GINO AGNESE

LA PRINCIPESSA DI TEANO

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Milano, 15 luglio 1916. Boccioni scrive a Vico Baer velando un po' i suoi sentimenti. «Sono stato fatto abile e sono stato assegnato all'Art. da Campagna! [...] La mia classe ha ottenuto la licenza fino al 24 corrente. Domattina 16 parto per Pallanza. Torno ospite della principessa di I'eano, che mostra per me una gentilezza che mi commuove [...]. Sarò a Milano il 23 e il 24 mi presenterò [...]. Questo richiamo sotto le armi è una specie di danno... pazienza!» Egli ha sperato, in realtà, che i medici militari non badassero più di tanto al suo vecchio enfisema polmonare, che ogni tanto si riacutizza per effetto del fumo di sigaretta. Non gli sarebbe piaciuto affatto di esser dichiarato inabile, ma questo non lo confessa a Vico. Come non gli confida, del resto, l'intensità del trasporto che avverte per Vittoria Colonna, la principessa di Teano, sposa infelice di don Leone Caetani; un trasporto ricambiato, nel quale amicizia, stima e spericolatezza dell'intelligenza si vestono di una speciale, crescente confidenza.
Boccioni apprese dai della Valle, già agl'inizi del suo soggiorno di giugno nella Villa San Remigio, quel che di più importante c'era da sapere sul conto di quella gran signora alta, forse troppo magra, bruna, che abita all'Isolino assieme all'affettuoso, sventurato figlinolo Onorato, di quattordici anni. «La nostra amica Vittoria viene dai prìncipi romani Colonna di Paliano, ma è nata a Londra» gli dissero, «perché sua madre, Teresa Caracciolo, era figlia d'una nobile inglese. A Londra perciò visse abbastanza, da ragazza. E sa come la chiamavano laggiù? 'The hallooning Princess', per l'entusiasmo che dedicava alle ascensioni in pallone. Ha trentasei anni e suo marito Leone Caetani, che ora serve nell'Artiglieria, ne ha undici in più. Don Leone, principe di Teano, futuro duca di Sermoneta, duca di San Marco, marchese di Cisterna è un insigne arabista, autore di opere monumentali, come gli 'Annali dell'Islam' e la 'Chronographia Islamica'. Ma è anche un uomo difficile, uno spirito di contraddizione: e non soltanto in politica. Sicché altre amarezze travagliano la principessa in aggiunta alla disgrazia d'essere madre di quel ragazzo che è tanto affettuoso, ma che purtroppo, caro Boccioni, è irrimediabilmente un minus habens»
A Roma, d'inverno e in primavera, Vittoria Colonna abita in quello che lei chiama «il tetro Palazzo Caetani». Ma sono due anni che l'estate e l'autunno li trascorre qui sul Verbano, all'Isolino. [...]
Il 16 luglio 1916 è domenica. Boccioni, giunto da Milano, s'imbarca col suo bagaglio, percorre il breve tratto di lago che separa la riva di Pallanza dall'Isolino, scambia qualche parola d'occasione col traghettatore, ode qualcuno di quei lontani rintocchi di campana che sempre si disperdono sul Lago Maggiore, rivede la ricchezza verde dell'Isola di San Giovanni e scorge infine donna Vittoria che l'attende in piedi presso l'imbarcadero. Ella indossa uno dei suoi prediletti abiti bianchi e ha al fianco la persona di servizio, che gli porterà la valigia fin dentro le camere degli ospiti. Vivrà in casa della principessa di Teano per una settimana, che sarà tra le più serene della sua vita; una settimana durante la quale viene condotto per mano in orizzonti, in atmosfere, in vicende e in conoscenze che, poco più di un mese prima, neppure avrebbe immaginato.
Come Boccioni, anche donna Vittoria sorride all'avventura: nel senso che le piacciono le esperienze di vita fervide e singolari; nel senso, ancora, che è attratta dalle personalità di frontiera, per così dire: insomma da coloro che vibrano d'una qualche passione, che osano spingersi oltre il limite temuto dai più. E tutto questo è Boccioni, che in giugno, nei giardini di Villa San Remigio dorati dal tramonto o la sera nei saloni fulgenti della luce di Edison volle assegnare una misura elegante, persino scopertamente ricercata nell'abbigliamento, alla sua figura, che spesso tuttavia si rivelava qual era: «elettrica, balzante come allo scatto continuo d'una macchina da presa». «Intanto» fu notato, «sapeva ridere alla perfezione: d'una risata intellettuale, cordiale, comunicativa come un'onda di radio. E mostrava quei bellissimi denti bianchi che facevano veramente pensare al celebre aforisma di Edgar Poe: i denti sono idee».
