MOZART NON SI RIPETE
A lungo «Così fan tutte» è stata incompresa e sottovalutata; da un secolo si cercano scuse per quello che si osa chiamare un errore. Wagner si rallegra con Mozart, perché ha saputo fare abbastanza, malgrado la meschinità del libretto che non gli ha permesso di inventare per «Così fan tutte» una musica come quella delle «Nozze»; egli è troppo paludato, troppo profeta per comprendere un'arte che per la maggior parte è ironica. Altri censori vi vedono un tessuto, sia pur cangiante, di reminiscenze (delle suddette «Nozze» e delle parti comiche del «Don Giovanni»); senza dubbio essi vedono dallo scintillio della tecnica che qualche cosa di nuovo è stato apportato in questo campo; ma non riescono ad afferrare l'originalità della concezione. - Oh, certamente! Nel genere e sul piano delle «Nozze», «Così fan tutte» segna un regresso...
Ma il piano è mutato. Mozart non si ripete. Mozart non rifà quel che ha già fatto e che ha anche fatto bene. Mozart non copia da Mozart, non sfrutta una vena fino all'esaurimento; nel teatro meno che in ogni altro genere, di fronte a un dato soggetto. Ogni argomento nuovo è come un nuovo paese che lo fa espatriare e lo rinnova, un nuovo postulato e un nuovo problema che richiede un nuovo trattamento, un caso specifico che risponde a un nuovo stato d'animo, che può essere più o meno conforme al suo. Vi è un solo «Idomeneo», un solo «Ratto dal Serraglio», un solo «Figaro», un solo «Don Giovanni» e perciò vi è un solo «Così fan tutte». Sono capolavori bizzarri; i brani dell'uno non possono essere sostituiti con quelli dell'altro; neanche i più comuni, come le arie amorose; neanche i più indifferenti, come gli ordini dati alle servette e ai domestici. Ilia non ama come Costanza, né Costanza come la Contessa, né la Contessa come Donna Elvira. Blondina non fa intrighi come Susanna, né Susanna come Despina. Ogni personaggio ha il suo accento, ogni opera la sua atmosfera, anche quelli che sembrano rifarsi a un'estetica comune, per esempio a quella dell'opera buffa.
[...] Il «Don Giovanni» è molto diverso dal «Figaro», sia pure trasformato in personaggio tragico. Prima di tutto non vi si ride alla stessa maniera, perché qui si vive e si pensa in modo diverso. In Figaro il riso è sano e giovane, istintivo, quasi animalesco; l'idea del male non lo sfiora; incoscienza è pari a innocenza in questo paradiso fantastico e pagano. Nel «Don Giovanni» il sottinteso del dovere, sia che si compia sia che lo si affronti (e perciò anche il sottinteso del peccato che è infrazione al dovere) dà al piacere un sapore di morte, al riso l'amarezza di una coscienza sporca, all'amore un fondo di scontentezza e di gravità tragica che anche la Contessa ignora; per la sua onestà innata, ella non conosce il Dio che decide le sorti del «traditore». In Figaro si ride, si vive in un mondo felice che non conosce il significato della colpa. In Don Giovanni si ride, si vive in un mondo offeso e maledetto, che ha bisogno di riscatto. In «Così fan tutte» si ride e si vive assai diversamente.
Ricordiamo in breve l'argomento. Due giovani ufficiali, per mettere alla prova le loro belle, fingono di partire per la guerra, e invece ricompaiono travestiti. Sono irriconoscibili, ma pur sempre attraenti. Corteggiano le due fanciulle, dicono di volerle sposare, le spingono a questo passo giungendo persino a minacciarle... Finalmente ottengono il loro consenso. Si fanno riconoscere; da qui deriva la confusione delle colpevoli, poi il perdono. «Così fan tutte», del resto.
Questa morale spaventosamente scettica, avrebbe potuto offrire al librettista il canovaccio di una commedia delicata, sul genere di Shakespeare e di Marivaux. Ma Da Ponte l'ha trasformato in farsa, accentuandone il carattere teorico e l'aria di sfida. Invece di velarne l'inverosimiglianza e la sconvenienza, le ha accentuate. Questo racconto paradossale avviene tutto nello spazio di una giornata, con mezzi assurdi o esagerati, secondo la tradizione del teatro all'aperto. Vi è una assoluta simmetria: due innamorati, due innamorate, inquadrati da due «ragionatori» che hanno il compito di muovere i fili della vicenda. Due false partenze, due falsi suicidi, due false guarigioni per mezzo di cure magnetiche, per concludere due falsi contratti di matrimonio; la servetta impersonerà a volta a volta il medico e il notaio. Insomma l'opera buffa-tipo, allo stato naturale. Non v'è alcuna scappatoia per poter sfuggire verso il dramma, come nel «Don Giovanni», o verso la commedia di carattere, come nelle «Nozze». Una farsa, una grossa farsa. E disgraziatamente questa farsa si svolge dal principio alla fine basandosi sul sentimento dell'amore; i comici non hanno sulle labbra, più o meno sincere, che giuramenti, sospiri, singhiozzi, baci, dichiarazioni ardenti, insomma tutti i mezzi di cui dispone un innamorato per esprimere ciò che ha di più sacro e di più caro. Si può sopportare di mettere in farsa l'«amore»? Il cuore lo sopporterà... se pure si ha un cuore? Ecco dunque l'atroce proposta che Da Ponte fa a Mozart.
