TRA FUTURISMO E CULTURA MITTELEUROPEA:

L'INCONTRO DI BOCCIONI E BUSONI


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I rapporti d'arte e d'amicizia
tra Ferruccio Busoni e Umberto Boccioni

Le ricercatissime lettere del pittore futurista Umberto Boccioni al musicista Ferruccio Busoni sono finalmente state trovate e pubblicate in un volumetto di circa 120 pagine che nella prima parte contiene un saggio introduttivo, nella seconda l'edizione ampiamente commentata del carteggio.

Nella seconda parte, oltre al carteggio, comprendente le dieci lettere inedite di Boccioni (2 del 1912 e 8 del 1916) e le tre di Busoni (1916) già apparse negli Archivi del Futurismo ma qui trascritte dagli originali (proprietà privata, Milano), sono pubblicate due lettere inedite della madre del pittore a Busoni, una lettera di quest'ultimo alla stessa (pure pubblicata negli Archivi citati e l'articolo in memoria di Boccioni scritto dal musicista alla fine di agosto del '16 per la Neue Zürcher Zeitung. Nelle note al carteggio non mi sono limitato a rinviare alle pagine dell'articolo introduttivo in cui cito o interpreto brani delle lettere, ma ho aggiunto altre osservazioni e citazioni che permettono di meglio inserire i documenti nel loro contesto storico, umano e artistico. Le lettere sono inoltre collegate da brevi testi che offrono indicazioni sulla visione del mondo e dell'arte, sullo stato d'animo e sull'attività dei due artisti durante i quattro anni della loro amicizia.

Nel volume saranno pubblicati anche alcuni documenti inediti busoniani compresi nel mio archivio.

Dalla seconda parte,
l'estratto di una lettera
Estratto da "La scoperta delle lettere boccioniane"

Finora [delle lettere di Boccioni] si conoscevano soltanto due brevi brani che Busoni tradusse in tedesco e inserì nell'articolo commemorativo apparso sulla Neue Zürcher Zeitung due settimane dopo la morte del pittore. Poiché il musicista fu tra le persone più vicine a Boccioni negli ultimi tre mesi di vita, questi documenti inediti gettano nuova luce sui loro rapporti umani e artistici e permettono finalmente di chiarire, come auspicava Zeno Birolli, l'orientamento del pittore nella estrema, enigmatica e tormentata fase creativa.

Busoni e Boccioni si conobbero nel 1912 ma fu soltanto a partire dalla primavera del 1916 che il loro rapporto, peraltro sempre fondato su una stima reciproca, si intensificò e si approfondì, nonostante le differenze di carattere, di cultura, di stile di vita e di Weltanschauung. Boccioni era un convinto interventista e aveva partecipato con entusiasmo alle battaglie dell'autunno del 1915 contro gli Austriaci; Busoni era invece accanitamente antimilitarista e la guerra fu un'esperienza che segnò duramente la sua vita. Sul piano estetico le divergenze erano ancor più marcate. È nota infatti l'avversione del musicista per il futurismo, nonostante un effimero interesse iniziale: nella lettera aperta al compositore Hans Pfitzner, egli considera questo movimento artistico come una "setta" dalla quale è ben lontano e alla quale non ha mai aderito.

A differenza di Leoncavallo, di Giordano e di altri artisti, Busoni non possedeva una villa sul lago Maggiore, come hanno invece scritto autorevoli studiosi di Boccioni. L'errore deriva dai Regesti che concludono il primo volume degli Archivi del Futurismo: "Giugno 1916: Boccioni è ospite di F. Busoni, nella sua villa di San Remigio a Pallanza".Chi abbia qualche familiarità con gli scritti di questo musicista, sa che non avrebbe mai acquistato o anche solo affittato una villa sulle rive di un lago per soggiornarvi periodicamente, poiché non amava abbandonarsi alla natura e soprattutto vivere in un luogo isolato, lontano dal fermento, dal trambusto, dal traffico delle grandi città. Il silenzio, la solitudine e la bellezza della natura già dopo alcuni giorni lo innervosivano e non lo predisponevano né al lavoro intellettuale né alla creazione artistica. Busoni e Boccioni si trovarono effettivamente a villa San Remigio, dove trascorsero un breve periodo insieme (circa tre settimane), ma come ospiti del Marchese Silvio della Valle di Casanova e di sua moglie Sofia, ai quali la villa apparteneva, un breve periodo che segnò profondamente la loro vita e la loro arte. A Pallanza Boccioni dipinse le ultime opere, tra cui il grande ritratto dell'amico musicista, conservato alla Galleria d'Arte Modena di Roma...

