free counter OSCAR WILDE - IL RITRATTO DI DORIAN GRAY I



By Gerwell



OSCAR WILDE

IL RITRATTO DI DORIAN GRAY











PREFAZIONE

L'artista è il creatore di cose belle.
Rivelare l'arte e nascondere l'artista è il fine dell'arte.
Il critico è colui che può tradurre in diversa forma o in nuova sostanza la sua impressione delle cose belle.
Tanto le più elevate quanto le più infime forme di critica sono una sorta di autobiografia.
Coloro che scorgono brutti significati nelle cose belle sono corrotti senza essere affascinanti. Questo è un errore.
Coloro che scorgono bei significati nelle cose belle sono le persone colte. Per loro c'è speranza.
Essi sono gli eletti: per loro le cose belle significano solo bellezza.
Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti male. Questo è tutto.
L'avversione del diciannovesimo secolo per il realismo è la rabbia di Calibano che vede il proprio volto riflesso nello specchio.
L'avversione del diciannovesimo secolo per il romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede il proprio volto riflesso nello specchio.
La vita morale dell'uomo è parte della materia dell'artista, ma la moralità dell'arte consiste nell'uso perfetto di un mezzo imperfetto. L'artista non desidera dimostrare nulla. Persino le cose vere possono essere dimostrate.
Nessun artista ha intenti morali. In un artista un intento morale è un imperdonabile manierismo stilistico.
Nessun artista è mai morboso. L'artista può esprimere qualsiasi cosa.
Il pensiero e il linguaggio sono per un artista strumenti di un'arte.
Il vizio e la virtù sono per un artista materiali di un'arte.
Dal punto di vista formale il modello di tutte le arti è l'arte del musicista. Dal punto di vista del sentimento il modello è l'arte dell'attore.
Ogni arte è insieme superficie e simbolo.
Coloro che scendono sotto la superficie lo fanno a loro rischio.
L'arte rispecchia lo spettatore, non la vita.
La diversità di opinioni intorno a un'opera d'arte dimostra che l'opera è nuova, complessa e vitale.
Possiamo perdonare a un uomo l'aver fatto una cosa utile se non l'ammira. L'unica scusa per aver fatto una cosa inutile è di ammirarla intensamente.
Tutta l'arte è completamente inutile.
OSCAR WILDE


I

Lo studio era pervaso dall'odore intenso delle rose e, quando tra gli alberi del giardino spirava la leggera brezza estiva, dalla porta spalancata entrava l'intenso odore dei lillà, o il più delicato profumo dei fiori rosa dell'eglantina.
Dall'angolo del divano di coperte da sella persiane, sul quale era sdraiato, fumando com'era sua abitudine innumerevoli sigarette, Lord Henry Wotton coglieva lo splendore dei fiori di liburno del colore e della dolcezza del miele, i cui tremuli rami parevano appena sopportare il peso della loro fiammeggiante bellezza. Ogni tanto, l'ombra fantastica di un uccello in volo saettava, con un fuggevole effetto giapponese, sulle lunghe tende di seta grezza tese dinanzi all'enorme finestra ricordandogli quei pittori di Tokio dal viso di pallida giada che, con i mezzi di un'arte necessariamente immobile, cercano di rendere il senso della velocità e del moto. Il cupo ronzio delle api che vagavano tra le alte erbe non falciate o roteavano con monotona insistenza intorno agli stami coperti di polvere dorata degli sparsi caprifogli sembrava rendere ancora più opprimente la sensazione di immobilità. Il rombo sommesso della città di Londra ricordava le note basse di un organo lontano.
In mezzo alla stanza, fissato a un cavalletto, stava il ritratto a figura intera di un giovane di straordinaria bellezza e di fronte, poco lontano, sedeva l'autore, Basil Hallward, la cui improvvisa scomparsa alcuni anni prima aveva suscitato tanto scalpore e fatto sorgere tante strane congetture.
Mentre il pittore guardava la forma bella e piena di grazia che con tanta abilità artistica aveva raffigurato, un sorriso di compiacimento gli attraversò il volto e parve volervisi fermare. Ma, improvvisamente, si alzò e chiudendo gli occhi posò le dita sulle palpebre, come se volesse tener prigioniero nella mente uno strano sogno da cui temeva ridestarsi.
"È la tua opera migliore, Basil, la più bella cosa che hai mai fatto," disse languido Lord Henry. "Devi assolutamente esporla al Grosvenor. L'Accademia è troppo grande e troppo volgare. Ogni volta che ci sono andato c'era tanta di quella gente che non sono riuscito a vedere i quadri, il che è tremendo, oppure tanti di quei quadri che non sono riuscito a vedere la gente, il che è anche peggio. Davvero, il Grosvenor è l'unico posto possibile."
"Penso che non lo esporrò in nessun posto," rispose il pittore gettando all'indietro il capo in quello strano modo che provocava le risate dei suoi compagni di Oxford. "No, non lo esporrò in nessun posto."
Lord Henry inarcò le sopracciglia e lo guardò stupito attraverso le sottili spire di fumo che salivano in fantastici arabeschi dalla sigaretta grevemente oppiata. "Non vuoi esporlo? Perché, mio caro amico? C'è qualche motivo? Che strani tipi siete, voi pittori! Fate qualunque cosa per ottenere una reputazione, poi non appena l'avete raggiunta pare che la vogliate gettare via. È una sciocchezza, perché al mondo c'è una sola cosa peggiore del far parlare di sé ed è il non far parlare di sé. Un ritratto come questo ti porrebbe più in alto di tutti i giovani inglesi e ti farebbe invidiare dai vecchi, posto che i vecchi siano in grado di provare emozioni."
"So che riderai di me," rispose il pittore, "ma non posso davvero esporlo. Vi ho messo dentro troppo di me."
Lord Henry si allungò sul divano ridendo.
"Sì, sapevo che avresti riso; comunque è proprio vero."
