I. COSÌ PARLÒ CLAUDIO MONTEVERDI

II. CHIRURGIA MUSICALE

III. APPENDIX

Molte volte si è costretti a ricorrere all'autobiografia ed essa è sempre fonte di malintesi, anzitutto perché non tutti gli interessati riescono a risparmiare il titolo di vanitoso megalomane a chi si mette alla berlina, raccontando la propria storia fin dal giorno in cui la levatrice lo strappò alla madre.
A titolo di giustificazione devo dire che ho davanti a me la fotografia di un certo registro della biblioteca Marciana (dunque un documento) dal quale risulta che io il 28 agosto 1902 consultai il Nerone (cioè l'Incoronazione di Poppea) di Claudio Monteverdi ed io fui il secondo curioso che nel XIX secolo volle esaminarlo.
Come maturò in me il desiderio di conoscere un melodramma monteverdiano? Nulla ricordo, sono un pessimo autobiografo, però se fossi sicuro che nessuno pubblicherà, né leggerà queste mie note, potrei fare la storia del mio monteverdismo pur sapendo che non può interessare nessuno. Avrei diritto di ricordare che esistono i 17 tomi dell'opera omnia di Claudio Monteverdi da me miracolosamente condotta in porto. Non è per un pudore ipocrita che mi ripugna parlarne, ma siccome dalla mia edizione hanno avuto origine tutti i massacri di Claudio Monteverdi, che lo fecero riapparire sulla terra, ma sotto mentite spoglie, vorrei far sapere come andai a finire fra le braccia del divino Claudio.
Da un piccolo libraio veneziano acquistai una sbiadita, ma leggibile copia fotografica dell'Orfeo, la quale attirò tutta la mia curiosità; la studiai, quasi mio malgrado. Io fui sempre favorito dal caso, difatti come per incanto quando ormai conoscevo profondamente l'Orfeo, si presentò l'occasione di assistere (prima del 1918), a una sua esecuzione che mi sbalordì.
Non riesco a capire come un sia pur pseudo musicista, scegliesse allora (e le cose oggi rion vanno meglio di prima) un'opera di Monteverdi, riducendola irriconoscibile. La musicologia è forse un istituto di bellezza a rovescio? Naturalmente non si deve dimenticare che il guaio principale deriva dal basso continuo, istituito nel XVII secolo, sul quale si devono improvvisare gli accordi-sostegno, semplici accordi senza ornamenti contrappuntistici e appunto per questo quasi automaticamente sottointesi.
Dal basso continuo nacque una fonte di guadagno per gli elaboratori. A parte questa precisazione, per pubblicare e rendere possibili il riascolto di Claudio Monteverdi, alcuni interventi sono necessari, ma andrebbero realizzati soltanto da coloro che sono veramente riusciti a penetrare lo spirito monteverdiano apparso come una nuova stella all'alba del barocco, rimanendone immune.
Fino al quinto libro dei madrigali (1605) nulla si deve toccare, basta rendersi degni di comprendere il primo Monteverdi. La musica religiosa va rispettata pure quando, come nei Vespri della Beata Vergine certi accenti meravigliosi, ma un po' melodrammatici, possono tentare l'incauto elaboratore a sottolinearli con sconcertanti anacronismi. Forse Claudio Monteverdi trasformando l'umanissimo «lamento d'Arianna» in «pianto della Madonna» ha dato il cattivo esempio, ma il dolore tiene sempre aperte le porte di tutti i paradisi.
I melodrammi non si reggono se non si purificano poeticamente. Infine Claudio Monteverdi sofferse di una esagerata idiosincrasia orchestrale (lacuna comprensibile dato il dominio che la voce umana esercitava su di lui) perciò per far rivivere l'Orfeo, Il ritorno di Ulisse in Patria e l'Incoronazione di Poppea, è necessario creare sonorità istrumentali che corrispondano alle preferenze timbriche che egli rivela nei brevi suoi ritornelli e sinfonie.
Soltanto la fede e l'entusiasmo possono riuscire a riabilitare, forse per vie medianiche, il piú singolare fra i geni musicali, difatti ecco un messaggio da me captato:
L'anno 1967 sarà il mio anno, il secondo di questo XX secolo. Nel 1943, terzo anniversario della mia morte, la guerra mi risparmiò, troppi morti si dovevano sotterrare quotidianamente per dissotterrarne uno che fece intervenire Arianna per implorare che lo si lasci morire. Tutti piansero allora.
Il 1967 sarà una gran festa per la musicologia e questa certamente mi farà la festa, eppure ci vorrebbe molto poco per riammettermi com'ero nel consorzio di quei musicisti che parlarono un linguaggio nuovo, ma chiaro e che graficamente ebbero sempre a propria disposizione il segno corrispondente al suono desiderato.
