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PRESIDENTE. È inscritto a parlare il camerata onorevole Lualdi. Ne ha facoltà.
LUALDI. Onorevoli Camerati! Se ho chiesto di parlare, e parlo, di musica, di teatro, di concerti in sede di bilancio delle Corporazioni, invece che dell'Educazione nazionale, come una volta si usava (se e quando si faceva), è perché in questa Camera corporativa, fra tanti esperti di tutte le discipline e attività - i quali quando parlano delle loro materie, spinti sempre da una ragione ideale o morale, sempre animati dal bello e puro desiderio di collaborare allo svolgersi della rivoluzione in atto, non perdono però mai di vista la ragion pratica - è perché, in questa Camera corporativa e fascista desideravo e desidero riaffermare il contenuto non soltanto ideale, ma anche pratico ed economico di ogni branca delle nostre attività musicali; è perché desideravo e desidero rivendicare all'arte musicale e ai musicisti italiani, dinanzi a voi, Camerati professionisti e pratici di tutte le arti, professioni e mestieri, il diritto che l'arte musicale e gli artisti hanno al vostro affetto e alla vostra difesa. Non soltanto per via della luce splendida e pura che al nostro paese è sempre venuta e può ancora venire dall'arte musicale; ma anche per il lucido e sonante oro che dall'arte e dagli artisti di musica è sempre venuto, e può ancora venire al nostro paese.
Argomento, io credo, a tutti accessibile, anche ai meno portati alle estasi artistiche e alle contemplazioni dei cieli.
Camerati! Se oggi vi parlo è per dirvi che gli sforzi e il consumo di energie e di denari che il Governo fascista ha fatto e fa in favore della vita artistica nazionale, se sono stati ricchissimi di risultati per la pittura, la scultura e l'architettura, sono rimasti del tutto sterili per ciò che riguarda la musica. Alla sincera volontà di bene, alla formidabile spinta verso il rinnovamento e verso l'azione rivoluzionaria che anima le alte cariche dello Stato, non hanno corrisposto nel campo della vita musicale, (non, intendiamoci, della produzione musicale) i risultati. Ognuno di noi lo ha constatato e lo può constatare quanto e quando voglia.
Entrate in una qualunque mostra di arti figurative. Centinaia di opere di pittura, di scultura, di bianco è nero, non recano firme che di artisti viventi. Viva e attuale, ardente di movimento, di ricerca di polemica di battaglia è l'atmosfera che vi circonda. Come dovunque, ove la vita si imponga con le sue leggi e necessità, con le sue alterne vicende di bene e di male, di scatti eroici e avventati magari e con i suoi momenti di sosta, voi dovrete dire - osservando il quadro o la scultura di avanguardia: Se costui osa tanto, è perché un'ansia lo punge, una mèta che egli stesso giudica ancora lontana lo chiama e lo affanna. E potrete discutere l'artista, ma non disconoscergli il suo ardimento e la sua qualità di uomo vivo e operante; di milite di una grande Milizia che - per l'esempio che viene dall'alto e per l'incitamento che nel cuore gli batte - sento di dover marciare. E davanti a un'opera di scultura o di pittura più serena e raccolta e disciplinata, voi potrete riconoscere i segni di una tempesta superata, di un equilibrio raggiunto, di una via finalmente (e chi sa con quanta fatica) trovata.
ROTIGLIANO. Deve essere dimostrato!
PRESIDENTE. Onorevole Rotigliano, glielo dirà dopo! Adesso lasci che l'onorevole Lualdi continui.
CALZABINI. È un'idea fissa questo passatismo!
LUALDI. È facile dire male dell'arte moderna senza conoscerla. (Interruzioni - Rumori).
PRESIDENTE. Facciano silenzio! Onorevole Lualdi, non raccolga le interruzioni.
LUALDI. ...di una via finalmente trovata. Ma non mai quelli del sonno immemore, o della vile rinuncia.
Camminate nelle nuove strade aperte dal Fascismo nelle nostre belle città; visitate i paesi creati dal Fascismo nelle terre bonificate. E voi vedrete, meno rarissime eccezioni, la nuova architettura, l'architettura, del nostro tempo, i materiali e le forme e lo spirito delle, costruzioni (Interruzioni) nati
col nostro secolo; studiati, trovati, propugnati, voluti dagli architetti della generazione
di Mussolini... (Interruzioni).
