LA MUSICA DI ROSSINI NEL PENSIERO
DI GIUSEPPE MAZZINI
È ben nota
l’affermazione millenaristica con cui Mazzini caratterizza l’irruzione di
Rossini nel contesto della musica operistica italiana:
“E venne Rossini.
Rossini è un titano. Titano di
potenza e d’audacia. Rossini è il Napoleone d’un’epoca musicale. Rossini, a chi
ben guarda, ha compito nella musica ciò che il romanticismo ha compito in
letteratura. Ha sancito l’indipendenza musicale: negato il principio
d’autorità che i mille inetti a creare volevano imporre a chi crea, e
dichiarata l’onnipotenza del genio”[1].
L’autentico colpo
di teatro con cui l’Apostolo dell’Unità fa balzare fuori la figura del Pesarese
dalle pagine della Filosofia della musica
non lascia dubbi sull’esito dell’effetto: il lettore rimane ancor oggi
sbalordito dalla lapidarietà con cui le frasi vengono scolpite, con un
montaggio dal ritmo incalzante[2].
La drammaturgia
adottata da Mazzini introduce il personaggio del musicista al termine di una
fase dibattimentale che seziona implacabilmente il primo ventennio del secolo,
evidenziandone, con catastrofica amarezza, guasti e misfatti[3].
La schermaglia
intellettuale con cui Mazzini tratteggia il personaggio Rossini, fornendone
altresì una delle più convincenti collocazioni estetiche realizzate durante la
vita del musicista, non è la prima apparsa in un panorama agiografico ed
encomiastico che toccò subito toni trionfalistici[4].
Il parallelismo
Rossini-Napoleone era già stato formulato da Stendhal, biografo appassionato,
per quanto inattendibile, capace di sfiorare la genialità nel cogliere, con le
ragioni del cuore, le più profonde pulsioni dei ritmi evolutivi impressi dal
Pesarese alla musica italiana[5].
Nelle prime pagine
della sua Vie de Rossini l’autore della Chartrêuse dichiara:
“Dopo la morte di Napoleone c’è
stato un altro uomo del quale si parla ogni giorno a Mosca come a Napoli, a
Londra come a Vienna, a Parigi come a Calcutta.
La gloria di quest’uomo non
conosce limiti, se non quelli del mondo civile, ed egli non ha ancora trentadue
anni”[6].
Singolare risulta,
inoltre, la concordanza tra i toni delle valenze affettive mazziniane e quelle
scaturite dalla penna di un altro “infatuato” di Rossini, l’austriacante
Giuseppe Carpani:
“In un angolo della Romagna era
nato un fanciullo, e già pervenuto al suo terzo lustro, il quale dovea fra
breve romper le tenebre che l’Orbe musicale involgevano, e tutto di sua luce
inondandolo, richiamar l’arte a nuova vita”[7].
Ancora da una firma
ultramontana era stato tributato un omaggio dall’impalbabile spessore poetico,
parole profumate velate di ellenistica nostalgia:
“O Rossini, divino maestro, Elios d’Italia che spandi su tutta la terra i tuoi
raggi sonori, perdona ai miei paesani che ti vilipendono a colpi di carta e
d’inchiostro. Ma io mi beo dei tuoi fasci di luce melodici, dei tuoi smaglianti
sogni che, come farfalle, mi danzano intorno e mi baciano il cuore con labbra
di Grazie”[8].
Quando Mazzini nel
1836 collocherà Rossini nel piano progettuale di una riflessione sulla musica
che, più che filosofica, appare irrelata a una visione politica dell’arte,
l’operista marchigiano era già un mito[9].
Naturale quindi che
anche nella considerevole produzione di critica letteraria consegnata alle
stampe prima della Filosofia della musica
appaia, seppur fugacemente, il profilo di un artista che era già patrimonio
della cultura europea.
Nei fogli dello Zibaldone, redatto dal Genovese tra il
1817 e il 1831, compare l’estratto del necrologio di Monti vergato da Tommaseo
e pubblicato sull‘ “Antologia” di Firenze[10].
L’ossequio
tributato a una presenza intellettuale, che allora Mazzini sentiva ancora
grande ed autorevole, costringeva ad un’accettazione quasi acritica del
parallelo sotteso tra la poesia di Monti e la musica di Rossini:
“Le forme della meditazione,
gl’impulsi dell’affetto, per lui si trasformano in idoli della fantasia; nella
fantasia paion piovere al Monti e sentimenti e pensieri, senza quasi sua
cooperazione, come le melodie del Rossini”[11].
La puntuale
trascrizione dei successivi passaggi di Tommaseo operata da Mazzini ci dà
ragione del clima di obiettiva diffidenza con cui certo ambiente letterario
nazionale aveva accolto il “fenomeno” Rossini: l’eclettismo estetico, privo di
apporti scientifici e morali, aveva impedito alla poesia di Monti di aspirare
alla dimensione “eterna” dell’arte, raggiungendovi solo il primato dello stile[12]. Analogo destino per la musica
di Rossini, minata al suo interno da un enzima della crescita ipertrofica. Si
adombrava l’ipotesi che Rossini avesse perseguito, nella sua eccezionale
parabola professionale, niente più che “l’estrinseco e il sensibile”[13].
Ad appena un anno
di distanza dalla metabolizzazione dell’articolo di Tommaseo, le stesse
“melodie” di Rossini vengono citate da Mazzini nel suo scritto Tragédie de Goethe; comincia a vibrare
un accenno di nota enfatica nel contesto di pagine ove si parla di “eco del
sublime” e di “Bello” che emana dal “profondo dell’anima”.
Siamo nel calderone
romantico e Mazzini invoca per l’uomo, immerso nell’armonia della “natura
solitaria”, la beatificante visione dell’Infinito[14].
Nell’anelito verso
l’agente misterioso di un sentimento che l’uomo sa avvertire, anche in presenza
di istituzioni sociali deformate da pregiudizi e da colpevole ignoranza,
risuona sovrana, ma arcana al tempo stesso, la musica di Rossini:
“È certo, ad ogni modo - per
quanto insegna l’osservazione - che questo sentimento è pur sempre radice di
quanto di sublime, e di grande ci presenta la razza umana, - che la sua potenza
si esercita in mille forme, e il suo soffio spira così nei versi di Dante, e
nelle melodie di Rossini, come nel martirio dei difensori di Psara, e di
Missolunghi”[15].
Nel successivo
scritto programmatico, Del dramma storico
(1830), l’ultimo steso prima dell’esilio, il moto progressivo sotteso alla
messa in opera della forma letteraria riceve il suggello del riconoscimento
sacrale dello status di “Genio”: il
nome di Rossini viene accostato a quello, sommo, di Dante ed innalzato al rango
eccezionale di una grande opera della natura:
“Il genio è l’ombra di Dio: opera
com’esso, giunge all’intento senza manifestarlo direttamente. L’edificio
ch’egli innalza non ha nome, ma la corda, che risponde al pensiero, ti vibra
dentro al solo vederlo; e tu uscirai dalla rappresentazione del suo dramma
altamente compreso dal principio ch’egli avrà voluto istillarti, come tu sorgi
più virtuoso e potente dalla lettura di Dante, dalla musica di Rossini, dalla
contemplazione dell’Alpi”[16].
Appena l’anno
precedente, compilando il saggio D’una
letteratura europea, Mazzini, accedendo alle pagine dell’ “Antologia”
fiorentina puntualizzava la necessità di un superamento dei particolarismi
culturali[17]. Sotto il segno utopistico di
una letteratura che rappresentasse lo stato morale della presagita Europa
unita, il Genovese aveva evocato il nome di Rossini per qualificare il turgore
di una lotta:
“- La Patria! Oh, se a tutti
coloro che movono la insulsa accusa ardesse in petto, inestinguibile, immensa
la fiamma Italica, che ci consuma, forse noi non saremmo fatti, com’ora siamo,
lodatori oziosi di antiche glorie, che non sappiamo emulare; forse il nostro
nome non suonerebbe oggetto di scherno, o di sterile compassione, sulla cetra
dello straniero. - No; non vogliamo gettare in fondo l’Italia; non vogliamo inservilire
il Genio, che ispirò le Grazie a Canova, e i concenti immortali a Rossini”[18].
Nelle prime pagine
della Filosofia della musica Mazzini
prende di petto le cause che, a suo parere, hanno condotto la musica italiana
sull’orlo della più totale inadempienza alla missione storica assegnatale:
l’arte che è nata in Italia con Palestrina, e che è stata resa più bella da
Porpora, Pergolesi e padre Martini, è attualmente priva di “concetto rigeneratore”[19].
Portata avanti
stancamente da “trafficatori di note” e da “imitatori” - e tra questi Mazzini
pone, con sconcertante incoscienza critica anche Piccinni - la musica italiana
si è ridotta a un puro processo di distrazione spettacolare[20].
