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RIFLESSIONI CRITICHE

Se pure l'esigenza di una storicizzazione della musica della scuola di Vienna (e gli anni Sessanta avevano visto il fenomeno della Mahler-Renaissance) ha portato ad un sensibile risveglio di interesse per i musicisti operanti a Vienna nello scorcio di secolo che porta da Brahms a Schönberg, tuttavia la figura di Zemlinsky non è stata ancora sufficientemente indagata. Eppure di quella Vienna Zemlinsky fu indiscutibilmente un protagonista e la sua azione (come esecutore, come direttore, come insegnante, come organizzatore, come compositore) fu decisiva per le sorti della nuova musica. Basti pensare solamente al ruolo svolto da Zemlinsky nella formazione di Schönberg: a Zemlinsky (Alma Schindler-Mahler era sua allieva) dobbiamo l'avvicinamento, anche personale, di Schönberg a Mahler e viceversa; è Zemlinsky (secondo una testimonianza di H. Eisler) a far conoscere a Brahms il Quartetto in re magg. (1896) del giovane Schönberg; ed è ancora Zemlinsky ad introdurre Schönberg negli ambienti letterari della «Jung-Wien». Berg stesso (oltre Webern) vide nell'opera e nella sua azione un punto di riferimento e proprio a lui è dedicata la Lyrische Suite.
L'attività direttoriale di Zemlinsky mostrò i segni di una apertura alla nuova musica tale da svolgere un ruolo insostituibile nella sua diffusione e nella sua conoscenza. E questo è maggiormente significativo se si considera l'assoluta eccellenza direttoriale di Zemlinsky: «tutto sommato è il più grande direttore vivente» scriveva Schönberg il 31-I-1914 e testimonianze uguali ci vengono da Webern, da Berg, da Stravinskij. Come direttore apparteneva alla più pura tradizione viennese di cui Mahler era l'ultimo grande esponente: grande libertà, assoluta chiarezza e naturalezza e, specificamente nel suo caso, una purissima oggettività. La sua azione a Praga può essere paragonata a quella svolta a Vienna da Mahler.
Ma proprio questa estrema ricettività agli stimoli esterni [...] si ripercosse in maniera negativa sulla sua attività compositiva che non riuscì a sottrarsi al marchio di un facile eclettismo (Brahms, Wagner, Mahler, Debussy, Schönberg sono gli autori fra i quali egli si muove).
La sua posizione fu così segnata da una ambiguità di fondo per cui si trovò ad essere, vivente, una sorta di compositore postumo (e a questo corrispondeva la sua costituzione caratteriale incline ad un pessimismo retrospettivo). Troppo moderno per i conservatori, troppo poco moderno per la nuova musica e costantemente diviso fra la fedeltà al passato e l'apertura alla nuova musica. Nel suo rapporto con Schönberg (come avvenne al vecchio Haydn con Mozart) fu ad un certo punto quest'ultimo ad influenzarlo anche se l'atonalità (e più tardi la dodecafonia) rimasero sempre qualcosa di estraneo ad un pensiero compositivo che era saldamente ancorato alla coscienza dei gradi della scuola armonica brahmsiana, all'idea di un centro tonale. È Webern a raccontare come Zemlinsky (e a lui per un parere si era rivolto Schönberg) giudicasse negativamente un tentativo atonale cui Webern stava lavorando verso il 1906. Anche nella produzione migliore (che è quella da camera soprattutto, l'op. 13 - il centro della sua opera secondo Adorno -, il Secondo Quartetto e l'op. 18) egli non riuscì ad uscire dalle secche di alcune contraddizioni: tendenza alla monumentalità e materiale estremamente flessibile (nel Secondo Quartetto per esempio e sulla scia dell'op. 7 di Schönberg); densità polifonica (e quindi una orchestrazione estremamente sottile e variegata) ma omofonia liederistica e metrica spesso triviali, lo stesso tentativo di sintesi fra Brahms e Wagner (Lieder op. 5 e op. 7) genera spesso una invasione di un cromatismo gratuito. Nella produzione teatrale (Klelder machen Leute ne è forse l'es. più riuscito) a queste manchevolezze si sommano quelle di soggetti e libretti assolutamente inadeguati e troppo datati.
[1988...!!!]