Abbiamo già ripetuto più volte che Mozart era un bambino; non gli importa a che cosa debba giocare, gli basta di giocare. In «Così fan tutte» vede un terreno splendido, un meraviglioso trampolino da cui spiccare il volo. Il materiale è vario e lo ispira: giovani e ragazze che fanno all'amore in un bel giardino gli offrono lo spunto per una gran quantità di giuochi poetici e melodici. L'azione si svolge a base di travestimenti, intrighi, sorprese, che gli suggeriscono virtuosismi contrappuntistici. I personaggi non contano; ne farà quel che vorrà; avrà in tal modo il teatro puro, la musica pura uniti alla pura finzione.
E il soggetto? Possiamo immaginare che, grazie al suo genio teatrale, che con una sola occhiata gli fa afferrare la situazione, Mozart andrà diritto al nocciolo della questione, alla molla intima della finzione.
«Qui, il soggetto stesso della finzione, è la finzione.»
Essere quello che non si è, come se lo si fosse veramente; pensare quello che non si pensa, come se lo si pensasse realmente; amare quello che non si ama, come se lo si amasse; ecco quello che il tema dell'azione pretende dai personaggi.
Avrete certo compreso che durante la corte fatta a Fiordiligi e a Dorabella, Ferrando e Guglielmo si scambiano le loro belle, ognuno di essi corteggia l'innamorata dell'altro; appunto questo è il motivo per cui i loro sforzi hanno un carattere burlesco e odioso. Quanto alle belle, sembrerebbero sincere nell'esprimere i loro sentimenti. Ma i due tentatori, il filosofo e la servetta, Don Alfonso e Despina, ne dubitano e ce ne fanno dubitare. «Vedete, ci mormorano, come queste signore esagerano? Troppa disperazione troppe lagrime! Troppa indignazione, troppa ostinazione! Ingannandosi, ci ingannano. E in fondo in fondo, che piacere è cantare il proprio dolore! Per dimostrarci la sincerità delle loro passioni, si ostinano a esagerare. Senza un attimo di riposo, esse continuano a trasformare dinanzi a noi un turbamento passeggero in un sentimento eterno. Sappiamo benissimo che finiranno per cedere, perché è nel loro carattere; anch'esse lo sanno e appunto per questo gridano tanto; vogliono illudersi, vogliono darci una buona idea della loro onestà; vogliono dimostrare che hanno resistito per un periodo ragionevole e conveniente. La parte che recitano è bella e piena di risorse - e di cautela; potranno giurare dinanzi a Dio di aver fatto tutto ciò che era in loro potere per evitare la caduta. Persino nel momento di cadere mentono, abbellendo la loro debolezza naturale e giustificandola con la pietà e la passione.»
Questa, abbiamo detto, è l'opinione di due testimoni, che parlano in nome di Da Ponte. Riescono a persuaderci? Parlano a nome di Mozart? Per chi sia l'appassionato del genere, questo materiale è una manna piovuta dal cielo inaspettata. Mozart comprende dove verrà condotto da questo intreccio?
«Così fan tutte» ha due aspetti; forse Mozart non lo sa.
Alcuni anni fa all'Opéra-Comique, assistendo a quest'opera, ero stato afferrato dalla grazia dell'arabesco, dalla volubilità del canto, dalla fantasia sottile e perfetta delle combinazioni varie è soprattutto dalla tenera freschezza del sentimento: freschezza, tenerezza inevitabile quando Mozart parla d'amore, anche se ne ride o ne soffre. Dalla trama non avevo compreso molto: un pretesto, e futile per giunta; tutto scompariva sommerso dall'onda di un piacere purissimo. Questo era avvenuto prima che il «Don Giovanni» mi fosse stato rivelato dalla bacchetta di Bruno Walter e «Figaro» da quella di Clemens Krauss; potevo ancora credere che un'opera mozartiana fosse solo uno stupendo poema musicale, commentato di quando in quando da qualche illustrazione. Ebbi più tardi, a Salisburgo, la rivelazione di Così fan tutte e ne fai letteralmente abbagliato.
Il movimento del dramma è tutto là: esso è la prova essenziale attraverso cui il dramma deve passare. Qual è il movimento di un dramma? E, nel suo movimento, resiste? Se resiste, è. Esso è infatti tal quale ce lo mostra il suo movimento. Nel caso specifico del dramma musicale, se la musica non segue il movimento, tutto è perduto. Al piccolo Teatro municipale, «Così fan tutte» era rappresentato a meraviglia, con un gusto che non sempre troviamo a Salisburgo. Era ben cantato, ma soprattutto ben recitato. Diciamo anzi recitato davvero; in Francia la buona recitazione delle opere è completamente ignorata. Ora, con questa buona recitazione, «Così fan tutte» assumeva un altro aspetto. Persino la musica mutava il suo intrinseco significato, come se una fata l'avesse sfiorata con la sua bacchetta magica.
