GENESI DI «COSÌ FAN TUTTE»
1. Claudio Casini

2. H.C. Robbins Landon

3. A. Poggi - E. Vallora

4. Marc Vignal

5. Charles Osborne

Claudio Casini
«Così tan tutte», uno dei massimi capolavori mozartiani, fu la più bella opera mancata da Salieri.
Giuseppe II l'aveva probabilmente commissionata al maestro italiano, il più alto di grado nella gerarchia musicale di corte. Salieri, se si deve credere a una testimonianza tardiva della moglie di Mozart, si mise al lavoro ma in un secondo momento lo rifiutò, considerando troppo licenzioso il soggetto dell'opera.
«Così fan tutte» venne allora girato a Mozart, con un compenso di duecento ducati, il doppio del normale compenso per un'opera, e Wolfgang accettò, anche perché non era in condizione di rifiutare, vista la sua precaria condizione economica dopo i magri risultati del 1789.
Non si hanno molte notizie sulla composizione dell'opera, neppure dal loquace Da Ponte che la cita di passaggio nelle sue «Memorie» col significativo sottotitolo di «Scuola degli amanti». Il titolo, con ogni evidenza, proviene dal primo terzetto delle «Nozze di Figaro», quando il conte scopre Cherubino acquattato nella poltrona in camera di Susanna, si con vince che la bella cameriera si fa corteggiare dal paggio e l'ipocrita don Basilio, presente alla scena, commenta:

Così fan tutte le belle! Non c'è alcuna novità.

Da Ponte e Mozart, tornati a collaborare vista la reciproca soddisfazione per le due opere precedenti, scelsero un intreccio che non aveva precedenti nei libretti settecenteschi. Questa era una novità per le consuetudini dell'epoca, in cui era normale riadoperare vecchi libretti, ricavarli da lavori teatrali altrui o addirittura plagiarli: Mozart non aveva fatto altro, in precedenza. Per questo, forse, nella prima metà dell'Ottocento si diffuse la convinzione che il soggetto di «Così fan tutte» fosse tratto da un episodio realmente accaduto. Da qui, fu breve il passo a credere che lo stesso Giuseppe II avesse suggerito lo spunto dell'opera da lui stesso commissionata.
Comunque sia, la storia se non è vera fu ben inventata, anche perché corrispondeva abbastanza a quel fondo di frivolezza che era caratteristico dell'Imperatore e che si conciliava con il suo altrettanto tipico senso dell'equità.
La vicenda, infatti, è apparentemente frivola: tutto l'Ottocento la giudicò addirittura cinica e licenziosa, a cominciare da Beethoven, e si arrivò a modificare il libretto in maniera radicale: nell'Inghilterra di fine Ottocento, ancora succuba dei pudori vittoriani, ci volle una battaglia di George Bernard Shaw perché venisse ristabilito il libretto originale.
L'intreccio è molto semplice e di un'ammirevole geometria teatrale: l'amore di due coppie di fidanzati viene messo alla prova da un cinico filosofo, il quale ottiene che due ragazze, per di più sorelle, si innamorino ognuna del fidanzato dell'altra. Ciò avviene perché a Dorabella e Fiordiligi basta che i rispettivi fidanzati, accettando in segreto la sfida del filosofo, cambino aspetto, travestendosi: esse li dimenticano e passano al nuovo amore.
La morale della favola è evidente: l'amore femminile è superficiale. Ma - e qui alla frivolezza subentra l'equità - è anche vero che Ferrando e Guglielmo (gettando i rispettivi travestimenti) sconfiggono il filosofo e perdonano alle loro fidanzate, colte in flagrante adulterio formale, vale a dire in atto di sposare gli apparentemente nuovi fidanzati; le virtù dell'amore trionfano col ricomporsi delle coppie così come erano in origine. Né il cinismo del vecchio Don Alfonso né le malizie femminili della sua complice, la servetta Despina, riescono a snaturare la passione amorosa, che ha subìto una semplice prova, vittoriosamente superata.
In altre parole, l'amore è intangibile e inattaccabile dagli assalti che vengono portati contro di esso tanto dal razionalismo filosofico quanto dai vizi mondani; e se il valore dell'amore sta più nel perdono dei maschi che nell'umana debolezza delle donne, ciò corrisponde perfettamente al maschilismo corrente all'epoca.
Ma c'è di più: questa concezione dell'amore come valore universale corrispondeva ai princìpi massonici, del resto evidenti nella prova che gli amanti devono superare: si tratta di una specie di iniziazione, grazie alla quale la spontanea umanità, magari attraverso l'errore, prevale sulle pessimistiche concezioni di stampo illuminista: erano le stesse concezioni che avevano indotto il padre di Wolfgang, in una vecchia lettera, a metterlo in guardia contro la naturale cattiveria degli uomini.
La fiducia nella natura umana era un tratto che univa, al di là dell'appartenenza o meno alla massoneria, Wolfgang e il suo Imperatore.
In «Così fan tutte» Da Ponte si rivelò eccellente sceneggiatore: l'azione vi è condotta rigorosamente, a differenza di quanto era accaduto in Don Giovanni.
Si tratta di una trama in cui le caratteristiche dell'opera comica italiana vengono sublimate in un gioco perfettamente calibrato di simmetrie, specialmente per quanto riguarda il processo psicologico per cui le due ragazze cedono alla passione nascente, prima timida e poi irrefrenabile, per i presunti nuovi corteggiatori: la più leggera e disponibile Dorabella è la prima a cedere, seguita dalla più tormentata e fiera Fiordiligi. Comicamente amara è la situazione di Ferrando e Guglielmo che, pur in diversi tempi e con illusioni presto disingannate, si trovano vicendevolmente traditi.