PRESIDENTE. Facciano silenzio! L'onorevole Lualdi ha diritto di leggere il suo discorso, e l'unico che ha diritto d'interromperlo sono io.
LUALDI. La generazione che nelle piazze e negli opifici ha fatto la rivoluzione, e che negli studi dei pittori, degli scultori, degli architetti, dei musicisti si è sforzata di esprimere ha espresso ed esprime lo Spirito della Rivoluzione (Interruzioni).
CALZA-BINI. Mi dispiace di vedere che sono i giovani che si ribellano (Rumori).
PRESIDENTE. Onorevole Mori. la finisca! Si metta a sedere.
LUALDI. Questi risultati, se non sono sempre trionfanti per quello che hanno raggiunto, sono però sempre e dovunque imponenti come affermazione di una epoca diversa da quella... (Interruzione del deputato Lanfranconi).
PRESIDENTE. Onorevole Lanfranconi, a lei non darò più nemmeno la soddisfazione di nominarlo! (Ilarità).
LANFRANCONI. In qualche punto sono in levante invece che in ponente. (Ilarità).
LUALDI. ...come affermazione, dico, di un'epoca diversa da quella che ci ha preceduto, come anelito di tutta una schiera compattissima di ingegni, ad esprimere il significato di un'epoca storica, il rinnovato animo della Nazione e lasciarne il segno nelle pietre.
In ogni caso anche qui, come nelle arti figurative, vita pulsante e fervida ed operante; milizia in marcia; perfetta armonia di intenti verso il nuovo, perfetto sincronismo col nostro secolo, col nostro spirito, colla nostra Rivoluzione. (Interruzioni).
Entrate adesso in uno dei nostri teatri d'opera o saloni di concerti, maggiori o minori, sovvenzionati o no. Addio, atmosfera di rinnovamento, addio, scatti eroici.... (Interruzioni - Ilarità).
PRESIDENTE. Onorevole Lualdi, lei provoca l'arte dei colleghi ! (Viva ilarità).
LUALDI. Li manderemo alla scuola dei vocalizzi!
Addio scatti. eroici ed avventati, magari; addio vita attiva ed operante e fattiva e pericolosamente audace, e ansiosa del nuovo e sincrona al nostro tempo, al nostro secolo, alla nostra Rivoluzione. Addio marcia in atto di una bella milizia.
Nei teatri d'opera e in molte sale di concerto, non si respira freschissima aria di rinnovamento; si sente l'aria pesante e ferma del Museo.
Nessuna milizia in quelli e in quelle è in marcia; ma tutti, invece, stanno seduti.
Sta seduto il pubblico nelle, poltrone, e sonnecchia; stanno sedute le Commissioni direttive nei loro palchi, e cullano in sordina il placido sonnecchiare del pubblico. (Interruzioni).
PRESIDENTE. Non interrompano!
LUALDI. Perfino i direttori di orchestra, quando si agitano sul loro podio, fingono di stare in piedi, ma in realtà stanno spiritualmente seduti, perché da cinquant'anni a questa parte dirigono sempre le stesse musiche. (Rumori --Commenti).
PRESIDENTE. Facciano silenzio! E lei continui, onorevole Lualdi!
LUALDI. Aspetto che tacciano, Eccellenza. Voglio che sentano bene tutto quello che ho da dire. Fin i tenori e le prime donne che fanno ufficialmente all'amore sul palcoscenico (Interruzioni) venendosi incontro col passo...
UNA VOCE. Ha perduto il filo!
LUALDI. Voi, piuttosto, perdete la bussola! ...venendosi incontro col passo melodrammatico «puro 1800», fingono di correre e di spasimare; ma in realtà ripetono macchinalmente, stando seduti, vecchie passioni e antiche formule d'amore delle quali nessuno di essi, oggi, più si commuove, per eccesso di iterazioni!
Solo una categoria di cittadini noti può stare seduta: quella dei compositori di musica, i produttori, i creatori della materia prima, i fratelli in arte, cioè, di quei pittori, scultori, architetti, allo spirito dei quali le mostre di arti figurative e le opere di architettura informano il loro spirito rinnovato e la loro novissima atmosfera.
