HECTOR BERLIOZ

IL DIRETTORE D'ORCHESTRA
(Prima traduzione italiana di ADRIANO LUALDI)



TEORIA DELL'ARTE

La musica sembra essere la più esigente fra le arti, la più difficile da coltivare, e quella di cui le produzioni sono molto raramente presentate in condizioni che permettano di apprezzarne il valore effettivo, di vederne chiaramente la fisionomia, di afferrarne il senso intimo e il vero carattere.
Di tutti gli artisti creatori, il compositore è l'unico, si può dire, che dipende da una folla di intermediari, posti tra il pubblico e lui stesso; internediarî intelligenti o stupidi, devoti od ostili, attivi o inerti, i quali possono, dal primo all'ultimo, contribuire a far risplendere l'opera d'arte, come possono sfigurarla, calunniarla, quasi completamente distruggerla.
Io credo che a torto si siano accusati sovente i cantanti di essere i più temibili di questi intermediari.
Il più temibile, a mio avviso, è il Direttore d'orchestra.

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Un cattivo cantante non può guastare che la propria parte; il Direttore d'orchestra incapace o malevolo rovina tutto. Può ancora reputarsi fortunato quel compositore capitato fra le mani di un Direttore d'orchestra che non sia volta a volta e incapace e malevolo: perchè nulla può resistere alla disastrosa influenza di tale tipo. L'orchestra più meravigliosa rimane allora come paralizzata; i più eccellenti cantanti sono resi afoni e intorpiditi, non v'è più nè vivacità, nè senso di coesione; sotto una tale direzione i più nobili ardimenti dell'autore sembrano delle follie, l'impeto dell'entusiasmo viene ad essere spezzato, i voli della ispirazione sono violentemente rigettati a terra, l'angelo non ha più ali, l'uomo di genio diventa uno stravagante o un cretino, la statua divina è precipitata dal suo piedestallo e trascinata nel fango; e, ciò che è peggio, il pubblico, e anche gli ascoltatori dotati della più alta intelligenza musicale, sono nella impossibilità - se si tratta di un'opera nuova - di riconoscere le avarie prodotte dal direttore d'orchestra nell'opera stessa, e di scoprire quali e quante siano le bestialità, gli errori, i delitti che egli commette.
Se si afferrano chiaramente taluni difetti dell'esecuzione, non è lui, ma sono le sue vittime che ne sono rese in tal caso responsabili. Se egli ha fatto mancare«l'entrata »del coro in un finale, se ha lasciato stabilirsi uno squilibrio discordante fra il coro e l'orchestra, o fra le due ali estreme di un gruppo istrumentale, se ha precipitato pazzescamente un movimento, se ne ha lasciato languire un altro oltre misura, se ha interrotto un cantante prima della fine di un periodo musicale, si dice: i cantanti sono detestabili, l'orchestra non e compatta, i violini hanno svisato il disegno principale, a tutto l'insieme è mancata la vita, il tenore ha sbagliato perchè non sapeva la sua parte, l'armonia è nebulosa, l'autore ignora l'arte di accompagnare le voci ecc.
Soltanto quando ascoltino i capolavori già conosciuti e già consacrati, gli uditori intelligenti possono scoprire il vero colpevole di tanti mali e dare a ciascuno il suo; ma il numero di questi uditori intelligenti è ancora così ristretto, che il loro giudizio finisce con l'avere poca influenza; sì che il cattivo direttore d'orchestra, in presenza dello stesso pubblico che fischierebbe spietatamente la stecca di un buon cantante, troneggia con tutta la calma di una coscienza sporca, nella sua scelleratezza e nella sua inettitudine.

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Fortunatamente io considero qui, debbo dirlo, un caso di eccezione. Il direttore d'orchestra più o meno capace, e anche malevolo è abbastanza raro.
Il direttore d'orchestra pieno di buona volontà ma incapace è invece molto comune. Senza parlare delle innumerevoli mediocrità che dirigono orchestre e artisti molto sovente superiori a loro, un autore, per esempio, non potrà mai essere accusato di cospirare contro la sua propria opera; eppure quanti ve ne è che, illudendosi di saper dirigere, inabissano inconsapevolmente le loro migliori partiture.
Beethoven, si dice, guastò più d'una volta le esecuzioni delle Sinfonie che egli voleva dirigere anche all'epoca in cui la sua sordità era divenuta quasi completa. Gli orchestrali, per poter stare insieme, convennero finalmente di seguire le leggere indicazioni di movimento che eran loro date dal violino di spalla, senza guardare affatto il gesto di Beethoven. Inoltre bisogna sapere che la direzione di una sinfonia, di una ouverture o di ogni altra composizione i cui movimenti restano per qualche tempo uguali, o variano poco e sono raramente soggetti a sfumature, è una cosa da niente in confronto della direzione di un'opera di teatro o di una composizione qualunque nella quale si trovino dei recitativi, delle arie o numerosi disegni orchestrali preceduti da silenzi non misurati. L'esempio di Beethoven che io ho appena citato mi conduce a dire subito che se la direzione d'orchestra mi pare molto difficile per un cieco essa è addirittura impossibile per un sordo, qualunque sia stata la sua abilità tecnica prima di perdere il senso dell'udito.
Il direttore d'orchestra deve sentire e vedere, deve essere agile e vigoroso, conoscere la costituzione, la natura e l'estensione degli strumenti, saper leggere la partitura e possedere - oltre al talento speciale di cui noi tenteremo di spiegare le qualità essenziali - altri doni quasi indefinibili, senza i quali è impossibile che si stabilisca il necessario invisibile legame fra lui e la massa di esecutori, e senza i quali doni viene ad essergli negata la facoltà di trasmettere il proprio sentimento; e per conseguenza l'autorità, la comunicativa, l'azione direttiva gli sfuggono completamente. In questo caso non è più un direttore nè un capo, ma semplicemente un battitore di tempo, supponendo che sappia batterlo e dividerlo regolarmente.
È necessario che si senta che egli sente, che egli capisce, che egli si commuove; allora il suo sentimento e la sua emozione si comunicano a coloro che egli dirige, la sua fiamma interiore li riscalda, la sua elettricità li elettrizza, la sua forza di impulsione li trascina; allora egli diffonde intorno a sè le irradiazioni vitali dell'arte musicale. Ma se invece è inerte e glaciale, egli paralizza tutto quel che lo circonda; come fanno gli iceberg, di cui si presente l'avvicinarsi al subito raffreddamento dell'aria.
Il suo compito è complesso, egli deve non soltanto dirigere, secondo le intenzioni dell'autore, un'opera già conosciuta dagli esecutori, ma deve anche rendere questi partecipi di tale conoscenza, quando si tratti di un'opera nuova. Egli deve fare la critica degli errori e delle manchevolezze di ciascuno durante le prove, e deve sfruttare le risorse di cui dispone in modo di tirarne il miglior partito nel minor tempo possibile; perchè nella maggior parte delle città d'Europa, oggi, l'arte musicale è in tali tristi condizioni, e gli esecutori sono così mal pagati, e le necessità di studio sono così poco comprese, che l'impiego e il risparmio del tempo deve essere contato fra le esigenze più imperiose dell'arte di dirigere l'orchestra.

