ITALIAN MUSIC DURING
THE FASCIST PERIOD


LA MUSICA ITALIANA DURANTE IL FASCISMO

LA MUSIQUE ITALIENNE PENDANT LE FASCISME

DIE ITALIENISCHE MUSIK WÄHREND DES FASCISMUS

CON, TRA GLI ALTRI,
UN SAGGIO DI LAURETO RODONI
CURATORE UNICO DELLE RODONI.CH'S WEBSITES
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HARVEY SACHS

G. F. MALIPIERO E IL FASCISMO

MUSICA E REGIME
pp. 171-174
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*John C. G. Waterhouse, nella sua benevola ed esauriente recensione all'edizione britannica di questo libro (in «The Musical Times», giugno 1988), mi ha giustamente rimproverato per ciò che definiva una ricapitolazione «pregiudizievolmente semplicistica e unilaterale» del ruolo avuto da Malipiero in questa storia. «È vero che i rapporti [di Malipiero] col regime 'ne rivelano più il carattere lunatico e il delirio di persecuzione che un razionale atteggiamento politico' ma nessun resoconto delle esperienze dei compositori italiani sotto il fascismo può dirsi completo senza una menzione dei notori eventi del marzo 1934, quando Mussolini, dopo una sola rappresentazione italiana, proibì La favola del figlio cambiato, opera ineguale eppure riccamente immaginosa di Malipiero. (In precedenza l'opera aveva avuto molto successo in Germania, prima di essere d'un tratto vietata dai nazisti.) Questa grave crisi nelle fortune di Malipiero come compositore - l'equivalente italiano più prossimo al caso di Lady Macbeth di Mtsensk [opera di Shostakovic] in Russia, anche se il paragone è tutt'altro che esatto - dimostra chiaramente che la sua paranoia a volte aveva una giustificazione oggettiva: quanto sostiene Sachs, ossia, che 'le sue composizioni vennero probabihnente eseguite né più né meno spesso sotto il fascismo di quanto lo sarebbero state in altre condizioni politiche', richiede, almeno, alcune precisazioni.» Mea maxima culpa - e anche, la mia gratitudine al professor Waterhouse. [N. d. A.]
L'attivismo di Gian Francesco Malipiero - cui fa riferimento Spini - fu contraddittorio. I rapporti tra il regime e l'uomo che molti musicologi considerano il più originale compositore italiano della sua generazione ne rivelano più il carattere lunatico e il delirio di persecuzione che un razionale atteggiamento politico. Uno psicologo clinico avrebbe miglior gioco di uno storico della musica a spiegare i commerci di Malipiero coi fascisti. Fiamma Nicolodi dice che «né una concezione pessimistica, né il tedium vitae, né un'intesa conflittuale con il reale, né la poetica del negativo, risultano antidoti sufficienti per resistere alle lusinghe del potere»; ma data la personalità di Malipiero, non sorprende che tali lusinghe fossero il più delle volte sogguardate e desiderate da lontano, senza sporgersi ad afferrarle. Malipiero scrisse in numerose occasioni a Mussolini e ad altri capi fascisti per esporre suoi progetti per salvare la cultura musicale italiana, per richiedere di parlare con o di suonare per a duce, o per mandare al grande uomo una partitura con dedica. Ma, invece del tono moralistico e stantio delle lettere di Pizzetti, o di quello quasi da corrispondenza d'affari (con un lieve tocco di timore reverenziale) che si riscontra nelle lettere di Casella, quelle di Malipiero sono piene di autocompassione immusonita e di punzecchiature ai propri nemici, reali o immaginari.*
Il 25 marzo 1936, inviava una lettera a Mussolini, per difendere se stesso da un rapporto della polizia segreta in cui si criticava il suo corso di storia della musica all'università di Padova e lo si definiva «squilibrato». Malipiero aveva sentito dire di questa denuncia, ma a quanto pare non sapeva esattamente che cosa era stato detto di lui. La lettera è così bisbetica e contorta che il lettore quasi simpatizza con l'anonimo denunciante.
Eccellenza,