L’artista si è
posto al servizio di una “generazione corrotta, sensuale e spossata”, e ha
obbedito alla sua domanda: “sottrammi alla noja”[21].
Perdendo
l’appuntamento con quel concetto byroniano di arte profonda, arte che “solca e
scava”, la musica d’opera si alimenta oggidì di facili effetti e di
steroetipati moventi espressivi:
“Chi cerca al dramma musicale una idea? Chi varca oltre il cerchio
particolare della varie scene che compongono un’opera, per afferrare un nesso, un centro comune? Non il pubblico
infastidito, svogliato, frivolo, che fugge, anziché richiederle, le profonde
impressioni, che dimanda alla musica il passatempo d’un’ora e non altro; che
s’informa prima dei cantanti, poi del lavoro”[22].
Ridotta a puro
trastullo per “l’ore d’ozio”, di una parte avvilita del popolo (“un piccolo
numero di scioperati”) la musica degli Italiani è ormai sterile gioco di
combinazioni esperimentate sino all’usura[23].
È a questo punto
della sua stringente allocuzione che Mazzini introduce il tema, enfatico,
dell’apparizione di Rossini, vessillifero dei nuovi valori artistici:
“Ed egli si pose vendicatore di
quanti gemevano, ma non osavano d’emanciparsene, di quella tirannide; gridò
rivolta, ed osò [...]. Per lui la musica è salva. Per lui, parliamo oggi
d’iniziativa musicale europea. Per lui, possiamo, senza presumere, aver fede
che questa iniziativa escirà d’Italia e non d’altrove”[24].
Quando scrive
queste pagine sulla musica il Genovese, esule in Svizzera, ha già superato la
fase di “innamoramento” per l’opera rossiniana, e individuato in Donizetti il
capomanipolo della riforma musicale europea.
Spogliatosi
immediatamente dei panni dell’ammiratore indiscriminato, Mazzini riassesta
l’obiettivo esegetico:
“Non però giova esagerare o
frantendere la parte che spetta a Rossini ne’ progressi dell’arte; la missione
ch’egli s’assunse, è missione che non esce da’ confini dell’epoca ch’oggi
gridiamo spenta o vicina a spegnersi. È missione di genio compendiatore, non iniziatore.
Non mutò, non distrusse la caratteristica antica della scuola italiana: la
riconsacrò[... ] Rossini non creò, restaurò”[25].
La nozione di ciò
che Mazzini intendesse per caratteristica della musica italiana era già stata
delineata in pagine precedenti: l’idioma sonoro italiano è la melodia, ed essa
è prodotto dell’individualità:
“L’individualità, tema, elemento de’ tempi di mezzo, che in Italia più
che altrove ebbe in tutte cose espressione profondamente sentita ed energica,
ha ispirata, generalmente parlando, la nostra musica, e la domina tuttavia. L’io v’è re [...] segue l’arbitrio d’una
volontà che non ha contrasto: va come può e dove spronano i desiderii. Norma
razionale e perpetua, vita progressiva unitaria, ordinata pensatamente a un
intento non v’è”[26].
Alla scuola
musicale mediterranea è contrapposta, secondo un vecchio modello critico, la
musica dei tedeschi: portatrice questa di armonia
e suscitatrice, di conseguenza, di “pensieri sociali”[27].
Incapace, secondo
Mazzini, di intaccare a fondo il “concetto primitivo fondamentale” di una
mentalità radicata nei costumi spettacolari e culturali nazionali, Rossini non
seppe volger i destini della sua musica verso le funzioni proprie a un progetto
di estensione europea: il “restauro” delle convenzioni teatrali avvenne senza
coscienza politica e sociale:
“Trovò nuove manifestazioni al
pensiero dell’epoca; lo tradusse in mille guise diverse; lo incoronò di così
minuto intaglio, di tanta fecondità d’accessorj, di tanto fiore d’ornato, che
taluno potrà forse sederglisi a fianco, non superarlo: lo espose, lo svolse, lo
tormentò fin che l’ebbe esaurito. Non lo varcò. Più potente di fantasia che di
profondo pensiero, o di profondo sentimento, genio di libertà e non di sintesi,
intravvide forse, non abbracciò l’avvenire”[28].
A questo punto
l’ombra del dubbio sembra corrodere la sicurezza di Mazzini e ritarda, almeno
per un attimo, la condanna che avvertiamo implacabile: condanna al Limbo,
poiché l’Inferno è già stato comunque evitato. In una significativa nota a pié
di pagina il pensatore genovese avverte:
“Lo varcò talora: lo varcò forse
nel Mosè, lo varcò senza forse nel
terz’atto dell’Otello, divino lavoro,
appartenente tutto intero, per l’alta espressione drammatica, per l’aura di
fatalità che vi spira, per la unità mirabile dell’ispirazione, all’epoca nuova”[29].
Il riferimento a Otello e Mosè ci rende edotti non solo del sofisticato livello
dell’informazione musicale mazziniana ma anche del fine acume di un osservatore
che, eludendo le facili parvenze del genere comico, individuava nel Rossini
del periodo napoletano quella che è oggi una delle più importanti acquisizioni
della Rossini-Renaissance[30].
Altre due sono le
opere di Rossini destinate a raccogliere il profumo della “musica futura”: Semiramide e Guglielmo Tell. Ambedue risultano collocabili nel contesto di
quell’elemento “storico” che per Mazzini dovrebbe essere la sorgente di una
nuova drammaturgia: attingere alla storia, perché, attraverso le sue
rievocazioni, possa prodursi l’armonizzazione del soggetto musicale con il moto
della civiltà:
“O m’inganno, o tra’ presentimenti
della musica futura che sono a trovarsi in Rossini, s’hanno a porre alcune
ispirazioni storiche disseminate nelle sue opere, e specialmente nella
Semiramide e nel Guglielmo Tell. Nella prima, l’introduzione, il primo tempo
del duetto Bella imago, ed alcuni
altri brani, hanno nello stile grave, grandioso, talora leggermente ampolloso,
un riflesso orientale. Nel Tell, lasciando le varie reminiscenze locali e
alcuni cori, e il celebre Walzer, basti citare la sinfonia, ispirazione
sublime di verità”[31].
Semiramide e Tell sono
dunque i melodrammi in cui la luce della storia illumina i fatti teatrali
secondo quell’ottica educativa tanto invocata dal filosofo[32].
Spiace che tra le
partiture del Rossini napoletano, quelle che oggi maggiormente attirano
l’attenzione dello studioso, Mazzini non abbia individuato La donna del lago e Zelmira; lo meriterebbe la prima per l’aura di romanticismo
nordeuropeo che vi spira; la Scozia degli Stuart, il lago, i cacciatori, i
Bardi[33].
Per quanto concerne
Zelmira, la cura con cui Rossini pose
mano a limare gli elementi drammaturgici la dice assai lunga sulla
consapevolezza di ciò che lo stesso autore intendeva per opera destinata a un
pubblico non italiano[34].
Gli elementi a
disposizione di Mazzini sono comunque probanti: impossibile assegnare al
Pesarese quella palma di “musicista della sintesi europea” che sarà attribuita
prima a Donizetti e poi a Meyerbeer[35].
L’ostacolo è di
natura etica: per l’artefice dell’unità europea l’individualismo dell’artista
creatore è un limite che ostacola l’espansione verso le componenti sociali dei
rapporti umani, e nella musica di Rossini tutto è geniale individualità:
“L’individualità siede sulla cima: libera, sfrenata, bizzarra, rappresentata
da una melodia brillante,
determinata, evidente, come la sensazione che l’ha suggerita. Tutto in Rossini
è appariscente, definito, saliente; l’indifinito, lo sfumato, l’aereo, che
parrebbero appartenere più specialmente all’indole della musica, han dato
luogo, quasi fuggenti dinanzi all’invasione d’uno stile avventato, tagliente,
d’una espressione musicale positiva, risentita, materialista. Diresti le
melodie rossiniane scolpite a basso-rilievo. Diresti fossero sgorgate tutte
dalla fantasia dell’artista sotto un cielo d’estate di Napoli, in sul meriggio,
quando il sole inonda su tutte cose, quando batte verticalmente e sopprime
l’ombra de’ corpi. È musica senz’ombra, senza misteri, senza crepuscolo”[36].
L’eclissi della
parabola rossiniana e il definitivo spegnimento degli interessi destati da Otello, da Semiramide e dal Tell
avviene in virtù degli stessi motivi per cui il Genovese aveva superato le
fasi della sua fervida adesione al Romanticismo.
Era stato il
movimento romantico a portare aria nuova, elettrizzante, nella coscienza
addormentata degli Europei:
“Il romanticismo come gl’invasori
settentrionali sul finir dell’impero venne a por mano in quelle morte reliquie
e le scompigliò; dissotterrando l’individualità
conculcata, e mormorando all’intelletto, applicata all’arte, una parola obliata
quasi da cinque secoli, lo riconsecrò libero e gli disse: va oltre: l’universo è tuo: non altro”[37].
