GUIDO M. GATTI

UNA LEZIONE DI MALIPIERO

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L'OPERA DI G. F. MALIPIERO

Malipiero ha composto un «De profundis» dedicato a Pizzetti, questi ha ricambiato il dono con un altro «De profundis», e l'uno e l'altro saranno eseguiti a Venezia fra poco. La pagina pizzettiana è scritta per coro a sette voci (senza accompagnamento di istrumenti), quella di Malipiero per una voce, viola, gran cassa e pianoforte. È un'opera semplice e commossa, in cui il testo è cantato a voce scoperta, su di una linea melodica piana, fra la salmodia e l'arioso, e le parole del salmo spiccano bellissime nella loro potente concisione sul contrappunto della viola, gli accordi del pianoforte e il rullare, all'inizio e alla fine, della gran cassa.
Malipiero ha scritto la sua preghiera funebre ma non ha voglia alcuna di morire o d'abbandonar il campo di battaglia. Eccolo dinanzi a me più vivo e vivace che mai, sulla fondamenta: biancovestito e, ahimè, biancocrinito, ma sempre aggressivo e pungente come vent'anni fa: e gli occhi ti scrutano e ti frugano sotto l'arco a tutto sesto delle sopracciglia pepe e sale. Svaga il discorso come la nuvoletta che s'è fermata or ora sulla punta del campanile di S. Giorgio dell'Isola: un attimo di sosta, un punto di sospensione, e poi daccapo, ma non più verso la Salute ma verso il Lido, mutando rotta come Malipiero ha mutato discorso. Ora essa è tutta luminosa, splendente, e racchiusa in una sfera perfetta, mentre dianzi era grigia, sfrangiata e quasi crucciata: come il viso di Malipiero che s'è illuminato ora che accanto gli sono i prediletti allievi.
Più tardi, nell'alto studio del maestro al Liceo Musicale: finestre chiuse, vetri e imposte: una luce fra volta e cornicione rivela buoni affreschi del Settecento, un'altra sul pianoforte scopre visi intenti di giovani attorno a Malipiero. Il resto è al buio. S'eseguisce la «Leggenda breve della Santa vergine Caterina da Siena», testo di Carlo Dozzo, musica di Sante Zanon. Quante mani vi sono sulla tastiera? Gorini suona la riduzione pianistica, ma Sanzogno, mentre con una mano accenna discretamente ad una orchestra immaginaria, con l'altra aiuta a rimediare alle inevitabili deficienze di quella riduzione, e la mano di Cumar di tanto in tanto vi aggiunge un basso fondo o un altissimo acuto. Canta Ginevra Vivante: ma, a poco a poco, alla sua voce altre si aggiungono: altri personaggi interloquiscono, Gesù, San Domenico e le voci celesti e quelle terrene: come un'atmosfera sonora si crea attorno e l'accento e la convinzione suppliscono all'incompiutezza dei mezzi di esecuzione.
Solo l'autore non canta: volto estatico e trasfigurato, dietro a tutti, in piedi, segue con gli occhi lo spartito ma non osa cantare. Vede ricrearsi dinanzi a sè, come per incantesimo o per miracolo della Santa, la sua creatura: e l'accento deve esser proprio quello ch'egli ha voluto dare alle parole umanissime e divine della leggenda. Una musica semplice e piana, con frequenti cadenze e pose, come si conviene a una Santa che esaltò la Grazia ma non si rifiutò ai doveri della fraternità umana. Zanon è nome da ricordare: poche cose conosco che meglio rispondano all'esigenza di una musica religiosa che non sia freddo scolasticismo e ripetizione di formule canoniche. Zanon non è un giovanissimo, ma credo che la sua vera vita abbia avuto inizio il giorno in cui ha incontrato Malipiero. (Ci sarebbe da notare, a proposito di questo compositore trevigiano come di molti altri giovani compositori italiani e stranieri, quale sia stato il contributo di una nuova aurora di fede cristiana all'approfondimento della loro natura artistica, e come a un certo francescanesimo di espressione - che molto ha giovato a liberarli dai fronzoli e dai pregiudizi di moda - non sia estraneo il riaccostarsi delle loro anime, talora senza ch'essi se ne rendano conto, alla certezza di Dio. Ma questo è argomento troppo importante e merita un lungo discorso, che si farà in altra occasione).