Non può, questa categoria di cittadini benemeriti, stare seduta, perché agli operisti contemporanei è quasi completamente vietato l'ingresso nei teatri d'opera; e se arriva ad entrarcene uno, e al massimo dei massimi due in una stagione di sei mesi e di venticinque spettacoli, gli tocca stare in piedi, e domandar scusa a tutti del disturbo; e poi gli si dice: Visite brevi; e dopo le tre o quattro recite d'obbligo dell'opera del maestro vivente, qualunque ne sia l'importanza e la temperatura del successo, lo si manda a spasso. (Commenti - Rumori).
PRESIDENTE. Facciano silenzio!
LUALDI. I cartelloni di questi ultimi anni di tutti i più importanti teatri d'Italia, provano il mio asserto, con una sola variante rilevabile: che quanto maggiori sono le sovvenzioni statali e comunali, tanto minori sono l'importanza e il numero delle novità che in essi teatri si rappresentano.
Dei dodici o quindici milioni di lire di sovvenzioni di cui godono complessivamente quattro o cinque o sei grandi teatri italiani, poche, pochissime migliaie di lire soltanto (dico migliaia, non diecine di migliaia) vanno agli autori viventi. Il 95, il 98 % di questa rispettabile somma che Stato e comuni danno con generosità mai prima vista, e che basta da sola a documentare la volontà di bene del Governo Fascista - il 95 o il 98 per cento - serve a rappresentare opere del vecchio repertorio (Interruzioni), ed a compiere inutili esumazioni, inutili tentativi di ridar vita a melodrammi del secolo scorso, che costano per l'allestimento assai più che un'opera nuova, non aggiungono gloria alcuna ai loro già gloriosissimi autori, annoiano il pubblico e lo allontanano ancor più dalle già annoiatissime platee.
Ora - teniamoci al fatto puramente economico: il quale, come si è visto nel prematuro bilancio pubblicato recentemente da un grande teatro del settentrione, pare che sia il solo che conti ed il solo che debba decidere della politica artistica - io non credo affatto che Governo e comuni diano tanti milioni ai teatri al solo scopo di farne dei costosissimi Musei, e per vederli così inospiti verso tutti i nuovi compositori italiani che da tanti anni lavorano e lottano con una passione e un disinteresse ed una abnegazione che in nessuna categoria di artisti ha l'uguale, perché nessun riconoscimento la premia, nessun aiuto la sostiene.
E io non credo che lo spirito delle disposizioni che concedono così vistosi sussidi ai teatri sia quello di non valorizzare in alcun modo la produzione contemporanea, e di sfruttare invece fino al completo esaurimento, il repertorio del secolo scorso; il repertorio più vieto e comune, intendiamoci, che ignora completamente e il «Flauto magico» e le «Nozze di Figaro» di Mozart, e «l'Orfeo» di Gluck, e il «Fidelio» di Beethoven, e «l'Oberon» di Weber, la «Vestale» di Spontini, la «Medea» di Cherubini, il «Guglielmo Tell» e l'«Italiana in Algeri» di Rossini.
Io credo, invece, che scopo delle sovvenzioni e la motivazione di esse più degna se pure taciuta dalla lettera dei regolamenti: siano quelli di aiutare, di provocare l'affermarsi del nuovo repertorio dei nuovi maestri: senza abbandonare le grandi opere della nostra letteratura, ma senza esaurire in esse tutte le proprie possibilità, come oggi avviene. Credo che, come nelle mostre di arti figurative, e nelle opere di architettura attuali, la maggior parte delle fatiche e delle attività debba essere spesa, anche nei teatri d'opera e nelle sale da concerto, a favore degli artisti viventi, si che il pubblico impari a conoscere e ad apprezzare l'importante nuovo repertorio italiano di musiche teatrali e sinfoniche che esiste, e che un giorno dovrà necessariamente sostituire quello antico. (Commenti).
Ma questo nuovo repertorio non potrà mai essere selezionato, concretato e avvicinato al pubblico se non si stabilisca con chiarezza che i grandi teatri sovvenzionati hanno l'obbligo preciso di costituire l'accogliente, normale vetrina di diritto dei maestri viventi di già sicura rinomanza; ne abbiamo otto o dieci di primissimo ordine, superiori individualmente e collettivamente alle scuole straniere e coetanee...
VOCI. Fuori i nomi!
OPPO. Non li conoscono i (Rumori).
CALZA-BINI. È inutile parlarne!