Mi dilettai facendo l'alchimista e i Duchi di Mantova forse speravano che, col mio oro riuscissi ad aiutarli, ma da quando i generosi Procuratori di San Marco mi accaparrarono a suon di ducati, non piansi piú il morto, vissi all'ombra di San Marco e mi ascoltai nell'eco delle sue volte sonore. Non ci sono problemi per decifrarmi e i miei editori non ammettevano l'errore di stampa. All'età di 15 anni il grande Angelo Gardano pubblicò le mie Sacrae cantiuncolae, ma essendo pure lui compositore, mi abbandonò, fra i compositori regnò sempre sovrana l'invidia.
Mi rendo conto quanto sia noioso assistere, per esempio, all'Incoronazione di Poppea, con quel libretto del Busenello, troppo devoto agli Dei di cartapesta e poi, dopo essere abituati alla grande sonorità dell'orchestra, chi può tollerare per quattro e piú ore le voci accompagnate dal ronzio del clavicembalo, di quando in quando interrotto da brevi ritornelli istrumentali?
Per rivivere mi è indispensabile la reincarnazione.
I miei libretti vanno corretti da quei difetti che derivano dal poeta dilettante che attraverso la musica sfrutta la moda per mettersi in vista. E poi all'orchestra non si può piú rinunziare come, per rivivere, alla reincarnazione. Io qualche volta ho nominato gli istrumenti da utilizzare, ma elencando quelli che per caso mi erano capitati sotto mano alle prime esecuzioni. A malincuore abbandonai le voci per gli istrumenti e quelli caduti poi in disuso, non si devono rimpiangere nè rimettere in orchestra, vanno considerati esperimenti mal riusciti e abbandonati, perchè gli istrumenti dell'orchestra non furono inventati, ma scoperti. Nell'Orfeo soltanto c'è un istrumento necessario, l'arpa doppia che imita la lira per accompagnare il canto dell'infelice amante di Euridice, quando vuole commuovere Cerbero per farsi traghettare al di là dello Stige. Il destino ha escogitato tutti i mezzi piú crudeli ed efficaci per cancellare le prove materiali della mia esistenza sulla terra.
Dicono che il primo atto dell'Incoronazione di Poppea, nel manoscritto della Marciana sia autografo, non lo posso garantire, probabilmente sarà andato distrutto l'originale di tutta l'opera.
Chi legge il mio nome accanto alla tomba dei Lombardi nella Chiesa dei Frari a Venezia, non creda che in essa riposino le mie ossa. Durante un ristauro vennero disperse e non si sa dove siano andate a finire. Tutti i miei manoscritti vennero distrutti e per somma ironia il inaligno Artusi scaricò molto veleno contro il madrigale Cruda Amarilli, due anni prima che si pubblicasse il quinto libro a cui appartiene. Le opere manoscritte rappresentavano bocconi prelibati per i teorici, felici se potevano impossessarsene per scrivere sapienti pettegolezzi. Deploro di avere risposto all'Artusi con una lettera agli studiosi lettori stampata appunto nel quinto libro dei madrigali a 5 voci e non so come spiegare la lunga dichiarazione, inserita due anni piú tardi da mio fratello Giulio Cesare, in testa ai miei scherzi musicali a tre voci. Nei sei ultimi madrigali del V libro appare per la prima volta il basso continuo obbligato e negli altri 13 è ad libitum.
La decadenza dei cantori, che dedicandosi sempre con maggior successo al melodramma non riuscivano piú a intonare la mia musica, mi costrinse ad adottare pure in alcuni madrigali del VI libro, il basso continuo, un sostegno armonico istrumentale sempre più necessario, tant'è vero che dal VII libro in poi lo si trova in tutte le mie opere e se non lo presentai realizzato, è perché non volevo che il clavicembalo o l'organo, diventassero parti reali, il loro compito si limitava ad accompagnare, improvvisando gli accordi corrispondenti «al numero», sommessamente, per non disturbare il solista, cantante o istrumentista, non importa.
La realizzazione del basso continuo fu l'origine di tutti i guai: sulla terra anime pietose, oggi mi completano, credono cioè di aiutarmi, mentre mettendomi alla berlina fanno di me un cadavere impagliato. Non valgono nemmeno i documenti, il piú importante è il libretto della Proserpina rapita di Giulio Strozzi, purtroppo la musica è andata perduta, ma in esso sono precisati i modi di ogni singola aria, vale a dire il Frigio, il Lidio, il Missolidio, e l'Eolio e il Dorio, m'erano pure familiari. «Io non ho mai fatto le mie cose a caso» lo ripeto e lo ripeterò sempre, non mi è necessaria la bontà d'animo dei correttori.
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Cosí parlò Claudio Monteverdi. Questo documento mi ha riempito di gioia, in esso e con esso il divino Claudio mi dà ragione.