ARMANDO GENTILUCCI

GIAN FRANCESCO MALIPIERO

Allievo prima del Conservatorio di Vienna e poi del Liceo Musicale di Venezia e di M. E. Bossi a Bologna, si perfezionò nel 1908 alla Hochschule di Berlino, passando nel 1913 a Parigi dove entrò in contatto con il locale ambiente culturale, con Casella, Ravel e D'Annunz!o. Insegnante al Conservatorio di Parma dal '21 al '24, si ritirò in seguito ad Asolo, per riprendere nel '32 l'insegnamento della composizione al Conservatorio di Venezia, che diresse dal '39 al '52. Dal 1936 aveva insegnato storia della musica all'Uníversità di Padova. Dopo il 1952 si è nuovamente ritirato ad Asolo, dove si dedica con intensità esclusivamente alla composizione. Rappresentante piú significativo della «generazione dell'80», lascia anche una cospicua produzione letteraria, consistente in saggi critici (Stravinski), volumi di memorie scritti sulla musica antica. A lui si deve la pubblicazione dell'opera omnia di Claudio Monteverdi.
Figura di musicista particolarissima, Gian Francesco Malipiero è senza dubbio il maggior esponente di quella generazione di compositori italiani che si suole definire «dell'Ottanta». Anticonformista, antidogmatico, il maestro veneziano agisce in quella zona lasciata libera dalle varie «scuole,» tendenze, «ismi» novecenteschi: ma resta inteso che non si tratta di una zona smilitarizzata. È proprio nell'antisistematicità, nella «solitudine» iniziale che si deve cercare la costante dell'arte di Malipiero, l'indipendenza della sua ricerca, unitamente a una certa compiaciuta indeterminatezza. Ormai da svariati decenni si è soliti scorgere attorno al capo del compositore l'aureola dell'anarchia, e la leggenda dell'umoroso vegliardo è certo stata alimentata dall'attività di acre e brillante scrittore di argomenti musicali, di polemista aristocratico e impietoso: sempre vivo è stato in lui lo stimolo a rinnovarsi pur mantenendosi fedele ai suoi ideali e senza contraffare la propria visione poetica, senza pretendere di giudicare l'arte prima che si faccia. Musicista isolato, anche se in affettuoso e polemico contatto (a seconda dei casi) con i maggiori protagonisti della vicenda musicale novecentesca, Malipiero ha sentito fortissimo l'amore per la tradizione remota; ma questo sentimento non è addivenuto alla formulazione di un neoclassicismo distaccato, di un pragmatismo artigianale.
Anzi: la ricerca linguistica, piena di autentiche e profondissime nostalgie per un mondo perduto visto coraggiosamente come irrecuperabile, ha teso sempre al reperimento di una pregnante, pessimistica espressività, e sebbene in tutt'altra veste e partendo da ben diverse basi, può legittimamente essere accostata all'espressionismo. Lo stesso arcaismo modaleggiante sfugge all'anchilosata accademia cara a tanto manierismo europeo, er affermare le ragioni di un'irrequietezza armonica, ritmica e formale espressa in maniera assolutamente singolare e irripetibile. Impressionismo, arcaismo, primitivismo, espressionismo: tutti momenti culturali presenti nel musicista eppure ciascuno insufficiente, da solo, a definire un mondo musicale che si serve delle piú svariate tecniche per trasformarle in semplici mezzi aperti a una nuova verginità espressiva. La, coerenza non sta nell'avere accettato i principi teorici della tonalità tradizionale e dell'atonalismo, ma nella vertigine espressiva che nel suo linguaggio svagato, indefinibile, finisce per straniare ogni reperto in una costante invenzione melodica, ritmica e armonica immemore d'ogni formula e d'ogni schema di sviluppo. Ci accade cosí di assistere ad uno strano fenomeno stilistico, e cioè a quello di un linguaggio musicale essenzialmente diatonico nel materiale di partenza e legato al ricordo dei gloriosi modelli dell'arte veneziana barocca e prebarocca, turbato però da ombrature allusive, da una mutevolezza sentimentale e quindi formale atta a legare saldamente Malipiero ad una cultura insieme italiana e mitteleuropea, radicata nella tradizione e insieme non cieca di fronte ad una problematica linguistica alimentata dalla crisi dei rapporti sociali.
Come precisa Pestalozza, Malipiero «tenne fin dall'inizio fermo a una pessimistica visione d'una precisa condizione umana messa di fronte alla fine dei suoi valori, né accondiscese al facile ottimismo di chi pretendeva di riscattarli eludendone prima di tutto le conseguenze musicali». Nelle sue ultime opere ha mostrato, malgrado la tarda età, di sapersi tenere al corrente delle nuove soluzioni compositive: senza sistematicità ha accolto saltuariamente setie di dodici suoni e il diatonismo appare sempre piú stravolto da un tessuto che sfiora e talvolta supera i confini dell'atonalità.
La produzione malipieriana è incredibilmente vasta e abbraccia tutti i generi.