LUALDI. ...e con la stessa chiarezza si stabilisca che i teatri minori debbono provvedere all'avviamento dei giovani e giovanissimi più meritevoli.
E ancora, questo nuovo repertorio non potrà affermarsi fino a diventare redditizio per i teatri e per gli artisti creatori, fino a che i grandi Enti non rinuncino all'irragionevole uso invalso: di pretendere dai compositori sempre l'opera nuovissima di teatro o sinfonica; rifiutando di provvedere alla seconda, terza, decima edizione di un'opera, che son quelle che contano per il pubblico e per gli autori, sia come fatto morale che economico.
Se qualcuno ripetesse ora la vecchia comoda storia che di opere nuove non se ne eseguiscono, perché non ce ne sono, io ripeterò che questo è falso. Le opere ci sono, ma nessuno le conosce. (Commenti). E chi le conosce non vuole ricordarsene. Ma anche se la leggenda avesse qualche fondamento, i teatri sovvenzionati avrebbero l'obbligo, non soltanto di incoraggiare, ma di sforzare la nuova produzione per crearlo, essi, questo nuovo repertorio, invece di fossilizzarsi nella sterile contemplazione dell'antico.
Perché, se viver di rendita su una ricchezza ereditata è da inetti e da oziosi, dilapidare rendite e capitali fino all'esaurimento, auspicando dopo di sè il solito diluvio universale, è sciocco, è colpevole e non è punto fascista: se Fascismo vuol dire anima, sguardo, sforzi, protesi verso il domani.
Valorizzare il repertorio operistico italiano del dopoguerra, che conta non meno di una ventina di opere vitalissime, degnissime di esser conosciute da tutti i pubblici d'Italia e dell'estero, vuol dire reintegrare un capitale, che, sottoposto ad uno sfruttamento eccessivo e sconsiderato, specie in questi ultimi venti anni, sta, a poco a poco, polverizzandosi: va incontro ad un rapido annichilimento. Vuol dire assicurare ai nostri teatri d'opera, ai nostri artisti, alle nostre orchestre la possibilità di lavorare e di vivere anche nei decenni avvenire; vuol dire non rinunciare ad un cespite di entrata imponente per la nostra bilancia commerciale nei rapporti con l'estero. Un cespite di entrata che ancora nel 1925 saliva - per esportazioni di opere, artisti, orchestre, cori, materiali scenici italiani - a ben duecentocinquanta milioni di lire; un quarto di miliardo all'anno, onorevoli Camerati.
In strettissima relazione con la valorizzazione dell'esistente repertorio operistico e sinfonico contemporaneo - che vuol dire mutamento di atmosfera, abbandono del Museo per la vita operante e feconda, aggiornamento, sincronizzazione, etica fascista applicata all'arte musicale - e in matematico rapporto con le oscillazioni della bilancia commerciale, sta la questione degli scambi culturali con l'estero, la quale dovrà presto interessare particolarmente la Corporazione dello spettacolo.
Poche settimane fa un giornalista mi domandava: Cosa si pensa all'estero della attuale produzione operistica italiana? lo ho dovuto rispondere: Non se ne pensa niente, perché nessuno sa che esiste.
È naturale; come possiamo pretendere che gli stranieri conoscano quello che noi stessi non conosciamo? Che facciano credito a compositori di musica che noi per i primi, entro le mura, facciamo di tutto per screditare? E allora succede quel che vi racconto: che in una grande capitale di Nazione amica - forse ignorando l'esistenza di un repertorio contemporaneo - pare considerino scambio culturale con l'Italia (può darsi a pareggio dell'aver noi rappresentato l'opera di Strauss - «Die Frau ohne Schatten» - e quella di Mozart «Così fan tutte») il rappresentare due spartiti di Verdi e uno di Giordano. Che al Colon di Buenos Aires si fanno un vanto verso di noi di rappresentare, su 12 opere del cartellone, sette spartiti italiani. Ma di questi sette, quattro sono di Verdi, due di Puccini, e il settimo, che dovrebbe essere contemporaneo, è incerto fino ad oggi.
