Laureto Rodoni
«La mia vita è lacerata...»
L'esilio a Zurigo di Ferruccio Busoni

In occasione del 53º «Concorso Pianistico Internazionale Ferruccio Busoni» di Bolzano, la direzione artistica mi ha affidato l'allestimento di una mostra fotografica sull'esilio di Busoni a Zurigo e la cura del corrispondente catalogo che contiene, tra l'altro, la serie completa delle foto che il fotografo di origine russa Michael Schwarzkopf ha scattato tra il 1917 e il 1918 a Busoni. Il testo che segue è l'introduzione letta il giorno dell'apertura della mostra.

Com'è noto, durante la Grande Guerra la Svizzera si mantenne neutrale e offrì ospitalità o asilo politico ad artisti e intellettuali invisi ai governi dei loro paesi. Molti di essi scelsero Zurigo come rifugio. La città sulla Limmat divenne in breve tempo la capitale europea della cultura, centro di tutte le più importanti correnti intellettuali.
Si tratta di uno spezzone della storia della cultura novecentesca mai studiato nella sua composita e complessa interezza. Lo scrittore franco-tedesco Yvan Goll, uno dei protagonisti di quegli anni di fermenti intellettuali e artistici, alla fine degli anni Quaranta scrisse (il documento fa parte del mio archivio): «Mi chiedo sempre con meraviglia perché nessuno finora abbia scritto su questo periodo.» E anche la bibliografia busoniana riguardante il periodo dell'esilio era fino all'inizio degli anni '90 tra le più carenti. Il prof. Joseph Willimann dell'Università di Basilea, con la pubblicazione dell'importante carteggio Busoni-Volkmar Andreae, per alcuni decenni l'esponente di maggior spicco in ambito musicale a Zurigo, ha vigorosamente dissodato questo terreno. Io mi sono sforzato di continuare e approfondire il suo lavoro, utilizzando, per la prima volta con questo scopo, il vasto materiale del Busoni-Nachlass conservato nella Staatsbibliothek zu Berlin, a cui era difficile accedere prima del crollo del muro.
Una parte delle mie ricerche è confluita in un saggio pubblicato sull'Annuario Svizzero di Musicologia (anno 1999). L'altra parte sgomita sempre più pingue nel mio computer in attesa di confluire in un libro dedicato a quegli anni leggendari.
Memorabili le pagine che Stefan Zweig dedicò alla Zurigo di quegli anni. Per il grande scrittore austriaco, i più commoventi tra gli esuli in terra elvetica erano gli uomini senza patria, o ancor peggio, quelli che «in luogo di una patria ne avevano due o tre e non sapevano interiormente a quale appartenessero.» Tra questi il musicista italiano Ferruccio Busoni.
Pianista tra i sommi di ogni epoca accanto a Franz Liszt e ad Anton Rubinstein, Busoni era considerato, anche se non ufficialmente, persona non grata sia in Germania sia in Italia. Per questo motivo preferì vivere in una nazione neutrale il tempo della guerra. L'esilio svizzero di Busoni iniziò nel settembre del 1915 e si concluse nello stesso mese del '20: ebbe quindi la durata di un lustro.
In molte foto esposte nella mostra e riprodotte sul catalogo, quasi tutte risalenti agli anni centrali e cruciali dell'esilio (1917-18), il volto severo e tormentato di Busoni è lo specchio della sua greve sofferenza interiore cagionata da una guerra nella quale erano contrapposte non soltanto le sue due patrie, quella istituzionale e quella d'elezione, ma anche le due culture di cui si era spiritualmente nutrito sin dalla giovinezza e che conferivano al ricco quadro della sua personalità un carattere vivo ed esplosivo. In poche altre foto l'antica fierezza, la certezza che mai si sarebbe «rassegnato alla criminale amputazione amputazione [verbrecherische Amputation] della sua vita» sembrano riemergere e avere ancora il sopravvento sull'amarezza e sulla rassegnazione.
Quando arrivò a Zurigo, nell'ottobre del 1915, questa fierezza era però inesorabilmente piegata dagli eventi: Busoni era infatti un uomo desolato, affranto e vinto dalle circostanze, a tal punto che, con le lacrime agli occhi, implorò Volkmar Andreae, che a quel tempo conosceva appena, di aiutarlo a ottenere l'asilo politico. Ricorda Andreae: «Raramente un evento mi ha lasciato così commosso e, nello stesso tempo, mi ha così tanto rallegrato: ero commosso dalla prostrazione di questo grand’uomo, ed ero rallegrato dal fatto che, ormai, lo potevo considerare uno dei nostri.»