Dal capitolo "Le discussioni sui valori estetici"

 Busoni non è stato un modello passivo; ha avuto anzi un ruolo decisivo nel far riemergere in Boccioni la sua vastissima cultura pittorica, nell'esortarlo a sfruttare le conquiste di esperienze artistiche precedenti. Egli ha sicuramente espresso con forza, con toni molto accesi, le proprie opinioni che potevano essere anche molto diverse da quelle del pittore. Ma chi conosce Busoni attraverso i suoi scritti o ne parla perché l'ha conosciuto personalmente sa che era contro la sua stessa natura l'imposizione, magari anche subdola, di un indirizzo stilistico, oppure, come nel nostro caso, la richiesta di un ritratto dipinto secondo un certo stile. Si pensi ad esempio alle parole di Wladimir Vogel, suo allievo a Berlino all'inizio degli anni Venti: "[Busoni] non ha mai imposto uno stile o una corrente... Forse è anche per questo che i compositori usciti dalla sua scuola hanno battuto vie così diverse." D'altra parte Boccioni, sia per la sua incrollabile devozione all'arte, sia per il suo sconfinato orgoglio, non avrebbe mai accettato interferenze in ambito pittorico e neppure, a maggior ragione, avrebbe rinnegato se stesso perché bisognoso di denaro. [...]

[...] Anche sulla base dei documenti ritrovati, ritengo sia da accantonare l'ipotesi che interpreta il ritorno a Cézanne di Boccioni come una soluzione di comodo del pittore per assecondare il gusto di un committente illustre e ricco che non amava il futurismo come Ferruccio Busoni. Se così fosse non esprimerebbe nelle lettere la gioia per gli esiti raggiunti e il desiderio di mostrare i suoi lavori agli amici. "Solamente chi non ha conosciuto Boccioni può cadere in questo equivoco" - scrive Palazzeschi, un artista che di Boccioni era pure grande amico. E aggiunge:

Le opere di quel momento dobbiamo considerarle attraverso l'incontentabilità e implacabilità del suo spirito sinceramente rivoluzionario, attraverso la sua lungimirante e spietata intelligenza che gli faceva misurare i limiti di una nuova via fino dal suo inizio... Tornare alla propria origine impressionista... significava costruire un trampolino di lancio e attingere nuova lena per una più audace e sicura conquista. Rinnegando quello che aveva fatto avrebbe rinnegato se stesso e la sua stessa natura, Boccioni si conosceva troppo bene per poterlo fare, e conosceva troppo bene gli altri per farlo...

Dalla seconda parte, ecco l'inizio dell'importante lettera di Boccioni del 29 giugno 1916:

 Caro e terribile amico!

Sono a Milano dopo essere rimasto due giorni ancora a S. Remigio. Si è sempre parlato di voi e della gentile Signora [G]erda. Io sono ancora sotto l'impressione del soggiorno che, confesso, mi ha riconciliato un poco con la campagna e la solitudine.

Forse perché ho lavorato e perché la vostra sferzante genialità sempre lucida e sempre desta mi ha incitato enormemente e ha risvegliato in me infiniti contatti, assopiti negli ultimi tempi per molte ragioni che è inutile enumerare. Pensate dunque quante ragioni di riconoscenza mi legano ora a Voi.

Spero che avrete trovato subito la vena per lavorare, che la vista del vostro ambiente e sopratutto dei vostri manoscritti vi avranno lanciato subito nella divina ispirazione. Ora che mi avete concesso il tempo per fare il ritratto vi dico che temevo molto di vedervi resistere... So cosa vuol dire attendere e vedere lavorare gli altri. Vi sono perciò ancor più riconoscente...