|
HOME
PAGE
_____________________________________________________________________________________________________
|
|
|
|

---------------------------------------------
|
Direttori
Giuseppe Bottai
Giorgio Vecchietti
Anno
primo: 1940
Mese primo:
marzo
Anno ultimo:
1943
Mese ultimo:
agosto
Periodicità: varia
N. fascicoli:
82
------------------------------------
|
La rivista
Primato (sottotitolo Lettere e arti d'Italia) inizia le
pubblicazioni il 1 marzo 1940, con la direzione congiunta di Giuseppe
Bottai e Giorgio Vecchietti, capo della redazione è Giorgio
Cabella.
La direzione e la redazione hanno
sede in piazza Adriana 5 a Roma Il periodico è stampato dalla
società Anonima Periodici Italiani della Mondadori con una
tiratura intorno alle diecimila copie.
Il formato è di cm. 36,5 X
24,5; i fascicoli constano di un numero di pagine oscillante tra le
24 e le 32. La rivista viene pubblicata con periodicità
quindicinale fino all'agosto 1943; fanno eccezione i numeri doppi
9-10 del 15 maggio 1943 ed il n. 15-16 dell' 1-15 agosto 1943, a. IV.
Con quest'ultimo numero Primato termina le pubblicazioni
essendo già avvenuta, con il 25 luglio di quell'anno, la crisi
del fascismo.
Nell'ultimo numero non compare
più l'indicazione dei due direttori ma figura solo, nella
quarta di copertina, Vecchietti come direttore responsabile.
|

RITRATTO DI
G. BOTTAI
|
ARTE E
REGIME
TESTO
INTEGRALE
|
Due articoli apparsi in
questi giorni in due quotidiani romani: «Il bosco sacro»
(Tevere), «Problema organico di Regime »
(Tribuna), prendono lo spunto dalla voce corsa, ma
fino ad oggi non confermata ufficialmente, delle dimissioni di
Arduino Colasanti da Direttore Generale delle Antichità e
Belle Arti, per discutere e del probabile successore, e delle
condizioni nelle quali si trovano attualmente le Belle Arti in
Italia.
Questi argomenti interessano non soltanto Roma,
interessano anche Milano. Discutiamone noi pure. |
Scrive il Tevere
che, per metter fine all'attuale stato di disordine e di abbandono
non c'è che una via di uscita: 1º Lasciare alla Minerva
una Direzione generale delle Antichità, Musei e Gallerie del
Regno, la quale avrebbe la funzione di curare i lavori di scavo, di
ripristino e di restauro d'ogni monumento dall'età classica
sino al termine del Settecento; 2º Creare ex novo, presso il
Ministero dell'Interno o degli Esteri (a meglio ribadire l'importanza
squisitamente politica dell'arte nella vita del regime e di fronte
agli stranieri) uno speciale organo, non burocratico,
per l'arte moderna e contemporanea, organo diretto da un vero e
proprio dittatore, con poteri assoluti, o, almeno, da un
ristrettissimo gruppo di competenti.
|
A tale organo dovrebbe
essere riservata la piena, intera responsabilità di tutte le
manifestazioni artistiche e musicali d'oggi, nel più lato
senso dell'espressione. Quanto alle funzioni e ai compiti dei
Sindacati il Tevere riconosce, bensì, che questi
rappresentano una garanzia sufficiente se non altro contro il tante
volte lamentato infiltramento dei «politici» nelle
faccende dell'arte; ma non crede che essi possano efficacemente
dirigere e scernere criticamente le varie tendenze dell'arte
contemporanea, dato che la loro funzione è quella di tutelare
imparzialmente gli interessi professionali degli artisti
sindacati. |
Risponde, ne La
Tribuna, Roberto Forges Davanzati, che - pur consentendo
nell'opportunità di distinguere tra i due còmpiti
attualmente affidati alla Direzione Generale delle Antichità e
Belle Arti (platonicamente affidati, posta l'impossibilità di
assolverli, per difetto di mezzi): il còmpito di tutela e di
avvaloramento, cioè, del patrimonio artistico; e la funzione
regolatrice dell'arte contemporanea - si oppone, però, a che
questa distinzione porti «ad una separazione tale da lasciare
la tutela patrimoniale (Antichità, Musei, Gallerie e
Sovraintendenze) alla Minerva, e passare l'organo non
burocratico per l'arte contemporanea agli Interni o agli
Esteri». |
Se uno dei malanni della
Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, dice il
Forges Davanzati, è stato proprio questo essere considerata,
nel vecchio Regime e anche in Regime Fascista una istituzione
marginale della Minerva, e un fastidio improvviso e ricorrente per
Ministri i quali, provveduti di altre virtù e capacità,
hanno considerato sempre le questioni d'arte, del passato e
più del presente, come problemi estranei ed ingombranti;
questo malanno sarebbe niente altro che duplicato, passando l'arte
contemporanea agli Interni o agli Esteri i quali, come
Ministeri sono organicamente estranei a questo còmpito
suscitatore di stili. |
Quanto ai Sindacati e loro
funzioni, il Forges Davanzati afferma che non solo la loro azione non
dev'essere contenuta; ma che essi debbono essere emancipati dallo
stato di minorità in cui oggi si trovano, e posti nella
condizione di agire, ciò che oggi non è. «Una
delle colpe della Direzione di Antichità e Belle Arti è
stata proprio di non aver inteso la funzione dei Sindacati artistici.
E infine non si può ammettere che, anche e soprattutto quando
ci sia da amministrare danaro pubblico, o da decidere per
l'insegnamento artistico, o da proteggere e tutelare, si vedano
investiti di autorità alcuni valentuomini, dilettanti
indispensabili, dal Consiglio Superiore di Belle Arti fino ai posti
di controllo e di comando in istituzioni particolari di esposizioni o
di teatro, proprio nel momento in cui si opera, come si è
operato, per tener distanti i rappresentanti dei Sindacati».
|
Pronti a riconoscere che il
Tevere mostra, nel formulare le sue proposte, non meno
dell'altro foglio romano, una viva sollecitudine per il bene delle
arti e per il loro migliore assetto, dobbiamo subito dichiarare che
è con le idee espresse dalla Tribuna che noi siamo, se
non in tutto in gran parte, consenzienti.
|
E, per non ripetere o
parafrasare le cose dette dal Forges Davanzati, e per incominciare
dal primo punto della discussione, la asserita crisi nella Direzione
Generale delle Antichità e Belle Arti, osserveremo soltanto
che, comunque essa si risolva - in modo conservativo, col
mantenimento cioè dell'attuale organismo burocratico e
relativi suoi còmpiti; o in modo rivoluzionario, scindendo
tali còmpiti e creando nuovi organismi - è necessario
che non si cada in errori dei quali par già di avvertire negli
scritti che compaiono e nelle voci che corrono - qualche pericolo, e
che non farebbero che rendere anche più precaria la condizione
delle arti e, degli artisti italiani, che sono già, più
che disagiate, durissime.
|
Se dunque la crisi di
Palazzo Venezia sarà risolta in senso conservativo, è
da augurarsi che l'uomo chiamato a succedere ad Arduino Colasanti non
sia nè un archeologo, nè un eritico, nè un
artista, come vorrebbero alcune notizie raccolte dai giornali romani.
