ARMANDO GENTILUCCI

LE SINFONIE DI MALIPIERO

Guida all'ascolto della musica contemporanea,
Milano, Feltrinelli. 1969 (1ª ed.)


È bene precisare subito, a scanso di equivoci, che il termine Sinfonia applicato da Malipiero a composizioni orchestrali solitamente (ma non sempre) in piú tempi, non vale certo a indicare il ricalco delle forme classiche tedesche (da Haydn in poi) ma «si riallaccia a quella che è stata in Italia la musica istrumentale fra il 1680 e il 1780 circa». Il compositore veneziano, pur inclinando nelle sinfonie verso un piú serrato svolgimento o almeno verso una riproposizíone piú continua dei nuclei tematici riduce poi tutto alla misura della sua poetica, ossequiente solo alle sovrane ragioni della fantasia e dell'espressione.

La Sinfonia n. 1 (1933), come tutte quelle che seguiranno, porta un sottotitolo: «In quattro tempi come le quattro stagioni» e sembra riproporre, senza ombra di ricalco e in termini nuovissimi, l'invenzione ora rigogliosa ora liricamente concentrata, delle «Stagioni» vivaldiane. «Elegiaca» viene invece definita la seconda, del 1936, e pure in quattro tempi, e l'aggettivo, dice l'autore, «spiega come questa musica, che scrissi nei mesi ansiosi e tragici del 1936, un anno pieno di tristezza, resti estranea agli eventi e abbia carattere elegiaco.»
La
Sinfonia n. 3 («delle campane») risale al '45, e presenta atteggiamenti espressivi e comunicativi molteplici, repentini cambiamenti d'umore, contrasti dinamici e agogici continui, l'oscillare tra i poli della stasi contemplativa e financo ottimistica e l'impulso febbrile, angoscioso. Al confronto la n. 4 (1946), dedicata alla memoria di Natalia Kussevitzki, poggia su moduli discorsivi maggiormente sviluppati, anche se poi i quattro tempi sciolgono l'architettura tradizionale (o l'allusione ad essa) in una notazione piú 'corsiva' e incentrata sull'alternanza di emozioni timbriche, pur senza nulla perdere di solennità e con gran dovizia di linee melodiche squisite, ispirate a un vibrante diatonismo; il «Lento finale», col rintocco di una campana che fornisce lo sfondo all'evocazione suggestiva e conturbata del corteo funebre, è articolato formalmente con sei variazioni di breve respiro.
Caratteri tutt'affatto diversi intervengono nella Sinfonia n. 5: «concertante in eco» è il sottotitolo apposto da Malipiero alla partitura, ed il ruolo parzialmente solistico viene svolto da due pianoforti. L'«eco» a cui si allude va riferita alla struttura canonica della parte pianistica, all'alternata riproposizione di identiche figurazíoni a breve distanza. La sesta, «degli archi» (1947), può apparire invece una dilatazione della scrittura quartettistica alle proporzioni dell'intera compagine degli strumenti a corda, e si imparenta a opere quali i «cantari alla madrigalesca.»
Il tema del lirismo concentrato in movenze evidenziate al massimo, alle dimensioni di un'antica «canzone», ritorna nella
settima sinfonia (1948), detta per l'appunto «delle canzoni,» contrassegnata da un melodizzare scoperto ma nobile, sereno, aperto all'immaginazione, con quel fare tra lo svagato e il fantastico che costituisce uno degli aspetti piú singolari dello stile malipieriano. Anche la sinfonia in un solo tempo, che sarebbe poi l'ottava (1950), si muove nella direzione ora indicata, sebbene con esiti meno interessanti, mentre con la Sinfonia dello Zodiaco («Quattro partite: dalla primavera all'inverno» del 1951, nuovamente fa capolino il richiamo al trascorrere delle stagioni che avvalora il tono sereno, la vena svagata e gioiosa, il succedersi di episodi dai caratteri piú vari, il diatonismo vagamente arcaicizzante, ribaltato in brevi !na intense zone sonore da sonorità aggressive degli ottoni.
All'impostazione diatonica e modaleggiante non fa mai riscontro la staticità, la monumentalità, e il mondo che Malipiero va rappresentando, anche nelle Sinfonie, è quello della vita, in bilico tra gioia e accorata malinconia, non senza una punta di ironia. Quella stessa ironia, questa volta ben altrimenti amara e scontrosa, della prefazione (o meglio epigrafe) alla Sinfonia di Antigenida (1962): «Antigenida tebano antichissimo e peritissimo sonator di piffero ebbe un discepolo chiamato Ismenia, il quale avendo fatto delle cose della musica buonissimo acquisto, per una disavventura appresso il popolo non fu molto grato. Laonde stando mal contento, e avendosi di ciò accorto Antigenida gli disse: non ti curare Ismenia del popolo, percioché basta che tu piaccia a me e alle Muse...» La composizione si snoda in una serie di episodi che si susseguono senza soluzione di continuità, in un variare di temperie che ora coincide con un'implicita bruschezza di segno, magari con l'ironico, marionettistico incedere ritmico di un gesto sonoro straniato dalla materia armonica addotta, ora con immagini dilatate per l'allusione a una vaga situazione emotiva. Alla figura del «sonator di piffero» è connesso il ruolo «concertante» affidato, pur senza assurgere ai fasti del solismo concertistico, all'ottavino.
Con la recente
Decima Sinfonia («Atropo») del 1967, dedicata alla memoria di Hermann Scherchen, Malípiero ha fornito un'ennesima testimonianza della sua inesausta inquietudine espressiva, alternando momenti diatonici desunti dal personalissimo arcaismo antiretorico di un tempo ad altri di radicale atonalismo, tesi, espressionistici.