Kii-Ming Lo
Turandot Una fiaba teatrale di Ferruccio Busoni

alla città di Marco Polo

Altoum spricht:
Vom fernen Osten, ja vom fernsten her
Zeigt sich Altoum, ein Monarch der Bühne,
Die Fabel hat ihn auf den Thron gesetzt,
Mit manchen Prunk und Herrlichkeit begabt;
Doch herrlicher als Kron und Zepter glänzt
An seiner Seite Tochter Turandot.

Zwar sagt man von der Jungfraun schönem Chor
Die Herzen sämmtlich seyen räthselhaft;
Doch dieser hat ein höchst subtiler Geist
So viele Räthsel in den Kopf gesetz,
Dass mancher Freier scheiternd unterging.

(GOETHE, Festzug)1

Fu grazie alla "fiaba teatrale" Turandot di Carlo Gozzi che la storia persiana della crudele principessa Turandot entrò a far parte dell'immaginario teatrale europeo: le maschere della commedia dell'arte utilizzate da Gozzi conferirono alla materia fiabesca una peculiare teatralità, rivolta eminentemente alla componente fantastica. Rielaborata da Friederich Schiller, Turandot fu per la prima volta rappresentata il 30 gennaio 1802 presso il teatro di Corte di Weimar: il successo riscosso da questa versione fu limitato ai soli ambienti letterari, ma questo non le impedì in seguito di diventare il punto di riferimento obbligato per le numerose opere in musica dedicate a Turandot nel corso del secolo. Il fatto stesso che quasi tutte le realizzazioni musicali di Turandot create durante l'Ottocento siano in lingua tedesca va infatti ricondotto all'influsso preponderante esercitato sulla coscienza letteraria del tempo dalla rielaborazione schilleriana di Turandot. Anche la Turanda di Antonio Bazzini (Milano 1867) si basa sulla versione del testo gozziano offerta da Schiller, tradotta da Andrea Maffei 2. Solo nel Novecento i compositori fecero direttamente ricorso all'originale di Gozzi, benché sia Busoni sia Puccini fossero venuti inizialmente in contatto con la versione schilleriana della storia di Turandot. In deliberata contrapposizione alle opere musicali ottocentesche sul soggetto di Turandot, dove i caratteri della commedia dell'arte non sostenevano ruoli teatralmente rilevanti, anche se l'elenco dei personaggi continuava a riportarne i nomi, Busoni e Puccini tornarono ad attribuire importanti funzioni drammaturgiche a queste figure 3. Se però, nonostante l'incomprensione del pubblico nei confronti della scena dei ministri nel secondo atto, l'ultima, incompiuta opera di Puccini doveva ottenere grande successo sin dalla prima rappresentazione, avvenuta il 25 aprile 1926, la Turandot di Busoni non divenne mai un'opera stabilmente presente in repertorio. Per comprendere lo sviluppo dell'estetica teatrale di Busoni e la specifica posizione, ideale e creativa, di questo compositore in confronti del teatro in musica, l'elaborazione di Turandot risulta comunque di fondamentale importanza.

1. INTORNO A TURANDOT:
LE COMPOSIZIONI DI FERRUCCIO BUSONI

A partire dall'estate 1894 Busoni fissò la sua residenza principale a Berlino, ove, accanto all'attività concertistica internazionale come pianista, si dedicò soprattutto a dirigere opere musicali contemporanee, raramente eseguite. Dei dodici concerti tra il 1902 e il 1909, il settimo - dato il 21 ottobre 1905 nella Beethoven-Saal con la direzione di Busoni - si concluse con la prima esecuzione della Turandot-Suite, op. 41 4. Due degli otto numeri di questo lavoro vennero rielaborati: essi costituiscono il n. 4 (Le stanze di Turandot. Intermezzo) e il n. 5 (Valzer notturni) delle Elegie per pianoforte del 1907-1908.
Così il 6 ottobre 1906 Busoni scriveva da Amsterdam a Egon Petri 5:

[...] Il Deutsches Theater vuol rappresentare la Turandot in primavera 6. Un tentativo di rappresentare questa cineseria non ha avuto alcun esito a Londra. Una caduta del peso che grava sulle mie spalle!
Ecco i miei prossimi progetti: con il Concerto per il momento ho chiuso con le opere sinfoniche e ho fatto rilegare in 5 volumi i 12 lavori scritti finora. La prossima estate voglio pubblicare i tre libretti (Il Mago [possente], La Sposa sorteggiata, Aladino) e poi mettermi a lavorare a partiture teatrali. Turandot apre la serie, poi verrà la Sposa sorteggiata. Ho in mente anche altre cose, ma vengono in seconda linea. [...]

L'esecuzione, inizialmente prevista per il 1907, fu sospesa a causa della traduzione in tedesco della Turandot gozziana allora disponibile, infarcita di errori, e per il rifiuto di Busoni di apportare ulteriori modifiche alla suite oltre a quelle già previste, che riguardavano solo una riduzione della strumentazione 7. Solo quattro anni più tardi, il 27 ottobre 1911, dopo che Karl Vollmoeller si era assunto il compito della traduzione e lo aveva portato a termine, il 27 ottobre 1911 la prima rappresentazione della Turandot di Gozzi ebbe luogo al Deutsches Theater di Berlino, con la realizzazione scenica di Max Reinhardt, l'adattamento di Vollmoeller e la musica di Busoni 8. Questa rappresentazione potrebbe aver ispirato la composizione immediatamente successiva di Busoni, Disperazione e resa, pubblicata nel 1911, come sembrano suggerire le osservazioni di Busoni a questo pezzo.
Dopo lo scoppio della guerra Busoni si rifugiò a Zurigo, ove soggiornò ininterrottamente - tranne qualche tournée concertistica all'estero - sino al ritorno a Berlino nel settembre 1920 9. Tra i lavori zurighesi si trovano due opere, l'atto unico Arlecchino e l'opera Turandot in due atti: ambedue furono rappresentate per la prima volta l'undici maggio 1917 presso lo Stadttheater di Zurigo con la direzione di Busoni. Due numeri tratti da Turandot vennero nuovamente rielaborati, l'aria di Altoum n. 4 (atto I, quadro 2) nella primavera 1918 per l'edizione dei Due canti per voce maschile con piccola orchestra 10 e l'Arioso n. 6 (atto II, quadro 3) per il Monito di Altoum. Seconda appendice per la Turandot-Suite come Altra versione del n. VIII 11.

2. SUITE - MUSICHE DI SCENA - OPERA

Mentre si trovava a metà del lavoro per la Turandot-Suite, probabilmente già abbozzata nel 1904 12, Busoni diede notizia a Egon Petri di un'esecuzione prevista ad Amsterdam 13:

Berlino, 10.7.1905
È stato qui Mengelberg e abbiamo fatto questo piano: io dovrei dirigere il mio Concerto (tutti insistono ostinatamente sull'o finale) ad Amsterdam e tu dovresti suonarlo. Ero stato scritturato come pianista per questo concerto - ma M. è stato chiamato improvvisamente in America.
Il programma sarebbe:
1) Concerto
Intervallo
2) Concerto pathétique per due pianoforti (tu ed io) [di Liszt]
3) Turandot-Suite.

Dalle lettere di Busoni alla moglie scritte nel luglio e agosto dello stesso anno 14 si apprende che il lavoro per la Turandot-Suite procedeva bene, per infine concludersi il 19 agosto 1905. Due giorni dopo Busoni scriveva alla madre 15:

Fui tutto il tempo a Berlino e, come sempre, occupatissimo. Questa volta con una nuova partitura, che terminai ier l'altro. Babbo sarà forse contento di sapere che ho tentato nuovamente un primo passo verso il teatro, però in un senso inusitato; non con un'opera, ma con una musica illustrativa per un dramma.
Il dramma scelto a questo scopo è una vecchia fiaba teatrale tragicomica del nostro Carlo Gozzi. Nulla sarebbe più naturale che di tentare la rappresentazione d'un dramma oramai classico (e pure nuovo perché dimenticato) d'un autore italiano, ma pur troppo le condizioni del paese non danno luogo a nessuna speranza.
Per la rappresentazione si richiederebbe non solo una compagnia drammatica eletta, ma pure un gran sfarzo e buon gusto di costumi e scenarii e per di più un'orchestrona di prima forza. Il Gozzi è l'autore di quelle fiabe di cui raccontava a Mamma la di lei Nonna. L'amore delle tre melarance, L'augellino [sic] Belverde, ed altre furono in gran voga al tempo delle parucche, po sparirono dalla scena. La mia fiaba è quella della crudele e seducente pricipessa Turandot, che pretende, da chi la vuol sposare, la soluzione di tre indovinelli a rischio di perder la testa sbagliando il compito. Vi agiscono, oltre ai personaggi serii ed orientali, le vecchie maschere veneziane come personaggi faceti: Pantalone, Brighella e Truffaldino 16.
Questo lavoro mi tenne quasi in prigione per il corso di due mesi e mezzo, durante i quali non mi riuscì d'occuparmi d'altra cosa qualunque. Ora è terminata e bisogna ricominciare con altre cure ed intraprese. [...]

Durante la tournée di concerti che tra il 1910 e il 1911 portò Busoni in America, il musicista incontrò Gustav Mahler, amico d'antica data, che diresse nei suoi concerti la Turandot-Suite e la cui interpretazione venne definita dallo stesso Busoni "la perfetta esecuzione della Turandot" 17. L'entusiasmo di Busoni si può rilevare anche dalle lettere alla moglie, come ad esempio 18:

- 27 febbraio 1910:

[...] e scrivo subito una piccola guida alla Turandot per Mahler 19.

- 12 marzo 1910:

Peccato, peccato che tu non abbia sentito la Turandot diretta da Mahler. Mi sono deciso da ultimo di trattenermi per la serata; mi sembrava ingiusto verso Mahler volgergli le spalle. Con quanto amore e con quanta giustezza d'intuito l'ha concertata! Ne ho avuto gioia e calore come artista e come uomo.
L'esecuzione è stata perfetta, migliore di tutte le precedenti. Il successo grande.
A dir il vero, i giornali non la vogliono prendere proprio sul serio, ma ci sono tanti equivoci e tanti malintesi! Anche la maggior parte della musica del Flauto magico è solo un'illustrazione a tenui tinte. Non si potrà certo mettere molto più in alto di così un'aria come Der Vogelfänger bin ich ja [L'uccellator vedete qua].

- 19 febbraio 1911:

La Turandot "è piaciuta" a Boston ed è stata lodata sui giornali. - Sarebbe mio grande desiderio che arrivasse sulla scena; perché solo là è il suo vero posto.
Questo pensiero migliora già il mio stato d'animo.

Otto mesi dopo ebbe luogo a Berlino la prima della Turandot messa in scena da Reinhardt; il 13 novembre 1911 lo stesso Busoni era sul podio a dirigerne la musica 20. Per la prima esecuzione Busoni pubblicò il suo saggio Sulle musiche per 'Turandot' nei Blätter des Deutschen Theaters 21, che più tardi venne accolto nella silloge L'unità della musica 22. Nonostante la presenza di questo scritto introduttivo fu indubbiamente arduo per i contemporanei comprendere secondo l'intendimento di Busoni le musiche della Turandot-Suite, per la prima volta accostate al dramma, come mostra la recensione di Siegfried Jacobsohn 23:

[...] Ma né per questa, né per nessun'altra ragione si può considerare Vollmoeller responsabile dell'effetto di estenuante lentezza ottenuto da questa serata, dalle intenzioni tanto artisticamente elevate. In primo luogo lo è, difatti, Busoni. Certo, Gozzi stesso aveva prescritto molta musica. Busoni ne offre troppa e, forse, una musica troppo pesante per una commedia tanto leggera. (Parlo da critico teatrale, non da musicista.) Non si tratta di musica che crea un sottofondo, ma che si sovrappone al materiale originario, ridipingendolo. Non si attaglia specificamente a Turandot, ma piuttosto in alcuni punti requisisce del tutto l'attenzione dello spettatore. È quel che ha fatto anche Beethoven nell'Egmont o Mendelssohn nel Sogno di una notte di mezza estate? Ebbene, sono proprio questi ricordi ad essere particolarmente pericolosi per Busoni. Infine la sua strumentazione (mancava poco che la sua orchestra di sessanta elementi non mi facesse prendere spavento!) è quasi sempre troppo forte. Alla quarta ora di rappresentazione, quando ci si deve letteralmente asciugare la fronte dal sudore - tale è lo stato d'ansia cui si è portati da questa inesauribile pienezza del godimento, capace di assediare e costringere lo spettatore in modo sempre nuovo - si capisce che Busoni ha per forza delle responsabilità. [...]