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Vediamo in che cosa consiste la parte meccanica di quest'arte: il talento del «battitore di musica» senza richiedere eccessive qualità musicali, è pure abbastanza difficile da acquistare e ben pochi lo posseggono realmente. I gesti che il direttore deve fare, sebbene in generale abbastanza semplici, si complicano in certi, casi per la divisione e anche per la suddivisione dei tempi della misura.
Il direttore prima di tutto deve possedere un'idea chiara dei tratti principali e del carattere dell'opera di cui deve dirigere l'esecuzione o lo studio, per potere senza incertezze e senza errori fissare i movimenti voluti dal compositore. Se egli non ha potuto ricevere direttamente da questo le necessarie istruzioni, o se i movimenti non hanno potuto essergli trasmessi per tradizione, egli deve ricorrere alle indicazioni del metronomo e studiarle bene, posto che la maggior parte dei compositori hanno oggi la cura di porre tali indicazioni in principio o nel corso delle loro composizioni.
Con questo, non intendo dire che si debba imitare la regolarità matematica del metronomo. Qualunque musica eseguita in tal modo sarebbe d'una freddezza glaciale; e io arrivo a dubitare che sia possibile conservare per un certo numero di battute questa piatta uniformità di movimento. Ma il metronomo non è però meno prezioso per conoscere il movimento di attacco e le sue principali alterazioni.
Se il direttore d'orchestra non possiede nè le istruzioni dell'autore nè la tradizione, nè le indicazioni metronomiche, ciò che succede spesso per gli antichi capolavori scritti quando il metronomo non era stato ancora inventato, non rimangono altre guide che i termini vaghi impiegati per designare i movimenti, e il proprio istinto, e il proprio sentimento più o meno raffinato e più o meno giusto, dello stile dell'autore. Bisogna confessare però che queste guide sono molto spesso insufficienti se ingannatrici. Per convincersene basta assistere oggi alle rappresentazioni di opere dell'antico repertorio in città nelle quali le tradizioni di tali opere sono andate perdute. Su dieci movimenti diversi, ve ne è sempre almeno quattro sbagliati. Io ho sentito un giorno un coro dell'Ifigenia in Tauride, eseguito in un teatro tedesco allegro assai in due invece di quello che è indicato nella partitura: allegro nn troppo in quattro, cioè precisamente il doppio troppo presto. Si potrebbe moltiplicare indefinitamente gli esempi di simili disastri prodotti sia dalla ignoranza o dalla incuria dei direttori di orchestra, sia per la effettiva difficoltà che incontrano anche uomini i meglio dotati e più accurati, nell'interpretare il senso preciso dei termini italiani indicatori dei movimenti.
Naturalmente nessuno sarà imbarazzato a distinguere un largo da un presto. Se il presto è in due tempi, un direttore un po' sagace osservando i particolari e i disegni melodici contenuti nel pezzo, perverrà a trovare il giusto grado di rapidità voluto dall'autore. Ma se il largo è a quattro tempi, di un tessuto melodico denso, e non contiene che un piccolo numero di note in ogni battuta, quale mezzo resterà al povero direttore per scoprire il vero movimento? e quanti non saranno i modi nei quali egli potrà cadere in errore? I diversi gradi di lentezza che si possono imprimere all'esecuzione di un tale largo sono molto numerosi; il sentimento individuale del direttore d'orchestra sarà allora il motore unico; ma non bisogna dimenticare che è del sentimento dell'autore che si tratta, e non del suo. I compositori non debbono dunque nelle loro opere trascurare le indicazioni metronomiche, e i direttori d'orchestra sono tenuti ad osservarle attentamente. Trascurare questo studio è da parte dei direttori un atto di improbità.

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Adesso io suppongo che il direttore sia perfettamente istruito dei movimenti dell'opera di cui sta per dirigere l'esecuzione o lo studio. Egli vuole dare ai musicisti posti sotto la sua direzione il sentimento ritmico che è in lui, determinare la durata di ogni misura, e fare osservare questa durata uniformemente da tutti gli esecutori. Ora questa precisione e questa uniformità non si stabiliranno nella massa più o meno numerosa dell'orchestra e del coro che per mezzo di determinati gesti fatti dal direttore. Questi gesti indicheranno le divisioni principali, i tempi della misura, e, in molti casi, le suddivisioni, i mezzi-tempi. Non c'è bisogno che io spieghi cosa si intende per tempi forti e tempi deboli: io suppongo di parlare a musicisti.
Il direttore d'orchestra si serve ordinariamente di una bacchetta leggera lunga circa mezzo metro e piuttosto chiara che di color oscuro (la si vede meglio) che tiene con la mano destra per rendere chiaramente percepibile il suo modo di segnare l'inizio, le divisioni interne e la fine di ogni battuta. L'archetto impiegato da alcuni direttori violinisti è meno conveniente della bacchetta perchè esso è un flessibile; questo difetto di rigidità e la piccola resistenza che offre all'aria la guarnitura di crini, rendono le sue indicazioni meno precise.
La più semplice di tutte le misure, la misura a due tempi, si batte molto semplicemente.
Il braccio e la bacchetta del direttore debbono essere alzati, in modo che la mano si trovi all'altezza della festa. Il primo movimento deve essere marcato movendo la punta della bacchetta perpendicolarmente dall'alto in basso (con la flessione del polso, per quanto è possibile, e non abbassando il braccio tutto intero), e il secondo movimento alzando perpendicolarmente la bacchetta con gesto contrario.

La misura ad un tempo non essendo in realtà, specialmente per il direttore d'orchestra, che una battuta a due movimenti molto rapidi deve essere battuta come la precedente. La necessità in cui si trova il direttore di rialzare la bacchetta dopo averla abbassata, divide automaticamente la battuta in due parti.
Nella misura a quattro tempi il primo gesto dall'alto in basso è adottato ovunque per segnare il primo tempo forte, l'inizio della battuta. Il secondo movimento fatto dalla bacchetta da destra a sinistra alzandosi un poco, designa il secondo tempo (1º tempo debole). Un terzo, trasversale da sinistra a destra, designa il terzo tempo (2º tempo forte) e un quarto, obliquo dal basso in alto indica il quarto tempo (2º tempo debole). L'insieme dei quattro gesti può essere figurato nel modo seguente:

È importante che il direttore, facendo questo, non muova troppo il braccio e non faccia percorrere alla bacchetta un troppo grande spazio, perchè ognuno di questi movimenti deve essere fatto quasi istantaneamente, o almeno non occupare che un tempo così breve da essere inapprezzabile. Se invece questo tempo diventa apprezzabile, moltiplicato per il numero di volte in cui il gesto si ripete, esso finisce per mettere il direttore d'orchestra in ritardo sul movimento che vuole imprimere e per dare alla sua direzione una pesantezza delle più sgradevoli.
Questo difetto ha, di più, per risultato di affaticare il direttore inutilmente e di produrre dei movimenti esagerati, quasi ridicoli, che attirano senza ragione l'attenzione degli spettatori e divengono molto sgradevoli alla vista.
Nella misura a tre movimenti è ugualmente di uso comune quello descritto dall'alto al basso per segnare il primo tempo; ma vi sono anche modi di segnare il secondo. La maggior parte dei direttori d'orchestra lo indicano con un gesto da sinistra a destra, così:

Alcuni maestri tedeschi fanno il contrario, portando la bacchetta da destra a sinistra, così:

Questa maniera ha lo svantaggio, quando il direttore volta le spalle all'orchestra, come accade nei teatri, di non permettere che ad un piccolo numero di musicisti di vedere l'indicazione tanto importante del secondo movimento, perchè la persona del direttore nasconde il movimento del braccio. L'altro procedimento è migliore, perchè il direttore porta il braccio all'esterno, allontanandolo dal torace, e perchè la bacchetta, se ha cura di alzarla un poco al disopra della spalla, rimane perfettamente visibile ad ogni occhio.
Quando invece il direttore guarda in faccia gli esecutori, è del tutto indifferente che egli segni il secondo tempo a destra oppure a sinistra.
In ogni caso, il terzo tempo della misura a tre movimenti è sempre marcato come l'ultimo della misura a quattro movimenti, con un movimento obliquo dal basso in alto.

