tutti questi mesi ho aspettato pazientemente. È stato duro, mi puoi credere. Ho aspettato fino a oggi; solo oggi ho s'aputo che il tuo degno marito non è a casa, ma si trattiene nel sUQ istituto di preparazione. Così solo adesso ho osato farmi notare. E non è affatto vero che io ti abbia scordata, che abbia lasciato spegnere il fuoco della mia passione fino a farlo diventare fredda cenere, come tu sospetti ingiustamente.»
Nuvola Profumata rimase per un po' in silenzio riflettendo. Un sorriso glaciale appariva all'angolo della sua bocca. «Così hai buttato via già da tempo il mio ventaglio?»
«Al contrario! L'ho conservato con cura! E non solo: l'ho sempre portato con me! Non ho potuto separarmene neanche per un quarto d'ora!»
«Davvero? Allora portamelo qui!»
Questo desiderio lo avrebbe soddisfatto con piacere, egli pensò, gioendo in anticipo tra sé. La vista del ventaglio avrebbe dissipato gli ultimi dubbi della donna e avrebbe trasformato in buonumore il suo risentimento; ella gli avrebbe aperto le braccia pronta ad amarlo. Così almeno egli prevedeva.
Scivolò lungo i merli del muro fino alla scala e corse giù a precipizio, per tornare subito su. Portava trionfalmente in mano il ventaglio avvolto in un fazzoletto di seta verde.
Ma accadde qualcosa ch'egli non si aspettava. Senza una parola e senza che il suo cupo atteggiamento si rischiarasse un po' lei gli strappò di mano il ventaglio, lo spezzò in tre parti e lo gettò a terra dietro di sé, e gli buttò con disprezzo il fazzoletto.
«Traditore! Meno male che non siamo ancora arrivati a una relazione intima! D'ora in poi non voglio più vederti! Sparisci!» sibilò la donna, e scomparve.
Invano egli la richiamò. L'unica risposta fu un singhiozzo. Cosa poteva avere? Egli scivolò pensieroso sui merli del muro fino alla scala. Anche per lui era il momento di sparire. Aveva udito un fruscio sospetto nel cespuglio di banano del cortile che divideva il suo appartamento da quello di Aroma. Era forse Aroma? Cosa avrebbe pensato se lo avesse scoperto durante la strana escursione sulle mura aeree?
Più che scendere, egli scivolò giù in un attimo col cuore in gola e si chiuse nel suo studio. Qui passeggiò su e giù per un po', pensieroso. Cosa poteva avere? Perché faceva l'offesa? Non le aveva mancato di rispetto in nulla. Che se la fosse presa perché l'aveva trascurata per quasi mezzo anno? Sì, quella poteva essere l'unica ragione del suo malumore. Certo, egli era colpevole di un ritardo meritevole di punizione, ma poteva riguadagnare il tempo perduto e porvi rimedio. Egli le avrebbe ripagato il suo debito con interessi abbondanti. Come diceva il vecchio detto?
S
e nelle solennità c'è il cuore,
non fa nulla se le pietanze sono troppo calde o fredde.
La donna non poteva non aver capito ch'egli era pronto a metterle ai piedi tutto il suo cuore. Perché allora era così agitata? Che ci fosse sotto qualcos'altro? C'era quasi da crederlo. Comunque quello che c'era sotto sarebbe saltato fuori. Per ora le avrebbe chiesto perdono tutto contrito. Lei aveva fatto capire in modo abbastanza duro che se lo aspettava.
Avrebbe preferito intraprendere subito il suo pellegrinaggio. Ma gli pareva un po' troppo ardito nei confronti di Aroma andarsene in giro di giorno sui muri. Quindi frenò l'impazienza e rimandò l'impresa fino al cader della notte. Le poche ore che lo dividevano da quel momento gli parvero lunghe come mesi. Finalmente venne il momento d'agire. Aveva fatto prima la doverosa visita di buona notte ad Aroma, l'aveva portata a letto, poi aveva chiuso coi catenacci porte e finestre e spento tutte le lampade e le luci, infine s'era tolto berretto e sopravveste.
Salì la scala e scivolò fino al foro nella parete. Dovette prima allargarlo per potervi scivolare comodamente. Fece un lavoro radicale e tolse tutto ciò che rimaneva dell'assito di legno e lo mise da parte. Ora aveva via libera. L'apertura che s'era così procurata era grande quasi come una porta. Ma c'era ancora una difficoltà. Come avrebbe fatto a scendere dall'altra parte? L'apertura era troppo alta per saltare giù. Avrebbe dunque dovuto tirarsi dietro la scala e sistemarla dall'altra parte della parete. Ma, per fortuna, ciò si rivelò superfluo. Quando egli protese la mano attraverso il foro per tastare il muro, sentì un oggetto duro. Che sorpresa! La donna aveva lasciato la sua scala nello stesso punto in cui l'aveva appoggiata prima. Un grazioso pensiero per lui! Era chiaro che lo aspettava. Quindi, per quanto dure fossero state le parole, nell'animo era in fondo intenerita e conciliante. Fece questa considerazione mentre scendeva con cautela ma con i nervi tranquilli, come se stesse rispondendo a un cortese invito. Gli sembrò di passare comodamente un ponte con l'arcata alta: prima una ripida salita, poi una ripida discesa. Nessun timore turbava più la sua avventura ormai senza pericolo.
Giunto nella camera della sua bella vicina andò tastoni in giro per trovare il letto. Ella era sdraiata, tutta avvolta nella coperta e con il viso rivolto alla parete. Sembrava profondamente addormentata, visto che non fiatò al suo avvicinarsi. Senza tante cerimonie egli tese la mano verso la coperta, con l'intenzione di sollevarla e scivolarvi sotto, ma subito la tirò indietro spaventato. La presunta dormiente si era girata di colpo verso di lui e si era quasi seduta sul letto.
Non dormiva affatto, anzi aveva sentito benissimo il rumore dei suoi passi mentre saliva e scendeva e mentre si avvicinava tentoni, ma per comodità, per risparmiarsi le cerimonie di un saluto formale, aveva finto di dormire. Però che quel maleducato volesse spingere la sua disinvoltura fino al punto di entrare subito nel letto con lei, le pareva veramente troppo. Era come se uno volesse entrare da un mandarino, senza farsi annunciare e senza che prima un segretario gli avesse fatto riempire un foglio col nome, l'indirizzo, la provenienza, la professione e tutti gli altri dati personali. Un comportamento del genere non è ammissibile.
Simulando di essere stata appena svegliata nel sonno, cominciò a dire impietosa: «Ehi, chi sei? Come ti salta in mente di avvicinarti al mio letto in piena notte?»
L'intruso si chinò verso il suo orecchio. «Sono io, tesoro, il vicino e devoto adoratore col quale hai parlato oggi a mezzogiorno! Nel frattempo ho riconosciuto il mio grave torto. Come ho potuto trascurarti così a lungo? Perciò sono venuto qui per chiederti scusa,» sussurrò, tentando di nuovo di sollevare la coperta per scivolare nel suo caldo nido. Ma con lei non gli andava bene.
«Brutto traditore! Chi ti ha ordinato di introdurti di notte nella mia camera come un ladro per chiedere scusa? Sparisci! E di corsa!» sbuffò, e si avvolse ancora più strettamente nella coperta.
«Ma cara! Come sei ingiusta! Ho aguzzato tutto il mio ingegno per riuscire a venirti vicino! Merito davvero d'essere accusato d'infedeltà?»
«Bugiardo! Con queste belle parole puoi ingannare le altre, non me. A me non la dai a bere! Per caso sono venuta a sapere che il tuo occhio di intenditore si è posato su certe bellezze, e non su una donna brutta come me. Mi avresti ignorato sprezzantemente per tutto questo tempo, altrimenti? Per me non avevi tempo, è chiaro, e dove l'avresti trovato? Eri completamente impegnato dalle tue beniamine, e solo adesso, a loro insaputa, ti decidi a dedicarmi un po' di attenzione. A che scopo? È proprio inutile, mi pare.»
«Tu parli di beniamine, e io non so quali. Ho soltanto la mia piccola insignificante amica, di là, che ho dovuto prendere in casa per buona educazione, perché me l'ha regalata un buon amico, come ti ho già detto chiaramente a mezzogiorno, ma non è certo una beniamina! Per lei non è proprio il caso di adirarti né di provare l'amara gelosia.»