Quanto alla stesura in versi, Da Ponte superò se stesso, adoperando una lingua ancor più discorsiva e anti-letteraria che nelle «Nozze» e in «Don Giovanni». In tutte e due le mansioni, di sceneggiatore e di versificatore, venne probabilmente suggestionato da Mozart, dato il principio mozartiano che si può definire dell'«araba fenice», vale a dire del librettista capace di adattarsi, come Wolfgang aveva chiaramente affermato nel 1781, alle esigenze del musicista drammaturgo.

L'influsso di Mozart fu certamente decisivo nei numerosi doppisensi osceni di cui è costellato il libretto. Già in «Don Giovanni» questa libertà tipicamente settecentesca si era affacciata: Don Giovanni afferma di sentire «odor di femmina» o chiede a Zerlina:

Quel casinetto è mio: soli saremo, E là, gioiello mio, ci sposeremo

(«gioiello» aveva un significato inequivocabilmente osceno, adoperato da Diderot nel dialogo intitolato Les bijonx indiscrets, i cui interlocutori sono «gioielli» di sesso diverso). Don Giovanni si avvia con Zerlina:

Andiam, andiam mio bene A ristorar le pene

(basta pensare alla pronuncia alla tedesca di «bene»); la stessa Zerlina consola Masetto delle botte che ha preso da Don Giovanni e, «se il resto è sano», gli promette di curarlo con il rimedio che

E naturale, Non dà disgusto, E lo speziale Non lo sa far.

La servetta Despina dichiara al vecchio filosofo Don Alfonso, che cerca di allettarla dichiarandole che le vuole fare «del ben» (formula settecentesca che significava, anche in tedesco, ingravidare):

A una fanciulla
Un vecchio come lei
Non può far nulla.

Nel duetto di Dorabella e Guglielmo, tutto un equivoco è imperniato sui verbi «dare» e «prendere», il cui oggetto è, maliziosamente, il cuore, fino a quando Dorabella non dice:

Se a me tu lo dài
Che mai balza lì?

Don Alfonso afferma ironicamente, rivolgendosi al bel sesso:

Ogni giorno ve lo mostro,
Vi dò segno d'amistà
Mille volte il brando presi
per salvar il vostro onor,
Mille volte vi difesi
Colla bocca e più col cor.
Il fatto straordinario è che in «Così fan tutte» si manifestano due livelli: quello osceno e blasfemo nei riguardi dell'amore, costante nel libretto; quello sublimato nella bellezza della musica in cui Mozart stilizzò l'opera comica italiana.
I luoghi comuni musicali dello stile italiano furono rivisitati fondendo la vocalità, tanto nelle arie virtuosistiche quanto nei complessi pezzi d'insieme, con un'orchestra ridotta all'essenziale, quasi un organico da camera. Con straordinaria profondità, vi si alternano il grande strumentalismo delle ultime sinfonie e le raffinate trame delle ultime composizioni cameristiche per archi, ad esempio i quintetti, e per archi con strumenti solisti, come il Quintetto K.581 col clarinetto, che era stato composto poco prima dell'opera, nell'autunno 1789.
Tutta l'umanità di Mozart, insieme con la sua esigenza ' teatrale di comunicare un messaggio ideologico servendosi anche della bassa comicità, si rivelano nella conciliazione dei due livelli che si possono definire, senza mezzi termini, il triviale e il sublime.
Giuseppe II non assisté alle rappresentazioni di «Così fan tutte», che venne replicata tre volte, a partire dal 26 gennaio 1790. Morì infatti il 20 febbraio, reduce dalla guerra contro gli Ottomani cui si allude più volte nel libretto dell'opera. I teatri furono chiusi. Col successore di Giuseppe II, suo fratello Leopoldo II, fino a quel momento granduca di Toscana, molte cose erano destinate a cambiare.
La guerra che l'Impero aveva condotto contro gli Ottomani si era temporaneamente conclusa con la presa di Belgrado, ma l'Impero si trovava in stato di inferiorità col potente alleato, la Russia. In sostanza, la politica estera di Giuseppe II si era rivelata fallimentare proprio per il desiderio di spezzare la vecchia alleanza russo-prussiana che, dai tempi di Federico II e delle sue guerre contro Maria Teresa, era stata lo spauracchio della corte di Vienna.
Non meglio andavano le cose in politica interna, dato che il riformismo «giuseppino» aveva finito per travalicare lo scopo di creare uno Stato accentrato, moderno e potente, scontentando non soltanto l'aristocrazia austriaca ma anche e soprattutto quella delle etnìe annesse all'Impero, l'Ungheria e la Boemia; soltanto la borghesia era stata resa più prospera dalle riforme, ma non in tutto l'Impero.
Per converso, si rivelavano sacche di feroce povertà - ad esempio nel gruppo di antropofagi scoperti in una zona dell'Ungheria - e serpeggiavano ribellioni in cui i ceti inferiori si erano uniti allo scontento dell'aristocrazia, generando vere e proprie rivolte, come la jacquerie della Valacchia, sanguinosamente repressa con pubblici e orribili supplizi, nonostante la formale abolizione della tortura e la limitazione della pena di morte. L'inquietudine percorreva tutto l'Impero, dai territori fiamminghi in rivolta alla stessa Vienna in cui si manifestava perfino l'antisemitismo, a dispetto delle uguaglianze civili e religiose sancite dai nuovi ordinamenti.
Giuseppe II aveva dovuto recedere da molti provvedimenti progressisti, sollevando il malcontento di coloro che avevano favorito la sua iniziale azione riformatrice, e morì nel timore di aver fallito la propria politica. Toccò a Leopoldo II tirare le fila di una situazione confusa: anch'egli progressista nel governo della piccola Toscana, fu però costretto a stringere i freni nell'immenso territorio imperiale percorso da contrasti di tutti i generi, etnici, religiosi, sociali.
Con l'esperto aiuto del vecchio cancelliere Kaunitz, in carica dai tempi di Maria Teresa, Leopoldo II si ritirò dalle iniziative di politica estera, riconsegnando Belgrado conquistata, e si mantenne in equilibrio fra le contraddittorie tensioni interne cercando da un lato di salvare quanto poteva delle riforme «giuseppine», anche tenuto conto dell'incalzare degli eventi rivoluzionari in Francia, e d'altro lato di ricomporre le contese; soprattutto tentò di concedere nuovamente all'aristocrazia qualcosa dei vecchi privilegi.