credo che un'altra volta ancora i miei «nemici» abbiano tentato di rnettermi in cattiva luce, denunziandomi a Vostra Eccellenza. Di più non so. Credo che c'entri la R. Università di Padova dove tengo un corso di storia della musica in un'atmosfera di grande simpatia.
Vorrei che Vostra Eccellenza sapesse che è giunto il momento di decidere e sarei felice se fosse Vostra Eccellenza che decide se l'Italia deve avere un musicista di più o di meno.
Potrei essere orgoglioso della guerra che mi fanno qualora fosse leale e se non dovessi ora seriamente pensare alla mia vita materiale.
Quella morale artistica è definitivamente a posto, ma vorrei non contare soltanto sui posteri. I miei avversari cercano di impedirmi ogni mia attività in seno alle istituzioni culturali fasciste. E perché? Se con quattro fischi si seppelliscono le mie opere, anche quelle che da venti anni vivono sulle scene del mondo, non sarebbe più facile liquidarmi per sempre allorquando io potessi esplicare quelle attività che da dieci anni cerco di mettere a disposizione della nostra cultura (insegnamento del canto corale, semplificazione razionale dello studio degli strumenti, creazione di un «canzoniere» italiano, studio sintetico e moderno della storia della musica ecc.) e che invece nessuno osa né respingere né accettare?
Eccellenza, è ancor vivo il ricordo delle Sue parole che, dopo ognuna delle tre udienze accordatemi, tante speranze [hanno destato] nell'animo mio che pure ha il diritto di cercare un po' di riposo. Ho tante prove quante bastano per convincermi che il pubblico italiano (anche il popolo), se lasciato in pace, è capacissirno di comprendere ogni musica, anche la mia musica.
Sono gli intermediari che sobillano il pubblico e che approfittano del mio úoIamento per insidiarmi. Ma è tardi.
Parlare nel momento attuale al Duce della mia situazione personale è forse un errore, ma come Vostra Eccellenza ha letto quello che scrivevano i miei avversari spero potrà leggere queste righe, che rappresentano:
1) un'altra volta l'offerta di ogni mia attività per collaborare alla vera cultura musicale fascista,
2) l'avvertimento che la mia situazione è molto difficile. Urge decidere, come dissi più sopra, se l'Itaha debba avere un musicista di più o uno di meno.
E mio posto al Conservatorio di Venezia è sempre quello di un avventizio, l'insegnamento alla R. Università di Padova è un esperimento.
È tardi per incominciare una carriera [Malipiero aveva allora 54 anni] quello che ormai ho fatto vale o non vale.
Lo so, non posso confondermi fra i mediocri, o tutto o nulla, ma purtroppo questo lo sanno in troppi.
Io vorrei abitare a Roma; dal posto che ho a Venezia (corso di perfezionamento per compositori) non si potrebbe trasferirmi a Roma, a Santa Cecilia? Basterebbe volere. Non starei male vicino al mio amico Ottorino Respighi.
A Roma sarei nel mio mondo.
Qualora Vostra Eccellenza volesse fare qualche cosa per me basterebbe che mi ottenesse un colloquio con Sua Eccellenza il Conte de Vecchi di Valcismon.
Sarei molto addolorato se dovessi emigrare. Amo troppo la mia Patria [...]
Malipiero non ottenne il trasferimento, ma divenne, a suo tempo, segretario interprovinciale per Venezia del Sindacato fascista dei musicisti, membro del consiglio direttivo nazionale del sindacato e direttore del conservatorio di Venezia. Ma le lamentele continuarono. «Quante mie opere si eseguiscono in tutto il mondo?», infieriva su Cornelio di Marzio, presidente della Confederazione nazionale degli artisti e professionisti, nel 1941. «E con quale successo? [...] Perché voler sopprimere un musicista che all'estero è considerato il 1º e fa molto onore al suo paese? [...] il mio disgusto ha preso proporzioni allarmanti.» Malipiero aveva un carattere che lo rendeva inutile al regime se non come nome prestigioso da aggiungere alla lunghissima lista di entusiasti. I suoi progetti di riforma dell'educazione musicale in Italia non furono mai messi in pratica, e le sue composizioni vennero probabilmente eseguite né più né meno spesso sotto il fascismo di quanto lo sarebbero state in altre condizioni politiche.