«E infatti non è per lei che mi adiro: E nemmeno vedo di cattivo occhio che tu ti diverta con la tua legittima; per me, questo va bene. No, quello che m'indigna è qualcosa d'altro: che in questo periodo tu abbia amoreggiato con altre come me, e che per questo tu mi abbia completamente dimenticata e respinta nel nono cerchio di nuvole. Non direi nulla se avessimo abitato lontani e se non fosse stato possibile vederci. Ci passerei sopra. Ma tu abiti da cinque mesi nella casa accanto e in tutto questo tempo non hai trovato il modo di farti vivo. È semplicemente imperdonabile! Cosa vuoi dunque ancora da me? Ritorna dalle altre tue amanti!»
«Cara, non ti capisco proprio. Se si esclude la mia legittima e quella piccola insignificante amica, non ho avuto rapporti con nessun'altra. Altre amanti? Non saprei quali. Come arrivi a questi infondati sospetti?»
«Bene. Sarò più chiara. Nel giorno tale, all'ora tale, nel tempio del dio tendi-arco, non hai forse reso omaggio, in ginocchio e battendo il capo, a tre bellezze che erano venute a portare il loro olocausto e a recitare la preghiera? Sì o no?»
«È vero, ma il mio omaggio era diretto al dio, non alle tre donne. Stavo andando al tempio per compiere la mia devozione, non osai entrare perché vidi che lo spazio davanti all'altare era occupato da quelle tre donne. Sarebbe stato sconveniente che mi fossi unito a loro. Per questa ragione rimasi fuori e recitai la mia preghiera a una certa distanza dai gradini del tempio.»
Nuvola Profumata scoppiò in una sonora risata.
«Quindi ammetti di essere stato tu! L'altra bugia, cioè che il tuo omaggio era diretto al dio, raccontai a a chi vuoi, non a me! Nemmeno un bambino di tre anni ci crederebbe!»
Egli si sentì completamente scoperto. Non era più il caso di mentire. Con una fulminea riflessione si rese conto che per uscire onorevolmente dal vicolo chiuso in cui si trovava, doveva fare tre cose: confessare sinceramente la verità, chiedere scusa e informarsi a proposito di quelle tre belle sconosciute alle quali andavano tutte le sue speranze e le sue aspirazioni da sempre, e delle quali evidentemente Nuvola Profumata sapeva qualcosa di più preciso.
Ridendo maliziosamente ammise: «Va bene, lo ammetto: il mio omaggio era effettivamente rivolto a quelle tre soavi bellezze. Ma solo per metà; l'altra metà era per il dio. Però tu come fai a sapere quello che è accaduto nel tempio? Tu, come tutte le donne sposate, te ne stai sempre a casa. Chi te lo ha raccontato?»
«Oh, non ho bisogno che nessuno mi riferisca le notizie.
Ho un occhio e un orecchio magici che vedono e sentono a mille miglia di distanza.»
«Davvero? Comunque, sia come sia, visto che sei così bene informata, sii gentile e dimmi, per favore, i nomi e gli indirizzi di quelle tre dolci bellezze e se sono sposate e con chi! Cosa sai di loro?»
«Chi? lo? Lo saprai certo meglio tu, che sei da sei mesi in rapporto con loro!»
«Invece da allora non le ho mai più riviste! E tu affermi che io sarei in contatto con loro da sei mesi? Ti prego! Dovrei accusarti di maligna calunnia.»
«Le tue bugie sono vane. Perché mi avresti trascurato per tutto questo tempo, altrimenti? La colpa è di quelle tre dolci bellezze che ti avranno convinto a piantarmi in asso. Questo è chiaro. Lo so di sicuro!»
«Io non capisco bene. Da dove viene questa tua convinzione? Non c'è neanche l'ombra di un elemento di sospetto.» «Veramente? Sei in grado di giurarlo?»
«Con la coscienza tranquilla!»
Ed egli alzò la voce per un solenne giuramento: «Chinando la nuca a terra in segno d'umiltà e di venerazione, giuro che non ho mai e poi mai fatto l'amore con quelle tre bellezze! Se invece lo avessi fatto, che io sia maledetto, che mi incenerisca il fulmine celeste, che mi diano la caccia, mi inseguano, mi afferrino e mi tormentino gli spiriti vendicatori dell'inferno e mi riducano a pezzi e riducano in polvere le mie ossa. Possa colpirmi la stessa pena se conosco l'indirizzo e il nome delle tre belle e se sono passato avanti e indietro davanti alloro portone aguzzando gli occhi alla loro ricerca!»
Il giuramento sembrava veritiero e onesto. Nuvola Profumata lo intuì dal tono della voce e si sentì, se non per intero, almeno per metà liberata e sollevata dal peso del sospetto.
C'era però ancora una cosa che la rodeva: la genuflessione.
«Va bene: per questo ti perdono. Ma c'è ancora un punto dubbio... »
«Un altro? Pensavo di aver chiarito tutto e di essermi completamente riabilitato. Su, cerca di essere buona e lasciami venire da te al calduccio!» la supplicò tremando e battendo i denti per la fredda aria della notte, poiché era vestito molto leggermente. E intanto tastava disperato il solido muro della fortezza, la coperta nella quale la donna si era avviluppata, nella vana speranza di trovare da qualche parte un lembo libero da poter tirare per creare in tal modo una breccia nel muro. Ella rimase inesorabile.
«Non posso nemmeno lontanamente misurarmi per fascino con le tue tre dolci bellezze. Cosa vuoi dunque da me? Va' da loro a placare il tuo desiderio. Me, lasciami in pace!» esclamò gelida e tagliente.
«Ancora questo assurdo sentimento d'inferiorità! C'è da disperarsi! Quando mai ho affermato che sei meno bella e desiderabile delle altre tre?»
«Ma perché allora le hai omaggi ate con una devota genuflessione, mentre alle meno belle, come me, ti sei contentato di fare fuggevolmente l'occhiolino? C'è da fidarsi senz'altro della capacità di distinguere del tuo occhio di conoscitore, non è vero?»
«Ah, è per questo, per la genuflessione. È per questo che sei adirata con me! Cerca di capirmi. È stata un'idea improvvisa, ma non per questo ti ho reso un omaggio minore in cuor mio. Che lo faccia con o senza inchino, un omaggio è sempre un omaggio. La differenza non è maggiore di quella che c'è tra un embrice e una tegola. È solo questo che ti rode? Che importanza ha? Aspetta, vedrai che riparerò subito alla mia mancanza. Questo vecchio debito deve essere saldato subito e pagherò abbondantemente gli interessi di mora. Aspetta! »
E così, con l'agilità e l'elasticità che gli permettevano le ossa irrigidite dal freddo, s'inchinò per una genuflessione nella direzione del cuscino, piegando la schiena e battendo, anzi martellando con la fronte il pavimento di legno e non solo una o tre volte, ma addirittura una dozzina di volte una dopo l'altra, con tale fervore e vigore che la lettiera d'avorio quasi tremava e vacillava. Nuvola Profumata lo osservava con orgoglio e commozione. Ora sentì il suo petto libero da ogni traccia di dubbio e di sospetto. Con assoluta spontaneità gli tese la mano da sotto le coperte e lo fece entrare nel caldo nido.
Strano come i loro corpi fossero adatti l'uno all'altro.
Questa prima visita al castello del piacere filò via liscia come la corsa di un calesse leggero su una strada ben conosciuta. Con tacito accordo tralasciarono sia il cerimoniale preliminare che di solito si usa, sia le scaramucce iniziali, e passarono direttamente al tema principale. Egli trovò che l'ingresso e i corridoi del castellino del piacere della donna erano nel giusto mezzo tra il largo e lo stretto. Ella trovò ch'egli avrebbe forse potuto mettersi all'opera con più dolcezza e cautela. Ma siccome anche lei si sentiva solleticata e bruciava dal desiderio, si morse le labbra per non mostrare il dolore iniziale, lasciò penetrare subito il suo robusto ambasciatore nel gabinetto segreto e permise che si accomodasse come più gli piaceva. In seguito le parve che egli si fosse accomodato fin troppo. Accadde infatti che egli all'inizio si poteva muovere con libertà nel gabinetto segreto, ma, conformemente alla sua natura canina, si era a mano a mano tanto gonfiato per la fierezza della vittoria ed era così cresciuto di volume che lo spazio divenne troppo stretto per lui e le pareti lo tenevano letteralmente imprigionato in una morsa impedendogli la ritirata.