Forse, specialmente la vitalità di Boccioni, beninteso assieme alla sua pittura e allo sposalizio con l'arte che fiammeggiava nei suoi discorsi, fece breccia presto nella principessa; la quale - per natura o per educazione? - inclina più all'ironia che all'allegria e raramente abbandona la compostezza del suo rango: quella compostezza che volle consegnare ai ritratti dedicatele da Boldini, dall'austriaco Emil Fuchs, da altri pittori e da alcuni bravi fotografi che, al pari degli artisti, mai riuscirono ad eseguire delle immagini di lei pienamente soddisfacenti: e ciò a causa d'una curiosa, inspiegabile difficoltà di guadagnare, nel suo caso, l'ordinario traguardo della somiglianza.
Vittoria Colonna ama la pittura; e in passato l'ha amata addirittura più della musica, che poi prevalse. Conversando con lei più a fondo, nelle ore quiete dell'Isolino, Boccioni scopre che donna Vittoria è ben di più d'una 'connaisseuse' d'arte e ben di più d'una qualunque pittrice dilettante. Dopo che si sposò - e in occasione delle nozze fu pubblicato un sonetto inedito della illustre e omonima antenata, la musa di Michelangelo - donna Vittoria si allontanò gradualmente dalle rischiose attività giovanili per le quali era divenuta nelle cronache mondane londinesi 'The ballooning Princess' e si fece allieva di Adolfo Venturi, nella storia dell'arte, prima di cominciare a dipingere con impegno serio, come desiderava. «I miei migliori quadri» racconta a Boccioni, «restano quelli che esposi nella Leicester Gallery: soggetti di celebri località italiane e vedute di giardini. Era il 1909. Il re Edoardo VII, che conoscevo di persona e che qualche volta m'indirizzò a Roma lettere scritte di suo pugno, ne acquistò alcuni; e altri ne comprarono degli aristocratici inglesi, seguendo il suo esempio. Ma cinque anni dopo, da un giorno all'altro, dissi basta alla pittura: e fu quando a Monte Cavo, dove ero andata a vivere con Onorato, mi arrivò la notizia della fine di Noel, il mio insegnante, caduto in Francia durante uno dei primi combattimenti contro i tedeschi proprio all'inizio della guerra. Avevo cominciato sotto la sua guida; e morto lui, volli morire anch'io come pittrice».
Boccioni, che per frammenti già aveva saputo di questa dolorosa storia, da essa ricava plausibili congetture; al di là delle quali, certamente, lo colpisce il triste destino dell'ancor giovane pittore francese che - chi potrebbe dirlo? - avrebbe potuto fare grandi cose nell'arte e se ne andò invece da questo mondo anzitempo, con l'uniforme bucata da una pallottola dei 'boches', come tanti altri. Ma perché nel declinare dell'estate 1914 la principessa di Teano era a Monte Cavo, fuori mano sui Colli Albani? Per sfuggire alla calura di Roma? Anche. Ma era là soprattutto - come ella racconta e racconterà - per sfuggire alla vita di società romana, che trovava e trova spenta d'ogni interesse, noiosa. Su quell'altura dei Castelli Romani, Vittoria Colonna aveva deciso di vivere «una vita da primitiva»: e così suonava il giudizio astioso delle dame di Palazzo Caetani; ma in realtà si era prefissa di dedicarsi in solitudine a tre amori: suo figlio Onorato, che a dodici anni mostrava come fosse incolmabile il ritardo psichico che lo segnava e come fosse incorreggibile la patologica andatura dinoccolata che lo distingueva; la pittura, soprattutto quella di paesaggio; e la natura: dal frinire delle cicale, ai temporali, al grido della civetta e ai fiori
Dunque la guerra subito le portò via Noel; e poi la coinvolse emotivamente, di settimana in settimana, in un modo che ella stessa non si aspettava. Al contrario, il marito Leone, impegnato nella edizione del suo 'Onomasticon Arabicum', repertorio alfabetico dei nomi di persona e di luogo ricorrenti nella letteratura islamica, si teneva distaccato dalle tensioni del momento; e del resto, già da tempo i prìncipi di Teano vivevano in universi distinti, salvando certo le apparenze. Don Leone, di statura quasi gigantesca, come tutti i Caetani, è adesso il più imponente ufficiale d'Artiglieria del fronte vicino a Calalzo; e fa il suo dovere nei ranghi della 4ª Armata. Ma quando si profilò l'intervento italiano nel conflitto, fu sordamente neutralista, mentre Vittoria fu interventista, anche sull'esempio della cara Inghilterra, e per questo non esitò ad infrangere alcune sue amicizie, come quella che la legava a Matilde Serao, la giornalista napoletana scandalosamente filotedesca. Insomma, i prìncipi di Teano furono e restano divisi anche nel sentimento civile; e questa scissione, che ora appare scontata, produsse in Vittoria - che aveva voluto essere crocerossina volontaria nell'ospedale militare romano del Celio - una serie di effetti reattivi, tra i quali un'asma ansiosa, che ogni tanto l'ha ancora aggredita nel passato maggio all'Isolino, quando assieme ad altre signore preparava maglie di lana per gli artiglieri della batteria comandata «dal signor tenente Leone Caetani»; maglie che ella stessa portò poi di persona fino alla linea di fuoco di Calalzo di Cadore, oltre Belluno e in vista del Tagliamento.