Durante un soggiorno londinese Busoni, profondamente deluso dall'esecuzione di Turandot data in quella città, maturò l'idea di rielaborare la suite in un'opera 24:

- 19 gennaio 1913:

Come potrebbe esser bella la Turandot! (Se facessi piuttosto un'opera con la musica già scritta?) Ma non così come ieri a Londra, dove dovetti andarmene dopo il secondo atto! Ho resistito sino al ballo e al canto, lo eseguivano sulla scena, ma poi me ne sono andato definitivamente. Come è finito, se ha avuto successo, non lo so nemmeno oggi. Lo leggeremo domani.
Le cose non potranno mai andar bene con i direttori dei teatri di prosa.

- 21 gennaio 1913:

La musica per Turandot ha avuto più successo della pièce. Com'è vero che quanto si offre al pubblico non è mai abbastanza scadente! Pensa: un'orchestra di circa venti esecutori, che stonavano; qualche brano ripetuto quattro o cinque volte di seguito, qualche altro tagliato, saltato; il tutto eseguito nello stile del variété! E poiché questa volta il regista trovava che c'era troppo poca musica, vi erano inseriti pezzi di Saint Saëns e Rimski-Korsakov! Imagine! - [...]
Che ne pensi di Turandot come opera - naturalmente in italiano, sul testo di Gozzi? -
Morte vogl'io o Turandotte in sposa

(quasi, quasi - mi parrebbe -) 25

Questa idea fu però realizzata solo nel 1916, quando Busoni stava cercando un'altra breve opera da accostare alla prima rappresentazione dell'atto unico appena composto, Arlecchino, come si vede da questa lettera a Egon Petri 26:

Zurigo, 9.11.1916
[data del timbro postale]
[...] - La questione importante, quale lavoro debba venir abbinato al mio Arlecchino che dura un'ora, per completare la serata, le difficoltà che ne derivano, il desiderio di stabilire un'accoppiata in una forma che abbia validità per il futuro, mi hanno fatto prendere una decisione sbrigativa, sfruttare cioè il materiale e l'argomento della Turandot per un'opera in due atti. Da qualche settimana sono dunque impegnato nell'attività stimolante di librettista e compositore di un'opera Turandot. Rielaboro il testo a fondo e con la massima libertà per conferirgli un carattere fiabesco e un tono più prossimo allo scherzo teatrale. È più laborioso di quanto pensassi all'inizio, ma lavoro con facilità.
Il collegamento tra i due lavori è dato dalle maschere, che essi hanno in comune (per il resto sono assolutamente contrastanti).[...]

In varie lettere agli amici Busoni riferisce sui progressi compiuti nel lavoro per Turandot 27:

- a Egon Petri, Zurigo 23 dicembre 1916:

[...] L'opera Turandot va avanti con facilità e rapidamente - ma non sono sicuro di arrivare a terminarla in tempo. [...]

- a Robert Freund, Zurigo 5 febbraio 1917:

[...] Nel contempo ho lavorato, e lavoro ancora, al completamento ormai prossimo dell'opera Turandot.

- a José Vianna da Motta, Zurigo 15 april [sic] 1917:

[...] Ho già potuto osservare che il mio Arlecchino fa un'impressione diversa a seconda delle persone. [...] Il titolo che accomuna i due lavori è "La nuova commedia dell'Arte" e si riferisce alla re-introduzione delle maschere italiane nell'azione. [...]

La progettata seconda parte di Arlecchino 28 rimase allo stato di abbozzo e perciò le due opere furono in seguito accoppiate come nella première: così accadde nella prima rappresentazione tedesca a Francoforte il 15 ottobre 1918 con Gustav Brecher, più tardi il 26 gennaio 1919 a Colonia con Otto Klemperer e nella prima berlinese del 19 maggio 1921 con Leo Blech, le cui ultime prove avvennero con la supervisione di Busoni 29.
In una conferenza di Busoni successiva alla prima rappresentazione berlinese, Arlecchino non era neppure menzionato, mentre vi si trovano pochi cenni riguardanti la scelta del soggetto di Turandot 30:

Già la scelta del soggetto prende mesi, a volte anche anni, di ricerca, di esame, di cernita. Ma su di esso hanno già lavorato epoche e popoli interi. Un argomento come il Faust è il prodotto di civiltà e di generazioni e persino l'origine della di gran lunga più modesta Turandot ha le sue radici nelle epoche e nei paesi più lontani: la sua antica tradizione passa per le mani dell'italiano Gozzi e del tedesco Schiller, per il testo del quale già Carl Maria von Weber aveva scritto la musica di scena.

La trasformazione della suite in opera si può così compendiare: mentre componeva la suite negli anni 1904-05, Busoni teneva costantemente presente la fiaba di Gozzi e ne programmava un'esecuzione teatrale con la sua musica. Ma né l'interpretazione della suite data da Mahler, decisamente la migliore fino ad allora, né lo stabile favore con cui questo lavoro venne accolto negli Stati Uniti (1910-11) permisero a Busoni di sentirsi più soddisfatto dei suoi recensori, i quali non erano del tutto in grado di afferrare il carattere figurale della suite. Dopo aver assistito alle esecuzioni di Berlino e di Londra, Busoni si rese conto gradualmente che nessuna rappresentazione teatrale della commedia avrebbe potuto rendere compiutamente giustizia alla sua idea compositiva e pensò quindi di servirsi della musica già scritta per farne un'opera, Turandot. Nel 1917, quando gli era necessaria una seconda opera da accoppiare ad Arlecchino per completare la serata della prima rappresentazione, Busoni colse l'opportunità di realizzare l'antico progetto: in breve tempo Turandot fu trasformata in opera, non però con testo italiano, come in origine pensava il compositore, ma tedesco 31, provvedendo egli stesso al libretto.
Turandot segna così la conclusione di una lunga evoluzione, che si può collocare cronologicamente tra il 1904-05 e il 1917-18, se si prescinde da una sporadica ripresa del lavoro nel 1921; l'elaborazione di Arlecchino, invece, continuò ad occupare Busoni anche negli anni successivi, sino al 1921-22. Anche questo fatto, oltre alle già citate dichiarazioni d'autore, costituisce un indizio a favore della relativa autonomia delle due opere e della loro reciproca indipendenza. Se molti critici e biografi hanno trascurato questo aspetto, ciò deriva dal fatto, assolutamente esteriore ed accidentale, che in ambedue le opere Busoni ricorre alle maschere della commedia dell'arte, benché queste vengano utilizzate in modo totalmente diverso nei due lavori, come lo stesso compositore ebbe più volte modo di sottolineare.

3. LA SUITE PER ORCHESTRA COME FONDAMENTO
MUSICALE DELL'OPERA

Le osservazioni di Busoni sull'elaborazione dell'opera Turandot dimostrano con chiarezza che la Turandot-Suite composta l'anno precedente costituì la materia musicale fondamentale dell'opera. Interrogando l'assieme degli abbozzi per la suite e per l'opera, conservati presso la Staatsbibliothek di Berlino (Preußischer Kulturbesitz, Musikabteilung mit Mendelssohn-Archiv), è possibile rilevare come già nella fase compositiva iniziale della suite Busoni avesse evidenziato alcune caratteristiche drammaturgiche peculiari, in seguito compiutamente realizzate nell'opera. Gli abbozzi sono ripartiti in quattro gruppi 32:

1) abbozzi della suite: lascito Busoni n. 234, cc. 34;
2) abbozzi dell'opera: lascito Busoni n. 299, cc. 31;
3) abbozzi dell'Appendice a Turandot: lascito Busoni n. 333, cc. 2;
4) abbozzi dell'opera: lasc. mus. n. 4, 83, c. 1.

Se il terzo gruppo riguarda chiaramente l'Appendice a Turandot e il quarto gruppo - con il testo Wie ist sie schön! [Com'è bella!] - fu pensato molto probabilmente per l'aria del ritratto, senza però essere utilizzato né nella suite né nell'opera, il primo e il secondo gruppo documentano l'importante lavoro preparatorio per la suite e l'opera. Al fine di designare in modo univoco i numeri musicali della suite e dell'opera, nella tavola I si indicano i numeri relativi alla suite con cifre romane e quelli relativi all'opera con cifre arabe.
La tavola I rappresenta visivamente i rapporti reciproci che intercorrono tra la suite (e le sue appendici) e l'opera, come pure le rispettive corrispondenze con l'originale gozziano.
Riferendosi all'intero primo atto della fiaba di Gozzi, Busoni scrisse un unico brano della suite (n. I), che poi offrì materia musicale per la prima scena del primo atto dell'opera. Il n. I della suite fu utilizzato principalmente nei numeri 1 e 4 dell'opera e in effetti l'inizio della suite corrisponde alle prime battute del numero 4 dell'opera. Mentre la suite inizia con un motivo solistico affidato al timpano 33, l'inizio dell'opera presenta due motivi, che nella riduzione pianistica, parzialmente a quattro mani, di Philipp Jarnach sono affidati rispettivamente al Primo e al Secondo pianista. La parte del Primo riprende il motivo di timpano dell'inizio della suite (nell'opera è eseguito da oboi, corno inglese, clarinetti e fagotti), mentre la parte del Secondo suona una scala ascendente e discendente, che compare a partire dalla battuta 55 della suite. Il titolo della parte I della suite (L'esecuzione capitale, La porta della città, Il congedo) rivela le intenzioni drammaturgico-musicali di Busoni. Negli abbozzi per la suite il motivo del timpano si trova alle pagine 10r, 11r e 12r, che viene contrassegnato con le parole "3 L'esecuzione capitale"; a pagina 6r degli abbozzi per la suite si legge invece nel punto in cui si trova il motivo della scala ascendente e discendente "1 La porta della città". Se si analizza l'uso dei due motivi nell'opera, si vede che il motivo del Primo pianista emerge sempre in relazione a qualche elemento minaccioso, come ad esempio l'introduzione al lamento (n. 2, atto I, quadro 1), il tentativo fatto da Altoum di trattenere Calaf (n. 5, atto I, quadro 2) o l'inizio della scena degli indovinelli, mentre il motivo del Secondo si sente quando Calaf e Barach si rivedono oppure quando entra la regina madre: ambedue le scene si svolgono dinanzi alla porta della città. Per fini di chiarezza è anche possibile indicare rispettivamente i due motivi come 'motivo dell'esecuzione capitale' e 'motivo della porta della città'.

[esempio musicale 1]
Il ricongiungimento dei due motivi ricompare nel finale II dell'opera: dopo che Turandot ha reso pubblico il nome di Calaf e del padre di lui, il coro ripete i nomi, mentre si sentono i due motivi suonati dall'orchestra che ricordano l'arrivo di Calaf davanti alla porta della città. La pagina 13r degli abbozzi relativi alla suite ci ragguaglia intorno a un altro pensiero musicale di Busoni: "Addio, devo ritornare nella mia sventura / corre in città / il congedo [note] fine dell'atto primo". Si tratta di schizzi per la sezione finale del n. I della suite, cui però nell'opera fu attribuita poca più rilevanza.
Il motivo che compare nell'opera all'arrivo di Calaf deriva dalla parte intermedia del primo pezzo della suite, la sua funzione drammaturgica come 'motivo di Calaf' è però messa in luce solo nell'opera.

[esempio musicale 2]

Il numero 7 (atto I, quadro 2) riprende quasi l'intero n. IV della suite con l'eccezione delle battute iniziali e di quelle finali. Dal libretto di Busoni è possibile distinguere con chiarezza i "quattro quadri di carattere" dell'eroina (crudeltà, passionalità, bellezza velata, bellezza svelata), come il compositore li descrive in una lettera alla moglie mentre sta lavorando alla suite 34:

Turandot è arrivata alla 72.ma pagina. Questo pomeriggio l'ho lasciata riposare. [...]
C'è materiale per due suites orchestrali. La marcia di Turandot, alla quale sto lavorando, è una specie di ritratto del personaggio e l'ho pensata, dentro di me, divisa in quattro quadri di carattere: "la crudeltà - la passionalità - la bellezza velata - la bellezza svelata" [...]

crudeltà: suite dalla cifra 19 fino a tre battute prima della cifra 22.
Nel luogo corrispondente dell'opera si sente il seguente testo:

Chor:
Wehe! Wehe! Wehe!
Turandot: (noch von der Höhe der Treppe aus)
Wer ist's, der sich auf's neu vermessen darf,
aus meiner Weisheit Grund zu schöpfen,
der die Lust verspürt, sein Leben auszuspielen?
Chor:
Wehe! Wehe! Wehe!
Turandot:
Auch du sollst mir erliegen,
dich stärkrem Geiste fügen:
Rat' oder stirb!
(Sie steigt die Treppe herunter) 35
passionalità: Suite 2 battute prima della cifra 22 fino alla cifra 24.Questa sezione è introdotta dal ritmo e infine caratterizzata dal tema di Turandot. Nell'opera Turandot fa trapelare nel testo cantato la sua simpatia per il principe straniero.

