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EUGENIO MONTALE

«LUMAWIG E LA SAETTA», ALLA SCALA

CORRIERE D'INFORMAZIONE
Milano, 30-31 maggio 1956


Lumawig e la saetta, azione mimo coreografica di Maner Lualdi scritta per la musica di Adriano Lualdi, era stata rappresentata molti anni addietro a Roma e a Napoli nella sua parte fondamentale, ossia nella 'historia'. Arricchita di una 'praehistoria' è stata offerta iersera al pubblico della Scala, in abbinamento al Werther. Strana congiunzione, che non discutiamo perchè probabilmente altre unioni, in questo scadere di stagione, non erano possibili.
Lumawig svolge una trama in cui si può ravvisare tanto una innocua favola quanto una satira sociale e politica. Il re di una stirpe di selvaggi bicolori (Bicolore III) importa dal mondo degli uomini bianchi alcuni modelli di divinità; e si innamora di Zeus e della sua saetta, di cui giunge a impossessarsi. Munito della saetta questo buon sovrano, finora ancora legato a una certa democrazia parlamentare, inaugura a suo favore «il culto della personalità» e si trasforma in un tiranno. Dal sommo di un multicuspidale fortilizio sparge il terrore; finchè attratto dalle grazie della giovane Habima scende all'alto, smarrisce la folgore e si lascia trafiggere da un dardo della fanciulla. Tra canti alleluiatici torna la pace, non solo nel mondo dei bicolori, ma anche nel mondo delle bestie che fanno cornice e corona al mondo dei bipedi ed offrono esempio di assai più miti costumi.
L'azione, che abbiamo riassunto troppo in breve, è ricca di episodi che il testo - il libretto - sottolinea minutamente e che l'azione visiva riesce spesso, non sempre, a porre in rilievo. Maner Lualdi ne ha tratto un racconto mimico bene incatenato, senza soste e senza prolissità, ed è stato il miglior regista di se stesso. Molte di queste sue composizioni e trovate dimostrano ancora una volta in lui l'estro e la passione del vero uomo di teatro. Lo ha assistito il talento coreografica di Ugo Dell'Ara che in una serie non breve di danze di vario stile ha potuto sfrenare la sua vena inventiva. Un poco meno ha giovato allo spettacolo la selva tropicale creata da Nicola Benois, con certi alberi che sembrano tubi o chiavi o chiavarde (da intendersi forse in chiave... d'ironia, come allusioni alle magnifiche sorti della nostra vita meccanicizzata); e con uno sfoggio di colori striduli, non sempre intonati al carattere della musica tutt'altro che barbarica del maestro Lualdi. Anche nella scenografia e nei costumi è apparsa tuttavia evidente quella ricerca di humour che il regista Lualdi ha inteso conservare in tutta la sua trama scritta.
Quanto alla musica vera e propria che accompagna l'azione muta (muta ma non priva di voci corali, che si esprimono in una lingua immaginaria) essa ha senza dubbio il carattere del divertimento musicale, nel senso migliore della parola. Chi scorra lo spartito, che comprende una sarabanda dedicata a Wolf-Ferrari, un valzer dedicato a Guido Valcarenghi e persino un brano (il ciclone) offerto alla mernoria di Sarnuel Taylor Coleridge, si accorgerà che il maestro Lualdi ha voluto seguire fino a un certo punto le agudezas del testo, le nuvolette in forma di barca, il lampionaio che attacca in cielo la luna, le giraffe col fanalino, ecc.; ma ha intesa soprattutto dar libera vita a quell'estro che da anni egli ha espresso in opere più impegnative di questa.
Un certo eclettismo stilistico era imposto dal genere stesso della trama prescelta, che mette a soqquadro cielo e terra; ma in genere prevale una facile, istintiva melodiosità affidata soprattutto agli archi. Il pianoforte apre la 'praehistoria', l'antefatto; in cui prevalgono i suoni percussivi che commentano i motivi più barbarici dell'azione; ma, quando la danza prevale, Lualdi non ha cercato di inacidire artificialmente la sua gamma, che resta modulata e temperata secondo i modelli migliori settecenteschi. Quanto al concretismo musicale (urla, fischi, rumori) che alcuni vedono nella parte animalesca (la 'praehisioria') non diremmo che il Lualdi li abbia presi troppo sul serio e ne abbia fatto il centro della sua invenzione musicale. Se si pensa a quali spaventi ci avrebbe procurati un modernista a oltranza alle prese con un'azione simile, non ci resta che da essere grati ad Adriano Lualdi per la leggerezza di mano che ha dimostrato. Anche se la sua sobrietà si è un po' annacquata nella vasta sala scaligera.
Diretta con molto impegno dall'autore, interpretata a dovere dal Dell'Ara, dalla Barabaschi, dalla Colombo, nonchè dai signori Perugini, Fascilla Venditti, Telloli, e Santambrogio, l'azione mimo -coreografica dei Lualdi ha interessato il pubblico che ha chiamato alla ribalta più volte gli autori e i principali interpreti.