Fino a che la Direzione Generale in questione avrà tanti e
così diversi còmnpiti, riguardanti l'antico come il
moderno, le Esposizioni come le Accademie ei Conservatori, la pittura
come la scultura come la musica, non è possibile e non
è giusto che alla sua più alta carica sia chiamato uno
«specialista». Se sarà archeologo, non avrà
occhi e mente che per gli scavi; se critico, avrà il suo
«sistema» e i suoi autori preferiti da far trionfare,
senza coniare che le arti di cui il detto critico non si interessa,
saranno trascurate anche più di ora; se sarà un
pittore, uno scultore, un musicista, ancòra ci troveremo
dinanzi ad incomprensioni e a squilibri dei più
gravi. |
Di più, siccome la
Direzione Generale delle Belle Arti è attualmente paralizzata
dalla assoluta indigenza in cui si trova, al mutameuto d'uomini nel
senso accennato non potrà corrispondere nessun mutamento e
nessun ravvivamento di politica artistica: perchè senza fondi
non si può far nulla: neanche della partigianeria, neanche del
clientismo. Se le cose debbono, in quanto organismo, rimanere, a
Palazzo Venezia, come sono, il migliore partito sarà di
nominare al posto di Direttore Generale un funzionario che conosca
uomini e cose, che sia vissuto in mezzo ad artisti, ne sappia gli
spiriti e i bisogni, che abbia già dimestichezza con i
meccanismi delle Esposizioni e delle Accademie, e che sia già
allenato alla improba fatica di celebrar nozze e nozze con fichi
sempre più secchi e sempre più pochi. Quest'uomo, lo
dice anche il Tevere, a Palazzo Venezia c'è. |
Se invece la soluzione
della crisi ha da essere rivoluzionaria, e produrre una scissione di
còmpiti e creare un nuovo organismo, rivoluzionaria sia, in
senso anche più completo di quello prospettato dal
Tevere e perfezionato dalla Tribuna, che propone un
Commissario o un Sottosegretario. E si crei addirittura un Ministero
per le Antichità e Belle Arti, che non sarà certo di
troppo in Italia, con due sottosegretariati, per l'arte antica e per
l'arte contemporanea, le quali non possono essere seriamente
assistite e tutelate e indirizzate da una stessa mente, dati i loro
fini diametralmente opposti: l'uno, studio, ricupero, conservazione,
chiarificazione del passato; l'altro, studio, chiarificazione,
indirizzo, conquista del presente e dell'avvenire; l'uno, gelosa
tutela e severissima vigilanza perchè il patrimonio nostro
d'arte antica rimanga entro i confini; l'altro, energica e vivace e
coraggiosa azione perchè il patrimonio nostro d'arte
contemporanea si espanda quanto più è possibile oltre i
confini, e riconquisti i mercati che ha perduti e che va perdendo. E
accanto a questi sottosegretariati - ma specialmente accanto a quello
per l'arte contemporanea - siano accolti organi consultivi,
emanazioni dirette delle varie Categorie di artisti: quello
che sono oggi i Direttorii Nazionali dei Sindacati Artisti. I quali
però, sino ad ora, non dirigono nulla: perchè non
assistiti da chi dovrebbe assisterli, ed avversati da chi dovrebbe
sostenerli e valorizzarli.
|
Quello che è
avvenuto in quest'ultimo anno nel campo della musica - i pittori, gli
scultori, i letterati diranno le loro; noi intanto diciamo le nostre
- è sintomatico, e basta a dimostrare quanto bisogno abbiano,
questi Sindacati intellettuali, di passare dalla funzione puramente
platonica a quella pratica e fattiva. Darò, per oggi, solo due
campioni. |
Il Direttorio dei Musicisti
esprime a Benito Mussolini - che di questioni musicali sembra
interessarsi particolarmente - il parere che i teatri sovvenzionati
direttamente o indirettamente dallo Stato debbano essere sottratti
alla speculazione privata e comunque regolati da uno statuto: il Duce
approva; e il massimo teatro lirico della capitale è affidato
alla gestione di un impresario di mestiere senza condizioni di sorta,
riguardo alla politica artistica da seguire. Il Direttorio dei
musicisti chiede al Duce che sia fatto obbligo, a tutte le più
importanti organizzazioni teatrali e concertistiche, di accogliere
nei loro Consigli una congrua rappresentanza dei vari Sindacati
Musicali (è noto, e lo dice assai bene anche il Forges
Davanzati, che i musicisti sono quasi completamente esclusi dai
Consigli Direttivi di tutte le Società di Concerti ed Enti
teatrali. Ingegneri, avvocati, notai, ragionieri, ve n'è a
bizzeffe; ma gli artisti son tenuti alla larga).
|
Il Duce trova giustissima
la domanda, e concede. Ma il sottosegretariato per le Corporazioni
compila in tal modo la relativa circolare ai Prefetti, che un Ente,
quello del Teatro San Carlo di Napoli, per non far nomi, si crede in
diritto di non tener conto dell'invito.
Questa è l'ultima, e la si è saputa a
Roma nei giorni scorsi, ed è stata di gran conforto pei membri
del Direttorio Nazionale dei Musicisti. Poi, ve ne sono delle altre,
non meno eloquenti e significative e confortanti, che dirò in
altra occasione, se Benito Mussolini lo vorrà. |
Per oggi basta. Basta, se
non erro, a dimostrare che Direzione generale, Ministero o
Sottosegretariato per le Belle Arti, Sindacati Artistici, efficienza
dei varii Direttorii, sono altrettante faccie di un unico problema,
che interessa quanto ha di meglio l'Italia intellettuale, e che
è desiderabile divenga al più presto uno dei grandi
problemi del Regime. |
II
|
6
NOVEMBRE
|
L'On. Franco Ciarlantini mi
scrive: |
«Leggo
con molto ritardo, a causa del mio continuo viaggiare, il suo
articolo Arte e Regime; le risposte della Tribuna, del
Tevere e del Giornale d'Italia; la sua replica. Ella
conosce le mie idee al riguardo, e sa come io sia convinto che, nel
nostro Paese, l'Arte è Politica e Finanza; e specialmente
Politica Estera, vale a dire mezzo di propaganda e di imperio
spirituale; e - in quanto a produzione contemporanea - specialmente
«genere di esportazione»: cespite di entrate,
cioè, per la nostra nazione, che possono grandemente influire
su quella che si chiama «bilancia commerciale». Io, che
amo le soluzioni profonde e definitive, sono più d'accordo con
lei che con i suoi interlocutori, e preferirei - a sanare la crisi
delle Belle Arti e Antichità - la creazione di un Ministero,
secondo la sua proposta; tanto più che a questo Ministero io
credo si dovrà prima o poi, arrivare. Ma se per ora non si
vuol fare un passo troppo lungo, venga pure il Commissariato.