"Troppo di te! Parola mia, Basil, non ti credevo così vanitoso; e non riesco proprio a trovare nessuna rassomiglianza tra te, con quel tuo viso forte e marcato e i capelli neri come il carbone, e questo giovane Adone che pare fatto di avorio e petali di rosa. Infatti, mio caro Basil, lui è un Narciso e tu... ecco, naturalmente hai un'espressione intelligente e tutto il resto, ma la bellezza, la vera bellezza, finisce dove inizia l'espressione intelligente. L'intelletto è di per se stesso una sorta di eccesso e in qualunque volto distrugge l'armonia. Non appena uno comincia a pensare, diventa tutto naso o tutta fronte, oppure qualcosa di orrendo. Guarda quelli che hanno avuto successo nelle professioni intellettuali. Sono assolutamente disgustosi. Eccetto, naturalmente, gli uomini di chiesa. Ma, del resto, gli uomini di chiesa non pensano. A ottant'anni un vescovo continua a ripetere quello che gli è stato insegnato a diciotto e, come naturale conseguenza, ha sempre un aspetto delizioso. Questo tuo misterioso amico di cui non mi hai mai detto il nome, ma il cui ritratto trovo davvero affascinante, non pensa mai. Ne sono assolutamente sicuro. È una creatura bella e priva di cervello, una creatura che si dovrebbe avere sempre vicina d'inverno, quando non ci sono fiori da ammirare e d'estate, quando si sente il bisogno di qualcosa che rinfreschi l'intelligenza. Non illuderti, Basil, non gli assomigli minimamente."
"Non mi hai capito, Harry," replicò l'artista. "Naturalmente non gli assomiglio. Lo so perfettamente. In realtà mi dispiacerebbe assomigliargli. Scuoti le spalle? No, dico la verità. In ogni genere di distinzione, sia intellettuale che fisica, c'è una fatalità, quel genere di fatalità che, nella storia, pare in agguato sui passi incerti dei re. È meglio non essere diversi dal nostro prossimo. I brutti e gli stupidi hanno la parte migliore del mondo. Possono mettersi seduti a loro agio e godersi lo spettacolo. Se della vittoria non sanno nulla, gli viene perlomeno risparmiata la consapevolezza della sconfitta. Vivono come tutti dovremmo vivere: senza turbamenti, indifferenti e senza preoccupazioni. Non fanno male agli altri e non ricevono male da mani altrui. La tua nobiltà e la tua ricchezza, Harry, la mia intelligenza, per quel che può essere, la mia arte per quel che può valere, la bellezza di Dorian Gray: tutti soffriremo di ciò che gli dei ci hanno donato, ne soffriremo terribilmente tutti."
"Dorian Gray? Si chiama così?" domandò Lord Henry, muovendosi verso Basil Hallward.
"Sì, si chiama così. Non volevo dirtelo."
"Perché no?"
"Oh, non saprei spiegartelo. Quando una persona mi piace moltissimo, non dico mai a nessuno il suo nome. È come cederne una parte. Sono giunto ad amare la segretezza. Pare essere l'unica cosa che può renderci piena di meraviglia e di mistero la vita moderna. Basta nasconderla, e la più banale delle cose diventa deliziosa. Quando parto da Londra, non dico mai ai miei dove vado. Se lo dicessi, perderei ogni piacere. È una stupida abitudine, certo, ma in un certo qual modo pare che porti una grossa dose di romanticismo nella nostra vita. Immagino che mi riterrai tremendamente stupido."
"Niente affatto," rispose Lord Henry, "niente affatto. Forse dimentichi che sono sposato e l'unico elemento di fascino del matrimonio sta nella necessità di una vita di inganni tra i coniugi. Io non so mai dov'è mia moglie e lei non sa mai che cosa sto facendo. Quando ci incontriamo, succede qualche volta, se usciamo insieme a cena o andiamo dal duca, ci raccontiamo con l'espressione più seria le cose più assurde. In questo mia moglie è molto brava, molto più brava di me. Non confonde mai i suoi appuntamenti, mentre a me capita regolarmente. Ma quando mi coglie in fallo, non mi fa scenate. A volte vorrei che me le facesse, ma lei si limita a prendermi in giro."
"Non sopporto il modo che hai di parlare della tua vita matrimoniale, Harry," disse Basil Hallward, dirigendosi verso la porta che dava sul giardino. "Ritengo che tu sia un ottimo marito, ma che ti vergogni moltissimo delle tue virtù. Sei un tipo straordinario. Non dici mai una sola parola morale e non fai mai una cosa sbagliata. Il tuo cinismo è semplicemente una posa."
"La naturalezza è semplicemente una posa, e la più irritante che conosca," esclamò Lord Henry ridendo. I due uomini uscirono insieme nel giardino e si accomodarono su un lungo sedile di bambù all'ombra di un alto cespuglio di alloro. Il sole scivolava sulle foglie lucide, bianche margherite fremevano nell'erba.
Dopo una pausa, Lord Henry estrasse l'orologio. "Mi dispiace, Basil, ma devo andare," mormorò, "e prima di andarmene vorrei che tu rispondessi a una domanda che ti ho fatto poco fa."
"Quale domanda?" domandò il pittore, tenendo gli occhi fissi a terra.
"Lo sai benissimo."
"Non lo so, Harry."
"Bene, te la ripeterò. Voglio che tu mi spieghi perché non vuoi esporre il ritratto di Dorian Gray. Voglio sapere il vero motivo."
"Te l'ho detto."
"No. Hai detto che non volevi, perché in esso c'era troppo di te. Ora, questo è infantile."
"Harry," disse Basil Hallward, guardandolo negli occhi, "ogni ritratto dipinto con sentimento è un ritratto dell'artista, non del modello. Il modello è solamente un accidente, l'occasione. Non è lui quello che viene rivelato dal pittore; è piuttosto il pittore che sulla tela dipinta rivela se stesso. Il motivo per cui non esporrò questo quadro è che ho il timore di avervi messo in evidenza il segreto della mia anima."
Lord Henry rise. "E qual è questo segreto?"
"Te lo dirò," disse Hallward, ma sul viso gli apparve un'espressione perplessa.
"Sono impaziente, Basil," insistette l'amico lanciandogli un'occhiata.
"Oh, c'è davvero molto poco da dire, Harry," rispose il pittore, "e temo che ti sarà difficile capirlo. Forse non lo crederai nemmeno."
Lord Henry sorrise, si chinò a raccogliere nell'erba una margherita dai petali rosati e la esaminò. "Sono sicuro che ti capirò," replicò fissando attentamente il minuscolo disco d'oro piumato di bianco, "e per quanto riguarda il credere, posso credere a qualunque cosa purché sia del tutto incredibile."
Il vento fece cadere alcuni boccioli dagli alberi e i pesanti lillà con i loro grappoli di stelle oscillarono nell'aria languida. Accanto al muro una cavalletta iniziò a emettere il suo lieve stridio e una lunga e sottile libellula fluttuò nell'aria come un filo azzurro sulle ali di seta bruna. Lord Henry aveva l'impressione di percepire il palpito del cuore di Basil Hallward. Si chiese che cosa stesse avvenendo.
