Antonio Latanza

FERRUCCIO BUSONI
REALTÀ E UTOPIA STRUMENTALE

Antonio Pellicani Editore 2001



CAPITOLO 11
BUSONI: UNA TRAVOGENTE FORZA INTELLETTUALE

Alcune testimonianze

Quale corollario a questo studio, terminiamo queste pagine con testimonianze dirette che sembrano a volte smentire, a volte avvalorare, ciò che i rulli testimoniano.
Si tratta di alcune testimonianze raccolte da me stesso o pubblicate in modo sporadico in varie sedi.
Nonostante le incertezze, le perplessità e i tanti dubbi che - soprattutto i rulli - sollevano, è doveroso avvicinare quei frammenti che sono sopravvissuti, ivi incluse testimonianze di allievi e di musicisti contemporanei di Busoni.
Per ragioni diverse, ben pochi sono stati coloro che hanno potuto superare l'emozione o la suggestione quasi medianica delle interpretazioni busoniane.
Molti sono stati coloro che, pur essendo musicisti di valore, hanno soffocato l'emozione o la suggestione di quelle interpretazioni senza né poterla spiegare, né poter formulare un sia pur sommario resoconto; la prassi, troppo usata tra gli anni Venti e Cinquanta, di spiegare l'emozione con parole alate ma vuote (una sorta di poesia al quadrato) ci ha sicuramente allontanato dalla verità.
Di queste emozioni fanno parte le testimonianze qui raccolte.

FERRUCCIO VIGNANELLI (1903 - 1988)

ALFREDO CASELLA (1883-1947)

GUIDO GUERRINI (1890-1965)

RIO NARDI (1899-1985)

HEINRICH NEUHAUS (1888-1964)

A meno che io non abbia conoscenza di altre fonti documentarie, ritengo che le più approfondite impressioni sulla sua statura di interprete e sulle sue tendenze esecutive siano le testimonianze scritte da Heinrich Neuhaus. Il celebre didatta e pianista russo ha steso alcune pagine illuminanti su Busoni, che oggi appaiono le più approfondite, sebbene non possano esprimere più che le parole stesse.
Ringrazio il Maestro Valery Voskobojnikov, che di Neuhaus fu allievo, per avermi permesso di accedere agli appunti dei suo insegnante, la cui pubblicazione è prevista in tempi brevissimi da parte dell'editore Sellerio di Palermo.

[La preziosa testimonianza si trova alle pp. 134-139 del volume qui presentato]


ARTHUR RUBINSTEiN (1887-1982)


Nelle «Conversazioni con Arrau» pubblicate da Joseph Horowitz (Mondadorì, Mìlano, 1984, pp. 90-93; v. anche ed. originale in lingua inglese, «Arthur Rubinstein: my young years», Kopf, New York, 1973, p. 31) il pianista cita alcuni ricordi di Arthur Rubinstein intorno a Busoni.

Alle diverse sollecitazioni di J. Horowitz, Arrau risponde:

Horowitz Un altro idolo era Busoni. L'ha sentito suonare spesso?

Arrau: Molte volte. Indimenticabile nei Concerti di Mozart.

H. Il suo che Mozart era?

A. Diverso da ogni altro Mozart che avevo aseoltato. Sempre drammatico, forte. Su ogni cosa lui aveva delle idee tutte sue, personali. Non si dovrebbe mai dire a un allievo: «Ecco come va suonato questo concerto». Ma da lui era realizzato in maniera così meravigliosa e creativa che si accettava. Non come una lettura definitiva. Ma era incredibile. Ricordo ancora un'incomparabíle Sonata di Liszt ed un'incomparabile «Hammerklavier».

H. Arthur Rubinstein nel primo volume della sua autobiografia così scrive di Busoni:

Ferruccio Busoni con il bei volto pallido alla Gesù Cristo e la sua tecnica diabolica era di gran lunga il più interessante pianista vivente. Quando suonava Bach il suo tocco misterioso poteva riprodurre ora le sonorità di un organo, ora quelle di un clavicembaio. Una combinazione ideale. Il temperamento e l'assoluta maestria erano tali da rendere insuperate le sue interpretazioni delle musiche di Liszt, e lui faceva sì che queste risuitassero anche più importanti di quanto fossero veramente. La famosa «Campanella» suonata da lui diventava un'esperienza mozzafiato, anche se il suo Beethoven e il suo Chopin, lo ammetto, mi lasciavano totalmente freddo. Con mia meraviglia, si avvicinava alle ultime sonate di Beethoven con un atteggiamento sarcastico, prendendosi delle libertà sui tempi e sul ritmo, mentre Chopin, tecnicamente sempre brillante, perdeva quel calore e quella affabilità così signìficativi nelle sue pagine. Riassumendo, mi lasci dire che Busoni era una personalità sorprendente, un esempio per tutti i musicisti; come interprete non accettava alcun compromesso, mentre come compositore postulava un elevato livello e del resto possedeva come artista una rara e ampia erudizione.

A. I Preludi di Chopin fatti da Busoni erano incredibili. Non il solito Chopin profumato. Eppure era molto bello. Un po' scioccante, certo, ma così eccitante e inedito.