Weh, anderen gleicht dieser nicht.
Was berührt mich jäh so fremd und neu?
Seltsam wirkt des Knaben Gesicht,
Es anzusehen macht fast mich scheu.
Wie mild es zu mir spricht!
Weh mir!
Noch einmal sein will ich Turandot,
Sein Tod wird auch mein Tod. 36

[esempio musicale 3]
bellezza velata: Suite cifre 24-26.
La musica in questo punto si ricollega all'inizio del numero. Nel punto corrispondente dell'opera, che corrisponde esattamente alle battute della suite dalla terza battuta dopo la cifra 25, Turandot e Calaf cantano un duetto. All'inizio le loro voci procedono indipendenti l'una dall'altra, all'approssimarsi della conclusione diventano parallele:

[esempio musicale 4]
bellezza svelata: Suite dopo la cifra 26.
Dopo aver posto il terzo indovinello, Turandot si toglie il velo per spaventare Calaf. Incantato dalla sua bellezza, Calaf perde temporaneamente il dominio di sé e non è in grado di rispondere immediatamente all'indovinello. Per indicare la riconquistata fiducia di sé da parte di Calaf il 'motivo di Calaf' è più volte ripetuto: esso fa presagire però il controindovinello sul suo nome e la sua provenienza. Nell'opera entrambi gli ultimi "quadri di carattere", soprattutto l'ultimo, vengono ampliati e minuziosamente trattati grazie alla scena degli indovinelli: ad esempio nel grido di Calaf dopo che Turandot si è tolta il velo (O Glanz! O Vision! [Splendor! Quale visione!]) si sente il tema di Turandot eseguito da corni, arpe, viole, violoncelli e contrabbassi.
Se si eccettua la melodia che li accomuna, il Canto col coro e il numero V della suite si differenziano sensibilmente nella fattura, per quanto riguarda sia la strumentazione, sia l'elaborazione della melodia. Mentre nella suite vengono usati solo il flauto, la tromba, il timpano, il triangolo e l'arpa e la melodia principale viene eseguita essenzialmente dal flauto e dall'arpa in alternanza 37, nell'opera si aggiungono anche l'oboe, il corno inglese e gli archi, con la cantante e il coro che sostengono la linea melodica. Le figurazioni in sedicesimi del flauto e dell'arpa, che nella suite hanno un ruolo importante, emergono solo sporadicamente nell'opera e alla fine riguardano solo le arpe. Mentre la suite inizia in Sol maggiore e dopo la settima battuta passa al Mi minore, il passo corrispondente nell'opera inizia in Mi minore e sino alla fine della prima realizzazione della melodia di Green-Sleeves (l'unica a presentarsi completa, benché anche qui si presenti in forma variata) 38 oscilla continuamente tra il Fa minore e il Mi minore. La parte successiva consiste in una catena di sequenze, eseguite prima dalla cantante, poi riprese dal coro. La parte conclusiva va dal Mi maggiore al Sol maggiore, attraversando la tonalità di Mi minore. Dato che il numero musicale dell'opera è molto più breve di quello della suite, il processo modulante, continuo e quasi privo di preparazione, dà luogo a un'atmosfera d'inquietudine, assente nella suite; il pezzo della suite andava infatti eseguito "piacevole e tranquillo" in tempo "Andantino", mentre il Lied dell'opera reca l'indicazione "Allegretto". Tutte queste divergenze dell'opera rispetto alla suite vanno ricondotte all'intenzione drammaturgica dell'autore: la musica della suite descrive il gineceo, mentre la musica dell'opera anticipa l'intima inquietudine di Turandot, che è già esplicitata nel numero 3 di questa stessa scena.
Il Walzer notturno (n. VIII) è diviso in tre sezioni, per quanto riguarda sia la formazione orchestrale, sia la melodia:

- prima sezione: dall'inizio fino alla cifra 38 ("Düster, kraftvoll und bewegt")
- seconda sezione: dalla cifra 38 alla cifra 40 ("Molto più tranquillo")
- terza sezione: dopo la cifra 40 ("Misterioso")

Secondo gli abbozzi le tre sezioni devono descrivere le seguenti scene 39:

11. i 3 notturni IV
[note musicali]
I Truffaldino entra
II piccolo tema saltellato (sogno I)
III tema appassionato (Violoncello alto?) sogno II

[note musicali]
Adelma con una fiaccola
piccolo appassion.[?] 40

La prima sezione della suite costituisce la base della prima parte dell'aria di Turandot (n. 3, atto II, quadro 3), mentre entrambe le ultime sezioni vennero utilizzate nell'intermezzo n. 8 (atto II, quadro 3) in forma di poco ampliata. Busoni, però, sviluppò nell'opera altre idee per queste scene, che trovarono esecuzione nei numeri 4, 5 e 7 della terza scena.
Distribuita tra i diversi numeri dell'opera è anche l'Appendice I (Disperazione e resa) della suite, composta per la messa in scena di Reinhardt, costituita da 175 battute e dai motivi e temi che verranno indicati successivamente 41. Sull'Appendice II di 32 battute, indicata come Altra versione del n. VIII, così scrisse Busoni 42:

Il monito di Altoum.
A differenza dei restanti nove numeri di cui si compone la Turandot-Suite, e di quelli tratti dalle musiche di scena per la pièce recitata, questo nuovo pezzo è tratto dall'opera Turandot, composta successivamente. La pazienza del buon padre e imperatore Altoum si è infine esaurita: egli è profondamente stanco dei capricci della figlia. In una scena in cui egli assurge a dignità veramente regale, la mette in guardia da ulteriori manifestazioni di irragionevolezza. Il preesistente Finale alla turca, comune sia alla versione più antica della partitura che a quella più recente, termina la composizione in un'atmosfera di conclusiva serenità.

Alla fine della partitura si legge: "Gli strumenti rimanenti, che entrano più tardi, tacciono in queste 32 battute. Prosecuzione nella Turandot-Suite VIII cifra 43 fino alla fine" 43. La parte sostituita è la Marcia funebre 44, che forma anche l'inizio del secondo finale dell'opera e che ha per nucleo il tema di Turandot. Nella parte intermedia del pezzo della suite il tema di Turandot assume un carattere gaio, che continua a sussistere anche quando passa al successivo Alla turca. Circondati dalla marcia funebre e dall "musica turca", hanno luogo nell'opera la soluzione del controindovinello, la trasformazione di Turandot e l'ultimo, estremo "indovinello" di Calaf. Nel foglio degli abbozzi 8r (n. 299) lo schema della trasformazione di Turandot è annotata come segue:

Coro e dottori
'Verloren'! (Clar. solista)
Nein Kalaf - Du - Du? - Ja ich selbst 45
Recitativo
Mosso - una reminiscenza sempre più intensa della scena

fino a "Zu Dir, Kalaf, Sohn des Timurs,
nicht mehr ein fremder Prinz
Coro! Ein Wunder (3 volte) 46
attacca il finale

Mentre si sente suonare la "musica turca", si vede in scena la cerimonia del rivestimento e della preparazione del matrimonio: come provano le carte degli abbozzi di Busoni per la suite (cc. 23r, 24r, 25r e 26r; n. 234), questi pezzi furono già abbozzati nel corso della composizione della suite, per essere poi usati solo nell'opera.
Un altro abbozzo della suite, utilizzato solo nell'opera in forma variata, lo si vede alle carte 8r e 9r47: "2. Il ritratto./ La porta della città [cancellato] basso, recitativo, invito alla preghiera. (l'orient?)/ E via, stolto, mi offendi (guarda il ritratto)[...]".
Dopo le battute iniziali, che vennero utilizzate nel n. 3 (atto I, quadro 1) dell'opera, emerge una variante del tema di Turandot in terzine, composta proprio per la scena in cui Calaf contempla il ritratto di Turandot. Il motivo indicato alla carta 9r come 'motivo dell'indovinello' non fu impiegato con questa funzione né nella suite, né nell'opera. Vennero rifiutate anche le ultime tre carte degli abbozzi, indicate come "13. i tre indovinelli" (n. 234), dove il testo dei tre indovinelli segue ancora la versione di Gozzi.
E' evidente che Busoni nel corso della composizione dell'opera si basò sulla suite orchestrale; alcuni numeri furono provvisti di testo (nn. I, II, III, IV e VIII), gli altri furono ampliati usando materiali musicali supplementari, che permisero a temi e motivi presenti nelle carte degli abbozzi per la suite (ma rimasti allo stadio iniziale di abbozzo) di entrare a far parte dell'opera.
Per i numeri dell'opera che non hanno alcun rapporto diretto con la suite, Busoni adottò un materiale motivico-tematico tratto dalla suite, al fine di connetterli efficacemente agli altri numeri dell'opera.

4. ESOTISMO

Nella lettera già citata alla madre del 21 agosto 1905 si legge: "[...] Ho scelto la storia della [...] principessa cinese (o, chissà, persiana) Turandot [...]". In questa frase si può ravvisare un indizio a favore dell'ipotesi che Busoni intendesse connotare le sue composizioni sul soggetto di Turandot in senso genericamente esotico piuttosto che specificamente cinese. Nel suo saggio Sulle musiche per Turandot così annota 48:

Ho impiegato esclusivamente motivi e inflessioni orientali originali e credo di aver evitato l'esotismo teatrale convenzionale.

È possibile trovare risposta negli abbozzi pervenuti della Turandot-Suite, carta 3r (n. 234) in basso a destra: "Vedi Ambros n. 11 e pagine 111 6. 18.63/64/65/69./73". Qui Busoni si riferisce al primo tomo della Storia della musica di August Wilhelm Ambros, dal quale sono tratte otto melodie 49; se si accettano le ipotesi ivi formulate da Ambros intorno alla loro provenienza, le melodie riprese da Busoni non sono soltanto "cinesi", ma anche "turche" e persino "indiane".
Sia il motivo di fanfare suonato alla fine del recitativo di Truffaldino (n. 2, atto I, quadro 2), che annuncia l'avvicinarsi dell'imperatore e che nel numero successivo viene cantato dai dottori (esempio musicale 5), sia la melodia (n. 3, atto I, quadro 2) che si sente all'arrivo dell'imperatore (esempio musicale 6) erano in origine ritenute turche:

[esempio musicale 5]


Danza e canto (n. 2, atto II, scena 3) si compone invece di una melodia turca e di una indiana. Introdotta dal ritmo del timpano piccolo, si sente la melodia turca, affidata all'oboe e accompagnata tra gli altri da un tamburello:

[esempio musicale 7]

Ambros 3 (p. 111)
Busoni:

A metà di questo numero canta un coro monodico:

Nacht wird zum Tag, schauet!
Leuchtend wird nun der Saal;
Leben, rhythmisch bewegt, wogt auf und ab.
Mädchen, freuet euch!
Bald empfängt euch der Bräutigam.
Nacht wird zum Tag.
Leben wogt in seinem Arm.
Freuet euch, freuet euch. Ah! 50

Mentre la melodia del coro, che scende gradualmente e viene affidata a lunghe note tenute, il tamburello cambia il suo ritmo in . A partire da Mädchen, freuet euch! [Sposa, destati!] il ritmo di 2/4 viene mantenuto dal coro, mentre gli strumenti seguono un ritmo di danza in 6/8, che deriva da una melodia indiana eseguita da flauti, oboi e clarinetti. Gli appunti di Busoni sulla carta 18r degli abbozzi ("/nuovo tema/ e ritmo di 6/8?") 51 fanno supporre che egli intendesse assecondare la spiegazione data da Ambros intorno alla melodia originale:

La seguente melodia esprime un'allegria infantile, simile all'allegria di fanciulle danzanti.
[esempio musicale 8]

Ambros 4 (n. 70)















Busoni:

Infine alla parola "Bräutigam" (lo sposo) gli strumenti ritornano al ritmo di 2/4 assieme alla melodia turca.
Per il tema del controindovinello e dell'indovinello finale Busoni riunisce due melodie indiane, che erano già state utilizzate nell'Appendice I della suite. Sul tema di questa composizione Busoni si era espresso con toni lievemente orientaleggianti 52:

Nella composizione teatrale il pezzo successivo collega la fine del quarto atto all'inizio del quinto. Calaf è arrestato e condotto via dalle guardie. Ciò nonostante si sente dal di fuori una fanfara che lo saluta, secondo il suo rango principesco. Uno sentimento di disperazione, accompagnato da ricordi sfuocati, lo sopraffà, per poi lasciare posto a una rassegnazione di stampo filosofico-orientale. Così interiormente fortificato, Calaf entra calmo e deciso nell'aula del tribunale su cui si leva il sipario del quinto atto.
Nella suite da concerto questo pezzo è posto tra i numeri 7 e 8.