"La storia è semplicemente questa," disse il pittore dopo qualche attimo. "Due mesi fa andai a un ricevimento da Lady Brandon. Sai che noi poveri artisti di tanto in tanto ci dobbiamo far vedere in società, solo per ricordare al pubblico che non siamo selvaggi. Sei stato tu una volta a dirmi che, con un abito da sera e una cravatta bianca, chiunque, persino un agente di cambio, può guadagnarsi la reputazione di creatura civile. Bene, mi trovavo nella stanza da una decina di minuti e stavo parlando con enormi matrone troppo vestite e con noiosi accademici, quando improvvisamente mi resi conto che qualcuno mi stava guardando. Mi girai a metà e per la prima volta vidi Dorian Gray. Quando i nostri occhi si incontrarono mi sentii impallidire. Fui preso da una strana sensazione di terrore. Mi rendevo conto di trovarmi di fronte a un uomo il cui semplice fascino personale era tale che, se mi fossi lasciato andare, se glielo avessi permesso, avrebbe assorbito in sé la mia vera natura, la mia vera anima, persino la mia arte. Non voglio influenze esterne nella mia vita. Tu stesso, Harry, sai quanto io sia indipendente di natura. Sono sempre stato padrone di me stesso o almeno lo sono stato finché non ho incontrato Dorian Gray. Allora... ma non so come spiegartelo. Qualcosa pareva dirmi che ero sull'orlo di una terribile crisi. Avevo la strana sensazione che il destino avesse in serbo per me gioie squisite e squisite tristezze. Ebbi paura e mi voltai per lasciare la stanza. Non era la coscienza che mi spingeva a farlo, quanto piuttosto una sorta di viltà. Non mi vanto di aver cercato di fuggire."
"La coscienza e la viltà sono esattamente la stessa cosa, Basil. La coscienza è semplicemente il marchio di fabbrica della ditta: tutto qui."
"Non credo, Harry, e non credo nemmeno che tu ne sia convinto. In ogni modo, qualunque fosse il motivo, può anche darsi che fosse l'orgoglio, dato che sono molto orgoglioso, è certo che mi diressi decisamente verso la porta. E qui, naturalmente, inciampai in Lady Brandon. "Non intenderà lasciarci così presto, signor Hallward?" gridò. La conosci quella sua voce stranamente stridula."
"Sì, assomiglia in tutto a un pavone, fuorché nella bellezza," disse Lord Henry, facendo a pezzi la margherita con le lunghe dita nervose.
"Non riuscii a liberarmi di lei. Mi portò dalle Altezze Reali, da gente con Stelle e Giarrettiere, da vecchie dame con diademi giganteschi e nasi da pappagallo. Parlava di me come se fossi il suo più caro amico. In precedenza l'avevo incontrata solo una volta, ma si era messa in testa di esibirmi. Mi pare che in quel periodo uno dei miei quadri avesse riscosso un grande successo, o perlomeno se ne era parlato sui quotidiani popolari che nel diciannovesimo secolo rappresentano il sigillo dell'immortalità. E, improvvisamente, mi trovai faccia a faccia con il giovane la cui personalità mi aveva così stranamente turbato. Eravamo vicinissimi, quasi ci toccavamo. I nostri occhi si incontrarono una volta ancora. Fu un atto incauto da parte mia, ma chiesi a Lady Brandon di presentarmelo. Forse, dopotutto, non fu un atto così incauto: era semplicemente inevitabile. Ci saremmo parlati anche senza nessuna presentazione, ne sono certo. In seguito Dorian me lo disse. Anche lui aveva avuto la sensazione che fossimo destinati a conoscerci."
"E che cosa ti disse Lady Brandon di questo meraviglioso giovane?" domandò l'amico. "So che si dedica sempre a esporre un breve précis di tutti i suoi ospiti. Ricordo che una volta mi presentò a un vecchio gentiluomo dall'aria truculenta e dal volto scarlatto tutto coperto di nastri e decorazioni, sussurrandomi all'orecchio in un tragico bisbiglio, che probabilmente fu udito da tutti nella stanza, particolari stupefacenti. Semplicemente, scappai. Mi piace scoprire la gente da solo. Ma Lady Brandon tratta i suoi ospiti esattamente come un banditore tratta la sua merce: o li presenta in forma completamente sbagliata, oppure dice sul loro conto tutto, salvo quello che uno desidera sapere."
"Povera Lady Brandon! Sei duro con lei!" disse Hallward distrattamente.
"Mio caro, ha cercato di mettere in piedi un salon ed è riuscita solo ad aprire un ristorante. Come potrei ammirarla? Ma, dimmi, che cosa ti ha detto del signor Dorian Gray?"
"Oh, qualcosa come "Un ragazzo affascinante... la sua povera madre e io eravamo davvero inseparabili. Non ricordo assolutamente che cosa faccia... temo che... non faccia nulla... oh, sì, suona il pianoforte... o il violino, signor Gray?" Scoppiammo a ridere tutti e due e diventammo subito amici."
"Il ridere non è un brutto modo per iniziare un'amicizia, ed è senz'altro il migliore per terminarla," disse il giovane Lord, cogliendo un'altra margherita.
Hallward scosse il capo. "Tu non sai che cosa sia l'amicizia, Harry," mormorò, "né che cosa sia l'inimicizia, del resto. A te piace chiunque, il che equivale a dire che tutti ti sono indifferenti."
"Sei terribilmente ingiusto!" esclamò Lord Henry spingendo all'indietro il cappello e alzando lo sguardo verso le piccole nubi che, come intricate matasse di lucente seta bianca, veleggiavano nel cavo turchese del cielo estivo. "Sì, sei terribilmente ingiusto. Io faccio molta differenza tra le persone. Scelgo gli amici per la bellezza, i conoscenti per il buon carattere e i nemici per l'intelligenza. Non si è mai abbastanza attenti nella scelta dei propri nemici. Io non ne ho nemmeno uno che sia stupido. Sono tutti persone dalle notevoli capacità intellettuali e, di conseguenza, mi apprezzano. È una manifestazione di vanità da parte mia? Io penso di sì."
"Pare anche a me, Harry. Ma, secondo questa classificazione, io sono soltanto un conoscente."
"Vecchio mio, tu sei molto più di un conoscente."
"E molto meno di un amico. Una specie di fratello, immagino."
"Oh, i fratelli! Non mi interessano i fratelli! Mio fratello maggiore non vuol morire, e i miei fratelli più giovani pare che non facciano altro."
"Harry!" esclamò Hallward, aggrottando le sopracciglia.