Una cosa del genere Nuvola Profumata non l'aveva ancora provata. Era un che di decisamente nuovo, una cosa sensazionale. Ella non poté evitare di esprimere la suameraviglia: «Che strano, quando mio marito una volta tanto mi fa visita, le cose son difficili all'inizio, poi diventano facili. Con te avviene il contrario: all'inizio tutto sembra facile, mai poi diventa difficile. Come mai?»
«Sai, il mio modesto diavoletto non è forse per natura così imponente come quello di altri uomini. Ha però in cambio due pregi: primo, come simile al grano di riso che si gonfia in acqua diventando sempre più grosso, all'inizio è piccolo, ma durante la sua attività si fa sempre più imponente e grande e forte; secondo, come la pietra focaia che all'inizio sembra fredda e morta, ma dopo che è stata strofinata diverse volte fa sprigionare scintille, egli è freddo all'inizio, ma si riscalda sempre di più durante la sua attività ed alla fine diventa ardente. Oserei dire che somiglia a una stella di fuoco, a un fuoco d'artificio, è simile a un razzo. Solo perché ho questi due pregi - perché dovrei nascondertelo? - ho osato accostarmi a te. Vorrei sentire il tuo parere di esperta.»
«Ma va'! Se esiste una cosa del genere, porti sul corpo un vero gioiello, un portento di diavoletto! Ma, non racconti storie? Comunque, ammesso che si comporti veramente così, a noi che ne viene? Piacere temo di no, se la continuazione costa tanta pena.»
«Stai tranquilla, basta solo che ci sia un po' d'umidità.
Aspetta un momento, finché la rugiada del piacere non inumidisca il diavoletto. Allora tutto andrà subito liscio.» «Bene, allora sopporterò con pazienza. Ma tu continua da bravo, di modo che la rugiada compaia al più presto.» «Come parli ragionevolmente!» la lodò, mise le cosce della donna sulle sue spalle e si diede da fare con la veemenza di un lupo. Non ci volle molto perché tutto ritornasse liscio e indolore. Il diavoletto si riscaldò di nuovo, e più si riscaldava, più la donNa provava piacere.
«Tesoro, prima non hai mentito. È veramente una meraviglia, quello che hai. Ah, ohi, quasi svengo dal piacere!»
Egli l'udì volentieri e, furbo com'era, decise di sfruttare a suo vantaggio il momento propizio del suo illanguidimento. Continuando ad affaticarsi come prima, cercò di persuaderla: «Dunque, lo dici tu stessa che non ti ho ingannata, e questo vale per tutto quello che ti ho detto. Puoi fidarti completamente di me. Non continuare ad aver dubbi e confidami, per favore, quello che sai a proposito delle belle del tempio.»
«Perché hai tanta fretta? Arriverò da sola a parlare di loro!»
Questa dichiarazione gli fu ancora più gradita e, pregustando la gioia futura, la baciò e intrecciò la sua lingua con quella di lei. Continuarono così fino al terzo rullo di tamburi. A quel punto ella era estenuata. Perle di sudore profumato le bagnavano la fronte, sentiva gelare le mani e i piedi. Tre volte la..nuvola era scoppiata.
«Tesoro, non ne posso più. Sono talmente svuotata! Vieni, abbracciami e dormiamo un po'» lo pregò con voce debole. Ed egli si distese ubbidiente al suo fianco.
Giacendo vicino a lei, respirava un odore strano, raro, che aveva permeato cuscino e coperte. Gli sembrava lostesso profumo che egli aveva notato in lei al tempio, quando gli era passata molto vicina. Allora lo aveva notato perché era davvero insolitamente incantevole. Non poté fare a meno di chiederle: «Amore, che essenza raffinata usi per profumare il tuo letto e i tuoi vestiti? È una fragranza di rara squisitezza.»
«Profumo? Non uso assolutamente nessun profumo! Perché me lo chiedi?»
«Sai, il giorno che ci siamo incontrati per la prima volta nel tempio ho notato quando passasti molto vicino a me, un odore buono e raro, che proveniva da te. E ora a letto sento lo stesso profumo. Se non dipende da un profumo, da dove viene?»
«Proprio da me. La mia pelle e il mio corpo ne sono naturalmente impregnati.»
«Sembra incredibile. Perciò potresti vantarti di avere in corpo una qualità miracolosa, un vero gioiello fisico!»
«Sì posso ben dirlo. Sai? Per il resto sono come tutte le altre donne. Solo per questo sono diversa dalle mie simili e le sopravanzo per tale peculiarità. Lascia che ti spieghi. Quando mia madre aveva le doglie, in procinto di mettermi al mondo, vide improvvisamente una nuvola rossa che riempiva tutta la stanza e fu letteralmente travolta da un raro profumo che usciva da essa. Il profumo però rimase sospeso nella stanza anche dopo che la nuvola si era dissolta e dileguata, quando io ero già nata e mi stavano lavando. Da quel momento in poi quel profumo mi è rimasto attaccato. Di qui il nome, "Nuvola Profumata", che i genitori mi hanno dato alla nascita. Di giorno, quando mi occupo di cose neutre, questa mia caratteristica fisica unica non si manifesta. Ma appena i miei sensi sono eccitati e cominciano a vibrare, dai miei pori esce questo strano odore, che percepisce non solo chi mi sta vicino: lo sento io stessa. Perché dovrei nascondere lo strano privilegio che una natura benevola ha voluto concedermi? Così accadde anche quella volta nel tempio del dio tendi-arco, e per buoni motivi. Non solo lasciai cadere intenzionalmente il mio ventaglio perché tu potessi trovarlo e conservarlo come un segno della mia simpatia, ma anche l'odore del mio corpo, che la tua vista eccitante aveva fatto sprigionare dalla mia pelle era un messaggio della mia inclinazione nei tuoi riguardi. Speravo che, sedotto da esso, tu mi volessi degnare della tua attenzione. Ora ti potrai figurare la mia dura delusione, visto che tu sdegnosamente disprezzavi il mio tenero invito e mi hai fatto aspettare fino a oggi prima di poter soddisfare il mio desiderio appassionato.»
Ancora alquanto scettico, il Chierico voleva accertarsi e si mise ad annusarla dall'alto in basso. E veramente non c'era un solo punto della pelle del suo corpo che non emanasse quel delizioso profumo.
Che scoperta! C'era quindi uno speciale fascino femminile intimo che, fino a quel giorno, gli era rimasto nascosto. Rapito, incantato, l'abbracciò e la premette a sé e non si stancava di vezzeggiarla ora con baci ora con teneri nomignoli.
Ella girò la testa ridendo e interruppe le sue effusioni per chiedergli maliziosa: «Mi hai fiutata per bene? Non hai traScurato nessuna parte?»
«No, che io sappia! O dovrei saperlo?»
Nuvola Profumata nascose il volto nel cuscino ridendo sommessamente. «Su, cerca!»
Egli la girò sulla schiena e immerse bocca e naso giù oltre le colline gemelle.
«Trovato!» esclamò con gioia dagli inferi; riaffiorato ai superi, fece schioccare la lingua con aria da buongustaio. «Delizioso! Semplicemente delizioso!»
Dopo un po' egli si lasciò di nuovo scivolare giù verso quegli inferi piegandosi su se stesso come un mezzo arco. Aprì i battenti della porta del suo castello del piacere e questa volta inviò negli appartamenti interni come rappresentante dell'ambasciatore la sua lingua, lunga tre pollici e mezzo.
«Ehi, cosa fai adesso? Smettila! Mi fai morire!» squittì la donna, scossa dalle risa, e cercò inutilmente di toglierselo via. Ma più lo tirava e più accanitamente quel solerte incaricato d'affari continuava imperterrito la missione diplomatica. Esso seppe disimpegnarsi nel suo lavoro con tanta abilità che l'effetto del suo coscienzioso, anche se sostitutivo, ufficio, fu identico a quello di un esperto diplomatico accreditato. Infine.poté considerare compiuta la sua missione e fu graziosamente licenziato.
Dopo una pausa di silenzio estenuante, la donna lo accarezzò teneramente sui capelli.
«Tanto mi ami? Anch'io ti amo, più di quanto non dicano le parole. Vorrei morire tra le tue braccia! Visto che le cose· stanno così e se anche tu sei tanto innamorato di me, facciamo subito, stanotte, un solenne giuramento e votiamoci reciproca fedeltà.»