Purchè il Commissario abbia libero ingresso a Palazzo Chigi, e
riesca a far intendere al Ministro delle Finanze che l'Arte è
in Italia una delle poche «voci» che possano rendere,
decuplicati, imilioni intelligentemente spesi a suo vantaggio
».
|
Questa lettera, che reca la
data del 2 novembre u. s., una breve nota del Giornale
d'Italia, apparsa negli ultimi giorni di ottobre, e un lungo
importante articolo della Tribuna del 3 u. s., mi inducono a
riprendere l'argomento intorno al quale l'interesse di quanti hanno a
cuore la sistemazione della nostra vita artistica è più
che mai vivo e giustificato oggi, che è in ballo la
successione del dimissionario Arduino Colasanti, o una totale riforma
degli organismi ministeriali sovrastanti alle Antichità e
Belle Arti. |
Il problema non interessa
soltanto gli artisti e i letterati; bensì anche i politici e
gli uomini di finanza. La cosa è stata detta e ripetuta molte
volte, ma non è inutile riaffermarla. A ribadire - e sotto un
solo aspetto, per non andar tanto per le, lunghe - la verità
con parole non mie, citerò - il passo di un libro,
Imperialismo spirituale, dell'on. Ciarlantini, che la lettera
dello stesso mi ha indotto a ripercorrere: |
«L'opera
compiuta, quadro o statua, commedia o opera musicale, una volta,
licenziata dall'Artista, si deve considerare come un prodotto
commerciale da valutare, da valorizzare, da collocare col massimo
rendimento morale e finanziario. Noi italiani non ci siamo mai curati
di creare un mercato europeo e mondiale alla nostra arte e ai nostri
artisti. Il poco che è stato fatto lo si deve ai privati. In
tutti i trattati di commercio che l'Italia ha stipulato con i vari
paesi del mondo è stata convenientemente sfruttata l'opera di
molteplici esperti dell'industria, dell'agricoltura, del commercio,
ecc.; ma ho il vago sospetto che nessun artista sia stato mai
interrogato per stabilire delle intese con gli altri paesi per il
dovuto collocamento dell'arte nostra... Per il traffico, che so io,
degli erbaggi, sono stati creati concorsi e sindacati, e si sono
invogliati fior di capitalisti ad assumere imprese di esportazione:
per l'Arte, nulla di tutto ciò ». |
Qui si tratta, come ognun
vede, non tanto di fantasie imperialistiche, quanto di un semplice e
modestissimo sistema di scambi e di compensi da creare a favore
dell'arte nostra, come è stato creato a favore della
più modesta partita di ortaglie; non della pretenziosa
richiesta di un utopistico «assoluto», quanto dell'umile
domanda di un «relativo» raggiungibilissimo. |
Oggi non solo un tale
sistema di scambi e di compensi non esiste neppure in embrione nel
campo dell'arte; ma le cose procedono in tal modo, che anche
disposizioni emanate a fin di bene e sotto certi riguardi
encomiabili, sono vôlte ai nostri danni; come sono vôlti
ai nostri danni certi catenacci che da alcuni si vorrebbero imposti -
per un male inteso nazionalismo - ad opere d'arte straniere.
Catenacci, o anche soltanto resistenze, che, mentre non giovano
affatto alla nostra coltura, sono poi abilmente sfruttati da chi ha
interessi contrari ai nostri. |
Non deve essere permesso,
ad esempio, che la errata e tendenziosa interpretazione di una
circolare del Ministro Fedele (riguardo alla proporzione che deve
essere mantenuta, nei programmi dei concerti tenuti in Italia - da
virtuosi stranieri, fra musiche italiane e musiche foresticre) faccia
credere, come ora accade in Germania, ad una specie di «serrata»
nostra contro l'arte straniera, e sollevi malcontenti, e provochi
minacce di rappresaglie. Bisogna chiarire lo spirito del disposto
ministeriale, che non è affatto xenofobo, come si vuol far
eredere oltr'Alpe; e riaffermare che noi siamo disposti ad accogliete
tutta la musica forestiera che ci si vorrà far sentire, a
condizione che con pltrettanta larghezza sia accolta, nei paesi
esteri la musica nostra. |
Altro esempio, ove occorra:
l'anno scorso a Vienna, parlando col Direttore amministrativo
dell'Operntheater, ebbi a chiedergli perchè, nel repertorio di
quell'importantissima scena, non figurasse nessun saggio della nuova
produzione operistica italiana (all'infuori di Madonna Imperia
di F. Alfano, che appartiene ad un editore viennese).
«Bisognerebbe che l'Italia fosse un po' più ospitale -
mi fu risposto press'a poco - verso la nostra produzione
melodrammatica; e anche noi lo saremmo, allora, verso
l'italiana». Ecco dunque, da un'altra voce, riaffermato il
principio dello scambio e dei compensi. |
Permettere l'importazione,
e promuovere, facendosi anche di quella un'arma, l'esportazione.
Mettere a contatto e contrasto la nostra nuova, con la nuova arte
straniera (ho l'impressione che non avremmo da perderci). E chi
avrà armi migliori vincerà.
