MARCELLO SORCE KELLER

ELOGIO DELLE COSE INUTILI:
MUSICA, LATINO E ALTRE BELLE COSE


Relazione letta al Convegno
dell'Associazione Italiana di Cultura Classica
(Delegazione della Svizzera Italiana),
Lugano, Università della Svizzera Italiana,
13 maggio 2000.


Vorrei dire in primo luogo che ho qualche difficoltà ad aggiungermi a coloro, e sono numerosi, che amano sostenere l‘utilità del latino, del greco e della cultura classica in generale. Questo perché per natura sono portato a condividere la famosa dichiarazione di Oscar Wilde, quella in cui disse: «posso rinunciare a tutto, meno che al superfluo». Non avrei scelto di fare il musicista se non propendessi naturalmente per le cose che non sono immediatamente utili. La musica, per fortuna, non è immediatamente utile. Ma non è la sola cosa bella a non esserlo. La matematica spesso non lo è nemmeno - e i matematici sono sovente disturbati dall'utilizzo ingegneresco che spesso si fa del loro lavoro. Lo vivono quasi come una profanazione. Insomma, quello che desidero dire è che una scuola che offra agli studenti solo cose immediatamente utili mi sembrerebbe una scuola molto povera.
È chiaro però che lo studio del latino e del greco può essere considerato, in qualche modo, anche utile. In primo luogo perché l‘attività dello studiare è sempre proficua. E poi la vita non manca mai, prima o poi, di offrirci la possibilità di impiegare quel che sappiamo, in qualunque area risieda questa nostra conoscenza. Cosa studiare allora? È un problema da far tremare le vene e i polsi e non è certo un povero musico come me che può sperare di trovare una risposta adeguata. Ma, visto che mi si offre la possibilità di dire la mia, allora la dirò - a nessuno dispiace potere esprimere il proprio punto di vista.
Lasciate che la dica così allora: tutti noi siamo in genere ben contenti dell'identità nazionale che abbiamo (gli svizzeri sono orgogliosi di essere svizzeri, i francesi però sono altrettanto orgogliosi di essere francesi, e così via dicendo). Similmente, siamo tutti contenti delle cose che abbiamo studiato perché, contribuendo a formare la nostra visione del mondo, esse hanno in buona misura strutturato la nostra identità. Coloro che sono portatori di una cultura classica non se ne pentono affatto e coloro che possiedono, invece, una cultura tecnico-scientifica sono altrettanto lieti di averla potuta acquisire.
Ora, sul piano delle identità nazionali c‘è poco da fare: abbiamo quella che abbiamo. Non sapremo mai cosa voglia dire essere cinesi e valutare quanto la nostra visione del mondo potrebbe essere arricchita dalla «cinesità». Ma è invece possibile avere un'idea, almeno parziale, di cosa ci possano dare le diverse aree della conoscenza - se la scuola ci offre la possibilità di frequentarle e di assaggiarle. È la scuola che può farlo. È da questo punto di vista sono convinto dell'importanza del latino e del greco. In fondo, si dice sempre ai nostri giorni che dobbiamo aprirci alle altre culture. Ma le altre culture non sono solamente quelle che si definiscono con coordinate etniche e geografiche. Ci sono culture del sapere, della conoscenza.
Vorrei però che fosse chiaro che difendendo oggi l‘importanza della cultura classica non intendo con ciò sottovalutare l'eguale importanza di quella scientifica. Anche quest'ultima, in fondo, in altra sede, andrebbe egualmente difesa. Anche la cultura scientifica mi sembra in serio pericolo, anche se è consueto pensare che questa sia l'epoca della scienza. Ma è un luogo comune senza fondamento. Fu il premio Nobel per la fisica Richard Feynman che qualche anno fa osservò che forse mai nella storia del mondo le persone istruite sono state così tanto digiune di scienza come lo sono oggi. Mi sembra un'osservazione centrata. Conoscete voi, personalmente, molti portatori di una cultura scientifica? Avete molti amici che saprebbero spiegare come funziona una radio o un televisore, o solamente dire cosa sia la modulazione di frequenza? E, soprattutto, quanti sono consapevoli della tormentata storia delle idee, delle forme di pensiero che hanno portato a queste tecnologie?
Forse se le materie scientifiche venissero insegnate come cultura (ambito nel quale mi pare ci sia poca tradizione didattica) si renderebbero più evidenti i legami con la cosiddetta «cultura classica», legami che altrimenti rischiano di non apparire.
In conclusione: alla fine degli anni ’50 Charles Percy Snow parlava di «due culture», quella umanistica e quella scientifica, due culture che si ignorano a vicenda. Non sarebbe forse tanto tragico se le cose stessero davvero in questi termini che pure lui deprecava: se queste due culture, anche separate, fossero diffusamente presenti nella nostra società. Mi pare invece che, sia l‘una che l'altra, appartengano davvero a pochi. Sempre più siamo circondati da persone che non hanno una cultura umanistica e non hanno nemmeno una cultura scientifica, ma solo persone che utilizzano professionalmente un corredo di informazioni tecniche (cosa che con la cultura scientifica ha, in fondo, poco a che fare).
In attesa che i preposti a questo compito riescano a far sì che le scienze nella scuola siano presenti in quanto cultura (vale a dire in tutta la loro complessa problematicità e contraddittorietà), nel frattempo direi di evitare di precludere ai giovani la possibilità di confrontarsi con un'altra cultura che fino all'altro ieri la scuola rendeva facilmente accessibile: quella cosiddetta «classica». Anche se un po' di studio del sanscrito, io ne sono convinto, farebbe molto bene a tutti noi che parliamo lingue indo-europee, accontentiamoci… almeno di potere trovare nelle scuole un poco di greco e di latino.