Secondo le
riflessioni mazziniane gli effetti del nuovo verbo artistico erano straripati
dall’alveo della strada inizialmente tracciata e si erano dispersi in mille
rivoli, molti dei quali sfioranti il bizzarro:
“E allora gl’ingegni divagarono
per quante vie s’affacciavano: salirono al cielo, e si ravvolsero nelle nuvole
del misticismo; scesero, rovinando all’inferno, e ne trassero il ghigno
satanico e quello sconforto senza fine che domina in Francia tanta parte di
letteratura; si prostrarono alle reliquie dell’evo medio, chiesero
l’ispirazione a’ rottami de’ chiostri e de’ monasteri”[38].
La situazione era
prodotta dalla mancanza di un patto di affratellamento tra la musica e il
pensiero della civiltà:
“Chi ha mai pensato che il
concetto fondamentale della musica potess’essere tutt’uno col concetto
progressivo dell’universo terrestre, e il segreto del suo sviluppo avesse a
cercarsi nello sviluppo della sintesi generale dell’epoca [...]?”[39]
Seguendo la linea
di riflessione adottata da Mazzini il Romanticismo, scaturito dalla liberazione
dell’arte operata dalla rivoluzione francese, aveva da questa assunto il culto
dell’individualismo. Ma, agli occhi del Pensatore, intriso di socialismo utopistico,
la letteratura e quel che di musica egli conosceva non erano espressioni di
nuove idealità, ma semplicemente sussulti epigonici di un’epoca ormai in
estinzione, appena puntellata dalle novità estetiche di cui si era fatto
portatore il Romanticismo[40].
Rossini,
considerato dal Genovese un esponente a tutto tondo del Romanticismo, è, al
pari di Victor Hugo, analizzato quale ultimo rappresentante dell’operare
artistico fondato “sull’anarchia”[41].
Tutta la serie di
articoli pubblicati sulle colonne de “L’Italiano” è dedicata alla riduzione,
quando non all’azzeramento, degli atteggiamenti individualistici emessi dal
Romanticismo[42]. Mazzini postula l’avvento
dell’epoca sociale nella quale anche l’artista-individualista accetti di
versare il contributo del proprio intelletto, potente nell’abbraccio della
solidarietà e della fratellanza, proiezione aurorale, questa, ma implacabile
nell’abbattere tutti gli ostacoli frapposti, si chiamino Rossini o Victor Hugo[43].
Già nell’articolo
programmatico apparso sul primo numero della testata degli esuli, l’Autore
mostra di aver maturato uno schema storico nel quale l’epoca individualistica,
pienamente affermatasi con il Romanticismo, è destinata all’inevitabile
eclissi:
“Il Romanticismo gridò: fate, non monta il come: protestò contra
quanti contendevano al Genio, il diritto di slanciarsi per altre vie; non le
additò; non le schiuse: trovò ceppi e li ruppe; dittature usurpate e le rovesciò;
ma non guardò se agli imprigionati da lungo bastasse chiudere le porte del loro
carcere perché trovassero la via: non avvertì che tra la libertà e l’anarchia
correva una legge, la legge de’ tempi, sola eterna, sola essenziale a tutte le
lettarature perché non si stiano isolate ed inutili, argomento d’ammirazione,
non di miglioramento ai viventi. Fu grido di riazione: guerra d’indipendenza,
non altro. Emancipò l’intelletto, non l’avviò. Rivendicò l’individualità cancellata dal classicismo, non la riconsacrò ad una
missione”[44].
Lo stato di
clandestinità politica entro cui il Pensatore era costretto ad operare decreta
la brevità delle opere parigine[45]. La forzosa unitarietà dello
scopo da raggiungere tende alla dimostrazione di come, alla stasi del movimento
romantico, debba succedere una “poetica dell’azione”: sarebbe necessario,
allora, raccogliere le professioni di fede letteraria e musicale entro l’alveo
di un “moto di progresso” che inneschi processi di interrelazione tra
l’artista-individuo e la società in cui egli si riflette[46]. Si irradiano i prodromi
dell’epoca sociale nella quale la Provvidenza fungerà da “ente armonizzatore”
tra il Fato e la Necessità: il primo, regolatore dell’epoca classica, il
secondo codificato dallo scientismo empirista ed esaltato dal Romanticismo[47].
La luce della
Provvidenza, già accesa da Schiller, stimola il processo della civiltà: le
lettere e le arti debbono allinearsi alla nuova Religione sociale fecondata dal
“soffio di Dio”[48].
In questa aurorale
Repubblica degli intelletti non vi è posto per individualità eccellenti (ed
eccedenti). Anzi, gli articoli maggiormente dotati di “intelletti potenti” e
che pertanto si stagliano con fisionomia da protagonisti sull’orizzonte del
Progresso, saranno i primi ad essere sacrificati, superati dall’energia del
soffio dell’Imperativo Morale[49].
Tocca a Rossini e a
Victor Hugo fare le spese della revisione critica del 1835-36; ambedue,
protagonisti della più felice stagione artistica e letteraria giovanile, si
troveranno uniti, nel fascio degli scritti parigini, nel medesimo destino.
Analizzando le pagine della Filosofia
della musica dedicate a Rossini e i due brevi componimenti di critica
victorughiana, ci troveremo di fronte a un tessuto sintattico ove l’analogia
della trattazione disegna percorsi pressoché omogenei. Sono più che frequenti
le ripetizioni di frasi, quando non addirittura di interi periodi: indizi
questi della fretta con cui Mazzini lavorava, ma anche dell’urgenza dottrinaria
di ribattere lapidariamente convinzioni avvertite come improrogabili. A titolo
di campionatura si può fornire una serie di passi in cui la parabola professionale
rossiniana è intagliata nella medesima sostanza di quella victorughiana:
Rossini
“Più potente di
fantasia che di profondo pensiero, o di profondo sentimento, genio di libertà
e non di sintesi, intravvide forse, non abbracciò l’avvenire”[50].
Hugo
“il problema
intorno a cui s’aggirano le speranze e i terrori dell’epoca e s’agitano le
sorti delle generazioni venture, ei l’ha presentito forse talora, ma né
meditato né avviato d’un passo alla soluzione”[51].
Rossini
“Quand’egli venne
le vecchie regole pesavano sul cranio dell’artista,
come le teoriche d’imitazione, e le viete unità aristoteliche”[52].
Hugo
“Quando ei si levò,
l’unità materiale e tirannica dell’Impero, sopprimendo le individualità, o
meglio, concentrando, incarnando l’espressione di tutte individualità in una
sola, riassunto e conclusione d’un’epoca intera, avea lungamente represso
quell’anelito all’infinito ch’è base d’ogni credenza religiosa e quell’attività
di sviluppo morale progressivo che ne è conseguenza”[53].
Rossini
“l’individualità siede sulla cima: libera,
sfrenata, bizzarra, rappresentata da una melodia
brillante, determinata, evidente come la sensazione che l’ha suggerita”[54].
Hugo
“Vittore Hugo è un
poeta dell’individualità. L’individualità lo trascina, lo seduce, lo vince”[55].
Rossini
“L’Arte per l’Arte è formola suprema per la
musica italiana. Quindi il difetto d’unità, quindi il procedere frazionario,
sconnesso, interrotto”[56].
Hugo
“E culto della
sensazione, religione della materia, Paganesimo letterario, tutto fu stretto
in formola, eretto a sistema dall’Hugo e dalla sua scuola, da quando le loro
intenzioni poetiche vennero a riassumersi, a concentrarsi nella teoria dell’Arte per l’Arte, teorica rovinosa,
mortale all’Arte, all’intento sublime ch’ella deve proporsi, al progresso
continuo, alla fede”[57].
Il fatidico nome di
Napoleone, che, per quanto concerne Rossini, è stato citato con valenza
encomiastica, nel caso di Hugo viene associato a Byron, ambedue “affossatori”
del “pensiero collettivo, sociale e d’Umanità”;
Rossini
“Rossini è il
Napoleone d’un’epoca musicale”[58].
Hugo
“anima e vita d’un’Arte che il secolo ha
sotterrato con Byron, come ha sotterrato con Napoleone lo stesso termine”[59].