Perchè, naturalmente, non bisogna dimenticare
che nelle faccende dell'arte, come in ogni altra faccenda, non
bastano nè i Ministeri, nè le circolari, nè le
convenzioni internazionali: e che la qualità della
merce esportata ha, al di sopra di tutto, la sua buona e bella e
decisiva importanza. |
Mentre il Giornale
dItalia liquida con due brevi parole, dopo avere largamente
citato l'articolo del Secolo-Sera, la proposta da noi avanzata
come la più adeguata al momento e ai bisogni, della creazione
di un Ministero per le Antichità, e Belle Arti, senza per
altro dimostrare perchè mai la creazione di questo nuovo
organo statale dovrebbe «portare ancora maggior confusione e
maggior ristagno alle sorti dell'arte in genere e della musica in
ispecie» e senza, neppure, chiarire come mai si potrebbe
attingere un ancor più alto grado di confusione e di ristagno
dell'attuale, che a noi sembra già insuperabile, la
Tribuna riprende ad esaminare la questione dalle sue basi, con
copia di notizie e di argomenti d'alto interesse. |
E, con un senso di
libertà spirituale e di realtà contingente che molto la
onora, mentre ribadisce la necessità, da lei prima
prospettata, di staccare le Antichità e Belle Arti dal
Ministero dell'Istruzione, ora sembra accogliere anche la nostra idea
- dalla quale prima dissentiva - di creare addirittura un Ministero;
ed è pienamente d'accordo con noi nel sostenere la
necessità di scindere, in esso Ministero o Commissariato (in
ogni caso alle dirette dipendenze del Capo del Governo), le due
grandi sezioni: quella riguardante l'arte antica e l'archeologia, e
quella riguardante l'arte contemporanea. Accanto agli uomini eletti a
questi importanti uffici, poi, essa vorrebbe - e anche in questo caso
le nostre idee collimano perfettamente - alcune minime, ma
attivissime giunte di tecnici, emanazioni dirette dei vari Sindacati,
i quali sarebbero emancipati dalla loro attuale funzione, che i
puramente (e neppur tanto) decorativa. |
Ma ecco quello che scrive
la Tribuna: «L'ufficio centraledelle Belle Arti non deve
essere una Direzione generale alle dipendenze d'un Ministro il quale
non se ne occupi (e difatto, per più di vent'anni, è
vissuta anche materialmente separata dalla Minerva, in altro
edificio). Dev'essere - e si chiami Ministero, si chiami
Commissariato o altrimenti: il nome non c'interessa - un dicastero a
sè. Chè se questo in altri Stati europei non s'è
fatto, per noi vuol dir pochissimo: le Belle Arti in Italia hanno
un'importanza che non hanno in nessun altro paese del mondo.
«Che le dimensioni materiali di questo dicastero siano minime,
e che il suo bilancio resti esiguo in confronto degli altri, sono
cose di poco conto. Quel che preme è che il suo capo tratti
senza interposta persona col Primo Ministro, Capo del Governo, con
responsabilità dirette e precise. |
«Scelto a un tale
ufficio un uomo di coltura eclettica e di vivace attività,
animato da interesse vero verso tutte le questioni vive del tempo
suo, capace di scegliere e di assimilare, abbia costui alle sue
dipendenze non uno ma due Direttori generali (esistono altri
Ministeri, per esempio quello delle Corporazioni, con due sole
Direzioni generali). Una di esse sarà per la conservazione del
Patrimonio artistico (per intenderci, quella che sopraintenda a tutta
l'arte sino alla fine del secolo scorso): l'altra, per l'Arte
contemporanea. E anche questi due Direttori generali siano scelti fra
i tecnici; o, se proprio s'abbia a prenderli dalla carriera
amministrativa (dove non manca, e l'ha notato già altri,
qualche elemento di prim'ordine) bisogna che ciascuno dei due sia
assistito da vicino, quotidianamente, da una minima ma attivissima
giunta di tecnici; per esempio, di tre studiosi per la Direzione
generale del Patrimonio artistico, e di tre artisti o critici per
quella dell'Arte contemporanea». |
Anche a proposito
dell'attività dei Sindacati artisti, e della loro pratica
valorizzazione, è molto importante quel che scrive la
Tribuna, e ci trova pienamente d'accordo: «Nemici come
siamo stati sempre, in passato, dell'attività sindacale in
materia d'arte, quando i capi dei sindacati erano
socialisticamente eletti dalle maggioranze, e cioè dai
mediocri o cattivi artisti, siamo prontissimi ad accedere ad una
concezione radicalmente opposta dacchè quei capi siano, come
oggi, scelti dall'alto; ossia, senza patti e compromessi demagogici,
fra i migliori: l'autentica aristocrazia dellarte. «Qui
dunque s'apre un campo di attività. nuova. Qui la Rivoluzione
può dar saggio di sè. E noi la attendiamo con fiducia,
a quest'altra prova».
|
Prima di dir questo,
però il giornale romano dedica largo spazio all'esame
dell'attuale organismo burocratico e delle attuali condizioni di
bilancio della Direzione Generale delle Antichità e Belle
Arti. A proposito di ciò, bisognerà riprendere in. mano
anche il già citato libro dell'on. Ciarlantini, per mettere a
raffronto, ed integrare, occorrendo, dati e cifre. E poi, si
dovrà concludere, da parte nostra, questa discussione che non
ha alcuna pretesa di precipitare avvenimenti e di provocare innanzi
tempo radicali mutazioni che forse nella mente del Capo del Governo
vanno maturando per un avvenire meno immediato; ma che - cosi in noi
come nei nostri interlocutori, crediamo - è ispirata soltanto
dal desiderio (che dovrebb'essere comune a quanti si appassionano
delle fortune dell'arte) di chiarire i vari punti delle questioni e
di offrire il maggior numero possibile di elementi di giudizio a chi
dovrà, un giorno, decidere. Ma a discutere ancora ea
concludere occorrerebbero, oggi, troppo altro tempo e spazio. Ne
riparleremo. |
III
|
1º
DICEMBRE
|
La nomina del Prof. Roberto
Paribeni a Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti,
che vuol dire il mantenimento dello statu quo, dopo il molto
discutere che s'è fatto intorno al migliore assetto da dare
alle Belle Arti in Italia, sollevandole dallo stato di miseria, di
abbandono e di disordine in cui (su questo punto tutti sono
d'accordo) si trovano, non dimostra affatto, come vorrebbero alcuni,
nè che tali discussioni fossero oziose, vale a dire senza
sufficiente motivo, nè che siano rimaste inascoltate e neppur
prese in considerazione dal Capo del Governo. Dimostra, tutt'al
più, che Benito Mussolini non crede sia ancora giunto, per il
Regime, il momento di affrontare i problemi dell'arte. Vuol dire che
le «battaglie» ingaggiate sino ad oggi dal Fascismo, e
che sono tuttora in corso, hanno agli occhi del Duce maggior
carattere di urgenza e necessità di esser vinte - e non vi
è idealista, spiritualista, acchiappanuvole che possa non
convenire, mettiamo, della necessità prima del pane - e che la
battaglia che noi invochiamo e attendiamo, per la restaurazione della
nostra vita artistica, non è ancora matura, non ha ancora
veduto giungere il suo tempo, nè scoccare la sua ora.
|
A dire il vero, seguendo le
fasi della discussione, e leggendo tanti pareri diversi, e vedendo
tante deviazioni da quello che è il punto centrale, mi
è venuto il dubbio che questa battaglia, per la quale tanti
artisti fremono d'impazienza, pronti a menar le mani, trovi un
pochino impreparati anche noi, che saremmo i fanti della buona causa.
