Quirino Principe 

ARABELLA

 

 

Capitolo tratto dal volume

Quirino Principe

RICHARD STRAUSS

Milano, Rusconi, 1989.

[pp. 838-840 e 853-855]

 

Nella tarda primavera e al principio dell'estate [del 1929], nulla di nuovo; piuttosto, molte letture, i volumi dell'opera omnia di Goethe percorsi con lenta attenzione. Anche il lavoro per una nuova opera teatrale, in collaborazione con il poeta divenuto, malgrado le dissonanze di temperamento, il suo librettista iuxta naturam.
Nel 1910, Hofmannsthal aveva scritto un lungo racconto, Lucidor, in cui si narra di una vedova russo-polacca di buona famiglia ma impoverita, la signora von Murska, con due figlie, Arabella e Lucilla. Per bizzarria, ma anche per risparmiare sulle spese di vestiario, la madre obbliga Lucilla a indossare abiti maschili e la fa passare per un giovanotto, con il nome di Lucidor. Già nel 1923, Hofmannsthal pensò di trasformare il racconto in una commedia in 3 atti, dal titolo «Fiaker als Graf» («Il cocchiere in veste di conte»), ricalcato su «Der Burger als Edelmann»: Lucilla - Lucidor divenne Zdenka - Zdenko, l'ambiente familiare fu quello di un nobile viennese spiantato e ormai scivolato nel demi-monde, il conte Waldner.
Il poeta passò la prima metà del 1928 a scrivere il testo, e il 2 maggio gli inviò il I atto. Il titolo era già mutato in «Arabella»: Strauss era ormai orientato a dare nelle sue opere il primato alla femminilità, pensando a grandi voci di soprano come la Jeritza o la Ursuleac, moglie di Krauss, mentre la commedia così come l'aveva concepita Hofmannsthal faceva di Mandryka, l'innamorato di Arabella, il vero centro drammatico. A Strauss il testo piacque molto, ma qualche giorno di riflessione gli bastò per accorgersi che il personaggio di Arabella non aveva il rilievo da lui desiderato. Seguirono, per lettera, interminabili discussioni, lunghissime lettere in cui Strauss ripropose nei dettagli più minuziosi molti ritocchi alla sceneggiatura del I e degli altri due atti che lesse nella seconda metà del 1928. Hofmannsthal, con ammirevole pazienza, ubbidì e si dedicò a rielaborazioni da certosino. Quando tutto pareva correre liscio, Strauss risollevò obiezioni sul I atto al principio del 1928.
Hofmannsthal fu sull'orlo della disperazione; si rimise al lavoro, diede il massimo rilievo possibile alla protagonista, e il 10 luglio 1929 mandò finalmente a Strauss il I atto in veste definitiva: «Ho fatto tutto quel che potevo, e del resto nella mia ultima e più lunga lettera [2 luglio] Le ho descritto i miei sforzi». Era stato paziente, ma a quel punto non ne poteva più. Né lui né Strauss prevedevano, in quegli ultimi giorni prima della doppia tragedia, che non ci sarebbero state altre lettere.
La posta recapitò a Strauss la lettera e il manoscritto di Hofmannsthal il 13 luglio. Egli rispose il 14 con un telegramma: «Il I atto perfetto. Grazie di cuore e auguri. Il Suo fedele e devoto Richard Strauss.» Il telegramma non fu mai aperto da Hofmannsthal, e neppure letto, poiché giunse a Rodaun il giorno 15, poco prima che da casa Hofmannsthal partisse un corteo funebre. Il 13, Franz von Hofmannsthal, primogenito di Hugo e di Gerty, venticinquenne, durante l'imperversare di un temporale si era ritirato in una mansarda e senza alcuna ragione intuibile si era ucciso con un colpo di pistola.*
Il 14, Hofmannsthal scrisse a Burckhardt: «Mio buon amico, spero vivamente che Ella stia bene. Ieri pomeriggio una grande sciagura si è abbattuta sulla casa di Rodaun. Durante un violento e cupo temporale il mio povero Franz si è tolto la vita con un colpo alla tempia. La causa di questo grave fatto sta in una profondità infinita: negli abissi del carattere e del destino», E il giorno dopo, a Beer-Hofmann, ringraziandolo per il biglietto di condoglianze, annunciò che lui e Gerty se ne sarebbero andati da quella casa per un paio di giorni, e concluse brevemente: «Man muss alles verstehen», tutto dobbiamo capire. Ma non lasciò Rodaun, e quel breve biglietto fu in assoluto l'ultima cosa che scrisse. Poco dopo averlo chiuso in busta, e poco prima di avviarsi al funerale di Franz, fu colto da emorragia cerebrale. Morì subito.
