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FRANCO ALFANO
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Nato a Posillipo (Napoli) l'8 marzo 1876, Franco Alfano studiò al Conservatorio di S. Pietro a Maiella con De Nardis e Serrao. Si trasferì poi a Lipsia dove perfezionò lo studio del violino con Sitt della composizione con Jadassohn, frequentando inoltre le lezioni del musicologo Hugo Riemann. Dal 1896 visse a Berlino, svolgendo attività di pianista, quindi dopo l'esordio teatrale (Miranda, 1898), si trasferi a Parigi, dove fece rappresentare 2 balletti alle «Folie Bergères» e iniziò l'opera Risurrezione, che completò poi a Mosca e a Napoli. Nel 1916 si stabilì a Bologna come insegnante di composizione nel Conservatorio, di cui poi divenne direttore. Nel 1923 passò con analogo incarico a Torino e qui lavorò, su proposta di Toscanini e su incarico di Ricordi al completamento della Turandot pucciniana. Lasciata Torino nel 1939, fu poi sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo (1940-42) e quindi direttore del Conservatorio di Pesaro (1947-50). Si ritirò infine a Sanremo, dove morì il 27 ottobre 1954.


ALL'OMBRA DI TURANDOT

IL DESTINO INGENEROSO DI FRANCO ALFANO

[...] Nato a Posillipo - napoletano, quindi - l'8 marzo 1875, aveva quindi la stessa età di Maurice Ravel che vide la luce ventiquattro ore dopo, nei Bassi Pirenei. Due parabole diverse. Poco amato dagli ambienti accademici il francese, inserito nell'establishment dei Conservatori il napoletano. Temperamento sereno e malinconico Alfano, spirito inquieto il collega di oltralpe. Ma soprattutto diversa fortuna: Ravel entrato dalla porta principale tra i grandi del Novecento, Alfano ricordato solo come il completatore di Turandot dopo la morte di Puccini.Per i più Alfano resta un compositore che vive di luce altrui. In realtà, anche se l'operazione alla gola nella clinica di Bruxelles fosse andata a buon fine, anche se se Turandot fosse stata completata dal suo autore, oggi sarebbe ancora ricordato.

Basterebbe il suo contributo alla stagione del verismo con Risurrezione (1904, dal romanzo di Tolstoj) ad affiancare Alfano agli altri classici del genere, trasformando il tris d'assi Mascagni-Leoncavallo-Giordano in un poker.
Basterebbe il suo successivo tentativo di superarla, questa stagione, attraverso titoli diversificati come l'esotico Il principe Zilah e il metafisico L'ombra di Don Giovanni, per dimostrare che si trattava di un musicista tutt'altro che convenzionale.
Basterebbe sfogliare il suo catalogo sinfonico e cameristico (quartetti per archi, sinfonie, sonate per strumento, liriche per voce e pianoforte), assai più ricco e interessante di quello dei celebri operisti italiani che gli furono contemporanei, per prendere atto della sua completezza di musicista.
Ma soprattutto basta la sua opera più ambiziosa e complessa, La leggenda di Sakuntala (1921), per farlo entrare tra i nomi rappresentativi del Novecento storico. Tratta dall'omonimo dramma del poeta classico indiano Kalidasa, si inserisce nella moda dell'esotismo cara all'opera italiana: il Giappone del Mascagni di Iris e del Puccini di Butterfly sono figli di quella stessa cultura. Purtroppo la partitura andò distrutta durante la guerra. Alfano la ricostruì sulla base dello spartito, per riproporla con il semplice titolo di Sakuntala nel '52.
Piuttosto prono nei confronti del regime fascista - come molti altri musicisti coetanei, e più ancora della generazione seguente alla sua - dai tardi anni Venti Alfano comincia a sentirsi fuori sintonia con i segnali offerti dalla Storia. Come operista si rifugia nella letteratura: il Balzac di Madonna Imperia, il Rostand di Cyrano di Bergerac.

Il dopoguerra coincide con un esaurimento della vena: il rifacimento dell'Ombra di Don Giovanni; un ultimo quartetto per archi; l'esperimento di un'opera radiofonica, Vesuvius. Ma forse il segnale più vistoso dell'invecchiamento dell'estetica di Alfano è dato da Il dottor Antonio: un'opera del '49 che - a metà del nuovo secolo, quando la cultura di massa si era appena appropriata di Paisà e Ladri di biciclette - tenta un riciclo di moduli stilistici trenta o quarant'anni prima.
Resta il rammarico - come per certi registi cinematografici, i cui film più belli sono quelli rimasti nel cassetto - per i progetti non andati in porto: L'amore dei tre re di Sem Benelli, poi affidato a Montemezzi; Volpone di Ben Jonson; la storia di uno sciopero di minatori; una Assunta Spina, tratta dal testo teatrale di Salvatore Di Giacomo, che avrebbe rappresentato un ritorno ai moduli del verismo.
Tra il '44 e il '50 escono di scena Zandonai, Mascagni, Giordano, Cilea. È un sopravvissuto e lo sa. Muore a San Remo, da anni suo ritiro, il 27 ottobre 1954. Oggi nella Città dei Fiori esiste un Premio dedicato a Franco Alfano. Ma San Remo, per la musica, significa sempre e soltanto canzone italiana. Alfano, pragmatico e malinconico, non se ne dovrebbe avere a male.

Salomon Jadassohn [Pseudonym Olivier, 1831-1902]: Schüler von Moritz Hauptmann (1848-1849) und Franz Liszt in Weimar (1849-1851), wurde 1871 als Lehrer für Theorie, Klavier und Komposition ans Leipziger Konservatorium berufen und lehrte dort bis 1902.
1893 wurde er Professor. 1867-18799 war Jadassohn Dirigent der Euterpe-Konzerte in Leipzig.