Mi par di vedere i segni di questa impreparazione in una certa
confusione di lingue, in un certo disordine di obiettivi ed eccesso
di speranze che sono, sì, di prammatica nella strategia da
caffè; ma che, fin quando dureranno, non potranno certo
indurre o incoraggiare il Duce a dar il segnale d'attacco per una
lotta che potrebbe diventare - orribile dictu - fratricida, a causa
dei gridi di guerra sui quali non si è ancora raggiunto il
perfetto accordo. - «Io la voglio cruda!» - «Io la
voglio cotta!». Ma l'arte, secondo me, non si deve volerla
nè cruda nè cotta; si tratta di volerla, possibilmente,
viva. |
Per procedere con ordine, e
per placare le ansie di coloro che vedrebbero volentieri il Fascismo
disinteressarsi della vita dell'arte e degli artisti, e che credono
di trovare nella soluzione - che per il momento non risolve nulla -
della crisi a Palazzo Venezia un conforto alle loro poco oneste
speranze, ricorderò quello che ha scritto poco tempo fa
Arnaldo Mussolini, il quale è probabilmente bene informato sui
disegni del Duce: «Una ragione di giustizia politica
consiglia di porre in valore l'arte e gli artisti, i quali
potranno dalla nuova forma disciplinata della loro attività,
trarre motivi di forza e di orgoglio... Solo una forza politica
dominante può disciplinare, ai fini supremi dell'Arte e della
vita nazionale, l'opera degli artisti. E stia ciascuno al proprio
lavoro, secondo le sue tendenze e le sue aspirazioni. Create all'Arte
una base di partenza fatta di mezzi, di stima, di un alone caldo di
simpatia che esalti, e l'Arte fiorirà nel nostro tempo per noi
e per i figli dei nostri figli... Oggi il Fascismo ammira e tutela lo
sforzo e l'assillo nobilmente operoso degli artisti
italiani». |
Creare all'arte una base di
partenza fatta di mezzi, di stima, di un alone di simpatia,
suggerisce Arnaldo Mussolini; e dice bene. Ma si può
aggiungere: assestarla in un ordine: che è quello che
più di tutto ora le manca, e che prima di tutto le occorre. Ad
ottenere questo non sarà male, però, che un po'
d'ordine si faccia anche nelle idee di alcuni che partecipano alla
discussione. Anche distinguere, tra le varie provvidenze, le
più e le meno urgenti; e le proposte che possono trovare
pratica attuazione da quelle che sono utopia; e ciò che
può giovare da ciò che non può che nuocere:
anche questo è ordine. |
Quando, per esempio, nelle
condizioni in cui ci troviamo, con tutto da fare nel campo pratico e
abbordabile dell'organizzazione, della disciplina e valorizzazione
delle gerarchie, dell'allacciamento dei rapporti fra artisti e Stato,
dell'impianto del telefono - ma di un telefono che funzioni - fra i
vari Direttorii e chi può ascoltarne i pareri ed esaudirne i
voti: quando, davanti a questo a, b, c, che siamo ancora in troppo
pochi a reclamare, sento parlar di arte «di Stato» e di
stile «ufficiale», che sono l'x, y, z, a me pare che si
pecchi proprio contro quell'ordine che si invoca. Se sha da
montare in cattedra, procuriamoci prima una pedana, un tavolo, una
sedia, e il bastoncino per far rigar dritto gli indisciplinati, e il
campanello del Marchese Colombi; e poi se ne riparlerà.
|
Dell'a, b, c, che ho detto,
hanno parlato con molta chiarezza e praticità, dopo il Forges
Davanzati, E. C. Oppo e S. D'Amico nell'articolo Gli elementi del
problema, comparso nella Tribuna; il Pavolini in
Conclusioni dopo una nomina, nel Tevere; il Soffici in
una lettera all'on. Bottai, in Critica fascista; il Resto
del Carlino, il quale però sostiene che, prima che di
ordinamenti, di Ministeri, Sottosegretariati e Commissariati,
c'è necessità di diffondere il culto dell'arte tra il
popolo, e di dotare l'arte di mezzi materiali che oggi non ha.
La Tribuna, a proposito di questa penuria di
denari, mette il dito sulla piaga. E racconta che su un bilancio di
un miliardo e trecento milioni rappresentanti la spesa
complessiva del Ministero della Pubblica Istruzione, sono assegnati
all'arte, a tutte le arti prese insieme, antiche e moderne,
quarantacinque milioni. Nello Stato di previsione della
spesa del Ministero della P. I., questa somma apparisce ancora
più esigua, superando di poco i trentotto milioni.
|
Se si confrontano le voci
del bilancio di quest'anno con quelle pubblicate nel 1925 dal
Ciarlantini, nel suo Imperialismo spirituale, viene il dubbio
che, ad onta di un lieve aumento globale di spesa, a vero beneficio
delle antichità e dell'arte moderna vada, nelle attuali
gestioni, ancor meno che non negli anni passati. Ad ogni modo, cosa
sono in una spesa per la P. I. di milletrecento milioni,
trentotto milioni per le antichità e Belle Arti? Cosa sono nel
bilancio di una Nazione che solo dalla esportazione di musica e di
musicisti ricava ogni anno duecentocinquanta milioni, e
che deve alle arti tanta parte delle sue glorie più
antiche e durature, e della sua posizione nel mondo? Sono meno che
nulla, sono peggio che nulla.
