LAURETO RODONI

DOLCISSIMAMENTE
SCORBUTICO E INFLESSIBILE


Confessioni e ricordi di un ex allievo
un po’ pedante ed eretico


ARCHIVI RETE 2 SU PADRE POZZI

PREMIO GALILEO GALILEI

Serbo di Padre Giovanni Pozzi un ricordo corrusco e vivificante, in cui anche le periodiche, sardoniche sfuriate, le pacate stroncature (più devastanti di quelle veementi e urlate) che potevano sconfinare in sottile, lepido dileggio o greve, ma mai offensivo, sarcasmo assumevano per me il valore di alto insegnamento scientifico o erano vere e proprie lezioni di vita, frutto non certo di malanimo o di disprezzo, ma di apprensione e di affetto direi quasi paterni.



Ricordo un tardo pomeriggio primaverile in cui dovetti presentare, novello studente, un lavoro di seminario, preparato con grande impegno e puntiglio. Iniziai l’esposizione con la sicumera del pedante, ma Padre Giovanni mi ammutolì dopo pochi secondi, stroncando con poche ma inequivocabili parole il mio approccio metodologico all’argomento. E non mi fu più possibile continuare. Quando si trattò di mettere sulla Tabella Scholarum il giudizio, con divertito sarcasmo scrisse: «lavoro eccellente». L’elaborazione di questi due episodi fu per me uno dei momenti culminanti della mia formazione intellettuale, fu una salùbre, proficua sferzata, una presa di coscienza decisiva per la continuazione dei miei studi.
Quando cominciai a lavorare su Giambattista Marino, lessi un libro straordinario, ma metodologicamente anarchico per non dire folle su questo poeta barocco, di cui Padre Pozzi fu il massimo interprete. Ne fui entusiasta. Fu per me come una specie di “amore segreto”: guai se Padre Pozzi fosse venuto a saperlo! Più volte lo aveva fatto a pezzi nei corsi e nei seminari e fece a pezzi me quando un giorno mi sorprese con questo libro «all’indice» in biblioteca. Ma durante una cena mi confidò non solo che aveva stima di questo eccentrico studioso, ma che era in regolare contatto con lui proprio perché lavorando sugli stessi argomenti, ci teneva al confronto delle opinioni. La sua paura era che l’andamento rapsodico di quello studio, l’assenza di un «metodo» rigoroso (del resto ampiamente compensati da osservazioni di folgorante pertinenza) potessero influenzare negativamente il mio cammino.
Quando decisi di frequentare, grazie a una borsa di studio, il penultimo anno di Università a Firenze, le sfuriate, non meno efficaci, si trasferirono sul piano epistolare.
Nonostante questi screzi, o forse è meglio dire: anche grazie a questi screzi, posso affermare, senza falsa modestia, di aver avuto un rapporto privilegiato con Padre Giovanni, fondato su affetto, amicizia e stima reciproca; rapporto suggellato nell’ultimo anno da indimenticabili cenette a scadenza settimanale, con pochissimi altri suoi allievi.
La lezione umana, etica e scientifica di questo grande umanista ha indelebilmente segnato la mia vita, come quella di innumerevoli altri allievi suoi. Ora saranno i ricordi di chi l’ha conosciuto e i suoi scritti a nutrire le generazioni future di studenti e studiosi.
Padre Giovanni si è spento alle 4 del mattino, l'ora in cui, a Friburgo, si alzava per fare la sua quotidiana passeggiata in campagna prima di dir Messa e di dedicarsi poi, con inesorabile fermezza, allo studio («un rituale che, ripetendosi, permette di affrontare le stagioni con una immutabile disciplina», come scrisse Thomas Bernhard). No, non per caso ci ha lasciati a quell’ora del mattino. La sua morte, a 79 anni, con quel suo vissuto di impressionante limpidezza e intensità, è, metaforicamente, la più bella... levataccia: con l'ultima, sublime esperienza della vita laboriosa e generosa che si chiude, finalmente, come diceva durante i corsi (mentre noi studenti ci guardavamo nel contempo allibiti e divertiti) potrà anche leggere... tutto il Manzoni che non è riuscito a leggere in vita. Caro, caro, caro, scorbutico e dolcissimo, Padre Giovanni... grazie!