Le battute a 5 e a 7 movimenti saranno più comprensibili per gli esecutori, se, invece di segnano con una serie speciale di gesti, le si tratteranno: l'una come un composto di misura a 3 e a 2 movimenti, l'altra come un composto di misura a 4 e a 3 movimenti.
Si segneranno, per conseguenza, nel modo qui indicato:

Queste diverse battute, essendo divise in questo modo, si immagina che appartengano a movimenti moderati. Se i movimenti fossero rapidi, oppure molto lenti, bisognerebbe mutare tecnica.
La battuta a due movimenti, l'ho già ietto, non può essere segnata in altro modo che in quello che si è detto, qualunque ne sia la sua rapidità. Ma se, per eccezione, essa è molto lenta, il direttore d'orchestra dovrà suddividerla.
Una battuta a 4 movimenti molto rapida, invece, dovrà essere divisa in due tempi; i 4 gesti usati nel movimento moderato diverrebbero infatti così precipitosi, da non rappresentare più nulla di preciso per l'occhio, e turberebbero l'esecutore invece di dargli sicurezza. Inoltre, e questo è ben più grave, il direttore facendo inutilmente questi quattro gesti in un movimento precipitoso, rende l'andatura del ritmo penosa, e perde la libertà di gesto che la semplice divisione della battuta in du metà gli viene a lasciare.
In generale i compositori hanno torto di scrivere in tale caso l'indicazione della misura a 4 tempi. Quando il movimento è molto vivo, essi non dovrebbero mai scrivere altro che il segno di tempo tagliato e non quello di 4 movimenti C, che può indurre il direttore d'orchestra in errore.
Non è assolutamente la stessa cosa per la battuta a tre movimenti molto rapida: 3/4 oppure 3/8. Bisogna allora sopprimere il gesto del secondo tempo, e, restando un tempo di più sulla battuta del primo, non rialzare la bacchetta che al terzo movimento.

Sarebbe ridicolo voler marcare i tre movimenti di uno Scherzo di Beethoven.
Il contrario ha luogo per queste due battute, come per quelle a due tempi. Se il movimento è molto lento bisogna dividerne ogni tempo, e fare in conseguenza 8 gesti per la misura a 4 movimenti, e sei gesti per la misura a tre movimenti, ripetendo, più ristretto, ciascuno dei gesti principali che noi abbiamo sopra indicati.

Il braccio deve restare assolutamente estraneo al piccolo gesto supplementare che noi indichiamo per la suddivisione della misura, e solo il polso deve dare movimento alla bacchetta.
Questa divisione del tempo ha lo scopo di impedire le divergenze ritmiche che potrebbero facilmente stabilirsi fra gli esecutori durante l'intervallo che separa un movimento dall'altro. Siccome il direttore non dà nessuna indicazione durante questa durata, divenuta abbastanza considerevole a causa dell'estrema lentezza del movimento, gli esecutori sono allora interamente abbandonati a loro stessi, senza direttore; e come il senso ritmico non è affatto lo stesso per tutti, ne consegue che alcuni, affrettano mentre altri ritardano, e che l'insieme viene ad essere ben presto distrutto. Si potrebbe fare eccezione a questa regola soltanto trovandosi a dirigere un'orchestra di prim'ordine, composta di esecutori molto affiatati, che hanno l'abitudine di suonare insieme e che posseggono quasi a memoria l'opera che debbono eseguire. E ancora in queste condizioni, la distrazione di un solo esecutore può condurre a qualche incidente. Perchè esporvisi? Io so che alcuni artisti si sentono come feriti nel loro amor proprio per esser tenuti così alla redine; ma agli occhi di un direttore il quale non si preoccupa altro che dell'eccellenza del risultato finale, questa considerazione non ha alcuna importanza. Anche in un quartetto è ben raro che il sentimento individuale degli esecutori sia in condizioni di manifestarsi liberamente; in una sinfonia è quello del direttore d'orchestra che deve imporsi; è nell'arte di comprendere e di riprodurre con coesione che consiste la perfezione dell'esecuzione, e le velleità individuali, le quali d'altra parte non potranno mai spontaneamente accordarsi fra loro, non possono essere messe in giuoco.
Detto questo, è facile comprendere che la suddivisione è ancora più essenziale e necessaria, per le misure composte molto lente; come quelle a 6/4, 6/8, 9/8, 12/8, ecc.
Ma queste misure, nelle quali il ritmo temano ha una parte di così grande importanza, possono essere decomposte in modi diversi.
Se ii movimento è vivo o moderato, bisogna indicare soltanto i tempi semplici di queste misure, secondo il procedimento adottato per le misure semplici analoghe.
Le battute a 6/8 (allegretto) e a 6/4 (allegro) saranno dunque segnate come quelle a due tempi oppure 2 oppure 2/4. Si segnerà la stessa misura a 9/8 (allegro) come quella a 3/4 (moderato), o come quella a 3/8 (andantino); la misura a 12/8 (moderato o allegro), come si segna la misura a quattro tempi semplici. Ma se il movimento è adagio, e a più forte ragione se è largo assai, andante maestoso, si dovrà, secondo la forma della melodia o del disegno predominante, segnare sia tutte le crome, sia una semiminima seguita da una croma per ogni tempo.

Non è affatto necessario, in questa misura a tre movimenti, di segnare tutte le crome; basta il ritmo di una semiminima seguita da una croma per ogni movimento.
Si farà allora per la suddivisione il piccolo gesto indicato per le misure semplici; solamente questa suddivisione dividerà ogni tempo in due parti disuguali, perchè si tratta di indicare all'occhio dell'esecutore il valore della semiminima e quello della croma.
Se il movimento è ancora più lento, non vi è luogo ad esitazione, e non si sarà padrone dell'insieme dell'esecuzione che segnando tutte le crome, qualunque sia la natura della battuta composta.

In queste ire battute, coi movimenti indicati il direttore d'orchestra segnerà tre crome per ogni tempo, tre in basso e tre in alto per la battuta di 6/8.

Tre in basso, tre a destra, e tre in alto per la misura a 9/8.

Tre in basso, tre a sinistri, tre a destra e re in alto per la misura a 12/8.

Talvolta si presenta. una circostanza difficile; ed è quando, in una partitura, certe parti sono, per ottenere un contrasto, ritmate a tre mentre le altre parti conservano il ritmo a due.

Senza dubbio, se la parte degli strumenti a fiato in questo esempio è affidata ad esecutori molto musicisti, non vi sarà necessità di cambiare il modo di battere il tempo, e il direttore può continuare a suddividerlo in sei o a dividerlo semplicemente in due; ma se la maggior parte degli esecutori sembrerà esitante nel momento in cui, per l'impiego della forma sincopata, il ritmo ternano interviene nel ritmo binario e vi si unisce, ecco il modo di dar loro una maggior sicurezza. L'inquietudine prodotta negli esecutori dalla improvvisa apparizione di questo ritmo inatteso che viene ad essere contrastato dal rimanente dell'orchestra, porta sempre istintivamente gli esecutori a guardare il direttore, come per chiedergli assistenza. Questi deve allora anch'esso guardarli, volgersi un poco verso di loro e segnare ad essi con piccoli gesti i ritmo ternano, come se la misura fosse a tre movimenti reali, in tal modo che i violini e gli altri strumenti che suonano il ritmo binario non possano accorgersi di questo cambiamento che li getterebbe subito fuori strada. Da questo compromesso risulta che il nuovo ritmo a tre movimenti, essendo segnato segretamente, per così dire, dal direttore, viene ad essere seguito con precisione e con sicurezza, mentre il ritmo a due movimenti già solidamente stabilito, continua tranquillamente sebbene il direttore si astenga momentaneamente dal segnarlo.
D'altra parte nulla, a mio modo di vedere, è più deplorevole e più contrario al buon senso musicale, che l'applicazione di questo procedimento ai passaggi nei quali non vi sia sovrapposizione di due ritmi di natura opposta, e dove si incontri soltanto l'impiego delle sincopi. Il direttore, dividendo la misura per il numero degli accenti che vi si trovano contenuti, distrugge allora l'effetto della figura sincopata, per tutti gli uditori che lo vedono, e sostituisce un piatto cambiamento di misura ad un giuoco ritmico del più vivo interesse.
È precisamente quello che accade se si marcano gli accenti in luogo dei tempi nel passaggio della sinfonia pastorale di Beethoven che qui citiamo:

e se si fanno i sei gesti qui sopra indicati invece dei quattro movimenti stabiliti precedentemente, che lasciano afferrare e fanno meglio sentire la sincope.