Il suo fu un regno breve (morì il 1° marzo 1792, due anni quasi esatti dopo Giuseppe II), ma non fu un regno facile. La sua politica di equilibrio venne seguita dalla svolta conservatrice del successore, Francesco II.
A corte, Leopoldo II aveva dato segni di notevole cambiamento, allontanando alcuni dei personaggi che avevano rappresentato l'aspetto più lassista dell'epoca «giuseppina». Nel microcosmo della gerarchia musicale di corte cadde la testa di Antonio Salieri che, abilmente, si ritirò dalla carica di direttore del teatro e mantenne soltanto quella di Kapellmeister. Da Ponte, stando alle «Memorie», fu costretto a lasciare Vienna in gran fretta.
Mozart non venne toccato. Si dice che la sua carica di «compositore di camera» fosse così infima da farlo dimenticare. Ma è difficile pensare che Leopoldo II potesse dimenticare Mozart: uno dei suoi ricordi giovanili era certamente l'annunzio, ricevuto in teatro nell'autunno 1762, che un ragazzo prodigio stava arrivando a Vienna; un altro ricordo era quello di suo padre, l'imperatore Francesco, estasiato dai giochi di destrezza di Mozart sulla tastiera, suonata con un solo dito e poi con un panno sopra. E ancora: il piccolo Mozart che baciava Maria Teresa, che era caduto lungo disteso per terra nell'appartamento degli arciduchini ed era stato rialzato da Maria Antonietta; poi giovanetto, in Italia, con l'antipatico padre Leopold che cercava un'assunzione a Firenze, mentre Maria Teresa, forse insospettita dalle frequentazioni massoniche dei due musicisti, avvertiva il figlio granduca di non mettersi intorno, alla corte granducale, personaggi girovaghi e oberati di famiglia come i Mozart.
I fratelli Asburgo avevano una buona dose di bizzarria, e Leopoldo II, come un tempo Giuseppe II, forse apprezzava in Wolfgang Amadens il fatto che non era un cortigiano e un opportunista, al di là di quanto non fosse d'obbligo per ricevere qualche legittimo favore. E lo lasciò al suo posto, anche se sapeva benissimo che apparteneva all'ala massonica più radicale, contro la quale occorreva intervenire.
Claudio Casini, «Amadeus. Vita di Mozart», Milano, Rusconi, 1990, pp. 220-227.
H. C. Robbins Landon
Si è sempre ritenuto per certo che fu Giuseppe II a commissionare a Da Ponte e Mozart «Così fan tutte», e c'è un fatto curioso ed interessante, riguardo l'onorario dell'autore, che sembra suggerire un intervento diretto dell'Imperatore: il 29 dicembre, o giù di lì, Mozart scrisse a Michael Puchberg quanto segue: «...il prossimo mese riceverò dalla direzione (secondo l'attuale accordo) 200 ducati per la mia opera. 200 ducati equivalevano a 900 fiorini, il doppio del normale onorario corrisposto dal Teatro di Corte per una nuova opera a quei tempi. Inoltre Zinzendorf, per la prima volta nella critica dell'opera di Mozart, trovò che «la musica è affascinante e l'argomento abbastanza divertente».
Nel racconto tradizionale della nascita dell'opera ci viene riferito quanto segue (in alcune versioni la vicenda ha luogo in Istria, sulla costa adriatica; in altre a Vienna). Pare che nel 1788, poco dopo lo scoppio della guerra contro l'Impero Ottomano, si sia tenuto alla Redoutensaal, come ogni anno, un ballo in maschera. Due gentiluomini della Corte avrebbero dovuto accompagnarvi le rispettive dame, ma si scusarono dicendo che all'ultimo momento erano stati richiamati dal Ministero imperiale della guerra e che dovevano partire per combattere contro i Turchi. I due, in realtà, non partirono affatto, ma si travestirono e, con l'aiuto di un amico, si fecero presentare alle loro dame, ma ciascuno a quella dell'altro. Il tentativo di seduzione, apparso facile fin dal primo momento, ebbe immediato successo.
Giuseppe II, tornato dalla guerra ottomana nell'autunno del 1789, si ricordò di questo episodio, che ovviamente stuzzicava il suo atteggiamento quantomeno ambivalente, per non dire negativo, nei confronti delle donne in genere; la vicenda, è chiaro, è alla base di «Così fan tutte». Non esiste comunque alcuna prova che questa storia (che in ogni caso è troppo perfetta per essere vera) sia accaduta nel corso del diciottesimo secolo: il primo riferimento ad un fatto simile realmente accaduto è datato 1837. Forse un giorno verranno alla luce nuove prove in questa direzione.