[esempio musicale 9]

Ambros 5 (p. 69):












Ambros 6 (p. 69):

Busoni:













Il motivo di Calaf deriva dalle ultime due battute di una melodia persiana riportata dal libro di Ambros, il cui titolo Invito alla preghiera viene riportato da Busoni anche negli abbozzi della suite (cc. 8r e 9r):

[esempio musicale 10]

Ambros 7 (pp. 104, 105)












L'unica melodia cinese tratta dalla Storia della musica di Ambros costituisce il tema principale dell'opera, il tema di Turandot, che percorre l'opera intera nelle sue diverse e molteplici varianti 53.

[esempio musicale 11]

Ambros 8 (p. 34)

Accanto a melodie tratte dal libro di Ambros la Turandot di Busoni contiene materiali di altra provenienza: il primo numero del secondo atto consiste principalmente nella melodia del canto popolare irlandese Green Sleeves 54:

[esempio musicale 12]






La scelta operata da Busoni nei confronti di questa melodia va questa volta ricondotta al tradizionale uso simbolico del colore verde come segno di sventura 55:

[...] Dent ritiene che Busoni non fosse al corrente delle origini inglesi della melodia e che in qualche modo la credeva invece italiana. Ronald Stevenson ha invece stabilito che Busoni vide il motivo in un celebre manoscritto cinquecentesco di William Ballet quando visitò il Trinity College a Dublino nel 1903 ed ha anche fatto notare che la canzone era connessa originariamente a esecuzioni capitali pubbliche. Ciò offre tuttavia una soluzione solo parziale al problema. Molto probabilmente il significato di Greeensleeves (maniche verdi) sta nel colore verde e nella simbologia ad esso connessa. Busoni conosceva infatti il titolo e la provenienza della canzone. Quando infine ricevette conferma che Turandot sarebbe andata in scena a Berlino con le sue musiche, scrisse nel suo diario (9 ottobre 1910): "A casa. Uno sguardo indietro e speranza. The lady with the green sleeves" [in inglese nel testo]. E questo aspetto enigmatico ricompare più tardi nella bella copertina illustrata, disegnata da Emil Orlik per la partitura d'orchestra: al rosso, nero e oro della litografia viene aggiunto un quarto colore, allo scopo di dare a Turandot un abito con lunghe, fluenti maniche verdi. [...]

Anche alcuni temi di Busoni possono essere caratterizzati come "cinesi" o almeno come "esotici". L'aria del ritratto di Calaf (n. 3, atto I, quadro 1) viene introdotta dai violini con una figurazione pentatonica, che funge da ostinato per la prima metà del pezzo:

[esempio musicale 13]








Non bisogna però dimenticare la conclusione dell'opera: dopo il grido di gioia del Tutti (Liebe) viene suonato un alla turca, con cui Busoni si ricollega alla musica interrotta da Turandot nel primo atto dopo la soluzione del terzo indovinello. Esposta finalmente per intero, è posta a conclusione dell'opera.
Non solo nella musica, ma anche nel libretto gli elementi "cinesi" svolgono un ruolo di scarsa rilevanza. Secondo la teoria di Busoni, gli era sufficiente solo un ristretto formulario (Pechino, muraglia, Confucio, tè, ecc. ...) per comunicare il colorito geografico del luogo in cui si svolge l'azione. Un'atmosfera variopinta, vagamente esotica, era per lui più importante di una couleur locale autenticamente cinese. Si riporta qui il passo in cui Busoni descrive l'arrivo della regina madre di Samarcanda:

una negra, adornata in modo fantastico con piume di struzzo variopinte, entra in portantina, seguita da un corteo di prefiche.

Nel lamento della regina madre si sente un motivo di sospiro ritmicamente rovesciato: il repertorio sonoro della parte vocale si limita a pochi intervalli, evitando per lo più i suoni fondamentali: (La bemolle' -) Si bemolle' - Do''- Re bemolle''-Mi bemolle'' (coro delle donne) e Re bemolle''-Mi bemolle''-Fa''- La bemolle'' (regina madre). Alla connotazione pseudoesotica del lamento contribuisce anche l'intervallo di tritono che accompagna la maledizione della regina madre.

[esempio musicale 14]





5. Turandot - una fiaba teatrale

Nelle lettere citate del 21 agosto 1905 alla madre e del 6 ottobre 1906 a Egon Petri Busoni parla dela sua Turandot-Suite definendola una partitura teatrale o, ancor meglio, la musica per un dramma con cui egli intendeva illustrare la Turandot di Gozzi. Questo viene sottolineato nel saggio Sulle musiche per Turandot 56:

Nella letteratura musicale tedesca ci sono alcuni modelli classici di musiche di scena per il teatro di prosa: Egmont di Beethoven, Manfred di Schumann, Sogno d'una notte d'estate di Mendelssohn; inoltre la deliziosa semi-opera Oberon di Weber. Invece non ho conoscenza di musica italiana di questo genere e forma e posso considerare la mia musica per la Turandot di Gozzi il primo tentativo di illustrare musicalmente uno spettacolo italiano.

Busoni era entusiasta soprattutto del "carattere fiabesco dell'argomento" e così motiva il suo interesse 57:

Gozzi stesso vi ha prescritto molta musica e ne offrono l'occasione non solo i ritmi di marcia e di danza che vi compaiono spontaneamente, ma soprattutto il carattere fiabesco dell'argomento. Effettivamente un "dramma fiabesco" non è immaginabile senza musica e specialmente in Turandot, dove nessun elemento magico entra in azione, è alla musica che spetta il compito grato e necessario di rappresentare l'elemento soprannaturale e fuori dell'ordinario.

Criticando la versione data da Schiller, Busoni esprimeva la sua ammirazione per l'operato di Gozzi, capace di dar voce a particolari sfumature d'italianità 58:

Quel che per me era l'essenziale - la sensazione che si tratta sempre di un gioco, persino nelle scene che confinano con la tragedia - manca completamente in Schiller. Contribuiscono a questo effetto soprattutto le maschere, familiari agli italiani, le quali gettano un ponte tra il pubblico veneziano e l'Oriente fittizio della scena e distruggono così l'illusione che si tratti di un avvenimento reale. Questo ruolo di mediatore spetta soprattutto a Pantalone, che impersona lo spirito del veneziano e che con le sue allusioni alla città natale e le sue locuzioni dialettali ricorda costantemente l'ambiente reale circostante. Questo continuo e variopinto alternarsi di passione e di gioco, di realtà e irrealtà, di atmosfera quotidiana e di fantasia esotica è ciò che nella "fiaba teatrale cinese" di Gozzi mi ha affascinato di più.

Le intenzioni perseguite da Busoni con la sua Turandot-Suite non furono però comprese da molti contemporanei: ai loro rilievi critici Busoni usava spesso contrapporre il Flauto magico, come si vede dalla lettera alla moglie già citata del 12 marzo 1910 ("Anche la maggior parte della musica del Flauto magico è solo un'illustrazione a tenui tinte. Non si potrà certo mettere molto più in alto di così un'aria come: Der Vogelfänger bin ich ja [L'uccellator vedete qua]).
La recensione di Edward Dent a un'esecuzione della suite il 9 gennaio 1911 a Berlino con la direzione di Oskar Fried presenta coincidenze sorprendenti con le idee estetiche di Busoni 59:

Rendersi conto con chiarezza di ciò che si vuole e poi attuarlo senza pentimenti: ecco quello che ogni italiano fa per natura. La Turandot di Gozzi era descritta nel programma come una "favola cinese": sarebbe stato meglio, però, definirla una "cineseria". Non appartiene infatti alla vera Cina, ma alla Cina dell'Europa settecentesca, a noi familiare - se non per il tramite dell'Eroe cinese di Metastasio o della porcellana di Dresda - almeno attraverso certo arredamento Chippendale. Nelle sue musiche di scena Busoni ha inteso riflettere proprio quest'arte, deliberatamente distorta e grottesca. Come un decoratore inserisce un particolare ipoteticamente cinese su forme francesi rococo o barocche italiane, come Metastasio cambia Lo-Hung e Li-Sing in Loango e Lisinga che si esprimono nello stesso italiano artificioso di Didone ed Enea, così Busoni ci fa intravvedere una cornice mozartiana sotto il brillio policromatico delle sue strane armonie e delle sue ancor più strane melodie. E' abbastanza facile stupire il pubblico con "colori d'Oriente": ma realizzare per esteso uno studio sul grottesco senza un solo effetto fuori posto, senza un solo errore di proporzione, richiede un'intelligenza che sfiora quasi la genialità. Il quarto numero - Turandot's Frauengemach [Le stanze di Turandot] - è il solo che ci presenti un linguaggio musicale normale. E' strumentato per due flauti, due trombe, triangolo e due arpe, un assieme suggerito forse dall'Enfance du Christ di Berlioz. Busoni lo ha trascritto egli stesso per pianoforte come una delle nuove Elegie, ma la trascrizione, per quanto accorta ed abile, dà solo una pallida idea della meravigliosa varietà di colori ottenuta da una varietà così semplice. Il segreto della strabiliante abilità di Busoni sta probabilmente nella sua padronanza del contrappunto - non la cacofonia da quodlibet della scuola tedesca moderna, ma proprio il contappunto, secondo l'insegnamento di Cherubini. Ogni nota è al posto giusto, ogni nota risalta con chiarezza. Non c'è alcun senso di mistero, nessun compiacimento crepuscolare: è possibile seguire ogni dettaglio, se la mente è sufficientemente allenata, e non c'è veramente alcuna possibilità di sottrarsi, lo si voglia o no, quando imperversano le implacabili e insistenti figurazioni ritmiche di Busoni. Il compositore stesso sarebbe il primo ad ammettere di aver imparato molto da Liszt: ma ha imparato da lui quel che ammiratori meno giudiziosi avevano trascurato. Ha avuto il discernimento di studiare Liszt senza prenderlo troppo sul serio e invece di imitarne l'epidermica emotività e l'ostentazione barbarica ha assorbito solo il meraviglioso senso degli effetti coloristici e l'infallibile sicurezza d'effetto, il che significa che ogni nota è esattamente al posto giusto e che non c'è una sola nota di troppo. E' in questo senso che Busoni dimostra di essere italiano e dalla parte dei classici.

L'ultima frase corrisponde sorprendentemente con quanto Busoni aveva dichiarato a proposito di Gozzi in una lettera alla madre del 21 agosto 1905, e cioè che Gozzi apparteneva al classicismo italiano. L'intervento critico di Edward Dent suscitò grande entusiasmo in Busoni 60:

Berlino, 10.5.1911
[...] la critica sulla Turandot è la più assennata, che fù [sic] scritta a proposito di questa composizione e - ciò che ne prova maggiormente la giustezza - è il fatto curioso, che molte delle opinioni espresse nell'articolo si possono riferire profeticamente all'opera la Sposa sorteggiata.
Nessuno dei critici berlinesi comprese ciò che Ella giustamente chiama the Mozartian framework, né compresero la ben definita derivazione da Liszt, né scoprirono la sorgente nell'Enfance du Christ.[...]