H. E quell'osservazione di Rubinstein sulle ultime sonate di Beethoven...

A. Mi scusi, ma è ridicolo. Grandi libertà sì, ed è così che le ultime suonate di Beethoven vanno suonate. Ma il sarcasmo?

H. E il Bach di Busoni?

A. Era una Bach orchestrale, dal suono sensuale. Non mi piaceva. Lo suonava soprattutto attraverso le sue trascrizioni. Io lo trovavo teatrale. Vede, la mia insegnante di italiano, Rita Bötticher, era un'intima amica di Busoni. Una volta è venuta ad uno dei miei concerti bachiani dei '35 e non le è piaciuto affatto. «È accademico» mi disse. Terché non usa la sua immaginazione? Perché non si serve del pedale?».

H. La più appropriata descrizione dei pianismo di Busoni è di Edward Dent. A proposito delle interpretazioni che Busoni dava delle ultime sonate di Beethoven ecco cosa scrive:

Ascoltarlo in queste sonate è stata un'esperienza quasi terrificante; dinamica e ritmo resi con una libertà e un respiro così ampi che si aveva la sensazione di essere trasportati sulla cima di vette pericolose e poi di essere messi nelle condizioni, come dire, di guardare giù, negli abissi, senza paura, sino a che la vista non diventava serena. L'uitimo e più elevato gradino di pace lo si raggiungeva con l'Arietta e variazioni della Sonata in do minore. A Londra, un giorno, mentre la stava suonando un anziano critico toccò con la mano la spalla di un giovane collega e bisbigliò: «Sa, credo che quell'uomo sia ubriaco».

A. Se di ubriachezza si trattava, era quella alla quale si riferiva Goethe: ebrezza senza vino, ebrezza creativa. Momenti come quelli vanno vissuti.

H. Busoni era considerato la più autorevole personalità di Berlino in campo musicale?

A. Direi di sì, insieme a Furtwängler.

EDUARD STEUERMANN (1892-1964)

Una testimonianza diretta ma non dettagliata ci è stata lasciata dall'allievo Eduard Steuermann negli anni sessanta.

«Il pianismo di Busoni, una leggenda più che un ricordo vivido dal momento che non sono rimasti che pochi dischi e rulli, non sarebbe oggi facilmente compreso, sarebbe anche ritenuto sconcertante. A paragone dei perfezionismo dei suonare moderno (schivare qualsiasi rischio, sia spirituale che stilistico), il suo baldo individualismo, la sua caparbia originalità che appariva in qualsiasi concezione, in qualsiasi dettaglio tecnico apparentemente insignificante, apparirebbero rivoluzionari, quasi ribelli e così era cinquanta anni orsono. Davanti a tempestose ovazioni di pubblici devoti, la sua arte magicamente ispiratrice fu spesso definita 'artificiale, fredda, bizzarra' fino a che divenne un giorno 'classica' (v. «The not Quite Inncocent Bystander», University of Nebraska Press, 1989).

HAROLD SCHONBERG (1915)

Il ben noto storico della interpretazione pianistica, Harold Schonberg, svolge alcune considerazioni sull'arte pianistica di Busoni («The Great Pianists», Simon and Schuster, New York, 1963) che, sebbene frutto di uno studio riassuntivo e non di una esperienza diretta, sono dei più grande interesse poichè stabiliscono alcuni punti fermi (v. p. 352):

«Lo stile pianistico di Busoni doveva essere monumentale e, per i suoi tempi, eccentrico. Critici e alcuni dei suoi seguaci non erano in grado di seguire le sue idee. Le sue esecuzioni di Chopìn suscitavano una costernazione positiva. Egli era dei tutto privo dei Kitsch di tanti degli chopiniani moderni; senza grandi rubato, accelerando, diminuendo e sentimentalità. Anche i piccoli preludi erano da lui suonati in una maniera monumentale e asentimentale, che molti critici ritenevano interamente prive di fascino... Ai suoi tempi egli veniva accusato di intellettualismo esagerato e di aridità. Le sue esecuzioni erano molto discusse e analizzate a fondo. Egli era spesso anticonvenzionale, sempre monumentale.
[...] quale esecutore lisztiano era colossale, capace di creare diluvi di suoni... non erano le esecuzioni degli allievi di Liszt, c'era troppa concentrazione, troppa tensione».

FERRUCCIO BONAVIA (1877-1950)

Nel 1920 Ferruccio Bonavia definì Busoni un ascetico, contrapponendolo a Liszt quale rappresentante dei sentimento, mentre egii era il rappresentante defla ragione. Secondo Bonavia, Busoni disponeva «cli una gamma di sonorità più vasta di qualsiasi altro pianista vivente, sebbene le sue predilezioni per le sfumature fredde e non emozionali dovrebbero aver indotto molti a dubitare di lui. Le sue sonorità avevano una qualità che poteva essere solo definita 'bianca', una qualità fredda e completamente inanimata. Perfino da questa base perfettamente liscia egli poteva iniziare e costruire un climax che raggiungeva i limiti estremi di ciò che è possibile a un pianista, una valanga di sonorità che davano l'impressione di una fiamma rossa scaturita fuori dei marmo. Il suo controllo intellettuale era spietato.» Da «Wusicians in Elysium», London 1940 cit. in H. Schonberg, «The Great Pianists», cit., p. 352.