Questa sottomissione volontaria ad una forma ritmica che l'autore ha destinato ad essere contrariata, è uno dei più enormi errori di stile che un battitore di misura possa commettere.
Vi è un'altra difficoltà molto preoccupante per il direttore d'orchestra e per la quale egli ha bisogno di tutta la sua presenza di spirito: ed è quella che presenta la sovrapposizione di misure differenti facile dirigere una battuta a due tempi binari posta al disopra o al disotto di un'altra battuta a due tempi ternari. Se l'una e l'altra sono nello stesso movimento, esse sono allora uguali in durata, e non si tratta che di dividerle per la loro metà marcando i due tempi principali.

Ma se nel mezzo di un brano dal movimento lento viene ad essere introdotta una nuova forma il cui movimento è vivo, e se il compositore, sia per rendere più facile l'esecuzione del movimento vivo, sia perchè gli riesca impossibile di scrivere diversamente, adotta per questo movimento la misura breve che gli corrisponde, vi possono essere allora due o tre misure brevi sovrapposte ad una misura lenta.

L'ufficio del direttore d'orchestra è di fare procedere e di mantenere insieme queste misure diverse di numero e questi movimenti dissimili. Egli vi perviene nell'esempio precedente cominciando a dividere il tempo dalla misura andante numero 1 che precede l'entrata dell'allegro in 6/8, e continuando a dividerlo anche in seguito, ma avendo cura di marcare ancora di più questa divisione. Gli esecutori dell'allegro in 6/8 comprendono allora che i due gesti del direttore rappresentano i due tempi delle loro piccole battute, e gli esecutori dell'andante comprendono che questi due gesti medesimi non rappresentano per essi che un tempo diviso della loro grande battuta.

Questo, lo si vede, è abbastanza semplice in fondo, perchè la divisione della piccola battuta e le suddivisioni della grande concordano fra loro.
L'esempio seguente, nel quale una battuta lenta è sovrapposta a due battute brevi, senza che questa concordanza esista, è più scabroso:

Qui le tre misure allegro assai che precedono l'allegretto, si battono in due tempi semplici come d'ordinario. Nel momento in cui incomincia l'allegretto, di cui la misura è il doppio della precedente e di quella che conservano le Viole, il direttore segna due tempi divisi per la grande battuta con due gesti ineguali in basso e con due altri in alto.

I due grandi gesti dividono a metà la grande battuta e ne fanno comprendere il valore agli Oboe, senza contrariare le Viole, che conservano il movimento vivo, a causa del piccolo gesto che divide anche esso per metà la loro piccola battuta. Dalla misura n. 3, il direttore cessa di dividere così la grande battuta in quattro, a causa del ritmo temano della melodia in 6/8, che questa divisione contraria. Egli si limita allora a marcare i due tempi della grande misura, e gli Oboe già avviati nel loro ritmo rapido lo continuano senza fatica, comprendendo bene che ogni movimento della bacchetta direttoriale marca soltanto il principio della loro piccola battuta.
E questa ultima osservazione dimostra con quale cura sia necessario astenersi dal dividere i tempi di una misura quando una parte degli strumenti o delle voci si trovano ad eseguire delle terzine su questi tempi. Questa suddivisione, tagliando allora per metà la seconda nota della terzina, ne renderebbe l'esecuzione incerta, e potrebbe del tutto impedirla. Bisogna anche astenersi da questa suddivisione dei tempi della misura in due, un po' prima del momento in cui il disegno ritmico o melodico li deve dividere in tre, per non dare anticipatamente agli esecutori il senso di un ritmo contrario a quello che essi dovranno tra poco eseguire.

In questo esempio, la suddivisione della misura per sei, o la divisione dei tempi per due è utile e non presenta nessun inconveniente durante la prima battuta; si fa allora il gesto

ma bisogna astenersene dal principio della seconda battuta e limitarsi ai gesti semplici

a causa della terzina posta sul terzo movimento, e a causa di quella che segue, le quali sarebbero molto ostacolate nella corretta esecuzione dalla suddivisione del gesto. Nella famosa scena del ballo del Don Giovanni di Mozart, la difficoltà di fare procedere insieme le tre orchestre scritte in tre misure differenti è minore di quello che si crede. Basta marcare sempre in basso ogni movimento del tempo di minuetto.

Una volta entrato nell'insieme, il piccolo allegro in 3/8 di cui una battuta intiera rappresenta un terzo o un tempo di quella del minuetto, e l'altro allegro in 2/4 di cui una misura intiera ne rappresenta due terzi o due tempi, si accordano perfettamente insieme e col tema principale, e procedono senza la minima difficoltà. Tutto sta nel farli entrare al momento giusto.
Un errore grossolano che io ho veduto commettere consiste nell'allargare il movimento di una battuta a due tempi quando l'autore vi abbia introdotto delle terzine di minime:

In tale caso la terza minima non aggiunge niente alla durata della misura come alcuni direttori sembrano credere. Si può, se si vuole, e se il movimento è lento e moderato, marcare questi passaggi segnando la misura a tre tempi, ma la durata della battuta intera deve rimanere assolutamente la stessa. Nel caso in cui queste terzine si incontrassero in una battuta molto breve a due movimenti (allegro assai), i tre gesti farebbero confusione; e allora bisogna assolutamente farne solo due, uno in battere sulla prima minima e uno in levare sulla terza. I quali gesti, a causa della rapidità del movimento, differiscono poco, all'occhio, dai due della misura a due tempi uguali e non impediscono affatto il procedere delle parti dell'orchestra che non contengono terzine.

Parliamo adesso dell'azione del direttore nei recitativi. Qui il cantante o l'instrumentista recitante non essendo più sottomessi alla divisione regolare della misura, si tratta, seguendoli attentamente, di fare attaccare dall'orchestra con precisione e con insieme gli accordi o i disegni strumentali di cui il recitativo è intramezzato, e di far cambiare a proposito l'armonia, quando il recitativo è accompagnato, sia con note tenute, sia con un tremolo a più parti, di cui la più oscura talvolta è quella alla quale il direttore deve prestare la maggiore attenzione, perchè è proprio dal movimento di essa che risulta il cambiamento di accordo.

In questo esempio il direttore, pure seguendo la parte recitante non misurata, deve sopratutto preoccuparsi della parte della Viola, e farla muovere a proposito dal primo al secondo movimento, dal fa al mi in principio della seconda battuta; senza di che, essendo questa parte eseguita da molti strumentisti che suonano all'unisono, gli uni faranno il fa più lungamente degli altri, e verrà così a prodursi una passeggera discordanza.
Molti direttori hanno l'abitudine, dirigendo i recitativi d'orchestra di non tenere alcun conto della divisione scritta della battuta,

e di segnare un tempo in levare prima di quello nel quale si trova un breve accordo che deve esser suonato dall'orchestra, anche quando tale accordo è posto su un tempo debole.
In un passaggio come questo essi alzano il braccio sulla pausa che è al principio della misura e lo abbassano sul tempo dell'accordo. Io non posso approvare tale uso che non ha giustificazione alcuna e che può produrre degli incidenti nell'esecuzione. Io non vedo d'altra parte perchè si debba, nei recitativi, astenersi dal dividere la misura regolarmente e dal marcare i tempi reali al loro posto come nella musica misurata. Io consiglio dunque, per l'esempio precedente, di battere il primo tempo in basso come d'ordinario e di portare la bacchetta a sinistra per fare attaccare l'accordo sul secondo tempo, e così di seguito per gli altri casi analoghi, dividendo sempre regolarmente la battuta.
È molto importante inoltre di dividerla secondo il movimento precedentemente indicato dall'autore, e di non dimenticare, se questo movimento è allegro o maestoso, e se la parte recitante ha lungamente recitato senza accompagnamento, di dare a tutti i movimenti, quando l'orchestra riattacca, il valore di quelli di un allegro o di un maestoso. Perchè quando l'orchestra suona sola è sempre diretta; essa non suona senza battuta che quando accompagna la voce recitante o l'istrumento recitante. Nel caso eccezionale in cui il recitativo è scritto per l'orchestra medesima o per il coro, oppure per una parte dell'orchestra o del coro, siccome si tratta di far procedere insieme, sia all'unisono, sia in armonia, ma senza misura esatta, un certo numero di esecutori, il direttore d'orchestra viene ad essere allora il vero recitante, ed è esso che dà ad ogni tempo della misura la durata che crede più conveniente. Secondo la forma della frase, talvolta egli dirige e suddivide il tempo, talvolta sottolinea gli accenti, talvolta le semicrome se ve ne ha, insomma egli disegna con la bacchetta la forma melodica del recitativo. Resta inteso che gli esecutori, i quali sanno quasi a memoria le loro note, tengono l'occhio fisso su di lui, senza di che non è possibile ottenere nè sicurezza nè coesione.
In generale, anche per la musica misurata, il direttore d'orchestra deve esigere che i musicisti che egli dirige lo guardino il più sovente possibile. Per un'orchestra che non guarda la bacchetta il direttore non esiste.
Spesso, dopo una corona, per esempio, il direttore è obbligato ad astenersi dal fare il gesto decisivo che deve determinare l'attacco dell'orchestra fino a che non veda che gli occhi degli esecutori sono fissi sopra di lui. E durante le prove che egli deve abituare l'orchestra a guardarlo simultaneamente nei momenti importanti.