"Caro amico, non dico sul serio. Ma non posso fare a meno di detestare i miei parenti. Immagino che sia dovuto al fatto che nessuno può sopportare chi possiede gli stessi suoi difetti. Ho molta simpatia per la rabbia che la democrazia inglese nutre nei confronti di quelli che chiamano i vizi delle classi superiori. Le masse pensano che l'ubriachezza, la stupidità e l'immoralità debbano essere una loro speciale prerogativa e che, se qualcuno di noi si comporta da deficiente, va a caccia nelle loro riserve. Quando il povero Southwark si presentò di fronte al tribunale dei divorzi, la loro indignazione fu spettacolare. E tuttavia non penso che il dieci per cento del proletariato viva nell'onestà."
"Non sono d'accordo su una sola parola di ciò che hai detto, Harry, e quel che è di più sono sicuro che nemmeno tu lo sei."
Lord Henry si lisciò la bruna barba appuntita e assestò un colpetto alla scarpa di vernice con il fiocco del bastone di ebano. "Come sei inglese, Basil! È la seconda volta che fai questa osservazione. Quando si espone un'idea a un vero inglese, il che è sempre un atto temerario, costui non si sogna nemmeno di valutare se l'idea è giusta o sbagliata. L'importante per lui è sapere se chi l'ha esposta ne è convinto o meno. Ora, il valore di un'idea non ha nulla a che vedere con la sincerità di chi la espone. In realtà, la cosa più probabile è che quanto meno uno è sincero tanto più intellettualmente pura sia l'idea perché non sarà inquinata né dai suoi difetti, né dai suoi desideri o dai suoi pregiudizi. Tuttavia non intendo discutere di politica, di sociologia o di metafisica con te. Mi piacciono le persone più dei principi e più di qualunque altra cosa mi piacciono le persone senza principi. Parlami ancora del signor Dorian Gray. Lo vedi spesso?"
"Ogni giorno. Non sarei contento se non lo vedessi ogni giorno. Mi è assolutamente necessario."
"Straordinario! Pensavo che ti interessasse solo la tua arte."
"In questo momento lui rappresenta per me tutta la mia arte," disse gravemente il pittore. "Harry, a volte penso che nella storia del mondo ci siano solo due momenti importanti. Il primo è quando appare un nuovo mezzo artistico, il secondo quando appare una nuova personalità artistica. Quello che per i veneziani fu l'invenzione dei colori ad olio, fu per la tarda scultura greca il volto di Antinoo e un giorno sarà per me il volto di Dorian Gray. Non solo perché dipingo, disegno, schizzo prendendolo come modello. Naturalmente ho fatto tutte queste cose, ma Dorian è per me molto più di un modello o di un soggetto. Non ti dirò che non sono soddisfatto di quel che ho tratto da lui, né che la sua bellezza è tale che l'arte non è in grado di esprimerla. Non c'è nulla che l'arte non possa esprimere e so che ciò che ho fatto da quando ho conosciuto Dorian è un buon lavoro, il miglior lavoro della mia vita. Ma in qualche strano modo, spero che mi capirai, la sua personalità mi ha suggerito uno stile e una forma artistica completamente nuovi. Vedo diversamente le cose e le penso diversamente. Adesso sono in grado di ricreare la vita in una forma che prima mi era preclusa. "Un sogno di forma in giorni di pensiero": chi l'ha detto? Me ne sono dimenticato ma proprio questo Dorian Gray ha rappresentato per me. La sola presenza di questo ragazzo, perché mi sembra un ragazzo, anche se ha più di vent'anni, la sua sola presenza... ah! Mi chiedo se ti puoi rendere conto di che cosa tutto questo significhi. Inconsciamente lui mi delinea una nuova scuola, una scuola che dovrà avere in sé tutta la passione dello spirito romantico e tutta la perfezione dello spirito greco. L'armonia di anima e corpo... che cosa grande! Nella nostra follia noi li separiamo e abbiamo inventato un realismo che è volgare e un idealismo che è vuoto. Henry, se tu appena sapessi che cosa rappresenta per me Dorian Gray! Ricordi quel mio paesaggio che Agnew si era offerto di comperare per una somma altissima, ma dal quale non ho voluto separarmi? È una delle cose migliori che ho mai dipinto. E perché? Perché, mentre lo dipingevo, Dorian Gray era seduto accanto a me. Qualche sottile influenza passava da lui a me e, per la prima volta in vita mia, ho visto in una boscaglia la meraviglia che avevo sempre cercato e sempre mancato."
"È straordinario, Basil. Devo vedere Dorian Gray."
Hallward si alzò e fece qualche passo avanti e indietro nel giardino. Dopo qualche momento ritornò. "Harry," disse, "per me Dorian Gray è un semplice spunto artistico. In lui tu potresti non vedere nulla, mentre io ci vedo tutto. Non è mai tanto presente nella mia opera come quando in essa non appare nulla di lui. Come ti ho detto, Dorian ha ispirato il mio nuovo stile: lo ritrovo in certe linee, nella dolcezza e nell'elusività di certi colori. Solo questo."
"E allora perché non vuoi esporre il suo ritratto?" domandò Lord Henry.
"Perché, senza averne l'intenzione, vi ho inserito qualche manifestazione di questa strana idolatria artistica di cui, naturalmente, non mi sono mai curato di parlargli. Lui non ne sa nulla. E non ne saprà mai nulla. Ma il mondo potrebbe intuirlo e io non metterò a nudo la mia anima sotto i suoi occhi superficiali e curiosi. Non metterò mai il mio cuore sotto il microscopio del mondo. In quel ritratto c'è troppo di me, Harry... davvero troppo!"
"I poeti non hanno i vostri scrupoli. Sanno quanto la passione sia utile per pubblicare. Oggi, un cuore spezzato lo si stampa in molte edizioni."
"Li odio proprio per questo," esclamò Hallward. "Un artista dovrebbe creare cose belle, ma non dovrebbe inserirvi nulla della propria vita. Viviamo in un'epoca in cui gli uomini ritengono che l'arte sia una specie di autobiografia. Abbiamo perduto il senso della bellezza astratta. Un giorno mostrerò al mondo che cosa sia, e proprio per questo il mondo non vedrà mai il mio ritratto di Dorian Gray."
"Secondo me hai torto, Basil, ma non voglio discutere con te. Discute continuamente solo chi ha esaurito l'intelligenza. Dimmi, Dorian Gray prova un affetto intenso per te?"