Sulla base dell'originale in cinque atti di Gozzi Busoni creò un'opera in due atti 61, che trae elementi importanti da ogni atto dell'originale gozziano e che dispone di uno svolgimento rettilineo della trama. Il primo atto consiste nella scena dell'incontro tra Calaf e Barach, primo atto della Turandot di Gozzi, e nella scena degli indovinelli e del controindovinello, che costituisce il secondo atto della fiaba gozziana. Per formare l'azione del secondo atto dell'opera vennero scelte dal terzo, quarto e quinto atto della commedia di Gozzi le scene nelle stanze di Turandot, gli intrighi per conoscere i nomi di Calaf e Timur, il tentativo di Altoum di convincere Turandot, la soluzione all'indovinello posto dal principe e la metamorfosi finale di Turandot. La scelta degli eventi si limita a una campionatura piuttosto ristretta. Dei numerosi intrighi dell'originale gozziano sono conservati solo quelli di Adelma e Truffaldino: i primi sono modificati, mentre i secondi sono solo narrati, invece di essere rappresentati, come avviene in Gozzi. Effettivamente l'azione nel libretto busoniano si compie secondo un principio di "condensazione", come indicano le riflessioni che seguono 62:

Come la "condensazione" (Schlagwort) è preziosa per il testo di un'opera fitta di avvenimenti, così - in forma mutata - può essere riportata, in genere, all'azione. Di fronte alla musica si tratta piuttosto più di creare una situazione che non di motivarla logicamente. Una condensazione nell'azione sarebbe per esempio l'entrata del rivale. Nel nuovo personaggio lo spettatore riconosce immediatamente la figura del rivale. Con ciò la situazione è creata. Non importa sapere da dove viene e chi è.

Anche se queste dichiarazioni non hanno alcun diretto riferimento a Turandot, è possibile immaginare con facilità perché Busoni abbia tralasciato alcune scene che nell'opera avrebbero potuto creare interessanti situazioni dal punto di vista drammatico-musicale: ad esempio la lettura della legge prima degli indovinelli (che in Puccini compare addirittura due volte) o la motivazione del comportamento di Turandot (a questo scopo Puccini compose In questa reggia per la protagonista). Ambedue le scene furono rappresentate da Busoni in forma abbreviata, ricorrendo a un dialogo tra Calaf e Barach all'inizio dell'opera: già prima del suo arrivo a Pechino Calaf aveva sentito parlare di questa "sciocca favola". Quando Turandot si presenta in scena, il suo comportamento non è in alcun modo motivato, senza chiarire se si tratta di puro arbitrio, come in Gozzi o, più in generale, del desiderio di ergersi a paladina di tutto il sesso femminile, come in Schiller. Frutto di questa stessa "condensazione" possono essere considerati anche i numerosi luoghi in cui, invece di un testo, appaiono solo vocalismi: si pensi al "la" dei cantanti nel n. 1 (atto II, quadro 3), "o" per il pianto nel lamento al n. 2 (atto I, quadro 1) e per Barach al n. 1, quando rivede Calaf (atto I, quadro 1), come pure "La tra-la-la, Schrum tu-tu-tum" ecc. delle maschere in diversi numeri.
Mentre Puccini aveva lungamente lavorato al duetto amoroso per il finale di Turandot allo scopo di rendere convincente la metamorfosi della protagonista, Busoni si curò poco di quest'aspetto e fece semplicemente in modo che Turandot confessasse il suo amore a Calaf, come accade in Gozzi. Perché 63:

nella cornice dell'opera [il duetto d'amore] dà origine a una situazione che in qualsiasi costume, in qualsiasi epoca, in qualsiasi ambiente, mostra sempre la stessa ben nota fisionomia (così è l'amore!) che non interessa a nessuno; meno di tutti ai due amanti stessi, i quali non possono sentire alcuna commozione perché le loro personali esperienze insegnano loro tutt'altro! [...] Non è tema d'arte l'amore; è questione che riguarda la vita. Chi è incline ad esso lo sperimenti, ma non lo descriva, non lo legga descritto e soprattutto non lo metta in musica. [...]

Come già in precedenza l'elaborazione di nuovi indovinelli per la rappresentazione weimariana di Turandot aveva sollecitato l'immaginazione poetica di Goethe e Schiller, così anche Busoni ideò nuovi indovinelli per la sua opera, di notevole importanza per la comprensione del suo lavoro. Nel primo indovinello si richiede la "ragione umana", nel secondo l'"usanza", nel terzo l'"arte". Nella formulazione dei tre indovinelli si attua un meccanismo di progressivo incremento per quanto riguarda dettato del testo e strumentazione. Mentre i primi due indovinelli vengono declamati come un recitativo, per il terzo indovinello Busoni diede la preferenza a una linea di canto condotta cromaticamente. La melodia interrotta da pause, dai respiri brevi, sottolinea sia la drammaticità della scena sia la strumentazione, sempre più consistente da un indovinello all'altro. Il controindovinello del principe alla fine del primo atto viene messo in musica come un canone e si conclude con una triplice indicazione di Piano (ppp) alla parole Wer [Chi]. La felicità creativa di Busoni nell'escogitare nuovi indovinelli raggiunge il suo culmine nel finale del secondo atto, quando Calaf, Turandot e il coro si pongono vicendevolmente lo stesso indovinello, risolvendolo immediatamente. Questo Finale a indovinello riprende musicalmente il canone del controindovinello del primo atto e, assieme ai tre indovinelli di Turandot, mette finalmente in luce l'atteggiamento di assoluta serietà con cui Busoni affrontò la rielaborazione di Turandot:

Kalaf, Turandot und Chor:
Was ist's, das alle Menschen bindet,
vor dem jedwede Kleinheit schwindet,
wogegen Macht und List zerschlägt,
das Geringe zum Erhabnen prägt,
das treibt den Kreislauf der ew'gen Weiten,
umschliesst die Gegensätzlichkeiten,
das über dauert alle Triebe,
das uns vereinte: ist die Liebe! 64

Alcuni personaggi dell'originale gozziano - Zelima, Schirina e Timur - vengono completamente eliminati: quest'ultimo, pur venendo menzionato da Calaf e Barach (n. 1, atto I, quadro 1), non compare mai sulla scena. Barach, il "confidente" di Calaf, lo si vede solo nella scena dell'incontro nella prima scena; egli non ha parte alcuna nella soluzione del controindovinello di Calaf e così viene a cadere la sua funzione di servo fedele che lo caratterizza nella commedia gozziana 65. Turandot apprende il nome del principe da Adelma, la sua "confidente", che immediatamente, fin dal primo sguardo riconosce Calaf, il sogno della sua giovinezza (n. 7, atto I, quadro 2):

Adelma (für sich)
Das ist ja jung Kalaf, der Traum meiner Schulzeit,
er gefällt mir noch immer!
ich gewinn' ihn mir zurück. 66

Anche senza mettersi direttamente in contatto con Calaf, Adelma tesse in Busoni intrighi non meno efficaci che in Gozzi, tradendo il nome di Calaf un po' per riottenere la libertà e un po' per poter avere Calaf per sé. Allo scopo di convincere Turandot della propria lealtà, le fornisce una precisa ragione (n. 7, atto II, quadro 3):

Adelma (gepresst)
Er hat mich einst verlacht,
als ich, ein Kind, die Arme nach ihm streckte...
ich hab' es nie verwunden!
Nun ist an mir die Reihe, ja, nun ist's an mir,
nun ist's an mir, willigt ein!

Turandot
Du hast gelitten...l! Du hast erduldet...!
das macht allein dich zur Fürstin (zärtlich)
Sei fortan meine Schwester.

Adelma
O Dank (beiseite) O mein Triumph!
Und jetzt, Prinzessin Turandot,
Süsseste Schwester, horch auf...
(Sie flüstert Turandot in das Ohr) 67

Il carattere intrigante e civettuolo di Adelma viene alla luce con evidenza nel Finale: anche dopo il fallimento dei suoi piani non intende affatto deporre le proprie speranze (n. 9, atto II, ultimo quadro):

Adelma
Geduld, Geduld (leicht) ich werd' mir einen andren suchen. (ab) 68

Ismael, lo sfortunato precettore del principe di Samarcanda, viene sostituito dalla regina madre: l'unico ruolo introdotto ex novo da Busoni nell'opera è anche il solo che si possa considerare assolutamente tragico. La carta 13r degli abbozzi (n. 299) documenta l'idea originale di Busoni per il lamento della regina madre (n. 2, atto I, quadro 1):

Samarcanda - eco - flauti e timpani

Invece di "Samarcanda" la regina madre è definita nell'opera "una negra", fatto che va probabilmente messo in relazone col ruolo di Monostato nel Flauto magico. Effetti musicali d'eco si trovano tra la regina madre e il coro delle donne, posto prevalentemente fuori scena; "flauti e timpani" riprendono in quest'occasione la melodia e il ritmo dell'inizio dell'opera. Il contenuto del testo e la funzione di questo ingresso ricordano dappresso la regina della notte nel Flauto magico. Nella loro aria entrambe le madri piangono la scomparsa del figlio e lasciano a un principe il ritratto di una bella principessa, di cui questi si innamora immediatamente: per salvare la principessa, il principe deve portare a termine tre incarichi. Inoltre la regina madre costituisce una sorta di equivalente drammatico al ruolo dell'imperatore Altoum: la costellazione dei personaggi riproduce simmetricamente l'antagonismo tra la regina della notte e Sarastro nel Flauto magico di Mozart.
L'imperatore cinese Altoum è contraddistinto da elementi sia tragici che comici. I primi vengono rappresentati nella fastosa marcia trionfale che accompagna la sua entrata in scena (n. 3, atto I, quadro 2): le sue arie Altoums Gebet (n. 4, atto I, quadro 2), Altoums Warnung (n. 6, atto II, quadro 3) sono una sorta di caratterizzazione in musica di un solenne imperial genitore. La scena corale è in Fa maggiore, la stessa tonalità del coro al momento dell'ingresso di Sarastro: è assai evidente anche il modo in cui Busoni riprende alcune inflessioni dell'aria In diesen heil'gen Hallen nelle arie di Altoum. L'elemento comico si manifesta generalmente nel corso del colloquio con altri personaggi - Turandot, Calaf o le maschere - e tende a ribaltarsi improvvisamente nella tragicità, come si vede nel suo ingresso in scena (n. 3, atto I, quadro 2):

Altoum:
Das Zeremoniell wirkt immer erhebend. Dank, danke, meine Lieben!
Aber seht, Kinder, hier drinnen nagt ein Druck, der mir selbst die schöne Hofetikette verleidet. Denn seht, Kinder, ich kann nicht anders, ich muss meine Tochter lieben: aber ich bin nicht für Grausamkeiten geschaffen!

Pantalone:
Euer Majestät Herz ist wie Fliesspapier in Honig getränkt -

Tartaglia:
Ba, Ba, Baumwolle mit Schmalz -

Altoum (vorwurfsvoll):
Pantalone?... Tartaglia?... (die beide ducken sich)
Ach wie lange soll ich dem noch zusehen? Es bringt mich vorzeitig unter die Erde 69.