«Mi rubi le parole dalla bocca, stavo proprio per proporti la stessa cosa .. »
Scesero dal letto, indossarono i loro vestiti, s'inginocchiarono vicino a una finestra col viso rivolto verso il cielo notturno e fecero voto, di fronte alla luna e alle stelle chiamate come testimoni, di appartenersi come marito e moglie non solo in questa, ma anche in una vita futura, e di non lasciarsi separare da nulla, nemmeno dalla morte. Quindi si spogliarono di nuovo, si rificcarono a letto e continuarono a lungo a conversare, rivelando l'un l'altra apertamente e senza riguardi i più intimi tratti dei loro pensieri e dei loro sentimenti.
«Non capisco il comportamento di tuo marito. Per qualche opera buona che ha compiuto in una vita anteriore, ha la sfacciata fortuna di possedere un vero gioiello di donna come sei tu, e non ne approfitta per niente. anzi, passa la maggior parte del tempo fuori casa e sceglie come domicilio fisso una scuola deserta e fredda, lasciando la sua dolce mogliettina a dormire sola nel suo letto! È semplicemente inconcepibile!»
«Ah, quello! Lui vorrebbe proprio, ma non può! Le sue deboli forze non gli permettono di fare della sua proprietà domestica l'uso che gli piacerebbe. Di qui la sua fuga nella scuola. È una scappatoia per evitare l'imbarazzo, per essere sollevato dai pesanti obblighi che l'ufficio coniugale gli impone.»
«Ho saputo che è ancora nell'età di mezzo. Come mai non è capace di ottemperare ai suoi doveri coniugali?»
«Si è dato troppo da fare negli anni giovanili. Allora era un gran cacciatore di donne, un famigerato seduttore di mogli e di ragazze di buona famiglia. Giorno e notte ha fatto l'amore senza freno con donne smaniose d'avventura. Così si è sprecato e esaurito prima qel tempo. Oggi non è più utilizzabile.»
«Credi che nei suoi giovani anni sia stato così prestante come me questa notte?»
«Può darsi, certo non molto meno, fatta naturalmente eccezione della meravigliosa caratteristica che distingue il tuo mi si rizzi.»
«Vorrei ben dire. È ben difficile trovarne un altro come lui a questo mondo» rincarò il giovane con forza e il suo viso si contrasse in un ghigno impenetrabile. «E dal momento che tutti e due abbiamo nel nostro corpo una qualità rara e preziosa, apparteniamo naturalmente l'uno all'altra e non ci dobbiamo mai più separare. Da ora in poi voglio venire appena posso, anche senza un preventivo appuntamento, in casa tua da te, a dividere il letto con te.»
«Non prometti forse troppo? Di là non abiti solo, in fin dei conti. Per me è abbastanza che in futuro tu non mi tratti con tanta indifferenza e non mi lasci da parte, come hai fatto negli ultimi cinque mesi.»
«Di nuovo ritorni a questa ingiusta accusa di durezza.
Vorrei solo sapere quale lingua malefica ti ha fatto credere questa assurdità. Il giorno in cui arrivo a sapere chi c'è dietro ... Aspetta e vedrai: la suonerò a dovere, quella chiacchierona!»
«Allora devi rivolgerti alle tre bellezze soavi del tempio. Sono proprio loro le lingue malefiche!»
«Che? Loro? E non si sono vergognate di tradire il dolce segreto della loro piccola avventura nel tempio?»
«Lasciami spiegare. Esse mi sono molto vicine, non solo per parentela ma anche per amicizia. Le due più giovani sono diventate, attraverso il matrimonio, mie cugine, e la più anziana mia zia. Con le due più giovani siamo amiche per la pelle, siamo come care sorelle e non abbiamo l'una per l'altra segreti di cuore. Ci confidiamo reciprocamente tutto, gioie e dolori, senza alcuna reticenza. Quel giorno, tornata dalla visita al tempio, raccontai apertamente alle mie cugine del mio incontro con te. Descrissi loro in tono entusiastico la tua bellezza, dissi quanti sguardi innamorati mi gettavi, come io stessa mi fossi subito innamorata di te e avessi di proposito lasciato il mio ventaglio, perché tu lo potessi ritrovare e intenderlo come segno della mia simpatia. Esse allora mi dissero: "È dunque un amore reciproco a prima vista. Egli saprà ritrovarti un giorno. Aspettiamo e vediamo." Anch'io ero fer:mamente convinta che ti saresti messo alla mia ricerca e, per facilitarti il compito, mi trattenni ogni giorno sotto la tettoia del portone vicino alla strada, nella speranza che tu ci passassi davanti. Ma tu non venisti. Per dieci giorni invano ho spiato la tua venuta. Tutt'a un tratto mi fecero visita le mie parenti. Stavano ritornando a casa dopo un pellegrinaggio al tempio del dio tendi-arco, dove avevano fatto le loro devozioni. Notai che erano particolarmente allegre, le loro guance erano primaverilmente arrossate, i loro occhi scintillavano per la gioia di vivere. Tutt'e tre insieme mi assalirono: "Dicci con precisione com'era quel giovanotto sconosciuto che tu hai incontrato al tempio e del quale ci hai parlato con tanto entusiasmo. Ce lo puoi descrivere meglio?" Descrissi loro come potevo il tuo aspetto, volto, figura, abbigliamento. Allora esse si guardarono facendosi dei cenni con la testa e mi dissero:
"È lui! Lo abbiamo incontrato oggi al tempio. E ora rispondi a questa domanda: ha fatto qualcosa di particolare per farti capire che era innamorato, per esempio una genuflessione?" Risposi di no. "I suoi sguardi parlavano abbastanza chiaro. Una genuflessione? Non sarebbe stato conveniente rendermi omaggio con una genuflessione davanti a tanta gente" risposi. A questo punto si scambiarono tra loro in silenzio uno sguardo e un sorrisetto allusivo, che mi sembrò un sorriso di sufficienza. Incuriosita e insospettita, insistetti tanto che alla fine si decisero a darmi una spiegazione più precisa. E così sentii, fino nei minimi particolari, la storia della tua ridicola genuflessione sui gradini del tempio! E, mentre raccontavano, continuavano a scambiarsi quegli sguardi pieni di trionfante vanagloria. Puoi immaginare con che animo le ascoltassi. Bollivo! Ebbi una depressione che mi durò tre giorni. Poi cominciai a considerare le cosa con maggior filosofia. Mi dissi: "Le mie cugine gli erano sconosciute come me, sia per loro che per me si trattava del primo incontro. Quando ha incontrato me si è vergognato della gente e non ha osato sussurrarmi neanche una sola parola di saluto, limitandosi a muti sguardi. Invece vedendo le mie cugine è letteralmente uscito di testa, si è spinto al di là di ogni limite di buona creanza e di prudente rispetto e si è lasciato andare di fronte a tutti a una pazza genuflessione, si è comportato come un matto. Cosa se ne può logicamente dedurre? Che non gli ho fatto nemmeno lontanamente l'impressione che invece gli hanno fatto le mie due cugine; che la natura le ha fornite di più evidente fascino fisico e che quindi hanno più fortuna di me in amore; che all'uomo in questione non passa nemmeno per la testa di correre dietro a una creatura insignificante come me, dopo aver abbastanza chiaramente mostrato con la genuflessione la sua preferenza per le mie cugine. Dunque, basta con questa vana attesa sotto la tettoia del portone!" E così per me il caso era chiuso. Peccato soltanto che ne fosse nata una lite con le mie cugine, con le quali son sempre stata in ottimi rapporti. Non ci siamo parlate per mesi, riconciliandoci solo dopo l'incontro con te. Il tuo solenne giuramento mi ha convinta che per tutto questo tempo ho ingiustamente sospettato le mie cugine. La causa di tutto è la tua stupida genuflessione! Era proprio indispensabile?»
«Ah, adesso capisco! Ora mi è tutto chiaro! Ora so che macigno di delusione dever aver oppresso gravemente il tuo tenero petto, e capisco il tuo iniziale malumore contro di me. Ma adesso tutto è tornato a posto. Per quanto riguarda le tue presunte rivali, vorrei dissipare io il piccolo malinteso. Sono tue parenti, le tue cugine, perciò anche le mie parenti, sono le mie cognatine acquistate. Conviene quindi che io vada a far loro visita, per sola cortesia, per carità, non ho certo altre intenzioni! In occasione di questa visita di cortesia, farò loro capire come stanno le cose tra noi. Passerà loro la voglia di darsi arie d'importanza! Tu devi avere la tua soddisfazione, devi trionfare! Non ti pare?»
«Un momento. lo la cosa la vedo un po' diversamente.