Se, nella misura citata, di cui il primo tempo che porta una corona può essere prolungato indefinitivamente, non si osservasse la regola che ho indicato, il passo non potrebbe essere eseguito con insieme,

perchè gli esecutori che non guardano la bacchetta direttoriale non possono sapere quando il secondo movimento ha inizio e quando la corona viene a cessare.
Questo obbligo, per gli esecutori, di guardare il direttore d'orchestra implica necessariamente per il direttore stesso l'obbligo di lasciarsi ben vedere da essi. Qualunque si sia la disposizione dell'orchestra, dunque, su gradinata o su un piano orizzontale, egli deve disporsi in modo di essere ben veduto da tutti.
Occorre al direttore d'orchestra, per essere ben visibile, un podio speciale tanto più elevato quanto il numero degli esecutori è maggiore ed occupa il più vasto spazio. Il suo podio non dev'essere tanto alto, però, che il leggio recante la partitura nasconda la sua figura. Perchè l'espressione del volto ha una grande importanza nell'influenza che egli esercita sulla massa, e se il direttore non esiste per un'orchestra che non sa o non vuole guardarlo, esso non esiste neppure se non può essere ben veduto.

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Quanto all'impiego di un rumore qualunque prodotto dai colpi della bacchetta sul leggio, o dal piede sul podio, bisogna assolutamente e senza riserva riprovarli. Più che un pessimo mezzo, è una vera e propria barbarie.
Soltanto se, in un teatro, l'evoluzione del movimento scenico impediscono ai coristi di vedere la bacchetta, il direttore è obbligato, per assicurare l'attacco del coro, ad indicare questo attacco segnando il tempo che lo precede coli un leggero colpo di bacchetta sul leggio. Questa circostanza eccezionale è la sola che possa giustificare l'impiego di un rumore indicatore; ed è già deplorevole che talvolta si sia obbligati a ricorrervi.
A proposito dei coristi e della loro azione nei teatri, è bene dire qui che i maestri di palcoscenico si permettono sovente di segnare il tempo fra le quinte, senza vedere la bacchetta direttoriale e talvolta senza neanche sentire l'orchestra. Ne risulta che questa misura arbitraria, battuta più o meno male, non potendo accordarsi con quella del direttore, stabilisce inevitabilmente una discordanza ritmica fra il coro e la massa orchestrale e disquilibra l'insieme invece di contribuire a tenerlo compatto.
Altra barbarie tradizionale che il direttore d'orchestra intelligente ed energico ha il dovere di abolire è la seguente: se un coro o un gruppo istrumentale ha qualche cosa da eseguire fra le quinte senza la partecipazione dell'orchestra principale, un altro direttore è assolutamente necessario per dirigerli. Se l'orchestra accompagna questo gruppo, il primo direttore, che sente la musica lontana è allora rigorosamente tenuto a lasciarsi condurre dal secondo e a seguire con l'orecchio i suoi movimenti. Ma se, come succede sovente nella musica moderna, la sonorità della grande orchestra impedisce al primo direttore di sentire ciò che viene eseguito lontano da lui, diventa allora necessario l'intervento di uno speciale meccanismo di segnalazione per stabilire una comunicazione istantanea fra lui e gli esecutori lontani. Si sono fatti in questo genere dei tentativi più o meno ingegnosi, di cui il risultato non ha risposto sempre a quello che si sperava. Quello del teatro del Covent Garden di Londra, che il direttore d'orchestra fa muovere col piede, funziona abbastanza bene. Solo il metronomo elettrico impiantato dal Sig. Verbrughe nel teatro di Bruxelles non lascia nulla a desiderare. Esso consiste in un apparecchio di nastri di rame che parte da una pila di Volta posta sotto il teatro che viene ad attaccarsi al podio del direttore e che comunica il movimento ad una bacchetta mobile fissata su un perno davanti ad un quadro a qualunque distanza si voglia dal direttore d'orchestra. Al leggio di questo direttore è adattato un tasto i rame che somiglia ad un tasto di pianoforte, elastico e munito nella sua faccia inferiore di una protuberanza di pochi centimetri di lunghezza. Immediatamente al disotto della protuberanza si trova un piccolo serbatoio ugualmente in rame, e riempito di mercurio. Nel momento in cui il direttore d'orchestra, volendo segnare un tempo qualunque della battuta, preme con l'indice della mano sinistra (essendo la destra impegnata a tenere la bacchetta) il tasto di rame, questo tasto si abbassa, la protuberanza entra nel serbatoio pieno di mercurio, una piccola scintilla elettrica scocca in questo momento e la bacchetta posta all'altra estremità del filo di rame fa un'oscillazione davanti al suo quadro. Questa comunicazione del fluido e questo movimento sono del tutto istantanei, qualunque si sia la distanza percorsa. Gli esecutori che sono riuniti nel retroscena con gli occhi fissi sulla bacchetta del metronomo elettrico; subiscono per conseguenza direttamente l'azione del capo, che potrebbe così, se fosse necessario, dirigere dal suo podio dell'Opera di Parigi un pezzo di musica eseguito a Versailles. È importante però, a proposito di direzione a distanza, di convenire chiaramente coi coristi o con il loro direttore (se per precauzione ne avranno uno) il modo in cui il direttore segnerà la misura se, cioè, segnerà tutti i tempi principali o soltanto il primo; perchè le oscillazioni della bacchetta mossa dall'elettricità sono tutte uguali e non indicano nulla di preciso al riguardo.
Quando io mi servii per la prima volta a Bruxelles del prezioso strumento che ho tentato di descrivere, il suo impiego presentava un inconveniente. Ogni volta che il tasto di metallo del mio leggio subiva la pressione dell'indice della mia mano sinistra, esso batteva su un'altra piastra di metallo. Malgrado la delicatezza del contatto, ne risultava un piccolo rumore secco che, durante le pause dell'orchestra, finiva per attirare l'attenzione degli uditori a detrimento dell'effetto musicale. Io feci rilevare questo inconveniente al Sig. Verbrughe che sostituì la piastra di metallo inferiore con la piccola ampolla piena di mercurio di cui ho parlato prima, e nella quale la protuberanza del tasto si introduce per chiudere il circuito elettrico senza produrre il minimo rumore.
Presentemente, sempre riguardo all'impiego di questo meccanismo, non rimane adesso che il crepitio della scintilla nel momento in cui essa si produce: che è un rumore troppo debole per potere essere sentito dal pubblico.
Questo metronomo non rappresenta per il suo impianto una forte spesa: costa tutto al più quattrocento franchi. I grandi teatri lirici, le chiese e le sale di concerti dovrebbero esserne provvisti da molto tempo. Ciò non ostante l'apparecchio è posseduto fin'oggi soltanto dal teatro di Bruxelles. Ciò sembrerebbe impossibile e incredibile se non si conoscesse l'incuria della maggior parte dei direttori degli istituti musicali, e la loro istintiva avversione per tutto ciò che può turbare i vecchi andazzi abitudinari, e la loro profonda indifferenza per gli interessi dell'arte, la loro avarizia quando si tratti di fare una spesa d'interesse musicale; e l'ignoranza completa degli elementari principi della nostra arte, che distingue quasi tutti gli uomini incaricati di reggerne i destini.

