La religione di Verdi
secondo Peppina

[pubblicato su Giornale del Popolo il 27 gennaio 2001]

Verdi fu non troppo velatamente anticlericale. I destinatari della maledizione di Amneris in «Aida» («Empia razza! Anatema! Su voi la vendetta del ciel scenderà») erano sì i sacerdoti egizi, ma il vero bersaglio era certo meno... esotico. Verdi tuttavia, nel suo intimo, nutriva rispetto per la fede privata, per la spontaneità del credente o del sacerdote missionario ed aveva anche una sua religiosità che fu il sostrato di due capolavori nell'ambito della musica sacra, il «Requiem» e i «Quattro pezzi sacri».
Giuseppina Strepponi, seconda moglie di Verdi, cercò di spiegare questa religiosità a Cesare Vigna, nel 1872: «... è una perla d'onest'uomo, capisce e sente ogni delicato, ed elevato sentimento, con tutto ciò questo brigante si permette d'essere, non dirò ateo, ma certo poco credente, e ciò con una ostinazione ed un calma da bastonarlo. Io ho un bel parlargli delle meraviglie del cielo, della terra, del mare, ecc. ecc. Mi ride in faccia e mi gela in mezzo del mio entusiasmo tutto divino col dirmi: siete matti! e sfortunatamente lo dice in buona fede».
Ancora più interessante questo brano tratta da una lettera alla contessa Clarina Maffei, scritta lo stesso anno: «Verdi s'occupa della sua grotta [frigorifero], del suo giardino. Sta benissimo ed è di umore lietissimo. Felice lui, e Dio lo faccia felice per lunghissimi anni. Vi sono delle nature virtuosissime che hanno bisogno di credere in Dio: altre, ugualmente perfette, che sono felici, non credendo a niente ed osservando solo rigorosamente ogni precetto di severa moralítà. Manzoni e Verdi!... Questi due uomini mi fanno pensare, sono per me un vero soggetto di meditazione».