Il pittore rifletté un poco. "Gli piaccio," rispose dopo qualche attimo; "so che gli piaccio. Naturalmente io lo adulo spaventosamente. Provo uno strano piacere a dirgli cose che so benissimo poi mi pentirò di avergli detto. Di regola è molto gentile con me, sediamo insieme nello studio e parliamo di una quantità di cose. Ogni tanto, però, si dimostra terribilmente irriflessivo e pare che si diverta davvero a farmi soffrire. Allora, Harry, ho la sensazione di aver ceduto la mia anima a qualcuno che la tratta come se fosse un fiore da mettere all'occhiello, una piccola decorazione per appagare la sua vanità, l'ornamento di un giorno d'estate."
"I giorni d'estate, Basil, favoriscono gli indugi," mormorò Lord Henry. "Forse ti stancherai prima di lui. È triste pensarlo, ma senza dubbio il genio è più duraturo della bellezza. Questo spiega perché noi tutti ci diamo tanta pena per istruirci all'eccesso. Nella lotta selvaggia per l'esistenza, cerchiamo di avere qualcosa di durevole e perciò ci riempiamo la mente di cose inutili e di fatti, sperando stupidamente di mantenere la nostra posizione. L'uomo che sa tutto: ecco l'ideale moderno. E la mente dell'uomo che sa tutto è una cosa terribile. È come un negozio di cianfrusaglie, pieno di polvere e di mostruosità, dove ogni cosa ha un prezzo superiore di quel che vale. Comunque, penso che sarai il primo a stancarti. Un giorno guarderai il tuo amico e ti sembrerà un po' sfuocato, oppure non ti piacerà il tono del suo colore o qualche cosa di simile. Dentro di te, lo rimprovererai con durezza e penserai seriamente che si è comportato molto male nei tuoi confronti. Quando si farà nuovamente vivo, sarai assolutamente freddo e indifferente. Sarà un grosso peccato, perché questo produrrà in te un cambiamento. Quello che mi hai raccontato è un vero romanzo, lo si potrebbe chiamare un romanzo d'arte e la cosa peggiore che capita quando si vive un romanzo di qualunque tipo è che ci lascia completamente privi di sentimenti romantici."
"Non parlare in questo modo, Harry. La personalità di Dorian Gray mi dominerà finché vivrò. Non puoi sentire quello che sento io. Sei troppo incostante."
"Ah, mio caro Basil, proprio per questo posso sentirlo. Quelli che sono fedeli conoscono solo il lato banale dell'amore: sono gli infedeli che ne conoscono le tragedie." Lord Henry accese un fiammifero strofinandolo su una squisita scatoletta d'argento e iniziò a fumare una sigaretta con un'aria a un tempo soddisfatta e imbarazzata, come se, in una sola affermazione, avesse riassunto l'essenza del mondo. Tra le verdi foglie di lacca dell'edera si sentiva uno stormire di passeri cinguettanti, sull'erba le ombre azzurrine delle nubi si inseguivano come rondini. Come si stava bene nel giardino! E quant'erano piacevoli le emozioni degli altri!... molto più piacevoli delle loro idee, gli sembrava. La propria anima e le passioni di un amico: queste erano le cose affascinanti dell'esistenza. Con silenzioso piacere si raffigurò il pasto noioso che aveva mancato per rimanere tanto a lungo con Basil Hallward. Se fosse andato da sua zia, avrebbe incontrato di certo Lord Goodbody e si sarebbe parlato solo di come nutrire i poveri e della necessità di dormitori modello. Ciascuna classe avrebbe predicato l'importanza di quelle virtù che nella propria vita non erano necessarie. I ricchi avrebbero magnificato il valore della parsimonia e i pigri avrebbero parlato con eloquenza della dignità del lavoro. Per fortuna a tutto questo era sfuggito! E, mentre stava pensando a sua zia, un'idea parve colpirlo. Rivolgendosi a Hallward, disse: "Caro amico, adesso ricordo."
"Che cosa ricordi, Harry?"
"Dove ho già sentito il nome di Dorian Gray."
"E dove?" domandò Hallward, leggermente accigliato.
"Non fare quella faccia arrabbiata, Basil. È stato da mia zia, da Lady Agatha. Mi ha detto che aveva scoperto un meraviglioso giovanotto che l'avrebbe aiutata nell'East End e che si chiamava Dorian Gray. Devo riconoscere che non mi ha parlato della sua bellezza. Le donne non apprezzano la bellezza, le brave donne almeno. Disse che era molto onesto e che aveva un ottimo carattere. Immaginai immediatamente un tipo dai capelli lunghi, con gli occhiali, tutto coperto di lentiggini e barcollante su un paio di piedi enormi. Vorrei aver saputo che si trattava del tuo amico."
"Sono molto contento che tu non l'abbia saputo, Harry."
"Perché?"
"Perché non voglio che tu lo conosca."
"Non vuoi che lo conosca?"
"No."
"Il signor Dorian Gray è nello studio, signore," disse il maggiordomo scendendo in giardino.
"Adesso dovrai presentarmi," esclamò Lord Henry, ridendo.
Il pittore si rivolse al domestico che, immobile, socchiudeva gli occhi nel sole. "Preghi il signor Gray di attendere, Parker. Rientrerò tra qualche istante." L'uomo si inchinò e risalì lungo il vialetto.
Hallward si rivolse a Lord Henry. "Dorian Gray è il mio più caro amico," disse. "Ha una natura semplice e bella. Quello che ti ha detto tua zia è assolutamente vero. Non lo guastare. Non cercare di influenzarlo: la tua sarebbe una cattiva influenza. Il mondo è grande e in esso ci sono moltissime persone straordinarie. Non allontanare da me l'unica persona che dà alla mia arte tutto il suo fascino; la mia vita come artista dipende da lui. Ricorda, Harry, mi fido di te." Parlava lentamente e le parole parevano uscirgli contro la sua volontà.
"Che stupidaggini stai dicendo!" disse Lord Henry con un sorriso e, prendendolo a braccetto, quasi lo trascinò in casa.


II

Appena entrati, videro Dorian Gray. Sedeva di fronte al piano voltando loro le spalle e sfogliava le pagine di un fascicolo delle "Scene della foresta" di Schumann. "Me li devi prestare, Basil," esclamò. "Voglio studiarli. Sono proprio meravigliosi."
"Dipende da come poserai oggi, Dorian."
"Oh, sono stufo di posare, non ho nessuna voglia di avere un mio ritratto a grandezza naturale," rispose il giovane, girandosi sullo sgabello con un'espressione di arrogante petulanza. Vide Lord Henry e un accenno di rossore gli colorò le guance per un attimo; si alzò in piedi. "Ti prego di scusarmi, Basil. Non sapevo che ci fosse qualcuno con te."