Il titolo dell'opera ha una storia particolare. Le parole «Così fan tutte» sono tratte da «Le nozze di Figaro», Atto I, n. 7, Terzetto fra Susanna, Don Basilio e il Conte, che comincia con le parole «Cosa sento!». Cherubino ha inteso per caso il Conte fare delle «avances» a Susanna, ed il Conte affida a Cherubino il compito di sedurre la popolana Barbarina. Don Basilio, cinico dai modi sofisticati, canta «Così fan tutte le belle, non c'è alcuna novità». Non solo nelle parole è contenuto il titolo dell'opera, ma nella frase successiva, in cui Don Basilio ripete le parole, c'è il passo ondeggiante di crome che diverrà parte dell'ouverture di «Così fan tutte» (nel Presto dopo l'introduzione lenta) [esempio musuicale omesso].
La citazione è così sofisticata che solo musicisti molto esperti potrebbero rilevarla; ma forse Mozart fu così audace da farla notare al suo Imperatore, per nulla digiuno in fatto di musica, ed ormai molto ammalato. A metà di aprile del 1789 mancò poco che Giuseppe morisse; ma si riprese, sia pur afflitto da una continua tosse. I polmoni erano compromessi, e sin dal momento in cui era tornato dalla guerra, nel novembre, era stato chiaro che non gli restava molto da vivere. Mozart e Da Ponte sapevano bene cosa ne sarebbe stato della loro opera se l'Imperatore fosse morto prima che fosse portata in scena, e si può presumere che lavorarono di gran fretta, il che significa, come abbiamo già visto, più in fretta di chiunque altro. Alla fine di dicembre erano in corso le prime prove vocali. Il 30 dicembre Haydn lasciò Eszterháza alla volta di Vienna, e, quello stesso giorno, Mozart scrisse a Michael Puchberg: «Domani sera l'appuntamento a casa mia non si terrà. Ho troppo lavoro - se vedi Zisler comunque, diglielo. In ogni caso Giovedì [31 dicembre] sei invitato (ma tu solo) a venire alle 10 del mattino da me, per una piccola prova dell'opera - solo tu e Haydn siete invitati. Ti racconterò poi a viva voce tutti gli intrighi di Salieri, che comunque non hanno sortito effetto... »
Poche settimane dopo, il 20 gennaio 1790, Mozart scrisse nuovamente a Puchberg:«Domani si terrà la prima prova orchestrale in teatro. Haydn verrà con me - se i tuoi impegni te lo permettono, e se per caso ti facesse piacere assistere alla prova, devi avere solamente la compiacenza di venire da me domattina alle 10, e vi andremo tutti assieme... » È probabile che Haydn avesse ascoltato ognuna delle tre esecuzioni che ebbero luogo il 26, 28 e 30 gennaio, prima di ritornare in Ungheria.
Il 20 febbraio Giuseppe II morì. Le repliche furono perciò sospese finché non fu trascorso il periodo ufficiale di lutto; altre sei repliche ebbero poi luogo a giugno, luglio e agosto.
H.C. Robbins Landon, «Mozart. Gli anni d'oro 1781-1791», Milano, Garzanti, 1989, pp. 174-175 .
Amedeo Poggi - Edgar Vallora
In seguito alla ripresa viennese delle «Nozze di Figaro» K 492 (29 agosto I789), l'Imperatore Giuseppe II gratificò Mozart con un triplice dono: l'incarico per una nuova Opera (verosimilmente finalizzata al Carnevale 1790), duecento ducati di compenso (vero ossigeno di un'estate oppressa dai debiti finanziari) e perfino l'idea del soggetto, un elementare intreccio di conquiste e di inganni, ispirato - così pareva - a un fatterello di cronaca accaduto negli ambienti della nobiltà viennese o veneta (se pure un simile schema già compaia nel «Decamerone»).
Era l'agosto 1789. Concertato il libretto con l'abate Lorenzo da Ponte (alla terza grande prova mozartiana, dopo le «Nozze di Figaro» e il «Don Giovanni») e terminato il Quintetto K 581, Mozart si concentrò sulla nuova partitura e in sua compagnia trascorse l'autunno e l'inverno. Dal canto suo il poeta da Ponte, abile «rielaboratore» di idee altrui, non potendo trovare conforto nella guida di un Beaumarchais o di un Bertati, ricorse ai luoghi comuni dell'opera buffa, sperimentati da anni, e creò un testo apparentemente non ambizioso ma sottilmente congegnato: nacque una trama molto lineare (che in effetti si differenziava dalla tradizione per l'assenza degli episodi secondari in genere concepiti per addensare la vicenda), un «telaio di ideale essenzialità» (Bertocchi) incentrato ancora una volta sul tema d'amore. Superato l'amore «giusto» delle «Nozze» e la passione «demoniaca» del «Don Giovanni», i due autori giocarono attorno a un nuovo tipo di sentimento nel quale non campeggiavano « né dèi né demoni » (Dal Fabbro): moderna conclusione - nella sua atemporale tradizionalità - di quello che Paumgartuer ha chiamato il «meraviglioso trittico d'amore» mozartiano.