Dopo che Calaf ha risposto alla domanda di Altoum sulla sua provenienza semplicemente con "Sire, ein Märchenprinz" ["Sire, un principe"], Altoum dice: "(für sich): Es scheint, der ist ein ebensolcher Starrkopf als meine Tochter. ["(a parte) Mi pare testardo quanto mia figlia"].
Questa risposta di Calaf ricorda pari pari il modo in cui Tamino si presenta a Papageno. In effetti il carattere fiabesco della Turandot di Busoni, come indica l'indicazione di genere una fiaba cinese [eine chinesische Fabel], deriva essenzialmente dalla figura del principe Calaf. Subito dopo la sua entrata in scena, dialogando con Barach, Calaf definisce una "fiaba" questo tipo di reclutamento dello sposo: grazie a un comportamento spiccatamente giovanile la figura di Calaf assume tratti da principe delle favole. Le indicazioni registiche alla prima entrata in scena di Calaf così recitano: Er sprengt herein vor das Tor; poi Calaf canta "Peking! Stadt der Wunder"! [...] 70. Busoni usa spesso il termine ragazzo [Knabe] in relazione al principe e ciò gli conferisce un carattere tanto allegro e leggero quanto solenne ed eroico. Nel n. 7 (atto I, quadro 2) quando Turandot è entrata in scena, si trova: "Kalaf (knabenhaft): Sie kommt!" 71; la prima impressione che Turandot riceve da Calaf è "Seltsam wirkt des Knaben Gesicht, [...]" 72. Nel Finale II, dopo che Turandot ha svelato la sua provenienza, Calaf non commette suicidio, ma sente la propria giovinezza come un bene più prezioso che mai: "Verloren! ach verloren! So laßt mich ziehen! Im Wirrsal des gefehtes such' ich den Tod [..] vielleicht Vergessenheit [...] noch bin ich jung! lebt wohl! lebt alle wohl! (wendet sich zum Gehen)" 73.
Il motivo di Calaf (esempio musicale 2) si sente risuonare per la prima volta alla prima apparizione del principe (n. 1, atto I, quadro 1): esso rimane per tutta l'opera connesso alla sua persona e al suo nome. Questo motivo appare nel momento in cui Adelma riconosce il principe (n. 7, atto I, quadro 2), come pure alla fine del suo duetto con Turandot (n. 7, atto II, quadro 3), dove l'orchestra realizza il tono sussurrato della sua voce 74. Nel Quartetto (n. 6, atto I, quadro 2) Calaf sottolinea per ben tre volte la propria decisione: "Tod oder Turandot; von beiden eines, nicht ein Drittes!" 75. Come si vede nel luogo corrispondente degli abbozzi, il motivo variato del principe delle favole è affidato per le prime due volte a fagotti e archi (Re maggiore e Fa maggiore).
Il carattere tragicomico, lievemente dissimulato, di Turandot viene realizzato essenzialmente trattando in modo adeguato il tema che le corrisponde. Si avverte per la prima volta il tema di Turandot in forma variata nell'aria del ritratto di Calaf (n. 3, atto I, quadro 1), ma anche al momento della vera entrata in scena di Turandot. Solo allora il tema è fornito di un testo cantato dalla protagonista, ove si parla della positiva impressione prodotta da Calaf in lei; il testo è più tardi ripetuto dal coro. Alla fine del coro, in corrispondenza a "Sein Tod wird auch mein Tod", 76 si sente il motivo di Calaf affidato ai tromboni: da una parte si fa velatamente cenno al rapporto tra Turandot e Calaf, dall'altra si anticipa il riconoscimento di Adelma che avviene un paio di battute più avanti. Questo modo di utilizzare il tema di Turandot - che non solo accompagna il suo personaggio, ma che tradisce il suo sentimento dimidiato nei confronti di Calaf ed anche il futuro svolgimento dell'azione - dimostra sin dall'inizio che neppure Turandot è un personaggio autenticamente tragico. Infatti il personaggio en titre perde il suo carattere tragico a causa del suo sentimento di simpatia, continuamente evocato, verso il principe straniero, che non si rintraccia solo nel punto citato, ma che trova espressione anche nell'intero n. 3 del secondo atto, Recitativo e Aria. Questi passi preparano la confessione del suo amore nel Finale II, che sembra sentito assai più in profondità che in Gozzi:

Turandot:
Ja, ich selbst, deren Seelenstarrheit du brachest,
ja ich, ich selbst!
[...]
Nur scheintot lag mein Herz. -
[...]
nun schlägt es jauchzend.
[...]
Du hast's erweckt, und dir gehört es zu.
Kalaf, Timurs Sohn, nicht mehr, nicht mehr ein fremder Prinz! 77

Delle quattro maschere della commedia dell'arte presenti in Gozzi, solo Brighella è eliminato: le altre tre maschere non solo conservano i loro nomi, ma risultano anche essere tre personaggi indipendenti, cui vengono assegnate importanti funzioni drammaturgiche nell'àmbito dell'opera. Mentre nella suite solo Truffaldino viene caratterizzato musicalmente, nell'opera anche Pantalone e Tartaglia vengono introdotti in versione canora. Benché entrambi siano dei ministri, colpisce subito, sin dal loro primo ingresso, la loro caratterizzazione individuale nel solco tracciato dalla commedia dell'arte: il commerciante veneziano Pantalone si differenzia con chiarezza dal balbuziente Tartaglia, come si vede ad esempio nel dialogo tra il n. 3 e il n. 4 (atto I, quadro 2):

Pantalone:
Bei uns, in Italien, Majestät, da ist jedermann entzückt, wenn's auf dem Theater mit Mord und Totschlag zugeht. Aber ich sehe ein, dass es von grausigem Geschmack zeugt.

Tartaglia:
Liebe Mama-Majestät, ich kenn' ein englisches Stück, darin ein pechschwarzer Neger eine lilienweisse Dame umbringt 78. Da-da-das ist aber Zucker und Marzipan gegen eine Prinzessin, die sieben Männer hi-hi-hintereinander hi-hi-hinrichten läßt 79.

Nel commentare l'entrata in scena di Turandot (n. 7, atto I, quadro 2), Pantalone si riferisce direttamente a Venezia ("Möchte lieber gar auf einem Bein auf der Spitze stehen des Markusturms, als in dieses lieben Jungen Hosen stecken") 80. Il tono caricaturale, che vale a contrassegnare le maschere della commedia dell'arte, si riflette anche nelle indicazioni registiche e anche nei testi variamente affidati a Pantalone e Tartaglia. Nel terzo quadro del secondo atto i due accompagnano l'imperatore Altoum, che cerca di convincere Turandot a concedere la sua mano al principe straniero:

(Altoum tritt ein. Ihm sind Pantalone und Tartaglia gefolgt, die hinter der Tür, vom Publikum sichtbar, neugierig verbleiben.)

Altoum:
Mein Kind!...

Turandot (zurückhaltend):
Was befiehlt mein kaiserlicher Vater?

Pantalone (von der Tür her):
Die Kröte!

Tartaglia:
Die Ka-ka-kanaille!

[...]

Turandot:
Mein Vater, ich kenn' die Namen - kenn' die Namen nicht; ... das soll, morgen, vor dem Diwan sich erweisen.

Altoum (aufgebracht):
Halsstarrige!

Pantalone:
Jetzt kriegt sie's.

Altoum:
Unwissende.

Tartaglia:
Er kommt in Aff-affekt.

Altoum:
Ehrlose! (er wird ganz Majestät) So - 81

Mentre Pantalone e Tartaglia entrano in scena sempre in coppia, Busoni conferisce a Truffaldino, "capo degli eunuchi", un carattere grottesco del tutto a sé. Già nella suite si trova il n. II, che è inteso esclusivamente a caratterizzare musicalmente Truffaldino. Questo numero, intitolato Truffaldino (Introduzione e marcia grottesca) viene trasformata nell'opera nell'aria d'ingresso di Truffaldino (n. 1, atto I, quadro 2). In questo numero Truffaldino riferisce dapprima del suo fallito tentativo di carpire al principe il suo nome per mezzo di una radice miracolosa, scena che non si trova in nessun'altra opera su soggetto di Turandot; dopo il rimprovero di Turandot canta poi con evidente autoironia la seconda parte. Negli abbozzi dell'opera si trovano parecchie carte cui Busoni affidò le proprie idee iniziali sul ruolo di Truffaldino. La carta 10r (n. 299) contiene un abbozzo della seconda aria di Truffaldino:

Trufffaldino: I. Servilismo
II. tempo 3/4
III. sequenza
- (dialogo)
IV. tempo 2/4
marcia in minore
Truffaldino rimane se stesso
per invidia diventa sempre più giallo
uomo d'ingegno
abile e acuto
che muta candidamente
che tratta severamente
Il vostro più fedele e sottomesso schiavo! 82

Una caratterizzazione musicale di Truffaldino, la cui musica in tempo 3/4 si serve di un modello ripetuto di frase, è pervenuto nella carta 16r (n. 299) degli abbozzi. Nello stesso foglio Busoni annotò la progettata evoluzione armonica della scena, solo in parte modificata, ove Turandot, furente per il fiasco di Truffaldino, lo rimprovera:

Turandot (appass.) La bemolle-Fa diesis-Mi bemolle-Re bemolle-Re-Si-La bemolle 7-Si bemolle 7

Nella parte della marcia emerge il ritmo , che ricorda il ritmo dell'aria d'ingresso di Truffaldino.
L'idea fondamentale di Busoni per il ruolo di Truffaldino è pervenuta con chiarezza grazie a un abbozzo 83:

Truff. davanti al sipario
col carnefice
fa la spia
campanelli

Queste quattro idee si trovano effettivamente rielaborate nell'opera nelle scene seguenti, in identica successione: 1) "davanti al sipario" viene cantata l'aria d'ingresso (n. 1, atto I, quadro 2); 2) "col carnefice" lo si vede nel n. 8 (atto I, quadro 2): dopo che Turandot si è tolta il velo, Calaf è talmente abbagliato dalla sua bellezza che non riesce immediatamente a rispondere al terzo indovinello e per questo motivo Truffaldino si affretta ad introdurre il carnefice; 3) "fa la spia" è riferito alla prima parte del n. 5 (atto II, quadro 3), e 4) con dei "campanelli" Truffaldino suona a ogni indovinello di Turandot.
Se la si confronta alle altre due maschere, l'importanza della parte di Truffaldino risulta evidenziata non solo dal fatto che gli sono attribuite ben due arie, ma anche perché il motivo della sua aria d'ingresso ricompare nel secondo atto, quando Truffaldino ritorna in scena per la seconda volta (n. 4). Questo motivo si trova su una carta degli abbozzi (25r) il cui contenuto (corrispondente alla fine del terzo atto della Turandot di Gozzi) fa sospettare che molto probabilmente si tratti di un abbozzo per la suite rimasto poi inutilizzato:

Scena 7: Truffaldino è giunto poco a poco più vicino, ha occupato le uscite, infine esce, tenendo con gesti esagerati la spada al petto di lui. [...] Schizzo per la fine del terzo atto.

Il carattere malvagio e sottomesso del negro Monostato nel Flauto magico è presente anche in Truffaldino, i cui campanelli suonati prima di ogni indovinello vanno certamente connessi al Glockenspiel di Papageno. La declamazione delle sue due arie riprende chiaramente determinati moduli dell'opera buffa, come ad esempio l'aria di Osmino nel Ratto dal serraglio. Va sottolineato che, dando vita ai tre personaggi della commedia dell'arte, Busoni appalesò con grande chiarezza l'originaria componente culturale italiana, come dimostrano i passi già citati di Pantalone e Tartaglia e soprattutto la figura di Truffaldino. Il testo della sua aria d'ingresso costituisce un caso interessante di componimento librettistico composto sì in lingua tedesca, ma la cui configurazione formale dei versi è però precipuamente radicata nell'ottonario italiano (n. 1, atto I, quadro 2):

Rechts zunächst der große Thron, -
Links darauf der kleine Thron, -
In die Mitte stellt acht Sessel
Für der Richter Weisheitskessel, -
Kehrt mir flink den Boden rein,
Leget Teppich', groß und klein,
Macht, daß Lampen sei'n bereit
Zur Erhellung dunkler Zeit;
Hurtig, nicht den Takt verlieren,
Wollt ihr's nicht am Hintern spüren,
Regt die Beine, spannt die Schenkel,
Schurken, Diebe, faule Bengel!
[...] 84

6. CONCLUSIONE

Un abbozzo di Busoni per la Turandot-Suite illustra il concetto fondamentale delle sue composizioni sul soggetto di Turandot 85:

Quasi introd: Scena crudele [l'aggettivo "crudele" è eraso, sostituito da] cupa
all'inizio
I tre indovinelli 86
Amore e bellezza
Per anelli concentrici alla
gioia e alla soluzione
accanto: marce arab. caratteristiche e musiche di danza
comicità delle maschere
tema "dell'Oriente"

Nel saggio Sul futuro dell'opera (1913), che costituisce uno degli ingredienti essenziali del libro Abbozzo di una nuova estetica della musica, Busoni aveva scritto 87:

Quanto alla questione del futuro dell'opera, bisogna conquistare la chiarezza anche su questo quesito: "In quali momenti la musica è indispensabile a teatro?" Ecco la risposta precisa: nelle danze, nelle marce, nelle canzoni e quando nell'azione interviene il soprannaturale.