"Questo è Lord Henry Wotton, Dorian, un mio vecchio amico di Oxford. Gli avevo appena detto che eri un modello eccezionale e ora hai guastato tutto."
"Non ha guastato il piacere che provo nel conoscerla, signor Gray," disse Lord Henry, facendosi avanti e tendendogli la mano. "Mia zia mi ha parlato spesso di lei: è uno dei suoi favoriti e, temo, una delle sue vittime."
"In questo momento sono sul libro nero di zia Agatha," rispose Dorian Gray, con una buffa espressione pentita. "Le avevo promesso di accompagnarla in un club di Whitechapel martedì scorso e me ne sono completamente dimenticato. Avremmo dovuto suonare un pezzo a quattro mani... tre pezzi, mi pare. Non so che cosa mi dirà. Sono troppo spaventato per farmi vivo."
"Oh, le farò far pace con la zia. Le vuole molto bene. E non credo che la sua assenza abbia avuto conseguenze di rilievo. Probabilmente il pubblico avrà pensato ugualmente di ascoltare un pezzo a quattro mani. Quando zia Agatha si mette al piano, fa abbastanza rumore per due."
"Questo è terribile verso la zia Agatha e non molto gentile verso di me," rispose Dorian ridendo.
Lord Henry lo osservò. Sì, era davvero meravigliosamente bello con quelle labbra rosse ben disegnate, i franchi occhi azzurri e i riccioli biondi. C'era nel suo volto qualcosa che ispirava immediatamente fiducia: tutto il candore della gioventù e, insieme, della gioventù l'appassionata purezza. Si avvertiva che non si era lasciato segnare dal mondo. Nessuna meraviglia che Basil Hallward lo adorasse.
"Lei è troppo affascinante per dedicarsi alla filantropia, signor Gray, davvero troppo affascinante." Lord Henry si lasciò cadere sul divano e aprì il portasigarette.
Il pittore era intento a mescolare i colori e a preparare i pennelli. Sembrava preoccupato e, nell'udire l'ultimo commento di Lord Henry, gli lanciò un'occhiata, esitò, poi disse: "Harry, vorrei finire il quadro oggi. Ti sembrerei troppo scortese se ti chiedessi di lasciarci?"
Lord Henry sorrise e guardò Dorian Gray. "Devo andarmene, signor Gray?" domandò.
"Oh, la prego, non se ne vada Lord Henry. Vedo che Basil ha uno dei suoi accessi di cattivo umore e quando è così non lo posso sopportare. D'altra parte, voglio che lei mi dica perché non devo dedicarmi alla filantropia."
"Non credo che glielo dirò, signor Gray. È un argomento così noioso che bisognerebbe parlarne seriamente. Ma ora che mi ha chiesto di rimanere, non scapperò via di certo. Non ti dispiace vero, Basil? Mi hai detto tante volte che sei contento se i tuoi modelli hanno qualcuno con cui chiacchierare."
Hallward si morse un labbro. "Se Dorian lo desidera, puoi rimanere, ovviamente. I suoi capricci sono legge per chiunque, tranne che per lui."
Lord Henry prese i guanti e il cappello. "Sei molto insistente, Basil, ma devo andare, mi dispiace. Ho promesso di incontrare una persona all'Orléans. Arrivederci, signor Gray. Venga a trovarmi qualche pomeriggio in Curzon Street. Alle cinque sono quasi sempre in casa. Mi scriva quando verrà. Mi dispiacerebbe molto che non mi trovasse."
"Basil," esclamò Dorian Gray, "se Lord Henry se ne va, me ne vado anch'io. Quando dipingi non dici una parola ed è terribilmente noioso stare immobile su un piedistallo cercando di assumere un'aria piacevole. Chiedigli di restare. Insisto."
"Resta, Harry, per fare un piacere a Dorian e per farlo a me," disse Hallward fissando attentamente il quadro. "È vero, quando lavoro non parlo mai e non ascolto: deve essere una cosa mortalmente noiosa per i miei disgraziati modelli. Ti prego di rimanere."
"Ma quella persona che devo incontrare all'Orléans?"
Il pittore rise. "Non credo che ci saranno difficoltà. Ritorna a sedere, Harry. E adesso, Dorian, sali sul piedistallo, non muoverti troppo e non badare a quello che ti dirà Lord Henry: ha una pessima influenza su tutti i suoi amici. Io sono l'unica eccezione."
Dorian Gray salì sulla piattaforma con l'aria di un giovane martire greco e rivolse una leggera moue di disappunto a Lord Henry per il quale provava già un notevole interesse. Era così diverso da Basil. Insieme, formavano un piacevole contrasto. E aveva una voce così bella. Dopo un momento gli disse: "Ha davvero una così cattiva influenza, Lord Henry? Cattiva come sostiene Basil?"
"Le buone influenze non esistono, signor Gray. Tutte le influenze sono immorali... immorali dal punto di vista scientifico."
"Perché?"
"Perché influenzare qualcuno significa dargli la propria anima: non pensa più con i suoi pensieri spontanei, né arde delle sue passioni spontanee. Non ha virtù proprie. I suoi peccati, se cose come i peccati esistono, sono presi a prestito. Diventa l'eco della musica suonata da un altro, l'interprete di una parte che non è stata scritta per lui. Lo scopo della vita è lo sviluppo di noi stessi. La perfetta realizzazione della nostra natura: questa è la ragione della nostra esistenza. Oggi l'uomo ha paura di sé. Ha dimenticato il più elevato di tutti i doveri, il dovere che ciascuno di noi ha nei confronti di se stesso. Naturalmente è caritatevole, dà da mangiare agli affamati e veste i mendicanti, ma la sua anima langue ed è nuda. Il coraggio ha abbandonato la nostra specie, o forse non lo abbiamo mai realmente avuto. Il timore della società, che è il fondamento della morale, il terrore di Dio, che è il segreto della religione, sono le due cose che ci governano. E tuttavia..."
"Dorian, volta la testa leggermente verso destra, da bravo," disse il pittore, immerso nel suo lavoro e conscio solo del fatto che nel viso del giovane era apparsa un'espressione che non aveva mai visto prima.