Nella poesia e
nella drammaturgia di Hugo, secondo quanto sostiene Mazzini, il concetto
dominante di “redenzione” avrebbe saputo “presentire” quelli che sono gli
“uffici dell’Arte”: far vibrare nell’animo di ogni uomo, anche nel più
isterilito, la corda che reca impressa “l’impronta di Dio”[60]. Ma alla fase progettuale -
queste le conclusioni del Genovese - non ha corrisposto un “pensiero vitale”
capace di realizzare una unità morale, sociale e religiosa:
“bisognava guardar dall’alto al
basso il problema, non dall’ingiù - collocarsi al disopra dell’individuo per discoprirne i destini, al
disopra di tutti gl’individui per abbracciarne le relazioni, i vincoli e
l’intento comune - levarsi dalla sfera individuale all’idea sociale - risalire
dal fatto speciale alla formola generale, dal soggetto alla legge, dalle vite
alla Vita - afferrare l’unità; afferrar l’armonia che assegna e definisce ad
ogni individuo il suo rango e la sua vocazione; farne l’anima tempio, la mente
foco: identificarsi insomma coll’Universo, vivere della sua vita, trovarne il
segreto e il compendio in ogni frammento della creazione - poi, da
quell’altezza contemplar l’individuo trascelto, infondergli una scintilla di
quella vita, indicarne il nesso coll’armonia universale e trovar modo di
serbarne a un tempo inviolata l’indole particolare, la singolare natura e
d’innalzarlo al valore d’un’espressione generale”[61].
La debordante
contaminazione con gli aspetti di pura esteriorità sin qui stigmatizzati in
Hugo - l’individualità accentratrice, incapace di farsi assorbire da una “sfera
obiettiva” del vivere socialmente l’arte - costringe Mazzini a condannare il
suo idolo giovanile:
“La musa di Vittore Hugo è una
stella al tramonto. Il raggio di ch’ella splende è melanconico come un ricordo
[...]. L’ingegno dello scrittore è attivo anch’oggi e fecondo; ma la vita del
Poeta è compita: il cerchio delle sue manifestazioni esaurito”[62].
Nel congedarsi dal
drammaturgo di Hernani, il pensatore
genovese, pur inflessibile nella sua decisione, non può nascondere un moto di
intenerimento:
“E fu un lungo e irrevocabile
addio: un addio al poeta de’ nostri anni giovenili: un addio al fanciullo divino, al profeta d’un mondo
poetico, che l’anime nostre anelavano, al fratello de’ nostri dolori, de’
nostri desiderii, e de’ nostri presentimenti. E allora, il divorzio fu
consumato. Che altro avremmo potuto trarre da lui se non illusioni o
sconforto?”[63]
A differenza del
poeta francese, relegato nella “gran notte d’indifferenza”, Rossini, creatore
di un “plastico musicale”, non è destinato al totale oblio: della sua musica
si salverà quel tanto che è recuperabile al moto sociale dell’arte:
“E scuola musicale europea, non
può essere se non quella che terrà conto di tutti gli elementi musicali che le
scuole parziali anteriori hanno svolto, e senza sopprimerne alcuno, saprà tutti
armonizzarli e dirizzarli a un unico fine. Però, dicendo ch’urge in oggi
l’emanciparsi da Rossini e dalla scuola ch’egli ha riassunta, guardo unicamente
allo spirito esclusivo di quella
scuola, al predominio esclusivo della
melodia, all’esclusiva rappresentanza
della individualità che la informa,
che la rende frazionaria, ineguale, sconnessa, e la condanna al materialismo,
peste di tutte arti, di tutte dottrine, di tutte imprese”[64] .
La separazione da
Rossini, fatta salva la funzionalità delle sue acquisizioni linguistiche
emancipate dalla “convenzione teatrale”, avviene in nome della santità
dell’Arte: modulando il “cantico dell’Avvenire” Mazzini esige il distacco da un
musicista immerso nell’Eden della sua sfolgorante, sterile libertà:
“Oggi urge l’emancipazione da
Rossini e dall’epoca musicale ch’ei rappresenta. Urge convincersi ch’egli ha
conchiusa, non incominciata una scuola - che una scuola è conchiusa, quando,
spinta all’ultime conseguenze, ha corso tutto lo stadio di vitalità che ad
esse spettava - ch’ei l’ha spinta fin là, e che l’insistere sulla via di
Rossini è un condannarsi ad esser satellite, più o meno splendido, ma pur
sempre satellite. Urge convincersi che, a rifiorire, la musica ha bisogno di spiritualizzarsi - che a levarla potente, è necessario
riconsecrarla con una missione - che a non rovinarla nell’inutile o nello
strano è mestieri connettere, unificare questa missione colla missione generale
dell’arti nell’epoca, e cercarne nell’epoca stessa i caratteri: in altri
termini, farla sociale, immedesimarla col moto progressivo dell’universo”[65].
Si è detto di Otello , di Semiramide, di Mosè e di Guglielmo Tell, le quattro opere
rossiniane citate nella Filosofia,
seppur marginalmente, in note a piè di pagina.
Sfogliando il ricco
epistolario mazziniano, troveremo ancora il nome di Rossini, anche se
nettamente in svantaggio, per frequenza di citazioni, rispetto a quelli di
Donizetti e Meyerbeer, oggetto di maggiori attenzioni e di affettuose
segnalazioni. In ordine cronologico la prima delle opere rossiniane ad essere
evocata è Semiramide.
In una lettera del
1834, ove si dibatte della fallita impresa di Ramorino, l’Esule rivendica alla
Centrale della Giovine Italia la sola
capacità di condurre le indagini sul presunto tradimento del militare. Anche in
questa occasione Mazzini non esita a far sfumare la sua personale individualità
di capo carismatico nel concetto più “generale” del movimento politico:
“- Per me va divinamente - ch’io
comparisca fasciato di bianco, come lo spettro nella Semiramide, o di nero,
come gli spettri volgari, cosa importa? - l’individuo deve sfumare - la
Centrale sola è immortale”[66].
Emendata dal
sarcasmo, la citazione di Semiramide riappare
nel contesto delle missive londinesi, quella in cui Mazzini descrive alla
madre le lancinanti fasi della nostalgia:
“Questa sera vado - gran cosa - a
sentire la Semiramide; è una delle
prime opere che ho sentito a Genova; e in virtù delle reminiscenze che mi
desta, ho deciso di fare un miracolo e andare: unica volta che andrò al Teatro
pagando; giacché se andrò altre volte, andrò con biglietti dati da’ miei amici
cantanti. Una pazzia in un anno può farsi”[67].
Già a partire dalla
prima fascia della permanenza a Londra la socializzazione con la borghesia
liberale e colta era avvenuta anche attraverso la frequentazione del teatro:
una rappresentazione di Gazza Ladra è
l’occasione buona per gettare un colpo d’occhio sulle abitudini musicali dei
londinesi, oltre che di far conoscenza con cantanti che tanta parte avranno
nella fervida attività politica:
“Sono stato - per la prima volta -
al teatro dell’Opera italiana, gratis s’intende, mercé un biglietto fornitomi
da un amico che ha mezzo d’averne: v’andai, sperando udire un’opera nuova
annunziata: poi trovai mutato il programma e la Gazza Ladra sostituita all’opera promessa [...]. La platea era
piena, ed è così, dicono, tutte le sere: le donne non possono entrare in
platea con cappello: gli uomini non entrano se non sono in abito corto: il
frac, surtout, non è ammesso [...].
Bisogna aspettare una mezz’ora alla porta: quando s’entra, par si corra a un
assalto: si corre un vero rischio: entrati e seduti, è finita: gentilezza verso
le donne non usa: ho veduto signore in piedi tutta la sera e nessuno s’è mosso
per offrire un posto [...]. Dopo l’opera, dove cantavano Lablache, Rubini, la
Grisi e Tamburini, viene il ballo”[68].
Appare anche Otello, inserito in una missiva che è
tra le più disarmanti e commoventi della solitudine mazziniana:
“Ricordo spesso la signora Annetta
e la signora Colomba e Andrea e Nicolino, e il signor Giuseppe; e ricordo il
piano e la caccia, e la Giuseppina, e la nostra camera, e quella del piano e il
canapè dietro al piano dov’io sedeva mentre il signor Giuseppe cantava: Assisa a piè d’un salice, unico pezzo di
Rossini che avesse nel suo repertorio”[69].
Ancora Otello nel 1839: stavolta l’evento
mondano è connesso a una novità dell’Opera Italiana:
“Forse - ma è un forse - avrò un biglietto per oggi; danno l’Otello ed è la prima recita d’una
giovine cantante sorella della celebre Malibran: del resto, la folla sarà
immensa, e s’anche avrò un biglietto, probabilmente non potrò entrare”[70].
Ecco un cantante
all’orizzonte, un tenore in “odore” di repubblica:
“Avete udito parlare del tenore
Mario Candia? figlio di nobile, anzi, credo, del governatore di Nizza, e che
s’è messo sulle scene per sottrarsi al genere di vita ch’egli era costretto a
fare in Italia? Egli è ora qui; canta nell’Opera italiana e piace assai a
quanti lo hanno udito. Forse l’udrò io pure nel Guglielmo Tell di Rossini”[71].
