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ADRIANO LUALDI

OTTORINO RESPIGHI

Ottorino Respighi (1879) è nato a Bologna, dove fece i suoi studi musicali nel Liceo Rossini. Federico Sarti per il violino, Giuseppe Martucci per la composizione gli furon maestri. Diplomatosi nel 1901, fece parte dapprima del Quintetto Mugellini, suonando la viola d'amore; giovanissimo ancora compose musica da camera e sinfonica, e tra questa, un Concerto per pianoforte e orchestra. Fu in Russia, dove studiò ancora con Rimsky-Korsakoff, e in Germania, dove, a Berlino, ebbe qualche lezione da Max Bruch. Dopo un periodo di tempo dedicato ai concerti venne nominato, nel 1913, insegnante di composizione nel Conservatorio di Santa Cecilia in Roma. Tenne questo posto fino al 1923; anno in cui fu nominato direttore del Conservatorio stesso. Si dimise nel 1925 per intraprendere un giro di concerti. Oggi gode di fama mondiale.
Degno discepolo di Giuseppe Martucci, per ciò che riguarda lo spirito vòlto a ridestare l'amore per la musica pura, è nel campo della musica da concerto che Ottorino Respighi ha mietuto finora gli allori più numerosi. Le sue trascrizioni e interpretazioni di opere istrumentali di antichi maestri, le sue opere da camera istrumentali solistiche e vocali, i poemi sinfonici così largamente noti e ammirati rappresetano una somma di lavoro importantissima sia in rapporto al moderno repertorio nazionale che a quello straniero, e costituiscono, col loro eloquente complesso, una delle prove più evidenti degli spiriti multiformi e vivacissimi che stanno alla base del rinnovamento musicale italiano.
Ma quando si parla di Ottorino Respighi autore di musica pura non bisogna credere che egli sia da porre fra i negatori del melodramma. Egli ha coltivato anche questo ramo dell'attività creatrice, staccandosi anch'esso, come tutti i veramenti nuovi musicisti nostri, dalle vie care alla scuola verista. Ecco, per esempio, anche prescindendo dai risultati attinti, che non è mancata al Respighi la felice intuizione (l'ho detto anche altra volta, parlando di questa commedia) di scegliere, per la sua prima importante opera teatrale, la novella di Belfagor (1923); non gli è mancato il bello e generoso ardimento di tentare un genere che, artisticamente, presenta le più gravi difficoltà: una su tutte, così trionfalmente superata dal genio verdiano in Falstaff: quella di armonizzare e di tenere vicini, senza scosse e senza bruschi trapassi, il reale col fantastico; non gli è mancata l'eccellente intenzione di uscire dai vicoletti storti e senza aria per cercare, seguendo, come vent'anni prima Wolf-Ferrari, i passi di Giuseppe Verdi, di incamminarsi per la via grande e chiara. Egli dichiarò, proprio allora che presentò Belfagor, di aver voluto che la commedia musicale riuscisse anzitutto discorso cantato e, in via subordinata, commento orchestrale.
Deplorò di non avere, fino a quegli anni, professato una tal fede, che in ogni tempo dovrebb'essere la base estetica dell'operista italiano; chiese venia per coloro che, vent'anni prima, abbagliati gli occhi dall'astro Wagner seguito sùbito dalla cometa Strauss, non avevan più veduto, per qualche lustro, il folgorìo puro e sereno degli astri familiari.
In queste 'intenzioni' allora espresse, era già - se non l'aperta confessione - certo il tacito riconoscimento di qualche errore commesso nella gioventù; e, implicito, il proponimento di ritornare, dopo le escursioni 'extra moenia', a casa. Più che nelle opere per teatro nelle quali, da Belfagor che appare sovraccarico e disuguale stilisticamente, alla Campana sommersa (1927) che, pure rappresentando teatralmente un gran passo avanti è intonata agli spiriti romantici tedeschi, è nella musica da camera e sinfonica che si avverte il progressivo chiarirsi e nazionalizzarsi della maniera di Respighi. In confronto dei suoi primi saggi, quelli che egli ci fece conoscere nella tournée, ormai lontana, compiuta con Guido Visconti di Modrone (ed erano allora Debussy e Strauss i modelli ai quali si ispirava il giovane artista), Le fontane di Roma (1917), il famoso poema sinfonico, segna già la conquista di uno stile che, pure rimanendo, in quanto ai suoi elementi, composito e, in quanto alle origini di questi elementi, tributario di scuole d'oltr'Alpe - ha già una sua propria fisionomia, e conferisce alla musica sinfonica respighiana, un suo particolare carattere.
Questo particolare carattere consiste sopra tutto nel modo di sviluppare le sue composizioni. Modo che dimostra un'abilítà grandissima di trar partito anche dalle più modeste cellule tematiche, e di sfruttare fino al massimo limite le risorse, mettiamo, di un solo accordo; e che si manifesta nel suono della sua orchestra che è - come quelle di ben pochi altri maestri d'oggi -brillante, fantasiosa, varia, ricca di tutte le risorse; arricchita anzi, dallo stesso Respighi, di importanti nuove conquiste, specie per ciò che riguarda le grandi sonorità e - al polo opposto - certi suggestivi effetti di misteriose brume'sonore e di sonorità liquide, trasparenti, delicatissime (e pur nutrite di vibrazioni e di timbri), nelle quali il Respighi è veramente maestro.
Un'altra specialità del Respighi è quella delle trascrizioni. Sotto la sua mano le musiche degli autori più antichi e ignorati dal pubblico - dal Molinaro al Galilei al Carosio al Gianoncelli al Pasquini - e di quelli relativamente vicini, come Bach, come Rossini, rivivono veramente una vita nuova, sono chiamate a nuove splendide fortune. Ingegno complesso e fervido, spirito coltissimo, natura estremamente sensuale, e ugualmente sensibile alle impressioni visive che alle auditive (quante sue musiche sono nate dalla contemplazione di un paesaggio o di un quadro!), - Ottorino Respigho è certamente, anch'esso, una delle figure più rappresentative e complete della nostra nuova arte musicale.