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Non ho ancora detto tutto su quei pericolosi aiutanti che vengono chiamati «direttori dei cori». Ve ne sono pochissimi di abbastanza adatti a condurre un'esecuzione musicale perchè il direttore d'orchestra possa contare su essi. Non saranno dunque mai abbastanza sorvegliati da vicino quando si sia obbligati a subire la loro collaborazione. I più temibili sono coloro che l'età ha impoverito di agilità e di energia. Il mantenere un qualsiasi movimento un po' vivo è per essi impossibile. Qualunque sia il grado di rapidità impresso al principio di un brano la cui direzione sia ad essi affidata, è certo che essi un po' alla volta rallenteranno l'andatura fino a che questo ritmo sia ridotto a una certa media lentezza che sembra essere in armonia col movimento del loro sangue e con l'indebolimento generale del loro organismo. Bisogna aggiungere però che non soltanto questi vegliardi fanno correre tali pericoli ai compositori. Vi sono degli uomini nel pieno vigore dell'età ma di un temperamento così linfatico, che pare abbiano la circolazione del sangue nel tempo moderato. Se capiterà ad essi di dirigere un allegro assai essi lo rallenteranno gradualmente fino al moderato; se, al contrario, è un largo o un andante sostenuto, per poco che il brano si prolunghi, essi arriveranno, con una animazione progressiva e molto tempo prima della fine, al movimento moderato. Il moderato è il loro movimento naturale ed essi vi ritornano così infallibilmente come ritornerebbe al suo movimento un pendolo di cui si fosse per un momento affrettata o rallentata l'oscillazione.
Costoro sono i nemici nati di ogni musica caratterizzata e sono i più grandi distruttori dello stile. Il direttore d'orchestra se ne guardi come da un pericolo mortale.

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Un giorno, in una grande città che non voglio nominare, si trattava di eseguire nell'interno della scena un coro molto semplice in 6/8 nel movimento allegretto. L'intervento del maestro del coro era necessario: e si trattava di un vecchio... Il movimento del coro essendo stato da principio determinato dall'orchestra, il nostro Nestore lo seguiva alla meglio nelle prime battute; ma ben presto incominciava un rallentamento, così sensibile che non vi era modo di continuare senza rendere il brano completamente ridicolo. Si ricominciò due volte, tre volte, quattro volte; si spese più di mezz'ora in sforzi sempre più irritanti, e sempre col medesimo risultato. Questo brav'uomo non riusciva assolutamente a conservare il movimento allegretto. Finalmente il direttore «orchestra impazientito lo pregò di astenersi dal dirigere; egli aveva trovato un espediente: fece, cioè simulare ai coristi un movimento di marcia, alzando volta a volta l'uno e l'altro piede senza cambiar posto. Questo movimento essendo in rapporto esatto col ritmo binario della misura in 6/8 dell'allegretto, i coristi, che non avevano più l'impedimento del loro direttore, eseguirono subito il brano come se avessero cantato marciando, con altrettanta regolarità che precisione, e senza rallentare.
Io riconosco tuttavia che molti direttori di cori o di sostituti direttori d'orchestra sono talvolta di una grande utilità e anche indispensabili per mantenere l'insieme delle grandi masse di esecutori. Quando queste masse sono necessariamente disposte in modo che una parte di esse volga le spalle al direttore, questi ha bisogno di un certo numero di aiutanti i quali battano il tempo davanti agli esecutori che non lo vedono, e incaricati di riprodurre tutti i suoi movimenti. Affinchè tale riproduzione sia precisa, il direttore aiutante dovrà guardarsi dall'abbandonare per un solo istante l'osservazione diretta del direttore principale. Se, per seguire lo spartito, essi cessano per due o tre battute di vederlo, subito si produce una discordanza fra la loro misura e quella di lui, e l'esecuzione è compromessa.
In un festival nel quale 1200 esecutori si trovavano riuniti sotto la mia direzione a Parigi, io dovetti impiegare cinque direttori di coro disposti tutti intorno alla massa vocale e due sostituti direttori d'orchestra dei quali l'uno dirigeva gli strumenti a fiato e l'altro gli strumenti a percussione. Io avevo ben raccomandato ad essi di guardarmi sempre; essi si attennero alle mie istruzioni, e le nostre otto bacchette alzandosi e abbassandosi senza la più leggera differenza di ritmo stabilirono nei nostri 1200 esecutori l'insieme più perfetto di cui si sia avuto mai l'esempio. Con uno o con numerosi metronomi elettrici, non sarebbe più necessario ricorrere a questi mezzi. In questo modo si potrebbe infatti dirigere qualunque coro il quale volga le spalle al direttore. Però dei maestri sostituti attenti e intelligenti saranno in ogni caso preferibili ad un apparecchio meccanico.
Essi infatti non si limitano a battere il tempo come il metronomo elettrico, ma possono in più parlare ai gruppi che dirigono e richiamare la loro attenzione sui coloriti e, dopo le pause, avvertirli del momento dell'attacco.
In un locale disposto ad anfiteatro semicircolare, il direttore d'orchestra può dirigere da solo un numero considerevole di esecutori perchè tutti gli occhi possono allora portarsi sopra di lui. Ciò nonostante l'impiego di un certo numero di maestri sostituti mi sembra preferibile alla unità della direzione individuale, a causa della grande distanza nella quale si trovano le zone estreme delle masse corali ed orchestrali dal direttore. Più il direttore d'orchestra si allontana dai musicisti che esso dirige, e più la sua azione su di essi si affievolisce. Meglio di tutto sarebbe avere molti maestri sostituti con molti metronomi elettrici i quali portassero davanti ai loro occhi i grandi movimenti della battuta.