L'idea busoniana che l'opera dovesse rappresentare il soprannaturale e l'innaturale e che allo spettatore non fosse concesso partecipare a tutto ciò che avveniva sulla scena si riscontra anche nel saggio Sul futuro dell'opera (1913) e più avanti nell' Abbozzo di un'introduzione alla partitura del "Dottor Faust" con alcune considerazioni sulle possibilità dell'opera (1921). In quest'ultimo vengono sviluppate altre, ulteriori riflessioni sulla creazione di un'opera in musica 88:

Mi sovviene di un solo esempio che si avvicina moltissimo al mio ideale ed è il Flauto magico. Esso riunisce in sé l'elemento educativo, spettacolare, sacrale e divertente: al che una musica affascinante si aggiunge, o piuttosto si libra su tutto e tutto comprende. Il Flauto magico è secondo me l'opera per antonomasia e mi son sempre meravigliato che almeno in Germania non sia stata piantata come l'indicatore stradale dell'opera in genere. [...] Schikaneder ha saputo concepire un testo che conteneva già in sé la musica e la evocava. Già il flauto incantato e i campanelli magici sono elementi musicali, destinati al suono. Ma oltre a questo, con quale accortezza sono disposte nel testo le voci delle tre donne e dei tre ragazzi; come il "miracolo" adesca la musica, come la "prova dell'acqua e del fuoco" conta sulla magia evocatrice dei suoni; e i due guardiani armati davanti alla porta della prova ammoniscono su ritmi di un antichissimo corale! Qui spettacolo, moralità e azione si congiungono per suggellare il loro legame nella musica.[...]
Questa condensazione di parola e d'azione è uno strumento prezioso per l'opera perché si presume che chi assiste a tale spettacolo debba contemporaneamente guardare, pensare e ascoltare. Uno spettatore comune (e il pubblico si compone, all'ingrosso, di spettatori comuni) è in grado però di perseguire solo una di queste tre attività alla volta. Perciò questo contrappunto della richiesta attenzione dev'essere semplificato in modo che parole e musica si ritirino in secondo piano là dove ha la parte principale l'azione (per esempio un duello); che musica e azione rimangano nello sfondo quando viene espresso un pensiero e che azione e parola si tengano entro limiti più modesti là dove la musica svolge la sua trama. L'opera è infatti spettacolo, poesia e musica in un tutto unico. L'elemento sonoro e quello visivo hanno in essa una tale importanza che quella caratteristica la differenzia già nettamente dal dramma parlato, il quale sussiste senza bisogno di spettacolo e di musica. Già per questo motivo la limitazione del testo è condizione necessaria.

Benché nessuno dei due saggi prenda direttamente in considerazione Turandot, questa corrisponde perfettamente all'ideale tipologia proposta dall'estetica operistica di Busoni. Il soggetto fiabesco, la trama dell'opera basata sulla suite e costruita rispondendo a criteri di "condensazione", i numeri chiusi e il cangiante equilibrio tra musica, commedia ironica e profondità filosofica rispecchiano il concetto busoniano di opera in musica come forma artistica dotata di riflessività. Che prima di decidersi a comporre Turandot in veste operistica Busoni si sia interessato in profondità al Flauto magico è dimostrato dall'influsso non trascurabile esercitato dall'opera mozartiana su questa composizione 89:

Proprio durante il cambiamento di temperatura (l'unico cambiamento cui si assista qui), ho studiato ancora una volta a fondo la partitura del Flauto magico. Delizioso com'è, è tuttavia inferiore - nel complesso - ad altri lavori dello stesso Mozart.
In tre punti è superiore alle opere precedenti: nell'Ouverture, nella sonorità della prima entrata dei tre fanciulli e nell'atmosfera mistica dei due uomini armati; per il resto la melodia è più generica e meno nobile di quanto siamo abituati con lui, e tutto l'insieme è quasi "allo stato d'abbozzo". La tragica Regina della notte che si mette improvvisamente a gracchiare mi ricorda il "System of Prof. Tarr and Dr. Fether" di Edgar Allan Poe. Ma la suprema semplicità con cui sono risolti tanti problemi è, come sempre, sorprendente.
A me, personalmente, fa bene al cuore quella qualità latina che fa trattare l'arte con distaccata serenità, dando la preferenza alla forma esterna. [...]

La leggerezza e l'artigianale facilità che caratterizzano l'elaborazione di quest'opera, dichiarate da Busoni stesso, derivano forse dal fatto che l'argomento di Turandot offrì al compositore un'opportunità particolarmente adatta per attuare la sua idea di opera in musica. Se Busoni ricreò agevolmente la sua Turandot secondo lo spirito dell'italiana commedia dell'arte, ebbe però difficoltà a reperire un pubblico in grado di comprenderla: proprio com'era già accaduto a Friedrich Schiller, rielaborando la Turandot di Gozzi 90.

(traduzione dal tedesco di Maria Giovanna Miggiani)
Note

1 Prologo della Turandot di Busoni ("Altoum parla:/ Dal remoto, estremo oriente/ Si presenta Altoum, sovrano di teatro,/ La fiaba lo ha messo in trono,/ e lo ha dotato di più d'un lusso splendido:/ Ché splendida più di scettro e di corona brilla / Al fianco suo la figlia Turandot.// Certo si dice del bel coro di fanciulle/ Che tutti i cuori sono misteriosi;/ Ma questo ha uno spirito sì acuto,/ S'è messo in capo così tanti enigmi,/ Che più d'un pretendente, fallendo, è morto")

2 Cfr. Kii-Ming Lo, "Turandot" auf der Opernbühne, Frankfurt-Bern-New York, Peter Lang 1994.

3 Cfr. Kii-Ming Lo, Ping, Pong, Pang, Die Gestalten der Commedia dell'Arte in Busonis und Puccinis "Turandot"-Opern, in Die lustige Person auf der Opernbühne (Atti del congresso di Salisburgo, 1993), in corso di stampa.

4 Pubblicata da Breitkopf & Härtel nel 1906 a Lipsia.

5 Ferruccio Busoni Selected Letters, tradotte, edite e con un'introduzione di Anthony Beaumont, London/Boston 1987, n. 54; traduzione italiana: Ferruccio Busoni, Lettere con il carteggio Busoni-Schönberg, scelta e note di Anthony Beaumont, edizione italiana riveduta e ampliata a cura di Sergio Sablich, traduzioni di Laura Dallapiccola, Milano, Ricordi/Unicopli ("Le sfere 10") 1988, p. 132, n. 64.

6 Anthony Beaumont asserisce che la proposta provenne da Busoni e venne accettata da Max Reinhardt, senza però portare prove più circostanziate a sostegno di questa tesi, cfr. Anthony Beaumont, Busoni the Composer, Bloomington 1985, p. 84.

7 Cfr. Beaumont, Busoni the Composer cit., p. 84.

8 All'inizio dell'edizione di Vollmoeller così si trova scritto: "Tutti i diritti riservati. Stampato privatamente per i teatri e le associazioni. Il diritto di esecuzione, con la musica di Busoni, si acquista unicamente da S. Fischer editore, Bülowstraße 90, Berlino ovest. Copyright S. Fischer editore, Berlino, 1911".

9 Cfr. Hans Jelmoli, Ferruccio Busoni Zürcherjahre, "Hundertsiebzehntes Neujahrsblatt der Allgemeinen Musikgesellschaft", Zurigo 1929.

10 L'altro pezzo è Il canto di Mefistofele dal "Faust" di Goethe, cfr. Jürgen Kindermann, Thematisch-Chronologisches Verzeichnis der Werke von Ferruccio Busoni, Regensburg 1980, nn. 277 e 278.

11 Questa rielaborazione viene spesso erroneamente indicata dalla letteratura critica come composizione destinata alla rappresentazione reinhardtiana di Turandot nel 1911, cfr. ad esempio Hans Heinz Stuckenschmidt, Ferruccio Busoni, Zeittafel eines Europäers, Zürich 1967, p. 38 e Sergio Sablich, Busoni, Torino 1982, p. 161.

12 Cfr. Edward Dent, Ferruccio Busoni, a Biography, London 1966 (prima ed.: 1933), p. 152.

13 Ferruccio Busoni Selected Letters cit., n. 49; trad. it. Busoni, Lettere... cit., p. 126, n. 59. Sulla prima pagina degli schizzi per la suite conservati presso la Staatsbibliothek di Berlino (Preußischer Kulturbesitz, Musikabteilung mit Mendelssohn-Archiv), sotto la collocazione (lascito Busoni n. 234) si trova la seguente annotazione: "Egon: Suite/ Concerto secondo pianoforte/ Studiare il concerto. Io: Concerto corretto/ Studiare/ versione orchestrale a/b". Gli altri schizzi di Busoni per le sue composizioni su Turandot vennero successivamente rielaborati.

14 Cfr. Ferruccio Busoni, Briefe an seine Frau, a cura di Friedrich Schnapp, Zürich/Leipzig 1935, passim; traduzione italiana: Ferruccio Busoni, Lettere alla moglie, a cura di Friedrich Schnapp, traduzione e prefazione di Luigi Dallapiccola, Milano, Ricordi ("Le voci") 1955.

15 Ferruccio Busoni Selected Letters cit., n. 50; trad. it. Busoni, Lettere... cit., p. 127, n. 60.

16 Nel libretto che Busoni stesso scrisse più tardi per Turandot non si trova il ruolo di Brighella, mentre è invece presente quello di Tartaglia.

17 Lettera di Busoni a Mahler del 28 maggio 1910. Sulla reciproca stima e amicizia intercorsa tra i due cfr. Jutta Theurich, Briefe Gustav Mahlers an Ferruccio Busoni, "Beiträge zur Musikwissenschaft", XIX, fasc. 3 (1977), pp. 212-213.

18 Busoni, Lettere alla moglie cit., pp. 146, 152 e 172.

19 E' tuttora irrisolta la questione se questa "piccola guida" costituisca la forma preparatoria del saggio di Busoni Sulle musiche per Turandot.

20 Fino al 9 aprile 1912 la messa in scena di Reinhardt ebbe 52 repliche. Più tardi a Reinhardt venne spesso l'idea di rimettere in scena Turandot, che però non giunse a realizzazione; si veda Heinrich Huesmann, Welttheater Reinhardt: Bauten, Spielstätten, Inszenierungen, München 1983, p. 162 e ss., n. 575, 1307, 1473 ecc.. Solo dopo la morte di Busoni, nel 1926, ebbe luogo a Salisburgo una seconda messa in scena reinhardtiana di Turandot, senza però utilizzare la musica di Busoni.

21 Il giornale esce in occasione delle prime ed inoltre a seconda della necessità. Il saggio di Busoni si trova in I, n. 16 (27 ottobre 1911), pp. 83-84. Il fascicolo contiene inoltre saggi su Gozzi, chinoiserie, ecc. di Vollmoeller, Stern ed altri per la rappresentazione teatrale.

22 Berlin 1922, traduzione italiana in Ferruccio Busoni, Lo sguardo lieto. Tutti gli scritti sulla musica e le arti, a cura di Fedele D'Amico, traduzioni dal tedesco di Laura Dallapiccola, Luigi Dallapiccola e Fedele D'Amico, Milano, Il Saggiatore ("La cultura. Saggi di arte e letteratura 47") 1977, pp. 187-189.

23 Siegfried Jacobsohn, Turandot, nel suo Das Jahr der Bühne, Berlin 1912, 2 voll: vol. I, pp. 64-71 (il passo citato è alle pp. 64-65).

24 Busoni, Briefe an seine Frau cit.; trad. it. Busoni, Lettere alla moglie cit., p. 209.

25 In italiano nel testo.

26 Ferruccio Busoni Selected Letters cit., n. 224; trad. it. Busoni, Lettere... cit., p. 350, n. 250. Si veda anche il saggio Arlecchino Werdegang, Roma, aprile 1921 in Busoni, Von der Einheit der Musik cit., pp. 298-303.

27 Ferruccio Busoni Selected Letters cit., nn. 225, 228 e 231; trad. it. Busoni, Lettere... cit., pp. 351, 354 e 358 (nn. 251, 254 e 258). L'unica datazione negli abbozzi si trova a p. 13r (lascito Busoni n. 299): "19.1.1917 a) Il quartetto già abbozzato b) Fine della prima scena c) ingresso e scena di Turandot".

28 Cfr. le lettere di Busoni alla moglie del 2 ottobre 1919 e del 22 ottobre 1919 da Londra, in Lettere alla moglie cit., pp. 262 e 268-9; si veda anche Beaumont, Busoni the Composer cit., pp. 246-248.

29 Cfr. la lettera del 14 maggio 1921 da Berlino a Volkmar Andreae in Ferruccio Busoni Selected Letters cit., n. 309; trad. it. Busoni, Lettere... cit., p. 457-9, n. 345.

30 Künstlers Helfer (Berlin, Mai 1912), in Ferruccio Busoni, Von der Einheit der Musik, Berlin 1922, pp. 305-308: 305; traduzione italiana: I collaboratori dell'artista, in Busoni, Lo sguardo lieto... cit., p. 187.

31 Tradotto in italiano da Oriana Previtali Gui, 1961.

32 Desidero qui ringraziare sentitamente la Staatsbibliothek di Berlino (Preußischer Kulturbesitz, Musikabteilung mit Mendelssohn-Archiv) per l'approntamento dei microfilm degli abbozzi corrispondenti e per l'autorizzazione a pubblicarli.