Negli anfratti
freddi e piovosi di Londra la musica del Tell
di Rossini può servire a far rivivere altri momenti dell’antica, breve
serenità:
“Nous n’avons eu que trois jours
d’été; il pleut, il fait froid, il fait du vent. La seule émotion que j’ai
éprouvée depuis ma dernière lettre, a été una émotion de souvenir. J’ai rêvé un
instant la Suisse, vous tous, les lacs, mes Alpes, les vergiss-mein nicht, tout ce que j’aime en écoutant la symphonie du Guillaume Tell de Rossini, morceau qui
n’a rien de commun avec sa manière habituelle et auquel je ne connais rien de
comparable si ce n’est le début du Wilhelm
Tell par Schiller”[72].
Rossini e Meyerbeer
a contatto diretto in una missiva del 1842; le simpatie sembrano a favore del
musicista tedesco:
“Non ho potuto ancora, per
mancanza di tempo, sentire un po’ di musica tutta questa stagione; avevo una
gran voglia di sentire gli Huguenots
di Meyerbeer ch’è il mio grande compositore, e v’era qui una Compagnia Tedesca
che ha dato tre o quattro sere quest’opera, ma non ho potuto: v’è ora lo Stabat Mater di Rossini che sentirei
volentieri; ma finora non v’è stato modo: poi a certe ore mi nasce un certo
rimorso di spendere in sensazione musicale cinque scellini, mentre farebbero
forse in un momento dato la consolazione d’una famiglia”[73].
Il grande affresco
religioso, il capolavoro del “Rossini silenzioso” si raccorda alla piccola
cantata La carità:
“Sono in giro per Concerto... Le
mando un amico interessato nella Scuola
per dimandarLe a nome di Mr. de Glimes e mio s’Ella aderirebbe ai seguenti
pezzi:
Aria ‘Ah, rammento’ di Mercadante
nella Leonora, oppure l’Aria di Maria Padilla; poi, se mai si potrà
concertare, se Ella avrebbe obbiezione a cantare il Duo di Maria Padilla con Mad. Manara; e
finalmente una parte nella Carità di
Rossini. Per quest’ultima, oso aggiungere le mie preghiere speciali, perché la Carità è desiderio di gran parte del nostro
pubblico, che sarà numeroso”[74].
Qualcosa si è
nuovamente mosso nell’animo di Mazzini, a favore di Rossini: non tanto da
perdonarlo per le sue palesi connivenze con i governanti austriaci, ma
sufficiente a riscattarlo comunque di fronte a musicisti che vorrebbero essere
definiti suoi successori:
“Non dovreste mai fidarvi delle
parole; fidatevi del silenzio, dello sguardo, dell’eco della musica nascosta;
le parole, oggidì, sono come Pacini, Mercadante, ecc. in confronto a Rossini:
imitatori, talvolta anche copiatori”[75].
Un guizzo tardivo
d’interesse per una delle opere più “defilate” del periodo francese rossiniano
appare in una corrispondenza del 1855:
“V’ammazzo di commissioni; e
m’hanno l’aria del mio testamento. Potreste operare un prodigio? non pensate
più alla Beatrice di Tenda: comprate
invece, se esiste per piano e canto, il Conte
Ory ; e - se possibile - abbiatelo rilegato in nero al modo solito per
martedì mattina”[76].
Insistente, come
sempre, quando fa richiesta di un contributo musicale, Mazzini ritorna, alcuni
giorni dopo, sopra lo stesso argomento:
“Abbiate Ory quanto prima potete; e se no, quando potete”[77].
Rigorosissimo nell’aspetto
pubblico delle sue riflessioni artistiche, nell’intimità, Mazzini era solito
fare molte concessioni alla sua serrata ideologia. Al punto da concedersi,
sulla chitarra, che suonava in maniera magistrale, quel “passatempo d’un’ora”
negato agli utenti del teatro d’opera[78]. A tale scopo si rileggano, trattenendo a stento
un sorriso, le frequenti richieste di musica che il Patriota rivolgeva alla
madre. Tra queste figurano anche dilettevoli riduzioni per chitarra di arie di
Rossini:
“Anzi, vorrei che, se fosse
possibile, cercaste nella musica che aveva in casa, qualche cosa di concertato,
qualche duetto, se ne avete, per flauto e chitarra d’autori buoni, eccettuato
Carulli, che scrive troppo facile; credo ve ne fosse qualcuno di Giuliani, di
Kuffner, etc., poi qualche cosa per violino, flauto, e chitarra, per esempio
certe sinfonie della Gazza Ladra, del
Barbiere, della Pietra di Paragone, ridotte da Carulli”[79].
stefano
ragni
[1]) giuseppe mazzini, Filosofia della musica, a cura di marcello
de angelis, Firenze, 1977, p. 53.
Analogamente, Mazzini, adottando
il medesimo calore tribunizio, introduce la figura di Victor Hugo: “Quando ei
si levò, l’unità materiale e tirannica dell’Impero, sopprimendo le
individualità, o meglio, concentrando, incarnando l’espressione di tutte individualità
in una sola, riassunto e conclusione d’un’epoca intera, avea lungamente
represso quell’anelito all’infinito ch’è base d’ogni credenza religiosa e
quell’attività di sviluppo morale progressivo che ne è conseguenza”. mazzini, Potenze intellettuali contemporanee, I, Vittore Hugo, s.e.n., viii, p. 246. Per la ricezione in chiave risorgimentale del
pensiero espresso da Mazzini su Rossini cfr. enrico
montazio, Giovacchino Rossini,
Torino, 1862, p. 8; “Accenti marziali patriottici” in Assedio di Corinto e Guglielmo Tell; “Canto della redenzione” in Mosè.
[2]) La Filosofia della musica redatta da Mazzini sul finire del 1835, fu
pubblicata nel 1836 nella testata “L’Italiano”, edito a Parigi. Comparso nei
fascicoli di Giugno, Luglio e Agosto. l’opuscolo fu in seguito ristampato negli
Scritti letterari di un Italiano vivente,
T. II, Lugano, 1847, pp. 268-318.
[3]) Sulla “sciagura inevitabile” in
cui era precipitata la musica italiana dell’età napoleonica si era già
espresso andrea majer nel suo Discorso intorno alle vicende della musica
italiana, Venezia, 1818. Cfr. marcello
de angelis, Estetica musicale
dell’Ottocento, in mazzini, Filosofia cit., p. 8. Documentazione
sulle opinioni intorno all’opera in musica espresse nei primi decenni
dell’Ottocento viene elencata da renato
di benedetto nel paragrafo
“Preziose pietre dure con loto per cemento”, contenuto in Storia dell’opera italiana , a cura di l. bianconi e g. pestelli, vol. 6, Torino, 1988, pp.
54-60.
[4]) “Da quarant’anni i biografi di
Rossini inondano l’Europa”; cfr. montazio,
op. cit., p. 30. Un’analisi delle fonti bibliografiche rossiniane è stata
effettuata da paolo isotta, “I
diamanti della corona, Grammatica del Rossini napoletano”, in Mosè in Egitto, Azione tragico-sacra, Moïse et Pharaon, Opéra en quatre actes, Mosè,
Melodramma sacro in quattro atti,
Torino, 1974, pp. 144-147.
[5]) stendhal,
Vita di Rossini, traduzione italiana
di u. perruccio e l. bertini pinna pintor, Torino, 1983.
Era lo stesso Autore a dichiarare: “Questo
libro, dunque, non è un libro”. Cfr. la Prefazione di bruno cagli, pp. xviii-xix. L’edizione originale
stendhaliana, datata 1824, era in realtà già disponibile nelle librerie a
partire dal Novembre 1823. Per un obiettivo riscontro critico della biografia
rossiniana di Stendhal, cfr. ottavio
matteini, Stendhal e la musica,
eda, 1981, in particolare il
capitolo “La Vie de Rossini”, pp. 193-232.
[6]) stendhal,
op. cit., p. 3.
[7]) giuseppe
carpani, Le Haydine, ovvero Lettera sulla vita e le
opere del celebre maestro Giuseppe Haydn, Padova, 1823 (seconda edizione).
Ristampa fotomeccanica in Bibliotheca
Musica Bononiensis, Collana diretta da G. Vecchi, Bologna, 1969, p. 293.
Per l’influenza dell’estetica neoclassica sul pensiero di Carpani
“rossinista-winckelmannista” cfr. isotta,
op. cit., pp. 181-190. Sulla produzione critico-letteraria di Carpani cfr. giorgio pestelli, Giuseppe Carpani e il neoclassicismo musicale della vecchia Italia,
in “Quaderni della Rassegna Musicale”, 4, Torino, 1968, p. 116.
[8]) heinrich
heine, Reisebilder, traduzione
italiana di b. maffi (Italia,
impressioni di viaggio), Milano, 1951, p. 43. Un’anticipazione delle
tematiche europeiste contenute sulla musica di Rossini e di Meyerbeer - tema
che sarà approfondito da Mazzini sia nella Filosofia
che nel ricco epistolario - veniva già dibattuta da Heine nel suo Politische Oper. Rossini und Meyerbeer
in “Allgemeine Theater-Revue”, 1837. Cfr. heine,
Cronache musicali 1821-1847, a cura
di e. fubini, Fiesole, 1983, pp.
