RUDOLF STEINER

L'OPERA TOTALE DI WAGNER

L’Archetipo
Anno IV n. 4
Febbraio 1999


_____________________________________________________________________________

Per Richard Wagner i suoni della musica esteriore erano un’espressione, una rivelazione di una musica interiore, del mondo della sonorità spirituale, dell’armonia spirituale pulsante attraverso il mondo. Questo egli sentiva, questo egli stesso definí. Qualcosa di analogo esprime quando caratterizza la musica strumentale (Pellegrinaggio a Beethoven): «Gli strumenti rappresentano gli organi primordiali della creazione e della natura; ciò che esprimono non potrà mai essere chiaramente definito né fissato, perché suscitano a loro volta sensazioni primordiali, cosí come dovettero nascere dal caos della prima creazione, allorché forse non esisteva nemmeno l’uomo che potesse accoglierle nel proprio cuore».
Non dobbiamo voler forzare, ‘spremere’ simili parole dall’intelletto; bisogna tentare di accoglierne in noi il significato nella sua totalità. Allora sentiamo come come tutta l’anima di Wagner fosse immersa in quella che chiamiamo vera mistica. E cosí Wagner considera tutta la sua missione artistica; non è un artista che voglia rivelare solamente quello che vive casualmente nella sua anima; egli sente la necessità del posto che occupa nella storia dell’evoluzione, getta lo sguardo lontano, in un passato dove non esisteva arte veramente individualizzata. Qui tocchiamo un argomento assai profondo che occupò costantemente Richard Wagner, quando egli comprendeva la sua missione; la stessa questione che fu tanto profondamente meditata da Nietzsche e per la quale questi fu indotto a scrivere La nascita della tragedia. Non vogliamo seguire ciò che scrisse Nietzsche, ma riferirci invece alla mistica, che ha molto di piú da dirci.
Essa ci conduce effettivamente in un’epoca remota e primordiale dell’evoluzione. In queste epoche primordiali esistevano i misteri. Che cos’erano i misteri? Presso tutti i popoli dell’antichità esistevano luoghi dove erano questi misteri, e possiamo chiamarli templi e scuole: li ritroviamo presso gli Egiziani come presso i Caldei e i Greci. Ovunque i misteri formavano le basi per una cultura avvenire; in essi erano contenute insieme religione, scienza e arte. Che cosa sperimentava colui al quale, dopo prove particolari, era concesso di accostarsi a quei misteri? Sperimentava ciò che attraverso l’evoluzione dell’umanità doveva presentarsi piú tardi nei tre diversi rami di religione, arte e scienza. Immaginate per un momento di assistere a un mistero, nel quale venga presentato all’uomo l’enigma del mondo. Allora si raffigurava come le forze spirituali che scendono ad animare minerali e vegetali si perfezionino negli animali e come diventino coscienti nell’uomo. Tutto il divenire dello Spirito del mondo era presentato in modo che l’occhio potesse vederlo. E ciò che l’occhio vedeva, l’orecchio udiva: colore, luce, suono erano vera sapienza, vera scienza. La gente d’allora non accoglieva le leggi cosmiche attraverso astrazioni, come noi oggi facciamo. Le loro rappresentazioni erano in pari tempo belle: cosí nacque l’arte. Le verità venivano rese in forma artistica, e in tal modo l’arte era permeata di verità, e il sentimento ch’esse suscitavano diveniva religioso e s’inchinava adorante. Ciò è stato al principio di ogni grande cultura. La storia esteriore non conosce molto queste cose e spesso le nega; ma non importa, fra venti anni non potrà piú negarle.
E come nei misteri primitivi erano unite arte, scienza e religione, cosí era dell’arte stessa, era di quelle forme d’arte che piú tardi dovevano percorrere differenti vie. La musica e il dramma formavano un tutto, e Wagner volgeva lo sguardo a un’epoca anteriore, in cui le arti formavano un tutto. Gli appariva chiaramente come queste arti, ineluttabilmente, nel corso dell’evoluzione, avessero dovuto seguire differenti vie, e riteneva giunto il momento, nella sua epoca, in cui esse avrebbero dovuto riunirsi. Egli si credeva chiamato, nel limite delle sue possibilità, a realizzare l’unione di queste correnti in ciò ch’egli chiamava “opera totale” [Gesamtkunstwerk]. Sentiva come la vera opera d’arte dovesse essere soffusa di un senso di religiosità. Tutto ciò dobbiamo ritrovare e rivivere nei suoi sentimenti. Se seguiamo i suoi pensieri in tutti i particolari, troviamo perfettamente tutto ciò. Cosí egli vedeva riunite nel suo dramma musicale le diverse correnti. Per lui esistevano due grandissimi artisti: Shakespeare e Beethoven. In Shakespeare egli vedeva il drammaturgo che porta alla ribalta le azioni umane in modo meravigliosamente sintetico; in Beethoven vedeva l’artista che, con la stessa unità interiore, sapeva rendere ciò che l’intimo del suo cuore sentiva in modo non traducibile dal gesto e dall’azione. E diceva a se stesso: «Non vediamo forse come nel corso dell’evoluzione artistica l’essenza della natura umana sia stata, per cosí dire, lacerata? L’uomo, nella sua unità, è guidato sia dai fatti della sua vita intima sia da quelli della sua vita esteriore; è portato ora su ora giú dalle passioni, e traduce nell’azione quel che il suo intimo sente e sperimenta. L’arte ha dovuto separare tutto ciò». Cosí, secondo Wagner, troviamo dei punti in cui ci diciamo: «Qui c’è qualcosa che possiamo benissimo approfondire ma che deve rimanere inespresso. Giacché tra un’azione e l’altra c’è qualcosa nell’animo umano che fa da mediatore, ma che non può esprimersi in questo genere di arte drammatica. E quando l’intimo della sensibilità umana si realizza sinfonicamente, dovrà ugualmente arrestarsi, in parte inespresso, se è costretto a rimanere nel mondo dei suoni. Nella Nona sinfonia di Beethoven constatiamo come ciò che vive intimamente nell’anima si riversi all’esterno e divenga in ultimo parola, riunendo cosí ciò che è diviso solo nell’arte, ma che nell’uomo è un tutto unico». Tale era in Wagner il sentimento della sua missione. Da qui sboccia la sua idea dell’opera d’arte come opera totale, la quale realizza l’uomo nella sua totalità,appunto attraverso l’opera d’arte. Egli deve esternarsi cosí come i suoi sentimenti intimi gli suggeriscono, e deve avere la possibilità di far rivivere, con l’azione, quel che si agita in lui. Ciò che non può estrinsecarsi nell’arte drammatica è affidato alla musica; ciò che non può essere espresso dalla musica sarà affidato all’esposizione drammatica. Wagner cerca la sintesi tra Shakespeare e Beethoven; questa è la sua idea fondamentale, un’idea che emerge dal profondo della natura umana. Tale egli considerava la sua missione.

R.Steiner: «Richard Wagner e la mistica», conferenza tenuta a Norimberga il 2.12.1907, in: Archivio storico della rivista «Antroposofia», Ed. Antroposofica, Milano 1995, pagg. 68-71