Sei personaggi: due uomini, due donne, e un asse centrale di due figure simmetriche che fungono da motore dell'intreccio «combinatorio», il vecchio scettico Alfonso e Despina, cinica servetta padrona.
Il libretto - vittima degli strali ottocenteschi - dovette evidentemente appagare l'istinto architettonico di Mozart Da un lato lo schematismo della trama (antitetica rispetto alla frondosa vicenda delle «Nozze») permise a Mozart di considerare i personaggi come figure teatrali allo stato puro e trattare le voci come astrazioni musicali, senza gravami drammatici o psicologici; dall'altro la mancata (o debole) caratterizzazione dei personaggi lasciò che l'impegno dell'autore si polarizzasse sull'affascinante varietà di raggruppamenti e di combinazioni (dai duetti ai sestetti) e sullo sfruttamento astratto di situazioni.
Mozart terminò la partitura entro la fine del 1789: un suo «biglietto» regala infatti la notizia della prima prova avvenuta a casa Mozart nella giornata del 3I dicembre 1789. Il 21 gennaio 1790 si tenne la prova generale in teatro; il 26 gennaio infine i quattro amanti e i due «registi dell'inganno» affrontarono - con discreto successo - il palcoscenico dell'Hofburgtheater. Fra gli interpreti che ravvivarono la «prima» (e che furono graditi a Mozart) si ricordano il comico Benucci (che in precedenza aveva indossato i panni di Figaro e di Leporello) e i coniugi Bussani trasformatisi per l'occasione in Despina e in Don Alfonso.
La morte di Giuseppe II venne malauguratamente a frapporsi alle recite ancor prima che il successo dell'Opera si fosse consolidato; così, dopo l'interruzione a febbraio, il «Così fan tutte» venne presentato solamente una decina di volte, fra il giugno e l'agosto 1790. Vienna era ormai conquistata dalle «Zauberopere» - magiche costruzioni attorno a temi fiabeschi - per cui l'anacronistica storia di pubblici tradimenti e private menzogne doveva lasciare gli spettatori scettici e distaccati; dopo la carica umana delle ultime due opere, evidentemente suonava riduttivo il ritorno a forme teatrali superate, senza afferrare la forza coraggiosa di chi era riuscito a ravvivare le logore strutture dell'antica commedia musicale in un'irripetibile «opera buffa». In una rabbiosa volontà di salvataggio nacque allora la determinazione di trasformare il testo, senza tener conto che si sarebbe irreversibilmente incrinata la cristallina perfezione di un meccanismo a orologeria.
Amedeo Poggi - Edgar Vallora, Mozart. Signori, il catalogo è questo, Torino, Einaudi, 1991, pp. 656-657.
Marc Vignal
Sur le plan de la création, les deux périodes précédant et suivant «Così fan tutte» furent très peu productives. Comme œuvres majeures, il n'y eut, entre le retour de Berlin au début de juin 1789 et la fin de l'année, qu'un Quatuor à cordes (K. 575), une Sonate pour piano (K. 576) et le Quintette avec clarinette (K. 581): mais ces mois virent aussi la genèse de «Così». Plus tragique encore apparaît l'année 1790, où après «Così» ne furent menés à bien que deux Quatuors à cordes, en mai (K. 589) et en juin (K. 590) respectivement, et un Quintette à cordes (K. 593) en décembre. Ce à quoi il faut ajouter d'une part que parmi ces rares œuvres, deux au moins (K. 589 et K. 590) causèrent à Mozart de grandes difficultés, et d'autre part que l'on compte durant cette période un nombre élevé de projets avortés. Tout cela fait de «Così fan tutte» un ouvrage-pivot, à la fois par sa position dans le temps, où il apparaît comme une sorte de massif plus ou moins isolé, et par ses liens avec les partitions qui l'entourent (pas seulement avec le Quintette K. 581). Mozart et Da Ponte avaient l'un et l'autre besoin d'un succès à Vienne, et «Così fan tutte» est l'ultime ouvrage du compositeur expressément conçu pour plaire aux milieux de la cour. En même temps, «Così» ouvre la porte au dernier Mozart.