Della covata, più d'uno ha già messo buone ali per volar da solo, sicuro -ma non perciò ha rinunziato ad assistere a queste lezioni, che si svolgono in un'atmosfera di cordialità e di rispetto. Ognuno di questi giovani, Sanzogno e Gorini, Cumar e Olindo D'Anna, porta al Maestro ciò che ha scritto e lo eseguisce. Malipiero ascolta, accanto al pianoforte, col naso all'aria, attentissimo e silenzioso: e i giovani con lui. Finito il pezzo, il Maestro vuol sentire il parere di tutti: e poi con tono gentile ma fermo e sans avoir l'air d'y toucher, fa le sue osservazioni. Senza riguardar la carta, accenna a battute, a modulazioni, a disegni ritmici con una memoria infallibile «Sóna», dice sempre guardando il soffitto. «Questa armonia no me piase. lo ci metterei un do minore, nó ve par?». Un momento di silenzio. Poi: «Alla fine quella ripresa del team è troppo scolastica. Sóna». Le ultime battute sono risuonate due, tre, quattro volte. Se l'allievo è convinto dell'opportunità della correzione, Corregge; altrimenti se ne riparlerà nella lezione seguente. E si passa a un altro allievo, a un altro lavoro.
Nino Sanzogno, ha portato un tempo del suo concerto per violoncello, impetuoso e serrato come tutti i suoi lavori, Gorini le Invenzioni per pianoforte e piccola orchestra che saranno eseguite al Festival di settembre, Raffaele Cumar alcune sue curiose e originali danze, fra l'antico e il moderno, D'Anna alcune scene dell'Edipo Re. Ciascuno ha qualcosa da dire, un suo sentimento da esprimere: c'è un atteggiamento personale che ti colpisce in questa o in quella pagina, anche se un certo modo malipieriano sia evidente in ognuno di questi giovani, un modo di pensare, direi, alla Malipiero più che un modo di esprimersi. Affinità morali più che analogie estetiche, che ti si rivelano anche quando parli con questi discepoli, tutti presi e infervorati dalle parole del Maestro, e pieni di entusiasmo e di fede. Malipiero è un animatore e un ottimista quando parla ai suoi giovani amici, proprio quel Malipiero che predilige, ad Asolo, la compagnia degli uccelli notturni e che nella dedica del «De profundis» ha scritto che l'opera è una «lugubre espressione della nostra malinconia e intonata forse per sotterrare le nostre illusioni».
S'esce dal Palazzo Pisani. Fermata sotto l'Archivolto dei Morosini prima di sbucare in Campo Santo Stefano. Discussione accesa sull'ultimo avvenimento musicale: Malipiero al centro e attorno cinque o sei giovani, ognuno con la sua opinione (talora s'unisce ai compositori un giovane critico, Guido Piamonte, che ha mente lucida ed espressione precisa, avvezzo com'è alle scienze esatte). La gente si sofferma, sorride, passa. La discussione si esaurisce. Altri cento metri più in là, seconda stazione dinanzi alla facciata neoclassica di San Maurizio, e seconda discussione. Cosi la scuola si continua nella vita e non v'è differenza fra il precetto impartito ex cathedra (se possiamo usare una parola tanto solenne) e l'ammonimento lanciato per via, con fare tra il serio e il faceto.
Una bottega d'arte è questa, una scuola come si vorrebbe che fosser tutte le scuole di musica (lampade vi sono sempre accese dinanzi alle immagini di grandi Maestri del passato, non a dèi «falsi e bugiardi»). Non diversa da quelle, insigni per eccellenza di maestri e fedeltà di discepoli, del Rinascimento. Non fredde aule d'accademia, ma ardenti focolari di vita e di cultura, e un maestro che domini non per l'ufficio conferitogli ma per virtù proprie, e possa parlare dell'opera sua non come modello da imitare ma come esempio da seguire. E i discepoli sanno che per ogni domanda egli ha una risposta pronta, sempre acuta e pertinente, un'osservazione che giunge d'un tratto al nocciolo del problema. La poetica di Malipiero è fatta di queste improvvise illuminazioni, di questi rapidi scorci, dì queste geniali sintesi: non conosce preamboli, preparazioni, sviluppi e ricapitolazioni, è tutta verbo e succo, cioè creazione senza residuo di materia inerte. Malipiero non conosce l'arte del conversatore (o del conferenziere, ch'è poi la stessa cosa) perché non sa intercalare i suoi pensieri con quelle pause, in cui si parla e non si dice nulla. E l'arte sua non è arte facile, appunto per questa mancanza di «riposi» del pensiero, che son quelli che dànno tregua all'intelligenza e alle sensibilità dell'ascoltatore.
Così lo vediamo, giunti in Piazza San Marco, a un tavolino del Florian fra amabili e dilettosi discorritori, autorità grandi e piccine dell'arte, silenzioso e assorto a seguire il volo di un colombo, modesto e orgoglioso, distratto e pure intento alle 'ciàcole'. Cosi lo pensiamo sempre, geniale amico, fermo all'assalto delle cose volgari e irritanti, con la sola difesa della sua musica.
[Dal Meridiano di Roma, 27 agosto 1937]