Enzo Siciliano
SINOPOLI, LA BACCHETTA SPEZZATA

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Morire sul podio, il braccio contratto da una scarica elettrica così violenta che il cuore nel lanciarla si lacera, è accaduto a Mitropoulos, a Hermann Scherchen, l'altro ieri anche a Sinopoli. Ad alcuni grandi direttori del secolo è successo così - che un'estasi da adrenalina, nel vigore del gesto, si sia tramutata nell'abbaglio della morte. Sinopoli è stato strappato dai «cieli azzurri» di 'Aida', forse proprio nel momento in cui la bellezza della partitura coglie un momento d'altra estasi, nella notte sul Nilo che rappresenta. Diceva Bruno Barilli che in quel momento, Verdi riesce a far rialzare da terra "con un colpo eccentrico valori scaduti e antichissimi" - quegli archi che palpitano ed esitano come fossero onde leggere d'acqua venata dal lume intermittente delle stelle. Che destino singolare, strano, per Giuseppe Sinopoli.
L'Egitto è stato l'amore della sua intelligenza: studioso e collezionista di preziosi reperti di quella civiltà, l'ho visto scrivere in geroglifico come noi con la penna scriviamo l'abc; in quella disciplina, l'Egittologia, avrebbe guadagnato la laurea proprio domani.

Che uno scarto cardiaco per lui micidiale l'abbia colto a mezzo del sogno verdiano dell'Egitto è un fatto che trattiene la mente. Sinopoli era un uomo assai vitale: aveva intransigenze difficilmente superabili, era nutrito di forti rigori; il suo territorio di caccia era il romanticismo, quindi il decadentismo; la cultura tedesca era il fondamento della sua cultura; aveva studiato anche le malattie dell'anima. Con la musica investiva questa complessa cultura: nella musica ne stanava il bioritmo.
L'Egitto era lo sfondo archeologico contro cui tutto il suo sapere e la sua sensibilità prendevano le tinte del profondo e dell'ombra. La vitalità di Sinopoli guardava più all'ombra che alla luce. Mi chiedo se gli sarà stato possibile avvertire, nell'attimo del crampo al cuore che l'ha ucciso, un senso o un controsenso, lo scoccare di un cortocircuito, fra il tremito degli archi nella notte d'amore di Aida e il proprio destino.
Spero che nello spasmo doloroso un filo della sua natura così caldamente abbandonata alla vita e insieme così sottilmente caustica l'abbia trattenuto ancora fra noi e gli abbia offerto il lampo di un'idea, l'ultima, il brivido di un sorriso, quello estremo. Non starò a fare del sentimentalismo. Morire è atroce. Quando un direttore d'orchestra muore con la musica e nella musica che sta dirigendo, potremmo parlare di un privilegio che non è dato a tutti, se la musica è quel sollevarsi dell'anima oltre il cielo che Wagner sosteneva.
E Sinopoli è stato un grande direttore wagneriano. Credo però che Sinopoli, se ha avuto l'eccezione di avvertire in sé quel che gli era stato riservato là dove la sorte di ognuno di noi viene tessuta, deve aver provato, stringendoglisi il respiro, l'affanno del più desolato sconcerto. La musica lo stava abbandonando, e lui restava solo con se stesso, solo nel modo più amaro e in un momento che è supremo.
Ricordo bene quel che diceva su certi suoi progetti futuri: che a mezzo dei cinquant' anni avrebbe affrontato Mozart; e Mozart era per lui la sapiente bellezza del paradiso, roba su cui è possibile ragionare soltanto quando la vita si è fatta un po' spessa sulle nostre spalle. Da giovani, invece, si capisce al volo l'aria umida e frenetica che avvolgeva le sartine milanesi nel vecchio secolo, quell'aria che tanto era piaciuta a Puccini e gli aveva ispirato 'Manon Lescaut'. Che 'Manon Lescaut' superiore a ogni elogio ha saputo dirigere Sinopoli. La meditazione sulla bellezza che è di Mozart gli è stata negata.
L'ultimo suo sguardo a uno spartito è andato a quelle note di 'Aida' dove Verdi rintraccia lo spirito di trasporti castissimi, ricrea il vago volo e lo scorcio di una passione che si fa, nell'immediata certezza d'un abbraccio, impossibile. Nel cogliere quella impossibilità, nel guidarla con la sua bacchetta che sapeva tratteggiare in modo sicuro la freschezza primigenia dell'esistenza, il cuore gli ha ceduto strozzandosi, diciamo, con le proprie stesse mani, con il proprio stesso vigore. C'era un ansimare felice sulle labbra di Giuseppe Sinopoli, nel brillio dei suoi occhi dietro le lenti. Quella felicità si è spenta. Non sarà facile dimenticarla.