Noi tre non siamo soltanto cugine e amiche: ci siamo anche giurata amicizia fraterna. Abbiamo fatto voto solenne di dividerci da buone sorelle fortune e sfortune, gioie e dolori. Trasgredendo al giuramento mi sono divertita con te da sola e ho goduto le gioie dei tuoi amplessi a loro insaputa. Con questo mi son messa in torto nei confronti delle mie cugine. La mia coscienza pretende una riparazione. Le andrò a trovare prima da sola e racconterò tutto con onestà. Naturalmente non sarebbe in armonia con lo spirito del nostro patto pretendere un trattamento privilegiato nei tuoi rapporti. Parlerò loro in questo senso. Poi le andremo a trovare insieme, e anch'esse dovranno avere la loro parte di gioia e dividere con me la piacevole sorpresa che sotto la volta celeste esiste una meraviglia come il tuo misirizzi, sicché alla fine si avvererà il vecchio detto:
Tutti gli splendori del mondo
devono diventare bene comune di tutti.

«Tu sei libero, come è giusto, di decidere se vuoi collaborare, e a questo punto devo metterti una condizione: più tardi, quando le avrai possedute, non devi respingere me, ma devi continuare ad avermi cara come stanotte. Sei in grado di promettermelo e vuoi farlo?»
Eccome, se voleva! Sgambettando, dalla felicità saltò con un'atletica capriola dal letto, si vestì a precipizio, s'inginocchiò nuovamente e giurò inestinguibile amore e fedeltà fino alla morte e, nel caso che non avesse rispettato il giuramento, invocò sul proprio capo pene se possibile ancora più gravi di quelle del primo giuramento. Poi scivolò di nuovo sotto le coperte e cominciò con rinnovate tenerezze e carezze, destinate in parte all'amante e in parte alla amichevole mezzana come sua giusta percentuale. In breve, fu come se a tavola l'avesse servita con due coperti. Potete immaginarvi come quest'abbondante trattamento saziasse la donna e rendesse l'amichevole mezzana lieta del futuro e quasi ebbra!
Finito il banchetto, si addormentarono guancia a guancia e dormirono finché a oriente il cielo si schiarì e spuntò il sole. Allora la donna lo scosse e lo rispedì per la vecchia via, sul ponte di legno, nel suo studio. Da allora si videro tutti i giorni e si amarono tutte le notti.
I nostri stimati lettori vorranno adesso sapere se e quando e come il nostro giovane abbia realizzato il suo supremo desiderio di possedere cioè le tre belle del tempio. Ma dovrete avere un po' di pazienza. Dal secondo capitolo abbiamo trattato delle voglie amorose e dei traviamenti del nostro Chierico della Prima Veglia. Per il momento basta. Nei due prossimi capitoli si svolgerà un intermezzo del dramma con un intreccio parallelo. Ma dopo questo intermezzo tornerà sulla scena il protagonista.


CAPITOLO XII

Nonostante la cospicua indennità che aveva incassato per la cessione di Aroma, il probo Ch'üan continuava a esser roso dalla rabbia per l'oltraggio che aveva subito. A questo s'aggiungeva il fatto che, come marito cornuto, egli aveva perso la faccia di fronte ai vicini e ai conoscenti. La gente lo evitava ed egli non osava più stare fra la gente. Una svogliatezza generale, ma in particolar modo verso il negozio, si era impadronita di lui. Se ne stava tutto il giorno rincantucciato in negozio a non far niente e tetramente covava la sua cupa ira.
All'inizio aveva tentato di sapere dalla serva dodicenne qualcosa di più preciso sulla relazione segreta di Aroma. Le aveva chiesto a che ora e per quanto tempò si fosse data da fare con quell'uomo grande e grosso e se avesse intrattenuto relazioni con altri uomini. Finché Aroma era rimasta in casa, la ragazzina, per paura della sua padrona, non aveva osato parlare e aveva finto di non sapere nulla. Poi, dopo che Aroma era stata portata fuori casa e non c'era più da temere un suo ritorno, aveva finalmente aperto la bocca. Riferì con assoluta precisione a che ora veniva solitamente il visitatore notturno, quanto rimaneva e quando se ne andava. In primo luogo riferì però che non era stato l'uomo grande e grosso e di una certa età a dormire con la padrona, ma un tipo del tutto diverso, più giovane, un bel giovanotto ben vestito che veniva sempre in compagnia di quello più anziano. Quello grande e più vecchio aveva solo fatto da mezzano ed era rimasto di guardia la notte. Rivelò anche che la prima volta c'era stata, e aveva collaborato anche la brutta dirimpettaia.
Il probo Ch'üan fu assalito dai dubbi. Il Rivale di Kun-lun si sarebbe prestato a fare il complice e la longa manus di un altro? Questo non voleva entrargli nel cervello. Non era possibile pensare che quell'uomo orgoglioso e indipendente agisse in quel modo, semmai era possibile il contrario. Egli ritornò dai vicini e continuò a sondarli. Disse che essi avevano ingiustamente accusato il Rivale di Kun-Iun, e che probabilmente chi aveva commesso il fatto era piuttosto quel giovane straniero elegante e distinto, dall'aspetto straordinariamente attraente, che egli aveva visto una volta in negozio assieme al Rivale di Kun-lun, ma che non aveva degnato di molta attenzione.
Chiese loro se sapevano qualcosa di più sulla provenienza e su dove fosse andato a finire quel giovane. Le sue testarde indagini ebbero successo, e infine venne alla luce come stavano effettivamente le cose. Il giovane era uno straniero che veniva da una determinata regione. Era stato lui a fare segretamente l'amore con Aroma, e non il Rivale di Kun-lun. Adesso abitava nel tale luogo insieme ad Aroma, che teneva come concubina, perché a casa sua aveva già una giovane sposa legittima. Il Rivale di Kun-lun aveva sposato Aroma per finta, in rappresentanza del giovane. Il tutto era stato un gioco concertato tra i due.
Ora il probo Ch'üan sapeva proprio tutto. E si mise a riflettere e meditare: «Se ad agire fosse stato il Rivale di Kun-lun in persona, non potrei certo pensare di vendicarmi. Dovrei continuare vita natural durante a masticare la mia rabbia in segreto, e solo dopo la morte avrei occasione di denunciarlo davanti al giudice dell'altro mondo e di regolare i conti col mio avversario» questi erano i pensieri che gli attraversavano la mente.
«Ma visto che chi mi ha rubato l'onore di casa è quell'altro, non vedo perché mai dovrei rassegnarmi in silenzio al fatto compiuto. Sarebbe proprio bello! Perché mai non dovrei'lasciare libero corso all'ira che mi riempie il petto fino ad arrivarmi in bocca e quasi mi soffoca? Mi domando solo come. Se volessi citare davanti a un tribunale quello spudorato, il suo amico, il Rivale di Kun-lun, lo aiuterebbe corrompendo i giudici. Denaro ne ha quanto basta, e quale giudice oggigiorno non è sensibile al denaro? Inoltre i vicini che hanno firmato come testimoni al finto matrimonio, per paura del Rivale di Kun-Iun non avrebbero mai il coraggio di deporre contro di lui in mio favore. La via del tribunale sarebbe inutile. No, devo trovare un altro modo. Ecco, ci sono! Andrò semplicemente nel luogo in cui il più giovane abita e cercherò con tutti i trucchi possibili di entrare a casa sua e di avvicinarmi alla sua legittima prima moglie, che egli ha lasciato laggiù. È da lei che mi farò indennizzare totalmente, poi saremo pari: egli ha sedotto mia moglie e io gli seduço la sua. Evviva! Questa sì che è una vendetta piacevole! E molto più divertente che ammazzare quel tipo. Cosa ne guadagnerei, poi? Perché non dovrei riuscire a farcela? Basta solo che lo voglia. Come dice il proverbio?
Volere è potere. Dove c'è volontà di fare una cosa ci sarà alla fine anche il successo.
«Inoltre non posso continuare a restare qui. Tutti i miei conoscenti sanno che mia moglie mi ha tradito, tutti mormorano e mi prendono in giro a mia insaputa, tutti mi ritengono un imbecille, uno che ha la coda tra le gambe per la paura. Questo posto mi è diventato odioso, cosa faccio ancora qui? Dunque me ne andrò via di qua. Forse il cielo sublime mi concederà benevolmente la sua considerazione e mi aiuterà a ottenere soddisfazione. Chissà?»