10-22.
[9]) “Non vi fu artista che al pari di
Rossini fosse o tanto lodato o tanto biasimato”. Cfr. geltrude righetti giorgi, Cenni
di una donna già cantante sopra il maestro Rossini, in risposta a ciò che ne
scrisse sulla state dell’anno 1822 il giornalista inglese in Parigi e fu riportato
in una gazzetta di Milano dello stesso anno, Bologna, 1823.
L’impressionante testimonianza (fremente di sdegno battagliero e polemico)
scritta dalla cantante bolognese - già prima Rosina e dedicataria della parte
di Cenerentola - aveva come oggetto del contrasto un articolo pubblicato da
Stendhal sotto lo pseudonimo di “Alceste”. La lunga corrispondenza, articolata
su quindici capitoli, dimostra come la musica di Rossini fosse capace di
suscitare nugoli di risposte giornalistiche e di creare veri salienti di lotta,
sui quali venivano, paradossalmente, a misurarsi tra loro anche gli stessi
ammiratori del Pesarese. Lo scritto della Righetti Giorgi è integralmente
riportato in luigi rognoni, Gioacchino Rossini, Torino, 1968, pp.
341-372.
Sui temi della “venerazione” per
Rossini si era già distinto tra i primi, Théophile Gautier, che già nel 1832
citava il musicista nel suo poema Albertus,
quale “roi de la musique”. Cfr. giorgio
corapi, Théophile Gautier e il
marmo rossiniano, “Bollettino del Centro Rossiniano di studi”, Pesaro, 1984, nn. 1-3, pp. 21-41.
[10]) Per gli scritti giovanili di
Mazzini, e in particolare per la stesura dello Zibaldone cfr. mario scotti,
La formazione letteraria, in Mazzini e il mazzinianesimo, Atti del xlvi Congresso di studi di storia del
Risorgimento Italiano, Genova, Settembre 1972, Roma, 1974, pp. 45-46.
[11]) g.
mazzini, Zibaldone giovanile, s.e.n., Nuova Serie, I, p. 138. Per il
giudizio di Tommaseo su Monti cfr. antonio
borgese, Storia della critica
romantica in Italia, Milano, 1965, p. 277. Ivi è contenuta anche una
disamina sulla posizione di Mazzini nei confronti del poeta ravennate: “Chi
mai più lontano del Monti dall’idea morale mazziniana?”, p. 318.
[12]) Impossibile, per Mazzini,
accostare Monti ai numi poetici di Byron e di Goethe: “E il nostro Monti
avrebbe potuto sedersi terzo fra questi due, se la profondità delle idee, e la
costanza dell’animo fossero in lui state pari alla potenza dell’espressione, e
alla vivacità delle immagini”. mazzini,
D’una letteratura europea, s.e.n., I, p. 216.
[13]) Per la vis polemica raggiunta dai detrattori di Rossini e la forza delle
argomentazioni dei suoi sostenitori, cfr., a titolo esemplificativo, giuseppe carpani, Le Rossiniane, ossia lettere musico-teatrali, Padova, 1924.
Ristampa anastatica nella cit. Bibliotheca
Musica Bononiensis. In particolare consultare la “Lettera iv” indirizzata “All’anonimo autore
dell’articolo sul Tancredi di Rossini, inserito nella Gazzetta di Berlino n. 7,
1818”, pp. 61 e segg.
[14]) Goethe è visto da Mazzini quale
portatore del Genio isolato, e pertanto distaccato dalle vicende sociali del
mondo contemporaneo. Nel saggio il Genovese enuncia la teoria della relatività
della critica d’arte “che non ha valore assoluto, ma è desunta dall’uso comune
d’una nazione”. Cfr. scotti, op.
cit., pp. 49-50. Viene puntualizzata inoltre l’equidistanza del capolavoro
poetico goethiano sia dal classicismo che dal movimento romantico. Su questo
saggio giovanile cfr. benedetto croce,
Goethe, Bari, 1946, pp. 129-130.
[15]) mazzini,
Faust, tragédie de Goethe, nouvelle
traduction complète en prose et en vers par Gerard (De Nerval), Paris,
1828. Il lavoro apparve sul “L’Indicatore livornese”, nn. 11 e 12 Maggio 1829;
cfr. s.e.n., I, pp. 127-151.
[16]) mazzini,
Del dramma storico, s.e.n., i, p. 310. L’opera d’arte deve fornire un’interpretazione
“filosofica dei fatti storici scelti come movente ispiratore”. Cfr. giovanni pirodda, Mazzini e gli scrittori democratici, Bari, 1981 (3), p. 21. Sulla
tendenza storicistica di matrice foscoliana e sull’ideale rosminiano di un
dramma che illustri il valore morale di una vicenda cfr. borgese, op. cit., pp. 320-321.
[17]) Il progetto di fondazione di una
letteratura europea al pari del postulato di una musica per gli europei,
costituisce il nucleo intorno a cui si salda tutta la produzione mazziniana del
periodo precedente all’esilio. Cfr. pirodda,
op. cit., p. 19. La libertà raggiunta dal Romanticismo sarebbe stato il
presupposto mazziniano della fondazione di questo “nuovo ordine” culturale.
Cfr. carmelo cappuccio, Critici dell’età romantica, Torino, 1968
(2), pp. 143-144.
[18]) mazzini,
D’una letteratura cit., p. 188. La
matrice dell’accostamento Rossini-Canova si può già cogliere in carpani, Le Haydine cit., p. 293.
Il parallelo è ampiamento
utilizzato anche da Stendhal: “Da Raffaello a Canova, da Pergolesi a Rossini e
Viganò, tutti gli uomini di genio destinati a deliziare l’universo con le belle
arti sono nati nel paese dell’amore”. Cfr. stendhal,
Vie de Rossini cit., p. 27. Di una
cantata scritta da Rossini per l’inaugurazione di un busto del Canova
nell’Ateneo di Treviso fornisce accurata documentazione giuliano simionato, Rossini,
Canova e Treviso, “Bollettino del Centro Rossianiano di studi”, 1975 (3),
Pesaro, 1977, pp. 13-26.
[19]) mazzini,
Filosofia della musica cit., p. 36.
L’indicazione di padre Martini quale improbabile rappresentante dell’antico
stile compositivo italiano viene forse da carpani,
Le Haydine cit., p. 158. Interessanti
percorsi critici di stendhal in Lettera sullo stato attuale della musica in
Italia, in Vie de Métastase,
traduzione italiana di m. c. marinelli,
Firenze, 1987, pp. 59-81. Palestrina, Alessandro Scarlatti, Durante, Leo,
Marcello nella disamina storicistica di Verdi; lettera a Filippi, marzo 1869,
cit. in gustavo marchesi, Verdi, Torino, 1970, p. 396. “Sorse il
Palestrina, questo genio immortale”, in carpani,
op. cit., p. 143.
[20]) mazzini,
op. cit., p. 58.
[21]) mazzini,
ivi, p. 41.
[22]) mazzini,
ivi, p. 42. Il piacere puramente edonistico di ridurre l’ascolto di un’opera lirica
a semplice esibizione di cantanti aveva un insospettabile sostenitore in Hegel:
“in realtà quando si può smettere di vedere questi dipinti e di sentire le
voci di David, Lablache, Fodor, e Dardanelli (quest’ultima anche di vederla),
Ambrogi, Bassi?”, cfr. g. w. f. hegel,
Lettere, Bari, 1972. In particolare,
lettera alla moglie, Vienna 2 ottobre 1824, sabato sera, p. 290.
[23]) mazzini,
op. cit., p. 45.
[24]) Ivi, p. 53. Linguaggio di stampo
mazziniano quello adottato da Montazio: “Ei prese la musica melodrammatica
ancor bambina e vergine dalle mani di Cimarosa e di Paisiello; senza deflorarla
la fece donna, senza corromperla l’abbellì: l’educò, la rinnovò, la difese dal
tocco dei profani. Egli si eresse vendicatore di quanti gemeano sotto la
tirannia delle servili pastoie della gretta imitazione, e i quali non osavano
emanciparsene”. montazio, op.
cit., p. 21.
[25]) mazzini,
op. cit., pp. 53-54.
[26]) Ivi, p. 51.
[27])Ivi, p. 56. “Del rimanente è
verissimo che i Tedeschi preferiscono la musica piena d’armonia alla semplice e
melodiosa. La ragione che ne adduce un medico autore in una operetta sugli usi
della musica in medicina è la seguente: che per iscuotere i Tedeschi vi vuole più forza meccanica, e un maggior numero
di potenze; carpani, op.
cit., p. 142. Gluck e Piccinni, Beethoven e Rossini, “cantilena” e armonia
anche in Le Rossiniane, cit. In
particolare nella “Lettera iv”,
pp. 61 e segg.
