Massimo Mila

Don Carlo

Un alone febbrile, pallido, sudaticcio accompagna ogni gesto, ogni voce di Don Carlo. Nel suo amore proibito per la matrigna si compendia il decadentismo psicologico dell'opera, quella difficoltà estrema, cioè, di discernere il bene dal male, che la vita si diverte a mescolare con inestricabili confusioni. Un amore macerato dalla coscienza della colpa, che sfiora l'orrore dell'incesto. Eppure quante attenuanti: oggi divenuti madre e figlio, un tempo i due giovani erano stati promessi l'uno all'altra (e il primo atto dell'edizione integrale mostra il loro incontro di fidanzati, con una premessa che e necessaria a porre la vicenda nella sua vera luce), poi le trame della politica sono intervenute a separarli e ad imporre loro quell'innaturale parentela. [...]
L'ambizione politica di Carlo, le sue velleita liberali di benefattore dei Fiamminghi hanno un fondo segreto che non ha nulla da vedere con la vita pubblica, nascono dal bisogno di allontanarsi da questa corte dove gli è divenuta intollerabile la vista di Elisabetta sposa a Filippo. Cosí tutta la maldestra prova politica di Carlo nella parte di principe ereditario liberale e riformatore, tutta la sua entusiastica ammirazione per il marchese di Posa, autentico idealista della politica, non sono che un diversivo, in cui egli trasferisce e tenta di risarcire le pene d'un amore frustrato. Di qui il carattere sottile e quasi morboso di quell'amicizia eroica, il cui tema marziale, un tantino bandistico, sentiremo affievolirsi genialmente per il sopravvenire d'un'elegiaca o funebre oscurità in due occasioni, quella del supposto tradimento di Rodrigo e quella della sua morte.