L'antico aspetto trapelava ancora; la poesia rimaneva intatta con tutte le sue attrattive sensuali; l'intelligenza si ritrovava a suo agio fra i miracoli di combinazione che Mozart ha prodigati in quei duetti, in quei terzetti, in quei quintetti, in quei cori incantati, complessi e precisi. Ma altri elementi insoliti, preoccupanti, balzano fuori di quando in quando, come facessero capolino da una maschera in cui si tenevano nascosti. Da dove proveniva quel sogghigno continuo? Confrontando i suoni con le parole, i disegni melodici con i gesti, i movimenti della musica con quelli dell'azione e osservando un accordo esatto, preciso, al minuto secondo, saltava agli occhi una realtà mostruosa: questo capolavoro pieno di soavità e di grazia, di voluttà e di tenerezza era anche un capolavoro di ironia.
Dapprima ci si rifiuta di credervi. Si accusa il direttore d'orchestra di sottolineare le sfumature, gli attori di forzare il tono. Ma si può rimproverare all'orchestra la prodigalità di imitazioni e di trilli, di sussurri e di gorgheggi? Si può rimproverare alle voci di esser prodighe in languidezza, in amorevolezze, in fioriture? Dobbiamo ben presto renderci conto che l'atmosfera vitale in cui respirano i personaggi (e di conseguenza la stessa commedia che non può sussistere senza di essi), è formata di spirito e parodia, di scherzo e di sarcasmo, senza contare l'ironia che si insinua nei momenti più solenni. Nessun'altra interpretazione riuscirebbe a rendere vitale il canovaccio di Da Ponte; e Mozart l'ha scelta.
Come stupirsene? Scettico e libertino di carattere, il librettista scrivendo «Così fan tutte» non ha tenuto nascosto il suo proponimento. Secondo il suo solito, Mozart ha accolto il libretto così com'era e ha obbedito a Da Ponte. Appena accetta un libretto, dopo averlo fatto rimaneggiare secondo il suo senso innato e infallibile del teatro, vi si attiene, vi si immedesima e lo trasfigura senza però alterarlo. Non ne trarrà nulla che almeno non vi sia già contenuto in potenza. Vi trova la finzione e la menzogna? Ebbene, le accetta con la docilità di un bambino. «Così fanno tutte le donne!». Sì, anche Costanza. Ed eccolo, trascinato dalla passione di comporre, che va a rivangare ricordi che lo rodono, dubbi che lo feriscono; forse non esita a offendere una donna che pure adora; e mostra uno scetticismo contro cui la sua innata generosità combatte senza posa nel suo cuore. Spera forse di guarire con la parodia la sua stessa sofferenza? Spera di tenerla lontana, grazie al distacco che l'arte sa mettere tra l'oggetto da dipingere e l'oggetto dipinto? Ad ogni modo l'arte gli ordina di trattare quel soggetto, ed egli ubbidirà. - Tutti i sospetti sono ammessi.
Secondo me è più probabile che, immedesimandosi nella finzione, Mozart abbandoni la realtà; che ogni riferimento ai suoi casi personali si perda nel subcosciente; che per la gioia di creare non si accorga di infondere nell'opera qualcosa di personale: e cioè il suo amore per l'amore, la sua paura per l'amore, il suo disprezzo per l'amore e la sua sofferenza per l'amore, l'oscuro desiderio di vendicarsene con l'indifferenza e lo scherno. Tutto ciò che vi è in lui di confuso, di contraddittorio, senza dubbio già attenuato da una divina e benefica superficialità, balza fuori nella sua opera ordinato, purificato, lucido e, a quel che sembra, a sua insaputa. Perbacco! Deve pur dar vita a quei personaggi schematici che hanno soltanto le caratteristiche generali dell'uomo e della donna che amoreggiano. Questi personaggi non sono «Don Giovanni», non sono «Figaro», la cui forte personalità, appena nasceva, annientava la sua. Mozart, pur non volendolo, si riflette in essi. Perché se ne distacchi, basterà l'atmosfera, che è, come abbiamo detto, di pura finzione.
È un intreccio buffonesco, crudele, sacrilego? Non importa; ci troviamo «altrove», al di fuori di ogni plausibilità, di ogni morale, di ogni convenienza; nei giardini, fra le fontane di Hellbrunn. Non posso vedere «Così fan tutte», opera tanto soave e puerilmente erudita, senza pensare allo splendido scenario che Amadeo visitò certamente durante la sua infanzia, poiché era a poca distanza da Salisburgo. Sembra gli sia bastato raffigurarlo, per evocare quel mondo bello e ridicolo, inutile e amaro. Credo davvero che se ne sia ricordato.
H. Ghéon, «Promenades avec Mozart», Bruges, 1932; in «Mozart», Milano, s.a. ma 1958, pp. 263-268.