"E tuttavia," proseguì Lord Henry con la sua voce bassa e musicale e con quell'elegante ondeggiare della mano che era stato una sua caratteristica fin dai tempi di Eton, "credo che se ognuno dovesse vivere pienamente la sua vita, se desse concretezza a ogni sua sensazione, espressione a ogni pensiero, realtà a ogni sogno, credo che il mondo ne riceverebbe un così fresco impulso di gioia che dimenticheremmo tutti i malanni del medievalismo e ritorneremmo all'ideale ellenico e forse a qualcosa di più bello e più ricco dell'ideale ellenico. Ma il più coraggioso di noi ha paura di se stesso. Le mutilazioni dei selvaggi sopravvivono tragicamente nella repressione del proprio io che deturpa la nostra vita. Siamo puniti per i nostri rifiuti. Ogni impulso che cerchiamo di soffocare fermenta nella nostra mente e ci avvelena. Il corpo pecca una sola volta e supera subito il peccato, perché l'azione è un modo di purificarsi. Allora non rimane più nulla, salvo il ricordo del piacere, o il lusso di un rimpianto. L'unico modo di liberarsi di una tentazione è abbandonarvisi. Resisti, e la tua anima si ammalerà del desiderio delle cose che si è proibite, di passione per ciò che le sue stesse mostruose leggi hanno reso mostruoso e illegale. Si è detto che i grandi avvenimenti dell'umanità si sviluppano nel cervello. Ed è anche nel cervello che si verificano i grandi peccati dell'umanità. Lei, signor Gray, lei stesso durante la sua purpurea gioventù, durante la sua candida adolescenza, ha avuto passioni che l'hanno spaventata, pensieri che l'hanno riempita di terrore, sogni e fantasticherie il cui semplice ricordo dovrebbe farla arrossire di vergogna..."
"Basta!" balbettò Dorian Gray, "basta! Lei mi sconvolge. Non so che cosa risponderle: c'è una risposta ma non la trovo. Non parli, mi lasci pensare. O, meglio, lasci che provi a non pensare."
Rimase immobile per una diecina di minuti, le labbra semiaperte, gli occhi stranamente luminosi. Era oscuramente conscio che in lui agivano forze completamente nuove. E tuttavia gli pareva davvero, che provenissero dal suo intimo. Le poche parole che l'amico di Basil gli aveva detto, parole senza dubbio casuali e volutamente paradossali, avevano toccato qualche corda segreta che non era mai stata toccata prima, ma che ora sentiva vibrare e sussultare di uno strano fremito.
Nell'identico modo l'aveva colpito la musica: ne era stato molte volte sconvolto, ma la musica non è articolata, non crea in noi un nuovo mondo, quanto piuttosto un nuovo caos. Parole! Semplici parole! Quant'erano terribili! Quant'erano chiare, vivide, crudeli! Ad esse non si poteva sfuggire. E tuttavia quale sottile magia contenevano. Sembravano capaci di dare forma plastica a cose informi, sembravano possedere una musica loro, propria, dolce come quella della viola o del flauto. Semplici parole! C'era qualcosa di altrettanto reale quanto le parole?
Sì, nella sua adolescenza c'erano state cose che non aveva capito. Adesso le capiva. Improvvisamente la vita gli apparve del colore della fiamma. Gli sembrò di aver camminato fino a quel momento nel fuoco. Come mai non se ne era reso conto?
Lord Henry lo osservava con un leggero sorriso. Conosceva l'esatto momento psicologico in cui non bisognava dir nulla. Si sentì profondamente interessato. Lo stupiva l'intensa impressione provocata dalle sue parole e, ricordando un libro che aveva letto a sedici anni, un libro che gli aveva rivelato molte cose che non sapeva, si domandò se Dorian Gray non stesse attraversando la stessa esperienza. Aveva semplicemente scagliato una freccia in aria. Aveva colto il bersaglio? Quant'era affascinante quel ragazzo!
Hallward continuava a dipingere con quel suo tocco meravigliosamente sicuro, che possedeva l'autentica finezza e la perfetta delicatezza che nell'arte, in definitiva, vengono solo dalla forza. Non si accorgeva del silenzio.
"Basil, sono stanco di posare," si lamentò improvvisamente Dorian Gray. "Devo andare a sedermi in giardino. Qui si soffoca."
"Mio caro amico, mi dispiace davvero. Quando dipingo non penso ad altro. Ma non hai mai posato così bene. Stavi perfettamente immobile. E sono riuscito a cogliere l'effetto che volevo: le labbra semiaperte e questa luminosità nello sguardo. Non so che cosa ti stesse dicendo Harry, ma ti ha fatto assumere un'espressione meravigliosa. Immagino che ti abbia fatto dei complimenti. Non devi credere a una sola parola di quello che dice."
"Non mi ha fatto nessun complimento. Forse per questo non credo a nulla di ciò che mi ha detto."
"Sa benissimo di credere a tutto, invece," ribatté Lord Henry, fissandolo con quei suoi occhi languidi e sognanti. "La accompagnerò in giardino. Qui nello studio fa un caldo terribile. Basil, facci portare qualcosa di ghiacciato, qualcosa con delle fragole."
"Certo, Harry. Basta suonare il campanello e quando verrà Parker gli dirò che cosa desideri. Io devo lavorare allo sfondo e vi raggiungerò tra poco. Non trattenere troppo a lungo Dorian. Non ho mai dipinto bene come oggi. Questo sarà il mio capolavoro. Già adesso è il mio capolavoro."
Lord Henry uscì in giardino e trovò Dorian Gray che seppelliva il viso nei grandi freschi grappoli di lillà, bevendone il profumo come se fosse un vino. Gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. "Fa bene," mormorò. "Nulla guarisce l'anima salvo i sensi, come nulla guarisce i sensi salvo l'anima."
Il giovane ebbe uno scatto e arretrò. Era a capo scoperto e le foglie gli avevano scomposto i riccioli ribelli, sconvolgendone la trama dorata. Negli occhi aveva un'espressione di spavento, come capita a chi viene svegliato improvvisamente. Le narici finemente cesellate fremettero e un nervo invisibile scosse le labbra scarlatte lasciandole frementi.
"Sì," proseguì Lord Henry, "questo è uno dei grandi segreti della vita: guarire l'anima con i sensi e i sensi con l'anima. Lei è una meravigliosa creatura. Lei sa più di quanto crede di sapere, proprio come sa meno di quanto vuole sapere."
Dorian Gray aggrottò le sopracciglia e distolse il viso: non poteva fare a meno di subire il fascino del giovane alto e aggraziato che gli stava accanto. Lo interessavano il suo romantico viso olivastro e l'espressione esausta. La sua voce bassa e languida aveva qualcosa di assolutamente affascinante. Anche le mani, bianche e fresche come fiori, possedevano uno strano fascino: quando Lord Henry parlava, si muovevano come una musica e parevano esprimersi in una loro lingua. Ma Dorian aveva paura di lui e si vergognava di aver paura. Perché era stato uno sconosciuto a rivelarlo a se stesso? Conosceva da mesi Basil Hallward, ma l'amicizia che c'era tra loro non lo aveva mai turbato. Improvvisamente, nella sua vita era apparso qualcuno che pareva avergli rivelato i misteri della vita. E, comunque, di che cosa doveva aver paura? Non era né uno scolaretto né una ragazzina. La sua paura era assurda.
