Antonio Latanza
FERRUCCIO BUSONI
REALTÀ E UTOPIA STRUMENTALE

Antonio Pellicani
Editore 2001
Capitolo 3

Busoni e il pianoforte meccanico

Il perché di una assiduità: 1904-1920
La traccia che lega Busoni al pianoforte meccanico è assai consistente. Se oggi essa sembra dipanarsi e diluirsi tra aspetti commerciali (certamente reali per l'artista e le ditte costruttrici) e dubbi sulla attendibilità (che alla fine di questo studio affronto in toto), non dobbiamo perdere di vista l'allure sperimentale che circondava lo strumento agli albori dei secolo e il fascino che la incredibile novità doveva esercitare sul Maestro: quei complessi macchinari a rulli di carta perforata erano - e lo sono ancora - spettacolari ma, soprattutto, capaci di fermare il tempo che fugge. Essi agii occhi di Busoni dovevano imparentarsi con il tecnicismo ardito dei Telharmonium di Cahill e con i meccanismi a cilindro, più lontani nel tempo, quali il Panharmonicon di Maelzel e i fragili meccanismi dei tempo di Mozart.
Dopo le considerazioni appena svolte [cfr. cap. I] sulla "eterodossia" strumentale dei Maestro, potrebbe sorprendere l'apprezzamento che Busoni coltivò per i pianoforti meccanici durante l'arco di circa vent'anni, ciò che include l'interesse sia per il player piano, sia per il reproducing piano. Dalle tante dichiarazioni di apprezzamento sembra di leggere uno stupefatto compiacimento; viceversa è assai significativo che Busoni detestasse il grammofono; anch'esso era un nuovo mezzo di riproduzione, ma le procedure pratiche per la registrazione dei dischi erano assai primitive: esse tormentavano non poco il Maestro con i troppi accorgimenti da rispettare durante le sedute di registrazione; ciò gli toglieva ogni spontaneità e ogni abbandono.
Ma, soprattutto, mi sembra fondato arguire che Busoni considerasse il reproducíng piano come un macchinario provvisto di fascino e il grammofono come un mezzo privo della benché minima teatralità.
Mi sembra questa la chiave di lettura appropriata che lega Busoni a quasi venti anni di attività quale «roll recording artist», una chiave che passa attraverso l'ansia di futuro, la sete di novità e l'interesse per le nuove tecnologie che stavano concludendo una straordinaria stagione industriale destinata, di lì a poco, a rendere obsolete la meccanica e ia pneumatica in favore di una nascente era elettrica e poi elettronica.
È ciò che le pagine di questo lavoro cercano di approfondire e documentare.
Non dobbiamo, d'altra parte, dimenticare che l'interesse di Busoni per questi meccanismi, da lui spesso considerati inquietanti, è testimoniato da alcune lettere in cui il Maestro si dimostra affascinato dallo «scacchista autornatico» di Maelzel, a lui noto attraverso un saggio di Edgar Allan Poe (lettera alla moglie dei 25 giugno 1900) e dagli automi «soprattutto se vi si collegano circostanze misteriose» (lettera alla moglie dei 16 gennaio 1900).
Una pari suggestione esercitavano su di lui anche le marionette, anch'esse riviste come una trasfigurazione simbolo della realtà. lnequivocabiimente, l'entusiasmo in lui suscitato da «I Piccoli di Podrecca» [compagnia di marionette] (cfr. lettera a Egon Petri dei 7 marzo 1916 e lettera ad Arrigo Serato dell'8 maggio 1916) fu determinante nel fargli collegare il suo Doktor Faust al teatro delle marionette.
Questo tipo di interesse si era stabilito nella sua mente fin dall'infanzia. [Cfr. Lo sguarclo lieto, cit., p. 163]