Fu facile per Andreae, colonnello dell'esercito svizzero, stimatissimo direttore stabile dell'Orchestra della Tonhalle, compositore, operatore culturale e didatta, direttore del Conservatorio zurighese, dottore honoris causa, aiutare il grande pianista. Questo incontro fu provvidenziale per Busoni e contribuì non poco a evitare che anch'egli, come Rilke e Wolf-Ferrari, per citare due suoi amici, fosse colto da ciò che lo terrorizzava mortalmente: quell'afasia creativa che era l'antitesi del suo profondo convincimento: «Per me l'opera d'arte è lo scopo supremo di ogni aspirazione umana.»
Andreae fu per 5 anni il punto di riferimento umano, culturale e professionale più solido per Busoni, che si trovò sin dai primi giorni nelle condizioni di poter riprendere e continuare in tutta tranquillità e al meglio la sua attività di pianista, di compositore, di filosofo della musica, di insegnante.
Gli anni zurighesi furono per Busoni da una parte durissimi da reggere sul piano psicologico, dall'altra intensissimi, non solo per quel che riguarda l'attività di concertista e di compositore, ma anche sul piano delle relazioni umane. Inevitabilmente il Freundeskreis berlinese, che fu sempre fonte di energia creativa e di ispirazione, si sgretolò, ma Busoni instaurò con caparbietà solidissimi legami di amicizia con altri intellettuali e artisti con artisti e intellettuali residenti o di passaggio in Svizzera. Quattro di essi divennero le figure centrali del suo esilio: i musicisti svizzeri Hans Huber e, appunto, Volkmar Andreae, il banchiere Albert Biolley e il musicista franco-spagnolo Philipp Jarnach. Al vecchio compositore basilese Hans Huber, finissimo e saggio Kulturmensch, Busoni indirizzava gli sfoghi più esacerbati; il banchiere, flautista dilettante, Albert Biolley aiutò Busoni, sia nell'organizzazione dei concerti in Svizzera, sia finanziariamente con prestiti personali o della banca presso cui lavorava. Infine l'incontro con Philipp Jarnach, risalente al dicembre del '15, fu decisivo, come è ben noto, per la vita e l'arte di entrambi.
L'abitazione in Scheuchzerstrasse 36, a pochi passi da quella in cui abitava l'adolescente Elias Canetti con la madre, divenne in breve tempo uno dei cenacoli più importanti di Zurigo. Franz Werfel, Rainer Maria Rilke, Stefan Zweig, il filosofo Ernst Bloch, Ludwig Rubiner, il pittore Hans Richter, Jakob Wassermann, Otto Klemperer, forse Hermann Hesse (spesso ospite nella villa di Andreae per lunghi periodi), Yvan Goll, René Schickele, Paul Klee, Max Oppenheimer, Otto Luening furono alcuni tra gli artisti che varcarono la soglia del suo appartamento.
Se la linea retta della sua vita fu lacerata dalla guerra, come scrisse amaramente in alcune lettere («Mein Leben hat einen Riss»; «Die gerade Linie ist unterbrochen»], non fu certo interrotto il suo percorso artistico. La produzione musicale a Zurigo fu infatti impressionante e intimamente legata alle opere precedenti, senza fratture quindi, nonostante i numerosi e gravosi impegni concertistici in città svizzere e i periodi di depressione spesso condivisi soltanto con il suo sanbernardo, che con affettuosa ironia chiamava Giotto Bernardoni.
Busoni scrisse inoltre più di 5000 lettere (da tre a sei al giorno) per cercare di rompere l'isolamento che lo soffocava e per mantenere i contatti con gli amici più cari e preziosi (Isidor Philipp, Egon Petri, Hugo Leichtentritt, Arrigo Serato...).
Alla fine della guerra i reiterati e fervidi appelli di molti artisti e intellettuali residenti a Berlino, tra cui Hermann Scherchen, che consideravano Busoni un simbolo di integrità morale, di libertà di pensiero, un punto di riferimento etico-artistico per la rinascita della Germania, oltre che un artista proiettato audacemente nel futuro, ma soprattutto l'offerta della prestigiosissima masterclass in composizione all'Akademie der Künste, convinsero Busoni a prendere la coraggiosa decisione di far ritorno nella nazione duramente sconfitta. Dopo la sua morte, nel luglio del 1924, fu nominato suo successore Arnold Schönberg, con cui Busoni era in proficui rapporti di amicizia sin dai primi anni del '90.
I cinque, lunghi anni trascorsi a Zurigo furono dunque vissuti da Busoni con la speranza di tornare un giorno a Berlino. Ed è quel che avvenne il 9 settembre del 1920. Busoni partì solo dalla Stazione Centrale di Zurigo, salutato da uno sparuto gruppo di fedelissimi, tra cui spiccava per chiassosa ammirazione e devozione l'eccentrico compositore svizzero Marcel Sulzberger, legato agli ambienti dadaisti.
[Per informazioni sul catalogo, del costo di 35.000 lire, scrivere a laureto@rodoni.ch]