Marc Vignal, «Sources, composition et créateurs», in «Così fan tutte», Avant-Scène Opéra, mai-juin 1990, nº 131-132, p. 11-12.
Charles Osborne
Quando Mozart e Constanze furono di nuovo a Vienna alla metà di novembre del 1787, dopo la première praghese del «Don Giovanni», essi appresero che il decano dei compositori allora viventi, Gluck, era morto più o meno da un giorno. Probabilmente Mozart partecipò ai funerali. Tre settimane dopo l'imperatore lo nominò alla successione di Gluck come compositore della Regia Imperial Corte, con lo stipendio di ottocento fiorini austriaci all'anno, il che era pressappoco il doppio della somma che normalmente riceveva per comporre un'opera per i teatri imperiali. Non c'erano obblighi espliciti, ma gli si chiedeva di scrivere ogni anno della musica per i balli di corte. Infatti durante i sei anni di vita che gli restarono, egli compose trentasei minuetti e più di trenta danze tedesche per queste occasioni.
In dicembre i Mozart cambiarono nuovamente abitazione e questa volta si trasferirono in un appartamento in Tuchlauben, una strada nella Innere Stadt, e qui Constanze il 27 dicembre dette alla luce una figlia, Therese, che morì sei mesi più tardi di spasmi intestinali. Nel maggio del 1788, il «Don Giovanni» fu messo in scena a Vienna, dopo che nell'aprile Mozart aveva composto per l'opera tre pezzi nuovi. Malgrado il posto a corte, per Mozart era ancora estremamente difficile vivere dei propri guadagni.
Non potendo continuare a pagare l'affitto dell'appartamento, in giugno lui e Constanze traslocarono di nuovo, questa volta fuori delle mura cittadine in Wahringerstrasse. Fu in questo posto che, nell'arco di poche settimane tra la metà di giugno ed i primi di agosto, Mozart prodigiosamente compose le sue ultime tre e senz'altro più grandi sinfonie: quelle in mi bomolle maggiore (K. 543), in sol minore (K. 550) e in do maggiore (la Jupiter, K. 551).
Allo stesso tempo era costretto a scrivere al compagno massone Michael Puchberg delle lettere in cui invocava aiuto economico. Trascorse il resto dell'anno componendo e dando concerti, ma le apparizioni in concerto di Mozart non andavano più di moda e la situazione finanziaria andò continuamente peggiorando. Agli inizi del 1789 la famiglia si trasferì nuovamente nel cuore della città e prese alloggio nella Judenplatz.
Quando il principe Karl Lichnowsky, massone ed appartenente alla stessa loggia di Mozart, invitò il compositore ad accompagnarlo in una visita alla corte di Federico Guglielmo II di Prussia, Mozart accettò con entusiasmo. Il 7 aprile essi si misero in viaggio alla volta di Berlino e Potsdam, via Praga, Dresda e Lipsia. A Praga e Dresda Mozart riallacciò i contat ti con i vecchi amici e a Dresda dette un concerto nel suo albergo a cui parteciparono molti suoi colleghi musicisti austriaci. Per l'Elettore di Sassonia, egli eseguì il recente concerto per pianoforte in re maggiore K. 537 e fu ricompensato con una tabacchiera e con cento ducati. A Lipsia suonò all'organo di S. Tommaso, la vecchia chiesa di Bach, alla presenza di un allievo di Bach. Un testimone riferisce che Mozart suonò splendidamente per circa un'ora e che l'allievo di Bach era incantato e si immaginò che il suo vecchio maestro fosse risuscitato.
A Berlino, dopo aver suonato davanti alla regina Federica, Mozart ricevette dal re la commissione di comporre sei quartetti per archi e sei sonate per pianoforte per la giovane principessa Federica Carlotta. Durante tutto il viaggio, egli scrisse a Constanze lettere amorose e scherzosamente erotiche.
Il 4 giugno era di nuovo a Vienna. Di lì a poche settimane dovette di nuovo rivolgersi a Puchberg per un altro prestito, sebbene non avesse potuto restituire il denaro avuto precedentemente. Constanze non stava bene ed era andata a fare una cura a Baden, a circa diciassette miglia a sud di Vienna, dove Mozart andò di frequente a trovarla. Dopo diverse commissioni minori ed altri piccoli impegni, nell'ottobre finalmente Mozart ricevette un'altra commissione per un'opera.