33 Questo motivo è simile al motivo principale utilizzato da Carl Maria von Weber per la sua Musik zu Turandot, op. 37. E' tuttora aperta la questione se Busoni abbia voluto intenzionalmente parodiare l'opera di Weber, cfr. Lo, "Turandot" auf der Opernbühne cit..

34 Lettera del 26(?) luglio 1905, in Busoni, Lettere alla moglie cit., pp. 80-81.

35 "CORO: Guai! Guai!/ Turandot: (A capo della scala) Chi è il folle temerario ch'oggi sfiderà la mia sapienza?/ Chi brama ancor di giocar la vita?/ Tu pur soccomberai,/ a me tu cederai./ Vinci o muor! (scende la scala)".

36 "No, come gli altri ei non è;/ cos'avvenne in lei che la turbò?/ Un fanciullo in volto egli è, eppure in seno il cor tremò./ Ancora forte sia Turandot,/ o anch'essa, ahimé, morrà".

37 Il biografo di Busoni Edward Dent ha richiamato l'attenzione sul fatto che l'Enfance du Christ di Berlioz è il modello per la strumentazione realizzata da Busoni.

38 La provenienza di questa melodia verrà discussa più avanti.

39 Lascito Busoni n. 234, 26r e 27r.

40 Indecifrabile.

41 Gli abbozzi di questo numero sono pervenuti in modo abbastanza completo, contrariamente a quanto asserisce Kindermann (Thematisch-Chronologisches Verzeichnis... cit, p. 230) alle carte 26r, 27r, 28r degli schizzi per l'opera.

42 Novembre 1920, in Fünfundzwanzig Busoni-Briefe, a cura di Gisella Selden-Goth, Wien-Leipzig-Zürich 1937, p. 53.

43 Partitura Breitkopf & Härtel, B. 1976a, copyright 1918.

44 Questa parte venne dapprima schizzata come 8. Die falsche Trauer (Il finto lutto), cfr. lascito Busoni n. 234, 22r.

45 "Perduto! [...] No, Calaf! Tu...! Sì son io".

46 "Calaf, di Timur figlio, non più stranier per me. Coro! Stupore!".

47 Lascito Busoni n. 234.

48 Zur Turandotmusik, in Busoni, Von der Einheit der Musik cit.; trad. it. Sulle musiche per Turandot, in Busoni, Lo sguardo lieto cit., pp. 171-2.

49 Breslau 1862 (prima edizione); cfr. Peter W. Schatt, Exotik in der Musik des 20.Jahrhunderts, München-Salzburg 1986, p. 138, nota 118; cfr,. anche Beaumont, Busoni the Composer, cit., p. 81. A partire da questo punto i rispettivi numeri di pagina del libro di Ambros sono riportati nei singoli esempi musicali. Nella sua ricerca Schatt (Exotik in der Musik... cit., p. 53-60) parla di sei melodie, delle quali solo quattro vengono utilizzate nella suite. Evidentemente Schatt non ha consultato l'Appendice I della suite (Disperazione e resa), dove, come si vedrà, si trovano due melodie. Le melodie qui successivamente indicate come Ambros 1 e Ambros 7 non sono menzionate da Schatt. A p. 3r degli abbozzi per la suite si trova una copia, di mano di Busoni e non utilizzata nella composizione, della p. 93 del libro di Ambros.

50 "Sorge il dì. Vedi! Chiara la sala si fa./ Rosea l'alba appare già nel ciel./ Sposa, destati!/ Viene a te lo sposo tuo./ Destati".

51 Gli abbozzi relativi a questo numero si trovano nel lascito Busoni n. 234, cc. 16r, 17r, 18r e 19r.

52 Partitura Breitkopf & Härtel n. 2309, copyright 1911.

53 Va ricordato che anche Puccini nella sua Turandot utilizzò una melodia "cinese" per il suo tema di Turandot.

54 Questo canto popolare divenne più tardi noto grazie all'opera di Vaughan Williams, Sir John in Love (1934).

55 Beaumont, Busoni the Composer, cit., p. 82; cfr. anche Karl Reyle, Wandlungen der Turandot und ihrer Rätsel, "Neue Zeitschrift für Musik", CXXV (1964), pp. 303-306.

56 Zur Turandotmusik, in Busoni, Von der Einheit der Musik cit.; trad. it. Sulle musiche per Turandot, in Busoni, Lo sguardo lieto cit., pp. 171-2: 171.

57 Zur Turandotmusik, in Busoni, Von der Einheit der Musik cit.; trad. it. Sulle musiche per Turandot cit., p. 171.

58 Zur Turandotmusik, in Busoni, Von der Einheit der Musik cit.; trad. it. Sulle musiche per Turandot cit., p. 172.

59 Edward J. Dent, Music in Berlin, "The Monthly Musical Record", 1 febbraio 1911, p. 32. Va rilevato che questa recensione apparve prima del saggio Sulle musiche per Turandot, scritto dallo stesso Busoni.

60 Ferruccio Busoni Selected Letters cit., n. 98; trad. it. Busoni, Lettere... cit., p. 187, n. 112.

60 La Turandot di Busoni non solo condivide la suddivisione in due atti con la maggioranza delle opere sul tema di Turandot composte nel corso dell'Ottocento, ma anche uno svolgimento della trama che fa finire il primo atto con il controindovinello del principe. Anche la prima versione librettistica della Turandot di Puccini - benché ancora senza il finale del primo atto, la scena dei ministri e l'aria di Turandot In questa reggia - presenta una struttura basata essenzialmente sulla suddivisione in due atti, cfr. LO, "Turandot" auf der Opernbühne cit..

61 Entwurf eines Vorwortes zur Partitur des "Doktor Faust" enthaltend einige Betrachtungen über die Möglichkeiten der Oper (Berlin, August 1821), in Busoni, Von der Einheit der Musik; trad. it. Abbozzo di un'introduzione alla partitura del "Dottor Faust" con alcune considerazioni sulle possibilità dell'opera, in Busoni, Lo sguardo lieto cit., pp. 126-7.

62 Entwurf eines Vorwortes zur Partitur des "Doktor Faust... cit., in Busoni, Von der Einheit der Musik; trad. it. Abbozzo di un'introduzione alla partitura del "Dottor Faust"... cit., in Busoni, Lo sguardo lieto cit., pp. 124-5.

63 "Calaf: Cos'è che tutti al mondo avvince,/ che ogni cura e pena vince,/ ch'astuzia o forza piegar non sa/ ch'eleva a sé chi in basso sta,/ che guida il corso d'eterne sfere,/ che cielo e terra ha in suo potere,/ che sopravvive a ogni dolore,/ ch'ora ci unisce? E' l'amore!".

64 La funzione drammaturgica della schiava Liù nella scena della tortura (atto III) della Turandot di Puccini risale presumibilmente al ruolo di Barach nell'originale rispettivamente di Gozzi e di Schiller.

65 "Adelma (a parte): Quel giovane è Calaf, mio sogno d'un tempo;/ sempre più ei mi piace. che ritorni a me io vo'".

66 "Adelma: Di me egli rise un dì che, bimba ancora,/ le braccia gli tendevo... Non l'ho dimenticato!/ Quest'è per me di mia vendetta il giorno,/ sì, lo concedete a me! Turandot: Tu hai sofferto! Offesa fosti!/ Dunque mia pari ti chiamo./ D'ora in poi siam sorelle. Adelma: Oh, grazie! (a parte) Trionfo mio!/ Ed or, amica Turandot, dolce sorella, ascolta... (sussurra all'orecchio di Turandot)".

67 "Adelma: Ebben, un altro troverò: pazienza (via)".

68 "Altoum: Il cerimoniale è una gran consolazione. Grazie, grazie, miei diletti! Eppure, figli miei, ho qui dentro un peso che mi guasta perfino la bella etichetta di corte. Che volete, fihìgli miei, non posso non amare mia figlia; ma io non sono atato creato per la crudeltà! Pantalone: El cor de la maestà vostra el zé una cartasuga inzupà de miel... Tartaglia: Ba-ba-bambagia con il burro... Altoum (in tono di rimprovero): Pantalone? Tartaglia? (i due si accucciano)Ah, per quanto tempo dovrò ancora assistere a tutto ciò? Questo mi porta sottoterra prima del tempo".

69 "Calaf (entra impetuosamente dalla porta): Pechino! Oh, splendore! Città di sogno!"

70 "Calaf (fanciullescamente): E' lei, è lei!".

71 "Fanciullo in volto ancora egli è [...]".

72 "Calaf: Perduto, ah, perduto! Ch'io parta, dunque!/ Di guerra nel tumulto morte avrò.../ o troverò l'oblìo./ Giovane son! Addio! A tutti addio! (fa per uscire)".

73 Questa idea si trova nella carta degli abbozzi 10r (lascito Busoni n. 299).

74 "Sire, morte o Turandot; o l'una o l'altra,/ null'altro vo'!".

75 "S'ei muore io pur morrò".

76 "Turandot: Sì son io; questo spirto superbo piegasti; son io, io stessa! [...] Sopito il cor giacea [...] or lieto balza [...] Destato l'hai ed appartiene a te. Calaf, di Timur figlio, non più stranier per me!".

77 Il rispettivo riferimento è all'Otello di William Shakespeare.

78 "Pantalone: Da noialtri in Italia, Maestà, i xé tuti contenti quando che a teatro se va avanti a furia de morti e asasinai, Ma capisso che zé segno de gusti barbari. Tartaglia: Cara ma-ma-maestà, conosco una co-commedia inglese, dove un mo-moro nero come la pece ammazza una dama bianca come un giglio. Ma, ma questo è zucchero e marzapane in confronto a una principessa che fa infilzare sette uomini uno dopo l'altro".

79 "Pantalone: Me voria trovar sur un piè sol sul campanil de San Marco, ma non nei pani di quel caro zovenoto".

80 "(Entra Altoum; lo seguono Pantalone e Tartaglia che rimangono dietro la porta, a curiosare, visibili dal pubblico) Altoum: Figlia mia! Turandot: Che cosa comanda il mio imperial genitore? Pantalone (da dietro la porta ):Rospo! Tartaglia: Ca-canaglia! [...] Turandot: Padre mio, so i nomi, non li so... questo si paleserà domani nel Divano. Altoum (Spazientito): Ostinata! Pantalone: Desso la le ciapa. Altoum: Presuntuosa! Tartaglia: Si arrabbia, il vecchio. Altoum: Perversa! Ascolta - "

81 Il testo presenta alcune lievi differenze rispetto al libretto musicato.

82 Lascito Busoni n. 299, 13r.

83 "Metti il trono grande qua,/ metti il piccolo di là;/ e per gli otto grandi saggi,/ qui nel centro gli otto seggi/ Poi bisogna qui spazzar,/ i tappeti stender là,/ ed i lumi preparar/ per la notte che verrà./ Svelti, tempo non perdete, se la frusta non volete;/ su, muovetevi bricconi,/ su gaglioffi, su poltroni! [...]"

84 Lascito Busoni n. 234, 3r.

85 La parola "indovinelli", in tedesco "Räthsel", ha nell'autografo busoniano una "n" finale erronea, poi espunta.

87 Ferruccio Busoni, Entwurf einer neuen Ästhetik der Tonkunst, Trieste 1907/Leipzig, Insel-Verlag 1910; trad. it. Abbozzo di una nuova estetica della musica, in Busoni, Lo sguardo lieto cit., p. 49.

86 Entwurf eines Vorwortes zur Partitur des "Doktor Faust... cit., in Busoni, Von der Einheit der Musik; trad. it. Abbozzo di un'introduzione alla partitura del "Dottor Faust"... cit., pp. 122-3 e 127.

87 Lettera a Egon Petri, in Ferruccio Busoni Selected Letters cit., n. 191; trad. it. Busoni, Lettere... cit., p. 308, n. 211; cfr. anche le lettere allo stesso citate in precedenza del 7 marzo 1916 e del primo maggio 1916..

88 Cfr. ad esempio le recensioni coeve di Anna Roner ("Neue Musik-Zeitung" 1917), Akos Lazlo ("Signale", 1917), Paul Kebber (Ferruccio Busoni, "Turandot"-"Arlecchino", Offener Brief, nel suo Klang und Eros, Stuttgart-Berlin 1922, pp. 82-86) e Max Chop (Ferruccio Busoni, "Turandot", chinesische Fabel nach Gozzi in 2 Akten. "Arlecchino" oder "Die Fenster", ein Theatralisches Capriccio, "Signale", 1921).