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Bisogna dirigere in piedi, o seduti?
Se nei teatri dove si eseguiscono partiture di una durata enorme è ben difficile resistere alla fatica restando in piedi tutta la serata, non è però men vero che il direttore d'orchestra seduto perde una parte della sua potenza e non può dar libero campo al suo temperamento, se ne ha. Dirigerà esso leggendo la grande partitura, o sulla parte del primo violino conduttore, come si usa in alcuni teatri? Naturalmente egli deve avere sotto gli occhi la grande partitura. Dirigere con l'aiuto di una parte contenente soltanto le principali entrate strumentali, il basso e la melodia, impone inutilmente un lavoro mnemonico al direttore d'orchestra che non ha davanti a sè la partitura completa, e l'espone inoltre, se si arrischia a dire che qualcuno degli esecutori commette errore senza poterne controllare la parte, a sentirsi rispondere: cosa ne sapete voi?
La disposizione e il raggruppamento dei musicisti e dei coristi rientrano ancora nelle attribuzioni del direttore d'orchestra, soprattutto per i concerti. È impossibile indicare in modo assoluto la migliore disposizione delle masse di esecutori in un teatro e in una sala di concerti, perchè la forma e la disposizione dell'interno delle sale influiscono necessariamente sulle determinazioni da prendere caso per caso. Aggiungiamo che esse dipendono, inoltre dal numero degli esecutori che si tratta di disporre, e, in talune occasioni, dalle caratteristiche della composizione che si deve eseguire. In generale per i concerti è necessario un anfiteatro di otto o almeno di cinque gradoni.
La forma semicircolare è la migliore per questo anfiteatro. Se esso è abbastanza largo per contenere tutta l'orchestra, la massa intiera degli strumentisti sarà disposta sui gradoni: i primi violini sul davanti a destra, i secondi violini sul davanti a sinistra, le viole nel mezzo fra i due gruppi di violini, i flauti, oboe, clarinetti, corni e fagotti dietro i primi violini, una doppia fila di violoncelli e contrabbassi dietro i secondi violini; le trombe, le cornette, i tromboni, le tube dietro le viole, il rimanente dei violoncelli e contrabbassi dietro gli strumenti a fiato in legno, le arpe sui davanti della scena vicinissimo al direttore d'orchestra, i timpani e gli altri strumenti a percussione dietro gli ottoni; il direttore d'orchestra, volgendo le spalle al pubblico, nella parte più bassa dell'anfiteatro, e vicino ai primi leggii dei primi e dei secondi violini.
Vi dovrà essere inoltre un praticabile orizzontale, una scena più o meno spaziosa, che si stende davanti al primo gradone dell'anfiteatro. Su questo praticabile i coristi saranno disposti a ventaglio, volti di tre quarti verso il pubblico in modo di poter facilmente vedere i movimenti del direttore d'orchestra. Il raggruppamento dei coristi per categoria di voci sarà diverso a seconda che l'autore abbia scritto a tre, quattro o sei parti. In ogni caso le donne, soprani e contralti, saranno sul davanti, sedute; i tenori, in piedi dietro i contralti, i bassi, in piedi dietro i soprani.
I cantori e i virtuosi solisti occuperanno il centro e la parte anteriore del proscenio e si disporranno sempre in modo di potere, con un leggero movimento della testa, vedere la bacchetta direttoriale. Ciò detto, ripeto che queste indicazioni non sono che approssimative; esse possono essere modificate in varia misura per le più diverse ragioni.
Nel Conservatorio di Parigi, dove l'anfiteatro non si compone che di quattro o cinque gradoni non circolari e che non può per conseguenza contenere tutta l'orchestra, i violini e le viole sono sulla scena, i bassi e gli strumenti a fiato occupano i gradoni; il coro è seduto sul proscenio guardando il pubblico e l'intero gruppo delle donne, soprani e contralti, volge direttamente le spalle al direttore d'orchestra e si trova nella impossibilita di vederne i movimenti. Una tale disposizione è estremamente scomoda per questa parte del coro. sempre della più grande importanza che i coristi disposti sul proscenio occupino un piano un poco più basso di quello dei violini, senza di che ne smorzerebbero enormemente la sonorità. Per la stessa ragione se, sul davanti dell'orchestra, non vi sono altri gradoni per il coro, bisogna assolutamente che le donne siano sedute e che gli uomini stiano in piedi affinchè le voci dei tenori e dei bassi partendo da un punto più elevato di quelle dei soprani e dei contralti possano vibrare liberamente e non siano nè soffocate nè intercettate.
Quando la presenza dei coristi davanti all'orchestra non è necessaria, il direttore avrà cura di fare uscire questa moltitudine di corpi umani che nuocciono alla sonorità degli strumenti. Una sinfonia eseguita da un'orchestra più o meno soffocata da tale massa, può molto soffrirne.

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Vi sono anche da prendere altre precauzioni, relative alla sola orchestra, delle quali il direttore deve preoccuparsi per evitare alcuni difetti di esecuzione.
Gli strumenti a percussione disposti, come ho indicato, su uno degli ultimi gradoni dell'anfiteatro, hanno una tendenza innata a rallentare il ritmo, a ritardare. Una serie di colpi di grancassa battuti a intervalli regolari in un movimento vivo, come la seguente:

conduce talvolta alla distruzione completa di una bella progressione ritmica, spezzando lo slancio del rimanente dell'orchestra e distruggendo l'insieme. Quasi sempre il suonatore di grancassa, invece di guardare il primo tempo marcato dal direttore, rimane un p0' in ritardo per battere il suo primo colpo. Questo ritardo moltiplicato per il numero dei colpi che seguono il primo, conduce ben presto, come si può immaginare, ad una discordanza ritmica del più orribile effetto.
Il direttore, di cui tutti gli sforzi sono in tal caso vani, non ha che una cosa da fare per ristabilire l'insieme: ed è di esigere che il suonatore di grancassa conti anticipatamente il numero di colpi da dare nel passaggio in questione e, assicuratosene, non guardi più la parte e tenga costantemente gli occhi fissi sulla bacchetta direttoriale; così potrà seguirne il movimento senza la minima imprecisione. Un altro ritardo, prodotto da una causa diversa, si deve osservare frequentemente nelle parti delle trombe: e quando esse contengano, in un movimento vivo, passaggi simili a questo:

Il suonatore di tromba, invece di respirare prima della prima di queste tre misure, respira al principio; durante la pausa di croma segnata con A e, non tenendo conto del tempo che egli ha impiegato per respirare, dà tutto il suo valore alla pausa di croma che si trova così ad essere accresciuta del valore di un'altra croma-pausa nella prima misura. Ne risulta così l'effetto seguente:

Effetto tanto più cattivo in quanto l'accento finale, segnato all'inizio della terza battuta dal rimanente dell'orchestra, arriva un terzo di movimento troppo tardi nelle trombe e distrugge l'insieme dell'attacco dell'ultimo accordo.
Per ovviare a questo inconveniente, il direttore deve innanzi tutto fare osservare agli esecutori questo errore, nel quale essi sono trascinati quasi senza accorgersene; e deve poi, al momento opportuno, dare ad essi un'occhiata e anticipare un poco, accentuando il primo movimento nella misura, il momento in cui essi debbono attaccare. Non si può immaginare come sia difficile impedire ai suonatori di tromba di prolungare il valore della pausa su cui abbiamo appoggiato l'esempio.
Quando un lungo accelerando a poco a poco è indicato dal compositore per arrivare dall'allegro moderato a un presto, la maggior parte dei direttori d'orchestra accelerano il movimento a colpi, invece di animarlo sempre più con una uguale progressione insensibile. Anche questo deve essere evitato. La stessa osservazione si può applicare al fenomeno inverso. E ancora più difficile, bisogna dire, allargare dolcemente, senza scosse, un movimento vivo per trasformarlo poco a poco in un movimento lento.
Sovente, per dare prova di zelo, o per difetto di delicatezza di sentimento musicale il direttore esige dai suoi esecutori l'esagerazione dei coloriti. Questo significa che egli non comprende nè il carattere nè lo stile del pezzo. I coloriti divengono allora delle macchie, gli accenti, degli urli. Le intenzioni del povero compositore sono totalmente sfigurate e tradite, e quelle del direttore d'orchestra, anche volendo ritenerle onestissime, non sono meno catastrofiche delle tenerezze dell'asino della favola il quale, per accarezzare il padrone, lo accoppa.