Ora qui, Camerati, occorre osservare che se noi abbiamo fatto azione di effettiva divulgazione della cultura tedesca, rappresentando in Italia un spartito di Strauss nuovo per noi e neppure in Germania popolare, e uno di Mozart, ignoto al gran pubblico; e della cultura sudamericana col dedicare due anni or sono tutto un intero concerto a moderne musiche sudamericane completamente sconosciute fra noi; e abbiamo così, in certo modo, aperto una partita di credito a nostro favore con le nazioni suddette, le nazioni suddette - se vogliono in certo modo rendere quello che hanno avuto - e se intendono praticare dei veri e propri scambi culturali, debbono tenersi al repertorio nostro contemporaneo sconosciuto in esse, e in ogni caso, al meno abusato. Essendo che Verdi e Puccini rappresentano due formidabili pilastri del teatro d'opera in tutto il mondo... (Interruzioni).
Volete che l'impari da voi che Verdi è un grande? Due nomi necessari ad ogni cartellone di grande o piccolo teatro, come sono necessari quelli di Rossini, di Wagner, di Gounod, di Bizet; senza dei quali stagioni d'opera non sono praticamente possibili, né in Italia, né fuori d'Italia; due autentiche miniere d'oro per í teatri di Parigi, come di Vienna, di Budapest, di Berlino, di Buenos Aires, di Mosca, di Leningrado.
Un teatro straniero non può dunque farsi un merito, verso di noi, di mettere in scena opere che sono, dal punto di vista amministrativo oltre che artistico, le più sicure fonti di reddito, e che tutti i pubblici di tutto il mondo ormai conoscono attraverso centinaia di edizioni; né può farne oggetto di scambio culturale, dato che, in tema di melodramma italiano ottocentesco, non vi sono lacune da deplorare nella cultura di nessun Paese civile.
Anche qui, dunque, il fatto economico accompagna e rafforza le ragioni dell'arte. Voi vedete se non fosse il caso di parlarvi di cose musicali in questa sede e di chiedere, in questa sede, all'onorevole Ministro delle corporazioni, di volersi soffermare su problemi che, partendosi da quello gravissimo del rinnovamento del repertorio, si estendono e si riflettono in mille modi, all'interno, nella vita dei teatri, nella ragione d'essere dei Conservatorii di Musica, nella possibilità di sussistenza delle masse orchestrali e corali, degli artisti di canto e di tutte le industrie che intorno al teatro vivono; e, all'estero, nel prestigio del nostro nome e nel livello di un reddito, che, dall'altissima cifra che ho detta, ora dev'essere inevitabilmente molto disceso.
Un'arte che rendeva al nostro Paese, in sole esportazioni, un quarto di miliardo all'anno, e che potrebbe ancora renderlo; e che, entro i confini, produce movimenti di denaro per centinaia di milioni e dà i mezzi di vita a migliaia di cittadini, merita la più attenta cura, non soltanto (la parte dei suoi cultori e professionisti, e del Sindacato che ne è presidio.. e della Confederazione che ne disciplina i movimenti, e della Corporazione alla quale è annessa, ma anche da parte degli economisti e di coloro che, di ogni attività nazionale, misurano il dare e l'avere, il costo e il reddito.
Non io, ma le cifre dicono in modo certo che - a parte l'aureola di gloria che in tutto il mondo circonda da secoli la musica italiana è che per il suo inestimabile valore non può essere calcolata a milioni - la musica e ì musicisti hanno dato all'Italia, in reddito oro, molto, ma molto più che non abbiano ricevuto, dall'unificazione all'avvento del Fascismo.
Solo con l'avvento del Fascismo lo Stato incomincia a occuparsi e a preoccuparsi delle sorti della nostra musica, e a dare somme che prima non dava; e questa è benemerenza grande.
Ma ho già detto come e perché questa sollecitudine governativa non abbia dato e non possa dare, fino a che durino gli attuali criteri nei nostri istituti d'arte, i risultati voluti; ho già detto come - unica fra tutte le attività artistiche nazionali - la musica coi suoi teatri, sale di concerto, istituzioni varie, sia ancora ben lontana dal risentire il ravvivante affiato della Rivoluzione Fascista.
Io domando dunque che questo spirito entri alfine trionfante anche nei troppo chiusi recinti del mondo musicale; che anche nel mondo della musica si possa dire presto, finalmente - come ben alto possono dire già da alcuni anni i pittori, gli scultori, gli architetti, che sotto l'emblema Littorio hanno combattuto e vinto la loro bella, bellissima battaglia - Incipit vita nova! (Vivi applausi)