Era ormai deciso. Così andò a vendere casa e averi, compresa la piccola serva e le sue merci, in breve egli «gettò teglie e tegami e affondò la barca della sua casa», come si usa dire; disfece la sua casa, prese il bastone del pellegrino e, con in tasca una discreta somma di denaro liquido si mise in strada verso quella regione sconosciuta ed estranea.
Un giorno giunse al termine del suo viaggio. Alloggiò in un albergo della periferia e si prese un giorno di riposo. Poi cominciò a prendere informazioni. Si fece spiegare dove abitava il suocero del suo nemico e quali erano le sue abitudini. Si accorse subito che aveva preso le cose troppo alla leggera. Si era figurato la sua impresa più o meno come un audace colpo di mano nelle tasche altrui. Aveva pensato che penetrare nei confini del gineceo di una casa estranea non fosse molto diverso dal penetrare in quello di casa sua: che avrebbe dovuto attendere finché il padrone di casa si fosse assentato, che il portone fosse rimasto per così dire senza sbarra e che fosse quindi facile aprirlo, e insomma la sua impresa sarebbe stato uno scherzo.
Non aveva considerato l'enorme differenza che c'era tra casa sua, la casa cioè di un semplice commerciante, e quella di uno studioso, ancora legato a una ormai dimenticata severissima concezione confuciana della moralità, e che era in più un ridicolo pedante, un eccentrico del calibro del nostro dottor Porta di Ferro. Sentì dire che si era tanto isolato dal mondo esterno che non lasciava passar la soglia di casa neppure agli amici e ai parenti più prossimi.
Il probo Ch'üan fu preso da scoraggiamento. Cominciò a tentennare e a dubitare e pensò di rinunciare a priori àlla sua impresa apparentemente senza speranza. Ma poi si disse che per questo aveva affrontato un viaggio pieno di disagi, che aveva varcato mille montagne e valli fino a giungere lì, per farsi alla fine scoraggiare e miseramente abbattere da uno spauracchio chiamato «Porta di Ferro». No, il suo orgoglio si ribellava contro una simile resa. In un modo o nell'altro, voleva tentare. Se avesse fallito, era segno che il cielo voleva così.
Decise di affittare una casa molto vicina alla proprietà del dottor Porta di Ferro, non importava se davanti o dietro, a destra o a sinistra, e di sistemarsi. Di lì avrebbe continuamente controllato il suo vicino e avrebbe spiato l'occasione di agire.
Con questo proposito si recò, di lì a pochi giorni, alla proprietà del dottor Porta di Ferro dove ebbe una brutta sorpresa. La proprietà era in una posizione appartata e totalmente isolata. Un terreno incolto, selvaggio e senza costruzioni si estendeva tutt'intorno fin dove l'occhio poteva arrivare. Non c'erano-possibilità di alloggio nemmeno per quelli del posto; figurarsi se ce n'erano per uno straniero! Depresso fece per andarsene e ritornare al suo albergo, quando il suo sguardo cadde su un manifesto inchiodato a una tavola di legno. La tavola era appesa a un grosso tronco d'albero, a circa cinquanta passi dal podere di Porta di Ferro. Il manifesto diceva:
Si affitta la terra incolta circostante; per il primo anno di dissodamento e di coltivazione, dispensa dal pagamento dell'affitto.
Pensieroso, il probo Ch'üan esaminò con lo sguardo quella vasta distesa di terra piena di cespugli selvaggi e di erbacce. Il suo lento e prudente intelletto lavorava.
«Chi deve dissodare e coltivare questa terra, deve poter anche abitare qui. C'è spazio in abbondanza. Bene, affitterò il terreno e per prima cosa mi costruirò una modesta capanna. La costruirò molto vicino al podere del proprietario. Chi me lo potrebbe impedire? Così mi avvicinerei notevolmente al mio scopo. Poi, con la scusa dei lavori dei campi, potrei sorvegliare continuamente il podere e osservare in pace quel che vi succede.» Così lo ispirò il suo intelletto.
Detto fatto, andò alla casa più vicina e bussò.
«Chi è il proprietario della terra incolta là fuori? Vorrei affittarla e dissodarla. Potrei abitare nel podere del propretario ?» chiese.
«Sarà difficile. Il dottor Porta di Ferro, così si chiama il proprietario, abita in una masseria isolata, in mezzo al terreno incolto, e non permette a nessuno di abitare con lui. Vi dovete cercare un'abitazione fuori» gli fu risposto.
«Che tipo è questo dottor Porta di Ferro?» L'interrogato scosse pensieroso la testa.
«È un tipo molto difficile, così difficile che probabilmente non ce n'è un altro come lui sotto la volta del cielo. Se fosse meno difficile, avrebbe trovato già da tempo un fittavolo per il suo terreno.»
«Fino a che punto è difficile?»
«Un antico uso e diritto stabilisce che il fittavolo di terreni incolti, che egli debba dissodare, è dispensato dall'affitto per i primi tre anni. Il dottor Porta di Ferro concede un solo anno di esenzione dal pagamento dell'affitto. Dal secondo anno in poi pretende di esser pagato. Oltre a questo, nella vita di tutti i giorni è un vero e proprio sordido avaraccio spilorcio. Non gli avanza un boccone, neanche piccolissimo, e neanche una buona azione per i suoi simili. Per risparmiare non tiene con sé non dico un maggiordomo, ma neanche un cameriere o un servo. Se riuscisse a trovare un fittavolo, lo sfrutterebbe servendosene anche come servo. Quando in casa deve fare qualche lavoro pesante, gira tra i vicini elemosinando e gridando che gli si dia una mano, ma non pensa di premiare la nostra collaborazione di buoni vicini neanche con un logoro soldino di rame. Tre anni fa aveva finalmente trovato uno sprovveduto che si prestava quale fittavolo e che voleva dissodare il suo terreno incolto. Ma fu caricato di tanti e tali compiti e lavori accessori, da quel vecchio avaraccio che, schifato, rifiutò l'incarico ancora prima di cominciare a coltivare la terra. Si parlò tanto di quest'episodio che tutti gli altri probabili candidati si ritirarono spaventati. Questa è la ragione per cui quel pezzo di terra è ancora incolto.»
Queste informazioni incoraggiarono il probo Ch'üan, invece di spaventarlo. Esser chiamato a compiere pesanti lavori in casa? Splendido! Non poteva augurarsi di meglio: ciò lo avrebbe avvicinato ancora di un poco al suo scopo. In questo modo avrebbe avuto accesso alla casa, altrimenti impenetrabile, di quell'eccentrico, e magari avrebbe anche potuto qualche volta vederne la figlia.
Se gli altri non volevano assumersi doveri e compiti supplementari, egli, al contrario, li cercava e li accettava con piacere. Se gli altri erano spaventati dal fatto che quei servizi non venivano pagati, a lui questo non importava. Non era per denaro che agiva, ne aveva in abbondanza del suo. Naturalmente avrebbe dovuto aver pazienza, allo scopo non ci sarebbe arrivato dall'oggi al domani. Bene, non aveva solo denaro, ma anche tempo. Avrebbe dovuto darsi un altro nome, nel caso che il genero, il suo nemico, fosse all'improvviso ritornato a casa. Egli conosceva naturalmente il nome del precedente marito di Aroma. Fortunatamente non si erano mai visti faccia a faccia.
Al dottor Porta di Ferro si sarebbe presentato come Tso Sui-hsin. Il nome che aveva scelto significava «Azione desiderata», alludendo con ciò nascostamente alla vendetta che cercava e per la quale era venuto fin lì. Per non confondere i lettori, l'autore continuerà a chiamarlo Ch'üan.
Allegro e contento di sé il probo Ch'üan tornò al suo albergo. Qui si mise a sedere e abbozzò un contratto di affitto. Era in fondo un uomo d'affari e, anche se non era esercitato nello scrivere, era alquanto versato in simili questioni commerciali.
Con lo scritto nella tasca della manica si avviò nuovamente verso la casa del dottor Porta di Ferro. Si sedette su un blocco di pietra non lontano dal portone e attese pazientemente che la porta si aprisse dall'interno, poiché pensava che bussare fosse inutile.Gli era stato detto dalla gente del luogo che lo strano padrone di casa, per principio, quello scorbutico non usava aprire quando qualcuno bussava, anche se uno martellava tempestosamente la porta. Così aspettò e aspettò inutilmente fino a sera. Poi se ne ritornò al suo albergo. All'alba del giorno dopo si rimise in cammino e, questa volta, fu fortunato. Quandò arrivò al podere trovò il padrone di casa fuori dalla porta. Aveva in una mano un cesto di vimini e, nell'altra mano, una bilancia. A quell'ora stava aspettando il venditore ambulante di verdura e di formaggio.