Kessler annotò sul diario il 18 luglio, alludendo al poco simpatico pranzo del 14 giugno 1928 con Strauss «unpolitisch»: «Ho visto Hugo per l'ultima volta in quella colazione spenta e poco felice del giugno di un anno fa, quando Richard Strauss disse tali sciocchezze da indurre poco dopo Hofmannsthal a scusarsi con me per lettera». Un'ombra di colpevolizzazione: un sentimento, ingiusto perché immotivato, che può diventare odioso. Qualcuno muore, ed è già una pena sufficiente, ma c'è sempre chi la aggrava, lasciando intendere, con le proprie maniere inasprite, che egli accusa tutti gli altri, rei di essere vivi. Non era il caso d'infierire sul povero Strauss, travagliato in quel periodo da una seria malattia ai reni che durava da due anni: già nel 1928 era andato a curarsi a Karlsbad. Eppure, a simbolica conferma dell'accusa, Hofmannsthal era morto su «Arabella».
Strauss non se la sentiva di por mano a una musica che Hugo non avrebbe mai udito: occorreva brio, esprit, e quelle pagine manoscritte lo agghiacciavano. Trascorse tempo prima che il gelo s'incrinasse, e la composizione andò molto a rilento, spingendo il compimento dell'opera in un'altra fase della storia europea, in un eone cui neppure il nome di Hofmannsthal apparteneva più.
Amaro l'autunno, cupo l'inverno. Richard, malato e triste, per la prima volta capì a fondo quanto aveva amato Hugo. Il sentimento era misto, anche vittimistico: egli non aveva più un librettista. [...]
Il vecchio Strauss sembra mosso dalla volontà di riepilogare e catalogare gli strumenti del mestiere in piccole schede, e di rimescolare le carte, come la Kartenaufschlägerin di «Arabella». Temi e motivi vengono levigati e frantumati, piegati e curvati, e si agganciano tentando di somigliarsi. Nel gioco di opposizioni tra elementi affini, appaiono, come già in «Die Frau ohne Schatten», brevi serie di suoni: l'armonia collabora a questo lavorìo, e i lavori in corso favoriscono la sua instabilità nella fase del riordinare: «Arabella» è il terreno su cui è attivata l'operazione di mascheramento. Nei lavori successivi, l'ispirazione melodica si presta sempre più a questa tendenza, mentre l'armonia viene ridisegnata in grandi, nitidi blocchi.
L'idea del mascheramento, e della metamorfosi che conduce allo smascheramento, domina il lavoro straussiano dagli anni Trenta alla sua fine. In Arabella una verità travestita, Zdenka - Zdenko, complica il gioco delle coppie, tra scomposizioni e ricomposizioni che ricordano il gioco dello Skat. In «Die schweigsame Frau», lo smascheramento collettivo ha un effetto di rimbalzo: Morosus, occultato nella misoginia, fragile schermo alle sue vere passioni, si rivela e perde carattere e rilievo. «Daphne» è la metamorfosi per eccellenza, «Die Liebe der Danae» è un doppio travestimento che, cadendo, lascia sul terreno aspre verità cui è difficile ma sublime ubbidire. In «Capriccio», sembra che non vi siano maschere soltanto perché alla più squisita femminilità la maschera non cade, né mai potrà cadere.
Nelle ultime composizioni da camera o per piccola orchestra avviene addirittura uno sdoppiamento di persona: nel Novecento musicale, nessuno, se non forse Schonberg e Stravinskij ma con assai minore accentuazione del contrasto, può essere paragonato nella fase conclusiva del proprio lavoro all'ultimo Strauss che si dirige verso approdi diversi e contemporanei, la trasparente stabilità del Secondo concerto per corno e delle due «Sonatinen», la decomposizione e la riduzione ai minimi termini in «Metamorplosen», l'aggregazione mercuriale di piccole cellule candide e chimicamente pure nel «Duett-Concertino».