Un rilievo importantissimo fa la Tribuna,
quando parla del grottesco capovolgimento cui si assiste oggi, in
ciò che riguarda la nomina di commissioni tecniche, attuazione
o rigetto di proposte emanate da consessi tecnici. |
È sempre
l'incompetente - sia esso Ministro, o Direttore Generale o Capo
Divisione - che sceglie e che decide; sono sempre i tecnici che di
fronte al burocrate, si trovano in grado dinferiorità
è nell'impossibilità di guidare e di sistemare le
faccende dell'arte loro. Il Resto del Carlino si preoccupa
dei danni delle complicazioni che potrebbero sorgere lasciando una
piccola Direzione per le Antichità al Ministero della P. I., e
istituendo un Commissariato o un Sottosegretariato alle dipendenze
dirette del Capo del Governo, per l'arte moderna. Certo che una
separazione di tal genere sarebbe non solo ingiusta perchè
verrebbe implicitamente a diminuire l'importanza e il posto che
spetta, nel nostro paese, alle antichità; ma segnerebbe
l'apertura di una guerriglia accanita fra Ministero della P. I. e il
nuovo Sottosegretariato o Ministero per l'arte moderna, per ogni
cartello «È vietata l'affissione» da mettere sul
più modesto monumento nazionale, e per ogni mozzicone di
colonna da spostare sull'area di un nuovo palazzo. Queste obbiezioni
del Resto del Carlino non fanno dunque che suffragare di nuove
prove l'opportunità sostenuta dalla Tribuna, da noi,
dallo stesso Tevere in articoli successivi, di sottrarre
anche le Antichità alla amministrazione della Minerva,
e di farne invece oggetto di una separata Direzione Generale nel
nuovo Sottosegretariato o Commissariato da istituire. |
Ardengo Soffici, in fine,
è in tutto e per tutto d'accordo con noi, quando si dichiara
«per la netta separazione tra Direzione delle Antichità
Direzione delle Belle Arti, o arti moderne»; quando ritiene
«necessario che la Direzione di tutto quanto concerne queste
ultime sia affidata all'organismo sindacale artistico, per
tutto quanto concerne la attività artistica dei singoli
o dei gruppi nei loro rapporti con lo Stato, non intervenendo
perciò in alcun modo in quel che è fatto
personale dell'artista e cioè: ricerca, tentativo,
invenzione di forme inusitate eccetera... Niente arte di
Stato». Alla buon'ora; è un artista che parla
così. |
IV
|
3
DICEMBRE
|
«NIENTE arte di
Stato.» Alla buon'ora (riprendiamo, con le parole di Ardengo
Soffici, il discorso, dove lo abbiamo lasciato), alla buon'ora,
è un artista che parla. Eppure, a sentire alcuni, questo
dell'arte ufficiale o di Stato, sarebbe il primo e
più importante problema. Per me, questo è l'ultimo fra
tutti, perchè appartiene al regno dell'utopia. C'è ben
altro da fare, l'ho già detto, prima di avventurarci in questo
vicolo senza uscita. E poi, cosa vuol dire arte ufficiale o
di Stato? Vuol dire che tutti i pittori, scultori, architetti,
musicisti, hanno da dipingere, scolpire, disegnare, scrivere allo
stesso modo? Sarebbe - dato che da noi si potesse, con lo spirito
individualista che ci distingue e che ci salva (neppure abbastanza)
da tante epidemie che fanno strage oltr'Alpe - sarebbe un bel
divertimento, in verità. |
Io credo che sarà
sufficiente guardarsi dallo scimmiottare le pitture, le sculture, le
architetture, le musiche straniere. Resistere alle correnti
mutevolissime della moda e dello snobismo; combattere
l'internazionale dell'arte, che è in atto e imperversa
nella pittura come nella scultura, nella architettura come nella
musica europee; ma per accontentarci d'essere italiani: vale a
dire di lavorare secondo lo spirito e il sentimento istintivo e vario
della nostra razza; e non per copiarci, fra italiani, l'un l'altro.
Stile fascista? Ma si formerà (bene inteso non in un anno,
nè in due) spontaneo, quando il Regime - compiendo un altro
gesto veramente rivoluzionario rispetto alla politica dei governi
passati - chiamerà a sè gli artisti, si
interesserà alle arti, e se ne farà alto
patrono. |
E non sarà affatto
necessario che ogni quadro abbia, in un angolo, il fascio littorio,
nè che in ogni musica riecheggi il ritornello di
Giovinezza; perchè il segno della vita e della storia
che ora si attraversa, sarà nel risorto spirito nazionale che
è la più bell'opera del fascismo, e che si può
manifestare in mille modi e rimanere sempre - come spirito appunto,
non come cifra, o segno, o scrittura - riconoscibile. «Essere
un'epoca» come domanda il Forges Davanzati e sottolinea
l'Ojetti? Ma lo siamo già, senza accorgercene, anche nel campo
dell'arte, e più lo saremo. Se non possiamo avvedercene noi,
che ci siamo dentro, lo vedranno bensì, fra cento o duecento
anni, quelli che verranno dopo di noi, se ci crederanno degni di
studio. |
Ugo Ojetti, mi aveva
scritto, appunto, prima di pubblicare il suo Dialogo tra Bene e
Meglio nel Corriere della Sera: «Non si va
d'accordo. Sulla diagnosi del male, sì; sui rimedi no.
Non credo all'efficacia d'una Direzione generale separata per l'arte
contemporanea; non credo alla resurrezione del Sottosegretariato di
Stato che o sarà un servitore del Ministro dell'Istruzione, o,
indipendente, sarà in perpetuo conflitto con tutti: col
Ministro delle Comunicazioni pei francobolli o per le facciate delle
stazioni, con quello del Tesoro per le monete, con quello degli
Esteri per gli arredi delle Ambasciate, col Provveditorato generale
dello Stato, magari, per la carta da lettere». Ma l'ironia,
qui come nell'articolo pubblicato sul Corriere, è segno
di profondo e doloroso amore: di un animo che non vuol più
sperare per non patire, dopo tante altre, nuove delusioni. Il riso,
nel romano trapiantato a Firenze, come nel fiorentino Machiavelli,
nasce dalla malinconia. |
Non è, io credo, che
l'Ojetti sia scettico sulla efficacia di un Sottosegretariato o di
una separata Direzione Generale perchè non trovi, a questi
istituti, motivi di necessità e opere feconde da compiere; ma
perchè, appoggiandosi sull'esperienza passata (e qui non ha
torto), non può immaginarli che o perpetui servitori, o
attaccabrighe perpetui.
Ma noi non domandiamo la ricostruzione perchè
sian ripetuti gli errori del passato. Anche in questo campo, si
tratta in fine di un ordine da fissare e da imporre; di una
specie di protocollo da stabilire, - se tanta continua ad essere la
suscettibilità e la... gelosia burocratica - nei rapporti fra
i vari Ministeri. Il problema ha cento faccie; per questo è di
così grande interesse. |
Nel Giornale
d'Italia, Raffaello de Renzis, mantenendosi tenacemente avverso
al distacco delle Antichità e Belle Arti dal Ministero della
P. I. e alla creazione di un nuovo Ministero o Sottosegretariato,
pone tra le ragioni della sua resistenza la difficoltà di
trovare un personale adatto.
Ma non si è detto che questo nuovo Ministero
o Sottosegretariato dovrebbe esistere solo in quanto
dipendesse dal Capo dei Governo e fosse appoggiato sui varii
Sindacati che dovrebbero fornirlo dei varii organi non soltanto
consultivi, ma deliberativi, rappresentanti gli elementi
tecnici, vale a dire competenti del nuovo organismo? Io
arrivo a dire che gli stessi Direttori Generali delle sezioni
antichità e arte moderna, dovrebbero essere designati dai
Direttorii dei varii Sindacati artistici, riuniti. Facendo
così, uno spirito di leale collaborazione e di fiducia
prenderebbe il posto dello spirito di ostruzionismo e di
meneinfischio che fino ad ora ha distinto la politica della Direzione
Generale delle Antichità e Belle Arti nei riguardi dei
Sindacati artistici. Dice ancora il De Renzis: «Soprattutto nel
campo dell'intelletto e dell'arte, il più intelligente e il
più artista è, per sua natura, il meno sindacalista.