Questa nuova richiesta da parte dell'imperatore Giuseppe II probabilmente scaturì dalla ripresa delle «Nozze di Figaro» che si ebbe nell'estate al Burgtheater, in cui Susanna fu cantata da Adriana Ferrarese del Bene, per la quale Mozart compose due arie nuove. Per l'opera, Da Ponte fu di nuovo invitato a fornire un libretto e questa volta egli ne compose uno del tutto originale, anche se può darsi che si sia ispirato ad un fatto vero che si dice avesse divertito, non molto tempo prima, il bel mondo viennese.
Forse un indizio può essere il fatto che il libretto di Da Ponte parla di due sorelle ferraresi che vengono indotte ad una apparente infedeltà dai loro amanti travestiti e che questi ruoli alla première furono eseguiti da delle cantanti che erano ritenute due sorelle di Ferrara, una delle quali, Adriana Ferrarese del Bene, era nota come amante di Da Ponte. Mozart deve aver dato il suo consenso a che 'La Ferrarese' cantasse il ruolo primario di Fiordiligi, sebbene non ne avesse una grande opinione come cantante. («La prima cantante, Madame Allegranti, è molto migliore di Madame Ferrarese, il che, ammetto, non vuol dire molto», aveva scritto a Constanze di una cantante che sentì a Dresda). La cantante che fu Dorabella alla première, Louise Villeneuve, non era a quanto pare sorella vera della Ferrarese.
Per tutto l'autunno e l'inizio dell'inverno Mozart lavorò a «Così fan tutte»; durante questo periodo, il 17 novembre 1789 nacque una quinta figlia, Anna Maria, che morì di spasmi appena un'ora dopo. L'ultimo giorno dell'anno, l'opera era abbastanza a buon punto, tanto che Mozart ne fece una breve prova a cui invitò Michael Puchberg e Haydn. La prima prova con l'orchestra si tenne il 21 gennaio 1790 e di nuovo furono invitati Haydn e Puchberg: Mozart colse l'occasione per ottenere da quest'ultimo altro denaro in prestito.
La prima rappresentazione di «Così fan tutte» fu data al Burgtheater il 26 gennaio. La locandina del Burgtheater descriveva la nuova opera un Singspiel comico in due atti e dava come sottotitolo «La scuola degli amanti». Fu accolta con entusiasmo, anche dal conte Zinzendorf («La musica di Mozart è incantevole e l'argomento piuttosto divertente»); tra gennaio ed agosto se ne dettero dieci repliche e ce ne sarebbero state indubbiamente altre, se la corte non si fosse messa a lutto per la morte dell'imperatore Giuseppe, che morì circa un mese dopo la prima. Gli successe il fratello Leopold.
Con nostro grande disappunto, Da Ponte nelle sue Memorie praticamente non parla di «Così fan tutte». In una mezza frase accenna all'opera (con il sottotitolo «La Scuola degli amanti») come ad «un'opera che tiene il terzo posto tra le tre sorelle nate da quel celeberrimo padre dell'armonia» (cioè Mozart). Ne accenna solo perché aveva scritto il ruolo primario per farlo cantare alla sua amante, Adriana Ferrarese del Bene, anche se stranamente evita di citarne il nome.
Il libretto di Da Ponte è un lavoro originale, ma solo da poco è venuto alla luce che il librettista, dopo aver saccheggiato il commediografo spagnolo Tirso de Molina per il «Don Giovanni», sembra che lo abbia fatto ancora, perché almeno un paio di particolari della trama di «Così fan tutte» devono qualcosa a certi eventi di due commedie di Tirso: «El amor medico» (titolo che Molière riprese per il suo «L'Amour médecin») e «La celosa de si misma». Si è parlato anche di somiglianza della trama di Da Ponte con una vicenda dell' «Orlando Furioso» dell'Ariosto ed è stato anche prospettato che una derivazione ancora più remota sia il racconto di Cefalo e Procris nelle «Metamorfosi» di Ovidio. In verità, non c'è niente di nuovo sotto il sole. In ogni caso, fino all'Ottocento nessuno pretendeva che le trame fossero del tutto nuove. Originale o no, il libretto di Da Ponte è accurato e divertente. Solo chi vi si accosta aspettandosi una profonda dissertazione sulla natura dell'amore e della fedeltà, lo troverà probabilmente molto deludente.
Charles Osborne, «Guida alle opoere di Mozart», Firenze, Sansoni, 1982, pp.353-357.