Piero Mioli

La querelle

 

Piccinni contra Gluck?
Niccolò Piccinni, barese del 1728, già allievo di Leo e Durante a Napoli, esordiente nel '54 con «Le donne dispettose» (cui fornì qualche aria Antonio Sacchini), attivo a Napoli e a Roma, era allora molto noto in Europa, almeno da quando, il 6 febbraio del '60, al Teatro delle Dame di Roma aveva dato la trionfale «Cecchinaí su testo goldoniano, caratterizzata da un'inedita comicità sentimentale. L'opera visitò Londra nel '67 e Parigi nel '71, e fu senz'altro alle origini della chiamata parigina del '74. Ma il marchese Domenico Caracciolo, ambasciatore,di Napoli a Parigi, l'amico librettista abate Galiani e la Du Barry, gelosa dei successi mondano-culturali di Maria Antonietta, in Piccinni ravvisavano soprattutto un potenziale avversario di Gluck, un gentile artofice di musica italiana tradizionale da contrapporre al fiero riformatore di quella.
Niccolò Piccinni
Il non piú giovane maestro, allettato da un contratto triennale e da un compenso di seimila lire, partì da Napoli il 6 novembre del 1776 e il 31 dicembre era a Parigi, glorioso di una produzione che annoverava ben 105 titoli (fra cui «Il Re pastore» del '60, «Demofoonte» del '61 «Antigono» del '62, «Demetrio» del '69, «Artaserse» del '72 stessi testi metastasiani di Gluck): dopo la Vittorina di Londra ('77), a Parigi rappresentò Roland (soggetto al quale appunto Gluck aveva cominciato a lavorare per poi distruggere gli abbozzi una volta informato della stessa commissione al collega) e «Phaor» nel '78, «Le fat méprisé» nel '79, «Atys» nell'80, «Iphigénie en Tauride» e «Adèle de Ponthieu» nel1'81, a Fontainebleau il probabile capolavoro «Didon» nell'83, altre otto opere serie e comiche («Hippomène» et «Atalante», postuma di dieci anni, sarebbe stata rappresentata nel 1810).
Christoph Willibald Gluck
Al suo arrivo, l'ingenuo Piccinni, preceduto da Gluck che era ritornato il 29 maggio con Marianna, fu coinvolto nella querelle che era già vivissima. Il letterato Frangois Arnaud, abate, fautore di Gluck, s'era rivolto a Padre Martini, inappellabile risolutore di nodi estetico-musicali: avuta un'equilibrata risposta, che con argomenti storici e stilistici pregiava il dramma del tedesco, la divulgò trionfalmente. Caracciolo volle mettersi in contatto anch'egli ,con il giudice massimo, ma non ottenne risposta da un maestro superiore a ogni animosità, e dovette accontentarsi dell'apologia dell'operista italiano avanzata da Jean-Frangois Marmontel nell'«Essai sur les révolutiors de la musigue» del '77, fascicolo inviato a molti intellettuali francesi e stranieri.
Il «Journal de Paris» del 3 giugno e Padre Martini, incalzato dall'Accademia Filarmonica di Bologna, rimasero superiori alle contese. L'uno scrisse: «Dichiariamo di riconoscere in Piccinni un musicista pieno di genio, di grazia, di fecondità, infine il primo compositore d'Europa, nel genere italiano. Nello stesso tempo dichiariamo di ammirare profondamente Gluck, che ci ha dato una musica veramente tragica, un'orchestra, degli attori, le sue opere basterebbero a fare del nostro Opéra il primo teatro del mondo».
L'altro giudicò Gluck piú versato nel tragico, Piccinni nel comico, secondo «il parere storici,ssimo d'un critico obbiettivo e competente» (Della Corte).
Padre Giovanni Battista Martini
Il rapporto epistolare di Caracciolo con Martini sarebbe proseguito con assurdo avvilimento della lungimiranza martiniana, ma intanto a Parigi la querelle infuriava, trapassando dalla corte alla borghesia, dal mondo della cultura a quello dello spettacolo, dalla pubblicistica letterata alla libellistica pettegola. I due protagonisti, per la verità, non si scontrarono mai umanamente, e anche musicalmente il confronto sarebbe avvenuto a distanza, con «Armide» di Gluck nel settembre del '77 e «Roland» di Piccinni nel '78, opere entrambe accolte con un favore moderato che sembrava rinnegare l'enfasi delle polemiche, inverando anzi la loro gratuita inanità.
A un pranzo conciliatorio il direttore dell'Opéra Pierre Berton dispose i due contendenti fianco a fianco, dopo aver sollecitato un abbraccio spettacolare; e Gluck, mangiando di gusto, disse al rivale, in un francese teutonico ricordato da Ginguené:

«Caro amico mio, voi siete un uomo famoso in tutt'Europa. Voi non pensate che a sostenere la vostra gloria; voi date a tutti della bella musica, e non andate oltre? Credetemi, è a guadagnar danaro che bisogna pensare qui, e non ad altro!»

Ed effettivamente, sia il tedesco che l'italiano, onusti di successi nazionali e internazionali, avevano mirato a Parigi anche per motivi economici.
Piero Mioli, «Invito all'ascolto di Gluck», Mursia, Milano, 1987, pp. 74-76.