Quindi avviene lo scavalcamento degli ottimi a vantaggio dei
mediocri». L'affermazione è abbastanza grave, e mi
meraviglio che fino ad oggi nessuno a Roma, dove pure vivono parecchi
membri di Direttorii dei Sindacati artistici, abbia pensato a
ribatterla. |
Io, per conto mio,
dirò che sentire il sindacalismo - specie come preludio
alla Corporazione, tanto più bel nome, tanto più
gloriosa istoria e tradizione italiana - non vuol dire essere, per un
intellettuale, più o meno artista o più o meno
intelligente; vuol dire semplicemente sentire o no i tempi nuovi.
Essere nella Rivoluzione, o fuori della Rivoluzione. Collaborare alla
nuova Storia che si svolge, o rimanersene alla finestra a guardar
quel che fanno gli altri e a rimpiangere, nel segreto del cuore, quel
che, prima, nessuno faceva. Sperare, volere, esigere che l'arte entri
come una ruota necessaria nell'ingranaggio della vita nazionale, e
non rimanga, come prima, semplice decorazione o isolatissimo Tempio
cui tutti profittano, cui tutti sfruttano, su cui tutti,
spiritualmente o materialmente, guadagnano; ma cui nessuno vuol
riconoscere, nella scala dei valori nazionali, il posto che merita.
|
Accanto al Legislatore e
accanto alla Religione - come voleva Mazzini; questo è il
posto dell'Arte in Italia, caro De Renzis. E in tal caso, stia pur
sicuro, l'Arte non avrà niente da perdere se, distaccandosi
dal poco sollecito e meno ancor amoroso seno del Ministero della P.
I., perderà la compagnia delle scuole elementari e secondarie.
«Occorre non distaccare l'arte dalla scuola?» Ma occorre,
prima di tutto inserirla, farla entrare come cosa necessaria, come
pane di tutti i giorni, nella vita, che vuol dire, sì,
scuola; ma sopra tutto dopo scuola: un dopo scuola che dura
quaranta, cinquanta, sessant'anni: e che è quello delle
«opere», in cui ogni generazione dà prova di
sè. |
Dov'è poi,
nell'ordinamento sindacale, che domani sarà corporativo,
questo «Scavalcamento degli ottimi a vantaggio dei
mediocri»
che il De Renzis deplora? Nel campo della musica non
lo vedo. Le posizioni sono rimaste quelle che erano. Nessuno che
appartenga ai vari Direttorii regionali che dovrebbero essere, a
quanto pare, i posti delle «torte», ha avuto qualche
vantaggio della sua posizione... di privilegio. Ha speso dei gran
denari in viaggi, questo sì. Se mai, qualche vantaggio l'hanno
avuto e lo hanno quelli che son fuori; perchè pare
dello spirito fascista avere qualche speciale riguardo, se mai, per
gli avversari, o per i supposti avversari del Regime. E poi - sempre
restando alla musica - son proprio i «mediocri» che
essendo stati chiamati a far parte del Direttorio Nazionale, tengono
in mano la barra (simbolica) del timone (più simbolico
ancora)? Ricordiamo solo alcuni nomi: Alfano, Mascagni, Molinari,
Pizzetti, Respighi, Zandonai. Se questi sono, oggi, i
mediocri, mi vuol dire l'amico De Renzis i nomi e i cognomi
degli ottimi lasciati fuori? Certo, è tutta gente, meno
il Mascagni, nata dopo il 1870. Ma a ricordarsi di quelli nati prima
del 1870 ci pensa, non ne dubiti, la Direzione Generale delle Belle
Arti, ogni volta che c'è da nominare una Commissione
Governativa, o da giudicare un concorso, o da erogare dei denari, o
da aprire in altro modo una qualunque finestrella che... dia un po'
d'aria nuova ai vecchi magazzini della musica italiana. |
Conclusione. Sia il
benvenuto il prof. Roberto Paribeni, nuovo Direttore Generale delle
Antichità e Belle Arti. E gli sia lieve la fatica che lo
attende, e gli sia facile l'eloquenza e propizio il Ministro delle
Finanze, quando chiederà qualche soldarello che renda meno
striminzito e fidevole l'attuale bilancio del suo ufficio. Ma si
ricordi, ogni tanto, che esistono alcuni Direttorii Nazionali dei
Sindacati artisti che potranno, in caso di bisogno, molto bene
illuminarlo su questioni che esso non può conoscere a fondo;
che potranno aiutarlo, e che almeno per ciò che riguarda i
musicisti saranno certo felici di dargli la loro collaborazione.
Tanto più lieta e sollecita, quanto meno
richiesta e apprezzata, fino ad ora; sebbene si sia visto - in una
seduta assai importante e proficua, tenuta a Roma, al Ministero delle
Corporazioni, sotto la presidenza dell'on. Bottai - quanto possa
essere utile e chiarificatrice - anche nei rapporti con gli
industriali - se tempestivamente domandata, e seriamente considerata.
|
Perchè, lo sappia il
Prof. Paribeni, ma non per essere incoraggiato a fare altrettanto, la
tendenza generale, a Roma, è di ignorare l'esistenza di questi
Direttorii. E pare che - come non tutti i burocratici hanno potuto
ascoltare le belle e franche dichiarazioni del Bottai, nella seduta
che ho detto - si voglia continuare in questo sistema. Ne vuole un
esempio?
Nelle settimane scorse è stato manipolato in
qualche ufficio della capitale un emendamento alla nuova Legge sui
Diritti d'autore, il quale (oltre al pochissimo che se ne conosce per
essere stato pubblicato solo ieri) si dice che, cambiando una
parolina di qua, aggiungendo una frasicciuola di là,
dimenticando qualche piccolo particolare nella tal pagina,
modificando lievemente la lettera del tal'altro articolo,
rappresenterebbe, se approvato alla Camera dei Deputati o applicato
come Decreto-Legge, un vero disastro per gli auguri di musica. Vi
è qualche cosa che, più di questa, possa interessare il
Direttorio Nazionale del Sindacato Musicisti, composto tutto di
autori di musica? Non v'è. |
Ne sanno nulla i membri del
Direttorio? Qui a Milano, ufficialmente, non ne sanno nulla. Ne sa
qualcosa il maestro Mulè, segretario generale del Sindacato
Musicisti, che vive a Roma? Bisogna credere di no, poichè
nessun allarme è partito da lui, e nessun avviso di
convocazione è, da lui, giunto.