Ora, dopo i miracoli di ardimento e di potenza che gli alpini hanno compiuto e stanno compiendo sulle Tofane, che guardano Cortina, le fanterie italiane avanzano sulle pendici settentrionali del Pasubio, come si legge nei bollettini del generale Cadorna. Ma al di là delle notizie ufficiali e delle allarmanti informazioni che giungono ai giornali dall'estero, resta il fatto che il corso della guerra è critico soprattutto a causa dell'interrogativo che grava sugli alterni eventi in atto: l'Italia entrerà in conflitto anche con la Germania? Quasi tutti pensano di sì; e quest'idea, che infervora i discorsi di Vittoria Colonna con Boccioni, suscita invece amarezza e disappunto nel marchese Silvio di Casanova, così legato alla cultura tedesca, e naturalmente ancor più nel maestro Busoni, che dalla Svizzera si tiene in corrispondenza con i suoi amici del Lago Maggiore, compiacendosi tra l'altro che il pittore futurista abbia «svegliato simpatia» nei padroni di casa e nei frequentatori di Villa San Remigio.
La guerra è vicina e lontana allo stesso tempo. È la prospettiva più immediata di Boccioni, che tra pochi giorni vestirà di nuovo in grigioverde. Eppure la vita continua, i soliti ritmi si succedono nelle case, si va al teatro o al cinematografo e le rive del Verbano abbondano di villeggianti come sempre in luglio, tradizionalmente il mese più equilibrato dell'estate. Così, necessariamente, la partecipazione alle sorti del conflitto, gli entusiasmi per i successi dei reparti italiani, le docce fredde per i colpi messi a segno dagli austriaci, l'indignazione per l'uso dei gas e dei liquidi ustionanti usati dal nemico si alternano e s'intrecciano, durante il giorno, con la più ordinaria quotidianità e - perché no? - anche con la gioia di vivere. [...]
E dove sarà destinato Boccioni quando, tra pochi giorni, tornerà sotto le armi? Sa già d'essere stato assegnato a un'unità dell'Artiglieria da Campagna. Ma in quale settore del fronte verrà inviato alla fine? E gli daranno i gradi? Intanto egli vive ore intense e anche felici, e spensierate, in questa vigilia che si consuma in fretta - all'Isolino, a Pallanza, a Baveno, a Stresa o negli altri incanti del lago - tra compagnie ormai care al suo cuore in vario modo. Il 20 luglio, in una lettera a Vico Baer racconta delle gioiose scoperte che va facendo sulle rive del Verbano, e d'altro ancora: «...Qui tutto è magnifico. Ogni giorno faccio gite in automobile che mi mostrano cose mai viste. La Marchesa di Casanova vuol venire a Milano per visitare la tua casa e vedere i miei quadri. Ho portato il mio alLum e le Tre donne hanno fatto furore [...]. Arrivo a Milano il 23». Sì, certamente nella considerazione di tutte le persone che lo incontrano sulle sponde del Lago Maggiore, o che più gli sono vicine, Boccioni è «il futurista». Ma quanti hanno potuto sfogliare l'altum che egli ha portato con sé stavolta da Milano restano ammirati specialmente dalla sua maniera prefuturista; la quale colpisce infatti Sofia della Valle di Casanova, che pratica e ama la pittura tradizionale e perciò chiede di poter osservare da vicino, una volta, la grande tela luminosa dipinta da Boccioni più di sei anni fa, prima che Marinetti destasse, anzi eccitasse in lui i canoni e la veemenza della nuova estetica: la tela in cui, tra la madre e la sorella del pittore, appare pensosa e triste la Ines, scontato bersaglio d'insistenti «chi è?»
Il 23 luglio è il giorno della partenza. È domenica, come il giorno dell'arrivo. Prima d'imbarcarsi, prima di attraversare le poche decine di metri d'acqua grigioazzurra, o plumbea, o verdastra, a seconda del tempo, che separano l'Isola di San Giovanni dalla riva di Pallanza, Boccioni ha parole affettuose per Onorato, lo sventurato ragazzo dall'andatura goffa, che soltanto la musica ha il potere di strappare, sia pure per brevi intervalli di tempo, al connaturato disordine mentale. E alla principessa di Teano, che ora chiama Vittoria, promette i suoi pensieri più intensi e alti. Ride al suo modo esplosivo e contagioso, per fugare la malinconia del commiato. E dice che presto si rivedranno; e che le scriverà appena giunto al reparto. Ma quando? Ma da dove? C'è tutto il tempo per giungere senza affanno alla stazione. Il treno che viene da Domodossola lo condurrà a Milano.
AGNESE, pp. 367-373, con tagli e senza note. Per il testo integrale si rinvia il lettore al magnifico volume.