Il probo Ch'üan si avvicinò all'uomo dai tratti del viso severi e angolosi, vestito col semplice abito di tela di cotone nero degli studiosi. S'inchinò rispettosamente e borbottò un paio di parole di saluto.
«Ho l'onore di parlare col dottor Porta di Ferro?»
«Sono io, desiderate?»
«Ho saputo che volete affittare un pezzo di terreno incolto. Mi trovo in un momento di ristrettezze e ho bisogno di guadagnare con il lavoro manuale. Quindi sarei pronto a dissodare il terreno incolto per la signoria vostra. Sareste disposto a prendermi come fittavolo?»
«Ehm, ma siete poi all'altezza del compito? Il lavoro dei campi richiede una conveniente forza muscolare, buona volontà e una instancabile resistenza. Non ne voglio sapere di mangiatori a ufo che pasticciano per un po' sul mio terreno senza combinare niente di buono.»
«Non preoccupatevi. Sono forte e abituato al lavoro pesante e alle privazioni. Se avete dubbi, prego, potete fare un paio di giorni di prova. Se credete che non combino abbastanza, potete cercarvene un al tro.»
«Bene. Devo farvi un'altra domanda: dove abiterete? In casa mia, non potete.»
«È molto semplice: mi costruirò una modesta capanna sul campo. A mie spese, naturalmente. Sono solo e senza grandi pretese. Così mi risparmio i soldi dell'affitto presso altre persone.»
«Perfetto! Allora andate a stendere il contratto.»
«L'ho già fatto. L'ho qui con me.»
Il probo Ch'üan tirò fuori lo scritto dalla tasca e glielo consegnò. Il dottor Porta di Ferro lesse il contratto, lo trovò buono e vi mise la sua firma in calce. Lo fece senza esitazioni o dubbi. Fin dalla prima occhiata che gli aveva dato quell'aspirante grosso, robusto, tarchiato, dalla cui persona inoltre spirava una così rassicurante aria di probità, gli era senz'altro parso l'uomo giusto al posto giusto. Quello non era solo buono per i lavori dei campi come servo della gleba, ma poteva essere anche utile in casa come uomo di fatica. Così l'affare era fatto.
Ch'üan fece venire muratori, carpentieri e falegnami, comprò legno, mattoni, paglia e gli altri soliti materiali da costruzione e iniziò subito a costruire. Dieci giorni dopo la nuova costruzione era pronta e Ch'üan poté trasferirvisi. Era in realtà una semplice capanna col tetto di paglia e di canna che poggiava su stipiti di legno, ma dentro era un gioiello di pulizia e freschezza. Non mancavano il tavolo, un letto di maiolica riscaldabile, un focolare e gli utensili per cuocere e un ripostiglio nel quale si trovavano tutti gli strumenti e gli attrezzi del contadino. Ch'üan non dovette risparmiare nel comprarli, aveva abbastanza denaro con sé. Così la casa offriva uv confortevole ricovero.
Da questo momento in poi Ch'üan non si sentì più un estraneo; era diventato di casa in quel luogo, con un tetto di sua proprietà sulla testa.
Il nuovo fittavolo prese tremendamente sul serio i suoi doveri, come constatò con soddisfazione il dottor Porta di Ferro. Quest'ultimo alloggiava completamente solo in un piccolo studio appartato, che si trovava in una posizione elevata su un rialzo del terreno vicino al muro esterno del podere, per cui dallo studio poteva tenere bene sott'occhio tutto il terreno intorno e osservare il probo Ch'üan mentre lavorava nei campi. Il che fece con la nera pupilla della benevolenza. Poiché per quanto presto si alzasse, lui così mattiniero, vedeva sempre il suo fittavolo già intento alacremente ai lavori dei campi, senza essersi né lavato, né pettinato. Prima che il dottore fosse uscito dal letto, l'uomo della capanna aveva già fatto un bel pezzo di lavoro mattutino e aveva dissodato, sarchiato e vangato un bel po' di terra.
Tutta questa operosità gli faceva una grande impressione e non risparmiava esclamazioni d'approvazione come bravo, bene! Ch'üan a ogni complimento raddoppiava lo zelo e si lasciava volentieri chiamare per ogni specie di lavoro pesante di casa, che la domestica non riusciva a compiere. Per queste fatiche supplementari non pretendeva compensi di alcun genere; rifiutava ringraziando persino il cibo che il padrone ogni tanto gli faceva offrire.
Una volta il dottor Porta di Ferro gli offrì come compenso per il suo zelo instancabile nel render servizi una brocca di grappa di miglio. Ma il probo Ch'üan rifiutò modestamente anche quella, dicendo che non aveva mai toccato né vini né bevande alcoliche, e che non buttava giù neanche una goccia di qualsiasi liquore. Ma, ammesso che egli ne volesse gustare un goccio, doveva essere in grado di poterselo concedere egli stesso e non doveva ricorrere alla generosità altrui.
Questo rifiuto, insieme orgoglioso e modesto, non poté che confermare e rafforzare l'opinione favorevole che il suo padrone aveva già di lui.
Solo alla fine del lavoro quotidiano, tornato nella sua capanna, Ch'üan si preoccupava dello scopo e oggetto della sua vendetta, la figlia del padrone. Finché non aveva varcato la soglia del podere si era spesso domandato: «Come sarà? Sarà probabilmente brutta, forse addirittura eccezionalmente brutta. Altrimenti il marito non l'avrebbe abbandonata dopo solo un anno di vita in comune, non avrebbe voltato le spalle al focolare e alle fonti di casa sua e non si sarebbe messo in pellegrinaggio per fare l'amore con altre donne. Se però le cose stanno così, come potrò attuare la mia vendetta? Una brutta non riuscirà nemmeno ad eccitarmi, il mio strumento mi rifiuterà il servizio e incrocerà le braccia. Viziato dalla bellezza di Aroma, mi avvicino con fiducia a una bella donna, ma se me ne dovesse capitare una brutta, temo che farei miseramente cilecca.»
Ma queste preoccupazioni e questi timori iniziali svanirono la prima volta che gli fu richiesto dal dottor Porta di Ferro di fare qualche lavoro pesante in casa sua. Ebbe allora modo di vedere fuggevolmente una giovane donna di straordinaria bellezza e l'appellativo «Giovane sorella maggiore», che si usava solitamente per le gentili signorine o per le signore figlie di famiglia, e col quale la chiamarono una serva e una cameriera, gli diede la gradevole certezza che era lei e nessun'altra lo scopo e oggetto della sua vendetta.
Tornato nella sua capanna, si distese sulla panca e rifletté sforzandosi per capire: «È veramente incomprensibile, come mai quel pazzo di marito lasci sola a casa una donna come quella, che sembra fatta per farci l'amore, e va a caccia di altre donne! Che bisogno ne ha?»
Questo pensiero gli tornò ripetutamente nella testa. Si propose di agire con la massima circospezione e prudenza per non perdere un'occasione così preziosa. Dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo. Solo al pensiero del frutto delizioso gli veniva l'acquolina in bocca, il suo membro si stirava ed esigeva impetuosamente di entrare in azione. Fedele al suo proponimento, Ch'üan evitò di gettare anche un solo sguardo alla figlia del padrone, quando fu chiamato un'altra volta per qualche lavoro pesante in casa, le capitò casualmente vicino. Le passò accanto muto e a capo chino, facendo come se non notasse affatto la sua presenza. Di fronte a lei si comportava come un asceta distaccato da tutta la rossa polvere del mondo.
Nel corso di alcuni mesi il dottor Porta di Ferro era giunto ad apprezzare oltre misura il probo Ch'üan. Quante virtù possedeva quell'uomo! Era diligente e pieno di buona volontà sul lavoro, sobrio, modesto, servizievole, taciturno e riservato e senza il vizio del bere! Un vero gioiello!