Si accoda Stendhal nel capitolo
“Guerra dell’armonia contro la melodia”, in Vie
de Rossini cit., pp. 71-75. Echi dell’antico luogo comune ancora in Verdi:
“Noi non possiamo, dirò anzi, non dovremmo scrivere come i Tedeschi, né i
Tedeschi come noi. Che i Tedeschi si approprino le nostre qualità come fecero
a’ loro tempi Haydn, Mozart, restando però sempre quartettisti; che Rossini si
approprii perfino di alcune forme di Mozart restando sempre però melodista, sta
bene; ma che si rinunci per moda, per smania di novità, per affettazione di
scienza, si rinneghi l’arte nostra, il nostro istinto, quel nostro fare sicuro
spontaneo naturale sensibile abbagliante di luce, è assurdo e stupido”. Lettera
a Giulio Ricordi, 1878, in marchesi, op. cit., pp. 449-450.
[28]) mazzini,
op. cit., pp. 54-55. Cfr. il capitolo “Rossini innovatore”, in francis toye, Rossini, Milano, 1976, pp. 244-246.
[29]) mazzini,
op. cit., pp. 54-55. Cfr. stendhal,
“Otello” e “Seguito di Otello”, in Vie de
Rossini, op. cit., pp. 130-147. “Ho detto pietà d’un’anima offesa. Questo
sentimento, che nel terz’atto dell’Otello è struggente e trafiggente, non si
scompaginerà più nell’animo di Rossini verso i suoi personaggi, specificamente
femminili, afflitti e travagliati; e sarà uno dei moventi umani segreti e
fecondanti della sua ispirazione”. Così riccardo
bacchelli in Rossini, Milano,
1959, p. 139. Un recente studio sul libretto di Otello è di roberta
montemorra marvin in “Bollettino del Centro Rossininiano di studi”, Pesaro, 1 991, pp. 55-76.
[30]) Cfr. il fondamentale studio di philip gosset, Rossini a Napoli, “Bollettino del Centro Rossiniano di studi”,
1971, nn. 1-2-3, Pesaro, 1971, pp. 53-71.
[31]) mazzini, op. cit., p. 63. Per la sinfonia
del Guglielmo Tell cfr. gosset, Le sinfonie di Rossini,
“Bollettino del Centro Rossiniano di studi”, Pesaro, 1979, nn. 1-3, pp.
83 e segg.
[32]) L’attaccamento di Mazzini alla
musica del Tell è testimoniato da un
autorevole biografo: “Prediligeva, dopo il Guglielmo Tell di Rossini, gli
Ugonotti di Meyerbeer”. Cfr. aurelio
saffi, Cenni biografici e storici.
A proemio del testo, in s.e.i.,
ix, (Pol. vol. vii), 1877, p.lxxi, n. 3. Per gli agganci storici e le strategie
drammaturgiche adottate nel libretto del Tell
cfr. anselm gerhard, Incantesimo o specchio dei costumi.
Un’estetica dell’opera del librettista di Guillaume Tell, “Bollettino del
Centro Rossiniano di studi”, Pesaro,
1987, nn. 1-3, pp. 45-60.
Per quanto concerne le
oscillazioni tra innovazioni e tradizioni in Semiramide cfr. andrea della
corte, Appunti per la
melodrammaturgia nella “Semiramide”, in Gioacchino
Rossini, a cura di alfredo
bonaccorsi, “Historiae Musicae Cultores” Biblioteca xxiv, Firenze, 1968, pp. 127-130.
[33]) La poeticissima, “indeterminata
sensazione” destata dalla musica di Donna
del lago non sfuggì a Leopardi: “Abbiamo in Argentina la Donna del lago, la qual musica eseguita
da voci sorprendenti è una cosa stupenda, e potrei piangere anch’io se il dono
delle lagrime non mi fosse stato sospeso”. Lettera di G. Leopardi al fratello,
Roma, 5 Febbraio 1823, in marcello de
angelis, Leopardi e la musica,
Milano, 1987, p. 87.
[34]) Cfr. carpani, “Lettera vii”
Al direttore della Biblioteca Italiana
sulla Zelmira e “Lettera viii”,
Risposta all’articolo del gazzettiere di
Milano contro la Zelmira, in Le
Rossiniane cit., pp. 119-201. Cfr. inoltre ariella lanfranchi, Alcune
note su Zelmira, “Bollettino del Centro Rossiano di studi”, Pesaro, 1981, nn. 1-3, pp. 55-84.
[35]) “L’unirsi, il fondersi dei due
elementi che costituiranno la musica del futuro - la melodia italiana e
l’armonia tedesca - è andata un passo avanti [...]. Meyerbeer è il più grande artista di un periodo di
transizione”, MAZZINI, Lettera a Emilie A. Venturi, Londra, 21 maggio 1867, s.e.n., lxxxv, p. 46.
[36]) mazzini,
Filosofia cit., pp. 55-56.
[37]) Ivi, p. 39. Per i fondamenti del
pensiero romantico in Mazzini cfr. borgese,
op. cit., pp. 326-327. La definizione di “Romanticismo” è offerta da Mazzini
nel suo saggio Sopra alcune tendenze
della letteratura europea nel XIX
secolo, s.e.n., i, p. 234.
[38]) mazzini, Filosofia cit., p. 39.
“Rottami di monastero” in Robert le
Diable di Meyerbeer (1831). Soprattutto nella famosa scena quinta dell’atto
III, ove Bertram evoca dai sepolcri le anime delle monache licenziose. Delirio,
solitudine, misticismo, metafisica sulle nuvole costituiscono, a detta di
Mazzini, la degenerazione del Romanticismo. Cfr. mazzini, Sopra alcune
tendenze cit., p. 235.
[39]) mazzini,
Filosofia cit., p. 40.
[40]) francesco
de sanctis, Mazzini e la scuola
democratica, Torino, 1951, p. 56.
[41]) “Astratti ragionamenti” di
Mazzini, in relazione alla musica di Rossini, e conseguenti contraddizioni in raffaello monterosso, La musica del Risorgimento, Milano,
1948, pp. 19-22. Il pensiero di Mazzini sulla produzione drammaturgica
victorughiana è svolto nello scritto Potenze
intellettuali contemporanee, I, Vittore Hugo, s.e.n., viii pp. 239-259. L’opera risale al 1836 e compare
sulle colonne de “L’Italiano”; cfr. pirodda,
op. cit., p. 26. Per la recezione italiana del teatro di Hugo e sulle
conseguenti reazioni dell’ambiente letterario, segnatamente di Mazzini, cfr. alfredo galletti, L’opera di Victor Hugo nella letteratura italiana, “Giornale
storico della letteratura italiana”, supplemento n° 7, Torino, 1904, pp. 80 e
segg.
[42]) Cfr. pirodda, op. cit., p. 27.
[43]) Cfr. de sanctis, op. cit., p. 57.
[44]) Cfr. mazzini, Prefazione
d’un periodico letterario, s.e.n.,
viii, p. 95. Analogie col passo citato si riscontrano nella Filosofia della musica: “Il
romanticismo, come altrove si è detto, ha potuto distruggere, non edificare; fu
teorica essenzialmente di transizione: concetto, organico non ebbe”, p. 38.
Identica espressione nelle pagine victorughiane in mazzini, Sull’Angelo di
V. Hugo, s.e.n., viii, p. 270.
[45]) Nelle pagine de “L’Italiano”
apparvero cinque articoli mazziniani: il programma della rivista (Prefazione di un periodico letterario),
una recensione alla Histoire de la
littérature allemande di Peschier, la Filosofia
della musica, Della fatalità
considerata come elemento drammatico, oltre alle riflessioni victorughiane Potenze intellettuali: V. Hugo. Cfr. pirodda, op. cit., p. 27.
[46]) Per le radici sansimoniste del
pensiero artistico mazziniano cfr. stefano
ragni, Liszt e Mazzini, “Gli
Annali della Università Italiana per stranieri”, n. 16, Perugia, Giugno 1991, pp. 119-136.
[47]) “Il problema sta nell’accordo di
questi termini colla libertà. Epicuro e Hobbes hanno errato ambedue; ambi
colpevoli d’aver falsato, mutilandola, l’umana natura. Un terzo sistema
s’innalzerà su quei due, una terza formola abbraccerà le precedenti e le
confonderà in armonia [...]. Oggi il mondo ha coscienza, benché oscura e
inesatta, della nuova formola che il secolo elabora, e basta perché tutti i
tentativi letterari abbiano a informarsi in siffatta tendenza; il mondo ha
coscienza di una legge di progresso che domina le umane cose, e basta perché
il Dramma debba cercar di rifletterla; una terza idea, quella della provvidenza, grandeggia sulle idee del
Fato e della Necessità, e basta, perché gli uomini che vorranno risuscitare
davvero l’Arte drammatica prefiggano ai loro sforzi quella idea e v’attemprino
i loro concetti”. mazzini, Della fatalità considerata come elemento
drammatico, s.e.n., viii, pp.