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Adesso segnaleremo molti deplorevoli abusi constatali in quasi tutte le orchestre d'Europa; abusi che fanno disperare i compositori e che è dovere dei direttori d'orchestra far sparire il più presto possibile.
Gli artisti che suonano gli strumenti ad arco si danno raramente la pena di fare il tremolo; essi, sostituiscono a questo effetto così caratteristico, una piatta ripetizione della nota, di metà, sovente di tre quarti più lenta di quella che risulta dal tremolo; invece di semibiscrome, essi fanno delle semplici biscrome o semicrome; invece di produrre sessantaquattro note in una misura a quattro tempi (adagio) essi non ne producono che trentadue o anche sedici. Il tremito del braccio necessario per ottenere il vero tremolo esige evidentemente un troppo grande sforzo! Questa pigrizia è intollerabile. Gran numero di contrabbassisti si permette, ancora per pigrizia, o per timore di non poter vincere certe difficoltà, di semplificare la parte. Questa scuola dei semplificatori, in grande onore quarant'anni fa, non deve più sussistere. Nelle opere antiche le parti di contrabbasso sono molto semplici; e non vi è dunque alcuna ragione di impoverirle ancor più; quelle delle partiture moderne sono un po' più difficili, è vero; ma, tolte alcune rare eccezioni, non vi si trova niente di ineseguibile perchè i compositori, padroni dell'arte loro, le scrivono con cura e tali come debbono essere eseguite. Se è per pigrizia che i semplificatori le snaturano, il direttore d'orchestra energico è investito dell'autorità necessaria per obbligarli a fare coscienziosamente il loro dovere. Se è per incapacità, egli può congedarli. Egli ha tutto l'interesse a sbarazzarsi di strumentisti che non sanno suonare il proprio strumento.
I suonatori di flauto abituati a dominare gli altri strumenti a fiato, e non ammettendo che la loro parte possa essere scritta al disotto di quelle dei clarinetti o degli oboe, trasportano frequentemente dei passaggi interi all'ottava superiore. Il direttore, se non osserva bene la partitura, e se non conosce a perfezione l'opera che deve dirigere, o se il suo orecchio manca di finezza, non si accorgerà di questa strana libertà presa dai flautisti. Si potrebbero citare molti esempi a questo proposito; e bisogna far sì che anche questi casi spariscano del tutto.
Succede da per tutto (non dico soltanto in alcune orchestre), succede da per tutto, ripeto, che i violinisti incaricati, come si sa, di eseguire in dieci, in quindici, in venti la stessa parte all'unisono, non contino le loro battute d'aspetto, sempre per pigrizia, e si esimano da questa cura contando gli uni sugli altri. Ne consegue che al momento opportuno soltanto la metà degli esecutori attacca, mentre gli altri tengono ancora il loro strumento sotto il braccio sinistro e guardano il soffitto; l'entrata allora è indebolita, se non totalmente mancata. Io richiamo su questa insopportabile abitudine l'attenzione e la severità dei direttori di orchestra. Essa è tuttavia così radicata che i direttori stessi non riusciranno ad estirparla sé non rendendo un gran numero di violinisti solidali dell'errore o della distrazione di un solo; mettendo, per esempio, la multa a quelli di tutta la fila sé uno solo di essi ha mancato il suo attacco. Quando tale multa sarà limitata a tre franchi, siccome essa può essere inflitta cinque o sei volte allo stesso individuo in una sola prova, io garantisco che ciascun violinista conterà le battute d'aspetto e controllerà che il suo vicino faccia altrettanto.
Un'orchestra i cui strumenti non sono bene accordati: ciascuno per se e fra loro, è una mostruosità. Il direttore avrà dunque la più grande cura per ottenere che gli esecutori si accordino. Ma questa operazione non deve essere fatta davanti al pubblico. Ogni rumore strumentale e ogni preludiare durante i riposi costituiscono una vera offesa inferta all'uditorio civile. La cattiva educazione di una orchestra, la sua indisciplina, la sua mediocrità musicale si riconoscono ai rumori importuni che essa fa sentire durante i momenti di riposo di un'opera o di un concerto.
È anche necessario che il direttore d'orchestra non permetta ai clarinettisti di servirsi sempre dello stesso strumento (del clarinetto in si bemolle) senza nessun riguardo per le indicazioni dell'autore; come se i diversi clarinetti, quelli in re e quelli in la sopratutto, non avessero un carattere speciale di cui il compositore conosce tutta la importanza, e come se il clarinetto in la non avesse anche un semitono di estensione maggiore nel registro basso che non il clarinetto in si b.: il do diesis che è di un eccellente effetto.
Un'altra abitudine deplorevole si è introdotta in seguito all'adozione dei corni a cilindri in molte orchestre; quella di suonare con suoni aperti, per mezzo del meccanismo adattato allo strumento, le note destinate dal compositore ad essere prodotte con suoni chiusi per mezzo dell'impiego della mano destra nella campana. Inoltre i cornisti, a causa della facilità apportata dai pistoni o cilindri all'uso dello strumento, non si servono più che del solo corno in fa, qualunque sia il tono indicato dall'autore. Questo uso produce una quantità di inconvenienti da cui il direttore d'orchestra deve accuratamente preservare le opere dei compositori che sanno scrivere. Per quelle degli altri, bisogna confessarlo, il danno è moto meno sensibile.
Il direttore deve anche opporsi all'espediente economico adottato da certi teatri così detti lirici, di fare suonare i piatti e la grancassa dallo stesso esecutore. Il suono dei piatti attaccati sulla grancassa, come è necessario che siano per rendere possibile tale economia, è un rumore ignobile, buono soltanto per le orchestre da ballo delle osterie. Quest'uso, inoltre, mantiene nei compositori mediocri l'abitudine di non usare mai isolatamente uno di questi due strumenti e di considerare il loro impiego come esclusivamente adatto ad accentuare con energia i tempi forti della battuta. Idea feconda di rumorose banalità e che ci è valsa una quantità di eccessi ridicoli sotto i quali, se non si smette l'uso, la musica drammatica soccomberà presto o tardi.

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Io chiudo questo scritto esprimendo il rammarico di vedere ancora dovunque così male organizzati i periodi di studio del coro e dell'orchestra. Dovunque, per le grandi composizioni corali e strumentali, si continua nel sistema delle prove in massa. Si fa studiare, volta a volta, dà una parte tutti i coristi, dall'altra parte tutti gli strumentisti.
Dei deplorevoli errori, delle innumerevoli topiche sono allora commessi: specie nelle parti interne; errori dei quali il direttore dei cori e il direttore d'orchestra non si accorgono. Una volta stabiliti questi errori, essi degenerano in abitudini, e persistono nell'esecuzione.
D'altra parte, durante queste prove abborracciate, quei disgraziati di coristi sono i più maltrattati degli esecutori.
Invece di dare ad essi un buon direttore che conosca i movimenti, istruito nell'arte del canto, per portare il tempo e fare le osservazioni tecniche e critiche - un buon pianista che eseguisca una parte di pianoforte ben fatta, su un buon pianoforte - e un violinista per suonare all'unisono o all'ottava delle voci ogni parte studiata isolatamente: in luogo di questi tre artisti indispensabili, si confidano i cori, nell'enorme maggioranza dei teatri lirici d'Europa, a un solo uomo che non ha la minima idea dell'arte di dirigere nè dell'arte di cantare, mediocre musicista generalmente scelto fra i più cattivi pianisti, o anche neppure capace di suonare il pianoforte: compassionevole invalido, che, assiso davanti ad uno strumento sgangherato e scordato, si sforza di decifrare una partitura che non conosce, pesta degli accordi sbagliati, maggiori quando sono minori e reciprocamente, e, sotto pretesto di condurre e di accompagnare tutto da solo, adopera la mano destra perchè i coristi si sbaglino nel ritmo, e la mano sinistra perchè si sbaglino nella intonazione.
Ad esser testimoni di questa barbarie, ci si crederebbe nel Medio Evo.
Una interpretazione fedele, colorita, ispirata, di un'opera moderna, anche se affidata ad artisti di classe superiore, non si può ottenere, lo credo fermamente, che con prove a sezioni. Bisogna far studiare ogni parte di un coro isolatamente, fino a che essa sia ben sicura, prima di ammetterla nelle prove d'insieme. Lo stesso sistema è da seguire per l'orchestra quando il suo còmpito sia un poco complesso. I violini devono essere esercitati prima da soli, e in altre prove devono essere esercitati le viole e i bassi; poi gli strumenti a fiato (con un piccolo gruppo di strumenti ad arco per riempire le pause e per abituare i fiati alle entrate), poi gli strumenti di ottone, e molto spesso è necessario fare prove separate anche per gli strumenti a percussione, e anche per le arpe se ve ne è un certo numero. Gli studi d'insieme preceduti da queste prove a sezioni saranno poi molto rapidi e conclusivi; e si può illudersi di arrivare con questo metodo ad una fedeltà di interpretazione la cui rarità, purtroppo, non ha oggi bisogno di essere dimostrata.
Le esecuzioni ottenute con gli antichi sistemi di studio non sono che dei press'a poco, sotto i quali molti e molti capolavori soccombono.
Il direttore organizzatore, dopo avere massacrato un maestro, non si astiene per altro dal deporre la bacchetta con un sorriso soddisfatto; e se gli resta qualche dubbio sul modo in cui ha assolto il proprio còmpito, siccome, dopo tutto, nessuno si prende la briga di controllarne i risultati e di contestarglieli, dice fra sè: bah! vae victis!