Il dottor Porta di Ferro si consultò con se stesso: «Prima di partire, mio genero mi ha lasciato dei pezzi d'argento con la disposizione che mi prendessi un servo, del quale in casa mia si sente un forte bisogno. Io non riuscivo a decidermi a farlo, basandomi sull'esperienza fatta da altri con quei pigri mangia a ufo di solito sono maggiordomi e camerieri. Ora però mi sembra di aver trovato nel mio fittavolo l'uomo giusto. È solo, non ha sulle spalle una famiglia. Chissà se accetterebbe di vendersi e di diventare mio famiglio? Naturalmente correrei, nel fare questo, un duplice rischio: nonostante tutti i suoi meriti è uno straniero di passaggio e uno spiantato! Se lo prendo in casa chi mi garantisce che un giorno non mi derubi e se ne scappi di nascosto? E poi non è sposato. Un uomo così gagliardo e nell'età migliore, in casa mia, con tante donne in giro ... Ma, a prescindere dalle serve e dalle cameriere, io devo proteggere la virtù di mia figlia. Che devo fare? Forse dovrei, nel caso che accettasse di diventare mio schiavo, dargli in sposa la nostra piccola cameriera? Ci penserebbe lei a preservarlo dal far sciocchezze ed egli avrebbe qualcosa che lo legherebbe a questa casa e gli toglierebbe ogni pensiero di fuggire. In questo caso, quindi, non avrei più nulla da temere e di cui preoccuparmi. Sì, ho deciso farò così.»
Un giorno andò nei campi, per un po' di tempo guardò Ch'üan che si affaticava con zappa e vanga, poi gli disse: «Vedo che lavori con diligenza e a tutta forza. Mi sembra addirittura che tu esageri e che tu ti affatichi troppo. Mi chiedo, visto che un uomo con le tue qualità può tranquillamente nutrire una moglie e un figlio, perché alla tua età non ti sei ancora sposato?»
Ch'üan smise di vangare, si asciugò il sudore dalla fronte e replicò: «C'è un vecchio proverbio che dice:
Con la mente e con lo spirito puoi sfamare mille bocche, la forza delle braccia assicura il cibo a uno solo.
«In breve, io riesco soltanto a riempire passabilmente la mia bocca. Il pensiero di farmi una famiglia non mi sfiora nemmeno.»
«Ma moglie e figli contribuiscono in modo decisivo a fare sì che la vita di un uomo sia giustamente compiuta. Se non ti fidi di fondare un tuo proprio nucleo familiare, perché non cerchi un appoggio entrando come genero in un'altra famiglia? Ci sono abbastanza ragazze da marito che potrebbero farti felice e darti dei figli. Pensa al futuro! Se tu rimani per tutta la tua vita da solo, chi farà sacrifici e pregherà sulla tua tomba? Perché sgobbare tutta una vita senza un frutto e un raccolto per il futuro?»
Il probo Ch'üan capì dove l'altro voleva arrivare, a prenderlo cioè nella sua casa. Ora, questo avrebbe portato il suo piano di un altro passo più vicino alla realizzazione. Egli però non manifestò in alcun modo la sua segreta soddisfazione e mantenne un atteggiamento di fredda riservatezza.
«Certo è bello riposare all'ombra di un grande albero, come si suol dire - è una cosa che so bene - ma ci sono due preoccupazioni: da una parte c'è sempre da temere che il padrone di casa non sappia distinguere tra il dolce e l'amaro. Tu ti affatichi per lui come un ronzino o come un bue, e invece di raccogliere riconoscenza e ringraziamenti ricevi sgridate o addirittura botte. Inoltre c'è da temere da parte dei colleghi invidia e malevolenza. Quello che ha maggiore anzianità di servizio s'aspetta che il novellino abbassi la testa sottomesso. Guai se il novellino mostra sul lavoro più zelo e dedizione del collega ormai abituato alla comoda esistenza del pigro! Allora ci sono cattiverie e intrighi, il più anziano teme che il solerte novellino lo scavalchi e lo oscuri agli occhi del padrone. Un inconveniente, questo, che si osserva spesso nelle grandi case, specialmente in quelle dei nostri mandarini. Sono queste le preoccupazioni che mi potrebbero trattenere dall'entrare a servizio in una casa.»
«Per queste cose non hai nulla da temere in casa mia. Non devi avere paura d'intrighi da parte di qualche collega, dato che tu saresti l'unico mio servo maschio, non ho personale maschile. La mia casa non è una casa da mandarino. Quanta benevolenza io abbia nei tuoi riguardi lo dimostra la mia intenzione di metterti al fianco una mogliettina non appena entrerai in servizio da me. Cosa ne dici? Saresti pronto?»
«Siete molto buono. Perché non dovrei?»
«Bene. Allora stenderemo un contratto d'acquisto. Dimmi prima quanti pezzi d'argento chiedi come prezzo per la tua persona. Nel frattempo preparerò tutto per accoglierti e cercherò tra il mio personale femminile una ragazza adatta a te. Puoi prenderla in consegna il giorno stesso del tuo ingresso e portarla in camera tua. Allora, ti va bene così?»
Ch'üan approvò piegando il capo.
«Così sarei protetto per tutta la mia vita. Domani porterò il contratto, solo che... » Egli si schiarì la gola e fece una pausa che indicava imbarazzo. Sembrava avere qualcosa sul cuore.
«C'è ancora qualcosa: io sono per natura un po' particolare, le donne non m'interessano molto. Riuscirei a immaginarmi una donna al mio fianco, ma va bene anche senza, non sono bramoso di sposarmi. C'è tempo per realizzare quello di cui parlavate prima, cioè darmi in moglie una delle vostre serve. Lasciatemi al vostro esclusivo servizio per un paio d'anni e fatemi sposare più tardi, quando le mie forze cominceranno a svanire e i miei muscoli saranno stanchi. Il mio primo dovere è oggi lavorare per vostra signoria, rendere coltivabili i vostri terreni e coltivarli. Non vorrei sprecare, dilapidare ed esaurire con una donna le forze che mi devono servire a questo scopo. Quanto alla vostra offerta di pagare un prezzo per la mia persona, non posso accettarlo, non se ne parla neppure. Sono solo, non devo pensare nè a genitori, nè a figli, nè a fratelli, per chi mai dovrei ammucchiar danaro? Mi basta abbondantemente che vostra signoria provveda al mio alloggio, al vestiario e al vitto. Perché dovrei aver bisogno di altro denaro? Nel nostro contratto non citiamo nemmeno il punto che riguarda il pagamento di un prezzo d'acquisto per la persona. Sarebbe una cifra solo sulla carta. In realtà non pretenderei da voi neanche un soldino di rame!»
Il vecchio taccagno lo ascoltò volentieri. Gli angoli dei suoi occhi palpitarono, le sue sopracciglia si sollevarono dalla gioia. Egli ribatté sorridendo compiaciuto: «Ogni tua frase è ben detta! Ogni parola testimonia fedeltà e senso del dovere! Quanto al prezzo dell'acquisto che tu rifiuti, metterò da parte l'importo che avevo pensato di dati e più tardi lo impiegherò per il tuo vestiario e per altre cose simili. Su un altro punto sono di parere diverso dal tuo, sulla questione del matrimonio. Al tuo posto, altri sarebbero contenti di potersi così sposare: tu disdegni sia il denaro sia la donna. Di fronte a tanto orgoglio e a tanto disinteresse mi sarebbe difficile vedere in te un sottoposto e pretendere da te dei servigi, proprio non riuscirei a farlo. Mi potresti chiamare "padrone" quanto vuoi ma io non riuscirei a considerarti uno schiavo o un cameriere. In breve, se intendi insistere nel tuo rifiuto, con gran rincrescimento non potrei prenderti a servizio.»
«Capisco, sua signoria teme che senza moglie io non mi senta legato alla casa e che prima o poi possa andarmene. Per questo insiste a volermi dare una sposa. Ma io non sono capace di doppiezza. Però, se serve a tranquillizzarvi, mi adatto a sposarmi e mi dichiaro pronto al matrimonio.»
Ora tutto era chiarito con reciproca soddisfazione.
Ch'üan non aspettò il giorno seguente, ma stese il contratto di servitù la sera stessa e lo portò al suo padrone. E anche quello non attese il giorno dopo, ma quella stessa sera gli condusse la moglie promessa. La sua scelta era caduta su Ju-yi, la cameriera di sua figlia. Diede inoltre a Ch'üan un nome da servitore, Lai Sui-hsin, che significa pressappoco Benvenuto.
Dopo che Ch'iian era stato accolto nella casa del dottor Porta di Ferro, la sua casa sul campo era diventata super­flua. Per ordine del padrone la demolì.
Così egli aveva percorso otto decimi della strada che doveva portarlo alla vendetta. Nel prossimo capitolo saprete come egli fece gli altri due decimi.