195-196.
[48]) Ivi, p. 196. Il tema mazziniano
di una “poesia educatrice” desunto da Schiller sarà ripreso da De Sanctis nel
suo Delle opere drammatiche di Federico
Schiller, (1850). All’interno della produzione mazziniana il saliente
argomentativo ha il suo culmine in Fede e
Avvenire del 1835. La religione dell’Umanità e del Socialismo espressa da
Mazzini è debitrice delle concezioni morali di P. Leroux, direttore della
“Revue encyclopédique”. Mazzini condivideva il suo entusiasmo per Leroux con
Liszt e con George Sand. Cfr. gaetano
salvemini, Scritti sul
Risorgimento, Milano, 1961, in Opere,
vol. II, in particolare il capitolo “Mazzinianesimo e socialismo: le
opposizioni”, pp. 228-236. Per i rapporti tra Mazzini e la Sand cfr. a. poli, tra gli altri, George Sand e Mazzini, in Studi in onore di V. Lugli e D. Valeri,
Venezia, 1961, p. 783.
[49]) Nella concezione sansimonista
fatta propria da Mazzini, artisti e musicisti saranno interpreti delle leggi
del mondo, “amici di Dio”, sacerdoti e rappresentanti dell’Umanità: “E i
giovani artisti si preparino divoti come a misteri di religione,
all’iniziazione della nuova scuola musicale”;
mazzini, Filosofia cit., p. 76. Tracce di
“ministero dell’arte” anche in D’una
letteratura cit., p. 222. Funzioni sacerdotali degli artisti mazziniani in salvemini, op. cit., p. 226. “Grande
missione religiosa” imposta agli artisti anche in franz liszt, La musica
religiosa, apparso sulle colonne della “Gazette musicale de Paris”, 30
Agosto 1835. Il saggio si legge in traduzione italiana in ferenc liszt, Un continuo progresso. Scritti sulla musica, Milano, 1987, pp. 6 e
segg.
[50]) mazzini,
Filosofia della musica cit., pp.
54-55.
[51]) mazzini,
Potenze intellettuali cit., p. 246.
[52]) mazzini,
Filosofia cit., p. 53.
[53]) mazzini, Potenze cit., p. 246.
[54]) mazzini,
Filosofia cit., p. 55.
[55]) mazzini,
Potenze cit., p. 254.
[56]) mazzini,
Filosofia cit., p. 52.
[57]) mazzini,
Potenze
cit., p. 258.
[58]) mazzini,
Filosofia cit., p. 53.
[59]) mazzini,
Potenze
cit., p. 248.
[60]) Ivi, p. 249.
[61]) Ivi, p. 251.
[62]) Ivi, p. 239. Contrariamente alle
previsioni del Genovese la stella di Hugo avrebbe continuato a brillare nel
firmamento della letteratura italiana allorquando gli “Scapigliati” si
sarebbero manifestati in una nuova professione di fede; cfr. remo giazotto, Hugo, Boito e gli “scapigliati”, in L’opera italiana in musica, Milano 1965, pp. 149-164.
[63]) mazzini, Potenze cit., p. 258.
[64]) mazzini,
Filosofia cit, p. 61. Liquidato
Bellini come “intelletto non progressivo” il pensatore non vorrà cogliere
neppure le aperture europeistiche presenti nella musica di Spontini; cfr. monterosso, op. cit., p. 20.
[65]) mazzini,
Filosofia cit., p. 60. Arte, patria e
libertà in mazzini, Note autobiografiche, a cura di roberto pertici, Milano, 1986, p. 57.
Il musicista è “homme rédivinisé” e come tale è l’unico tra gli artisti a poter
dettare le condizioni del rinnovamento; cfr. george
sand, Lettres d’un voyageur,
nouvelle edition, Paris, 1863, p. 196. Per l’influenza esercitata dalle lettres
sandiane sul pensiero artistico mazziniano, cfr. il nostro Liszt e Mazzini cit., pp. 120-122.
[66]) mazzini,
Lettera a L. A. Melegari, (Bienne) 22 (Marzo) 1834, s.e.n., ix, p. 259.
Per il generale Ramorino cfr. mazzini,
Note autobiografiche cit., p. 211.
[67]) mazzini,
Lettera alla madre, Londra, 10 Aprile 1847, s.e.n.,
xxxii, p. 106.
[68]) mazzini,
Lettera alla madre, Londra, 8 Agosto 1838, s.e.n.,
xv, pp. 120-121. Per le fasi
della permanenza di Mazzini a Londra cfr. emilia
morelli, L’Inghilterra di Mazzini,
Roma, 1965. L’accostamento del patriota ai cantanti d’opera è descritto da gwiylim o. griffith, Mazzini, profeta di una nuova Europa,
traduzione italiana di b. pareto
magliano, Bari, 1935, p. 212. I rapporti tra Mazzini e i cantanti ospiti
delle stagioni operistiche londinesi sono narrati nel nostro Giuseppe Mazzini e Giulia Grisi,
“Bollettino della Domus Mazziniana”,
Pisa, 1/1989, pp. 29-49.
[69]) Lettera ad Andrea Gambini,
Londra, 9 Dicembre 1837, s.e.n., xiv, p. 182. Mostruosità: la “Canzone del salice”
in una ugola virile! L’idilliaco quadro familiare contiene, in nuce, uno dei futuri protagonisti
della rinascita strumentale italiana, Andrea Carlo Gambini, figlio di Giuseppe
e nepote di Andrea senior. Cfr. sergio
martinotti, Ottocento strumentale
italiano, Bologna, 1972, pp. 361-363. Per i rapporti tra il giovane Gambini
e Mazzini cfr. il nostro Liszt e Mazzini cit.,
pp. 132-135.
[70]) Lettera alla madre, (Londra), 9
Maggio 1839, s.e.n., xviii, pp.
26-27. Il 9 Maggio Paolina Garcia, sposa di Viardot, esordiva al Majesty’s
Theatre di Londra nella parte di Desdemona nell’Otello rossiniano.
[71]) Lettera alla madre, Londra, 11
Luglio 1839, s.e.n., xviii, p.
114. Sul tenore Mario, alias Giovanni
Matteo dei marchesi di Candia cfr. il nostro Il Risorgimento del tenore, “Suono Sud”, Rivista trimestrale di
culture musicali, Aprile 1989, n. 2, pp. 27-35.
[72]) Lettera a Lisette Mandrot, Londra,
2 Settembre 1839, s.e.n., xviii
pp. 189-190.
[73]) Lettera alla madre, Londra, 11
Luglio 1842, s.e.n., xxiii, p.
212. “Terribile potenza di dolore sublime” nello Stabat Mater rossianiano, in heinrich
heine, Rossini und Mendelssohn
(1842), in Werke, vol. x, p. 331. Traduzione italiana in heine,Divagazioni musicali, a cura di e. roggeri, Torino, 1928, pp. 94-97.
[74]) Lettera a Sabilla Novello,
Londra, Maggio 1845, s.e.n., App.
vol. iii, p. 45. Per il coro La Charité cfr. giuseppe radiciotti, Gioacchino
Rossini, Vita documentata, opere ed influenza sull’arte, Tivoli, 1927, pp.
122-123. Sulla fondazione della Scuola Italiana a Londra cfr. aurelio saffi, Giuseppe Mazzini, Pisa, 1972, pp. 56 e segg. Al fine di raccogliere
fondi per il sostentamento delle attività didattiche Mazzini era solito
organizzare, in primavera, un concerto di beneficenza, avvalendosi,
sopratutto, della disponibilità dei grandi cantanti italiani scritturati dai
teatri londinesi; cfr. morelli,
op. cit., p. 107.
[75]) Lettera a Elisa Ashurst, Londra,
Aprile 1847, s.e.n.,App. vol. iii, p. 280. Mazzini era certamente al
corrente del fatto che il pesarese aveva accompagnato al pianoforte il principe
di Belgioioso (anche lui transfuga mazziniano) in un concerto tenuto in casa
del principe von Metternich. Cfr. Lettera alla madre, Londra, 2 Aprile 1839, s.e.n., xv, p. 856. L’evento si era
verificato nel 1838; cfr. hubner,
Une année de ma vie, Parigi, 1891, p.
38.
[76]) Lettera a Giorgina Craufurd,
Londra, 9 Ottobre 1855, s.e.n., liv, p. 332.
[77]) Lettera a Giorgina Craufurd,
Londra, 10 Ottobre 1855, ivi, p. 335.
[78]) Cfr. il nostro Mazzini e la chitarra, “Fronimo”,Rivista
trimestrale di chitarra e liuto, anno xix,
n. 74, Gennaio 1991, pp. 36-45, e “Bollettino della Domus Mazziniana”,
Pisa, 2/1991, pp. 173-194.
[79]) Lettera alla madre, Londra, 4
Maggio 1841, s.e.n., xx, p. 187.