Ciò non toglie però, se si pensa
all'esperienza passata, che la cosa possa esser vera. E in tal caso,
prof. Paribeni, ecco l'esempio che Le avevo promesso, perchè
Lei non se ne edifichi.
|
|
PREFAZIONE DI GIUSEPPE BOTTAI
|
INCREDIBILE, ma vero:
questa prefazione, s'io non la tengo d'occhio, mi diventa, sotto
mano, una polemica; una scrittura, cioè, di tono bellicoso, e
non pacato, accomodante e familiare, com'è d'uso per
componimenti di siffatta natura. Guardate un po' in che maniera, di
pagina in pagina, mi punzecchia l'Autore, assillante e cortese:
sindacati e corporazioni, corporazioni e sindacati;
fintantochè mi prende proprio di petto e mi inchioda al muro:
ah! quel Sottosegretario alle Corporazioni di quanto mal fu reo!
Ebbene, domando la parola. Una parola alla buona, tra
amici disposti a ragionar seriamente - epperciò, senza pose -
di problemi importanti.
Intorno al sindacalismo nei cosidetti intellettuali -
professionisti e artisti - corrono dei dubbi. La gente dice: transeat
per i professionisti, lavoratori con tanto di regolamenti, di albi e
di tariffe; ma per gli artisti, ohibò!, dove sono gli
interessi da tutelare sindacalmente? Questa gente, anche, se
rivestita a nuovo, è gente vecchia, che scambia l'arte con la
bohème e il sindacalismo col salario. Tra bohème e
salario non v'è unione possibile. Dunque, fatica sprecata:
questo matrimonio non si farà.
|
Ci dobbiamo proprio
rinunziare? Non credo; anzi, il pateracchio è già
combinato, avendo gli sposi, arte e sindacalismo, trovato nel sistema
corporativo un terreno di fecondo e saldo connubio. Dichiarazione VI
della Carta del Lavoro: «Le corporazioni costituiscono
l'organizzazione unitaria della forza della produzione e ne
rappresentano integralmente gli interessi». Dichiarazione VIII:
«Le rappresentanze di coloro che esercitano una libera
professione o un'arte concorrono alla tutela degli interessi
dell'arte, della scienza e delle lettere, al perfezionamento della
produzione e al conseguimento dei fini morali dell'ordinamento
corporativo».
O che discorsi son questi? Gente mia, discorsi nuovi,
ma chiari. La corporazione non è una macchina per fissare
automaticamente il salario o la tariffa; è un organismo, in
cui tutti gli aspetti della produzione si accolgono in unità,
da quelli materiali a quelli ideali, da quelli di quantità a
quelli di qualità, da quelli del lavoro manuale a quelli del
lavoro intellettuale, da quelli dell'esecuzione in serie a quelli
della creazione; un organismo, insomma, dove investitori di capitale,
gestori d'azienda, produttori, tecnici, lavoratori, professionisti e
artisti si ritrovano a regolare, insieme, solidalmente, l'opera
complessa della produzione moderna. Non bailamme di interessi, ma
interessi distinti e coincidenti. Ogni interesse, finchè deve,
chiaro e preciso, per suo conto; ma, quando deve, pronto ad integrare
gli altri, nell'unica impresa. Ecco, il libro, con i suoi editori,
stampatori, cartai, legatori, librai; perchè dallo studio dei
suoi problemi, che non sono tutti di natura industriale e
commerciale, dovrebbero essere banditi gli scrittori e i disegnatori?
|
Il teatro: impresari,
attori, orchestrali, operai; e gli scrittori, i pittori, i musicisti,
perchè rimarrebbero lontani dalla sua organizzazione? E,
ancora, la casa, la sartoria, la scuola, l'artigianato; infinite sono
le opere dell'uomo, cui l'artista dà un contributo concreto,
essenziale e fondamentale di lavoro. Necessaria è, quindi, e
non arbitraria e ipotetica, la sua funzione corporativa.
Su questa idea, mio caro Lualdi, poggia salda la
nostra fede nel sistema. Con questa idea, unicamente con questa idea,
e non con più o meno graziose e paternalistiche concessioni,
si giungerà a risolvere il più vasto problema, i cui
termini sono in questo libro lucidamente impostati: quello dei
rapporti tra l'Arte e il Regime. |
Ora incomincian le dolenti
note: incomprensioni burocratiche, ufficiali o ufficiose resistenze
passive, punti morti, rifiuti tra il lusco e il brusco, si, perfino,
nell'ambito di alcuni organi e uffici di quello Stato, che ama
definirsi corporativo. Ma, allora, questa corporazione, che entra per
la parta maestra della legge e vien gettata dalla finestra, che cosa
è, uno scherzo o una cosa seria, un sogno o una realtà?
Qui ti voglio, mio caro Sottosegretario, grida vittorioso e sardonico
Lualdi.
Già, ma qui ti volevo anch'io. Per dire
questo: che sette anni ci sono voluti perchè la Rivoluzione
Fascista disegnasse intiera la struttura del nuovo Regime. Sette
anni, lunghi, faticosi, di marcie e di contromarcie, di avanzate e di
soste, per avere uno Stato nostro, originale, nei suoi istituti,
nelle sue leggi, nei suoi ordinamenti. Ma istituti, leggi e
ordinamenti non basta che, creature meccaniche, nascano, per entrare
nella coscienza della gente; ma, creature vive, hanno da crescere e
rafforzarsi negli anni, perchè l'ossequio e l'osservanza, che
loro si debbono, vigoreggino si da vincere abitudini redicate negli
animi e nei costumi. L'ordinamento corporativo è alla sua
prima fase, a quella che il Duce ha definita sindacale; non gli si
chieda di dare tutti i suoi frutti prima che i suoi organi sien
formati o, se la frase accontenta di più i desideri di
battaglia, prima che le sue armi sien del tutto affilate. |
Ogni cosa a suo tempo. Quel
che importa si è, che ognuno lavori, con onestà e con
fede, per questo tempo, che, ormai, è prossimo; ognuno, come
può e come deve; l'artista, partecipando, con sempre maggiore
consapevolezza, fuori della sua eburnea torre, all'opera di
ricostruzione e di rieducazione politica; il politico, sempre
più rinunziando ai compromessi del giorno per giorno, per
l'impostazione e la risoluzione di quei sommi problemi dello spirito,
che danno alle Nazioni un primato durevole.
Roma, 20 gennaio VII
[1929]
GIUSEPPE BOTTAI
|
|
|
|