In Arabella op. 79, la cartomante appare subito in scena, e la sua presenza nell'opera è un segnale che dichiara la primarietà dello schema descritto: carte coperte, poi scoperte, subito ricoperte. Costruendo il congegno, il compositore smussa e spiana la linea, affidando la diversa personalità delle idee musicali non al disegno, che tende all'assimilazione o addirittura alla fusione, ma alla prosodia, agli accenti e a impercettibili differenze ritmiche. Il più forte criterio distintivo è il timbro.
Diamo uno sguardo alla prima scena, con la porta a battenti («Flügeltur») nel mezzo, dimesso simbolo del continuo gioco di apri-chiudi-riapri in cui la chiusura è la condizione normale, prolungata indefinitamente se non irrompe un imprevisto, e l'apertura un attimo fuggevole. Osserviamo come i motivi siano di tale fattura da non tematizzarsi mai o molto di rado, è difficile, in quest'opera (già in «Die Frau ohne Schatten» e in «Interrnezzo»), parlare di autentici temi.
La partitura di «Arabella» è aperta dal motivo che allude alle carte da gioco: velocissime scale discendenti di biscrome, tracciate dai flauti. Sono scale cromatiche che cadono a volo quasi glissando (btt. 1-3). Ad esse si contrappone, nelle medesime battute, il clarinetto basso in si bemolle, con il motivo che caratterizza la contessa Adelaide von Waldner: una linea a saliscendi che sembra davvero contrastare le scale discendenti nella sua prima metà, mentre nella seconda procede ad esse parallelo, fondendosi con il moto d'insieme e spiccando soltanto per la sonorità inconfondibile.
Nel successivo discorso di Adelaide, fiduciosa che la figlia maggiore possa divenire la salvezza della famiglia mediante un ricco matrimonio, emerge dall'orchestra il motivo legato alla personalità di Arabella, esposto dai primi violini inizialmente soli e poi associati all'ottava con il primo flauto (n. 5, btt. 7-10). Il motivo è un'agile sequenza di sedicesimi e sale con balzi a gradini, con slanci sempre più ampi, risultando un disegno plastico con rilievi di spicco; ma le sue apparizioni coincidono sempre con gli accenti deboli del canto («Um Gottes willen...») o cadono in pause del canto, sicché lo sentiamo inafferrabile ed elusivo.
Un vero e proprio tema è la melodia del duetto Arabella-Zdenka nel I atto, «Aber der Richtige» (n. 59, btt. 1-13; n. 60, btt. 1-10). Nella sua linea si nasconde (n. 59, btt. 2-3) una traccia riconoscibile della «Gesprungenlinie», e nella stessa tonalità della fonte che è nel Lied «Begegnung», fa maggiore, con bicordi vuoti negli ultimi due termini. Com'è noto, Strauss trovò l'idea del tema in un canto popolare slaveno, che usò per alludere al carattere slavo di Mandryka, il possibile «Richtiger» di Arabella. Occorre ricordare che neppure qui assistiamo alla comparsa di una melodia «popolare» in senso mahleriano, e che il canto, intitolato «Ljubomorna» [...] non si assimila al pensiero musicale del compositore (come accade in Mahler) ma è veduto a distanza proprio come un'estraneità venuta da lontano. Rispetto alla fonte slovena, in cui il LA della seconda battuta non è puntato, la melodia del duetto straussiano tende a suddividere i valori più lunghi delle note. Strauss annotò la melodia originaria in calce alla particella manoscritta, ma non la introdusse nella partitura stampata.
*L'inspiegabile suicidio dei figli è il destino che accomuna Hugo von Hofmannsthal, Arthur Schnitzler e Thomas Mann. Lili Schnitzler (1909-1928) sposata nel 1927 aH'italiano Arturo Cappellini, ufficiale della milizia fascista di Venezia, il 24 luglio 1928 si sparò al cuore con la pistola del marito, e mori il 2G in ospedale. Klaus Mann (1906-1949) si uccise a Cannes quattro anni dopo la fine della guerra che egli aveva combattuto con coraggio contro la Germania nazista; forse, per aver perso la fede nella possibilità di liberare la cultura dai veleni che avevano oppresso la libertà e prodotto catastrofi.