"Andiamo a sederci all'ombra," disse Lord Henry. "Parker ha portato fuori le bibite e se lei rimane ancora sotto questo riverbero si sciuperà e Basil non le farà più ritratti. Davvero, non deve lasciare che il sole l'abbronzi. Non le si addice."
"Che importanza ha?" esclamò Dorian Gray ridendo, mentre sedeva sulla panchina in fondo al giardino.
"Per lei dovrebbe significare tutto, signor Gray."
"Perché?"
"Perché lei ha una giovinezza meravigliosa e la giovinezza è l'unica cosa che vale la pena di avere."
"Non mi sembra, Lord Henry."
"No, non le sembra adesso. Un giorno, quando sarà vecchio, rugoso, brutto, quando il pensiero avrà segnato di rughe la sua fronte e quando la passione avrà marcato le sue labbra del suo orrendo fuoco, le sembrerà, le sembrerà terribilmente. Ora, dovunque vada, lei affascina il mondo. Sarà sempre così?... Ha un viso meraviglioso, signor Gray. Non si accigli: lo ha. E la bellezza è una manifestazione del genio. In realtà è più elevata del genio, perché non ha bisogno di spiegazioni. È una delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o come il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo luna. Non può venire contestata. Regna per diritto divino e rende principi coloro che la possiedono. Lei sorride? Ah! quando l'avrà perduta non sorriderà più... a volte la gente dice che la bellezza è solo superficiale. Può darsi. Ma perlomeno non è superficiale quanto il pensiero. Per me, la bellezza è la meraviglia delle meraviglie. Solo la gente mediocre non giudica dalle apparenze. Il vero mistero del mondo è ciò che si vede, non l'invisibile... Sì, signor Gray, gli dei le sono stati propizi. Ma ciò che gli dei danno, lo tolgono in fretta. Lei ha solo pochi anni da vivere realmente, perfettamente e pienamente. Quando la sua giovinezza se ne sarà andata, la sua bellezza la seguirà e allora improvvisamente si renderà conto che non ci saranno più trionfi per lei, oppure dovrà accontentarsi di quei mediocri trionfi che il ricordo del passato renderà amari più di sconfitte. Ogni mese che passa la avvicina a qualcosa di tremendo. Il tempo è geloso di lei e combatte contro i suoi gigli e le sue rose. Il suo colorito si spegnerà, le guance si incaveranno, gli occhi perderanno luminosità. Soffrirà, orrendamente... Ah! approfitti della giovinezza finché la possiede. Non sprechi l'oro dei suoi giorni ascoltando gente noiosa, cercando di migliorare un fallimento senza speranza o gettando la sua vita agli ignoranti, alla gente mediocre, ai malvagi. Questi sono gli obiettivi malsani, i falsi ideali della nostra società. Deve vivere! Vivere la vita meravigliosa che è in lei! Non lasci perdere nulla! Cerchi sempre sensazioni nuove. Non abbia paura di nulla... Un nuovo edonismo... ecco che cosa vuole il nostro secolo. Lei potrebbe esserne il simbolo palese. Con la sua personalità non c'è nulla che lei non possa fare. Il mondo le appartiene per una stagione... Quando l'ho conosciuta ho capito che lei non si rende conto di chi in realtà è, o di chi in realtà potrebbe essere. Così tante cose mi hanno affascinato in lei, che ho sentito di doverle comunicare qualcosa sul suo conto. Ho pensato quale tragedia sarebbe se lei sprecasse la sua vita. Perché la sua giovinezza sarà così breve... così breve. I semplici fiori di campo appassiscono, ma ritornano a fiorire. Il prossimo giugno l'avorio sarà giallo come ora. Tra un mese questa clematide sarà ricoperta di stelle purpuree e un anno dopo l'altro la verde notte delle sue foglie racchiuderà altre stelle purpuree. Ma la nostra giovinezza, non ritorna mai, i palpiti di gioia che battono dentro di noi a vent'anni si fanno confusi, le nostre membra si indeboliscono, i sensi si corrompono. Degeneriamo in ripugnanti fantocci, nell'ossessione del ricordo di passioni che abbiamo troppo temuto e di squisite tentazioni cui non abbiamo avuto il coraggio di abbandonarci. Giovinezza! Giovinezza! Non c'è assolutamente nulla al mondo, fuorché la giovinezza!"
Dorian Gray lo ascoltava meravigliato, a occhi spalancati. Dalle sue mani il ramo di lillà cadde sulla ghiaia; giunse un'ape vellutata, ronzò per un attimo intorno al grappolo, poi iniziò ad arrampicarsi sul globo ovale, stellato di piccoli fiori. La osservò con quello strano interesse per le cose prive di importanza che cerchiamo di sviluppare quando le cose importanti ci fanno paura, quando ci agita un'emozione nuova che non sappiamo esprimere, o quando un pensiero terrorizzante d'improvviso ci assedia la mente chiedendo la nostra resa. Dopo un poco l'ape volò via. La vide infilarsi nella tromba screziata di un convolvolo di Tiro. Il fiore parve rabbrividire, poi prese a oscillare dolcemente.
D'improvviso, sulla porta dello studio apparve il pittore e li invitò ad entrare con un gesto delle braccia tese. Lord Henry e Dorian Gray si guardarono negli occhi e sorrisero.
"Vi sto aspettando," esclamava Basil. "Entrate. La luce è perfetta, potete portare con voi i bicchieri."
Si alzarono e risalirono insieme il viale. Alle loro spalle svolazzavano due farfalle bianche e verdi, sul pero nell'angolo del giardino un tordo fischiò.
"È contento di avermi incontrato, signor Gray?" disse Lord Henry, fissandolo.
"Sì, sono contento, ora. Mi domando se lo sarò sempre."
"Sempre! Che parola tremenda. Mi fa rabbrividire ogni volta che la sento. Alle donne piace moltissimo usarla. Rovinano tutto ciò che vi è di romantico cercando di farlo durare in eterno. E poi è una parola priva di significato. L'unica differenza tra un capriccio e la passione di una vita è che il capriccio dura un po' più a lungo."
Mentre entravano nello studio, Dorian Gray posò una mano sul braccio di Lord Henry. "In questo caso, speriamo che la nostra amicizia sia un capriccio," mormorò, arrossendo della propria audacia. Salì sulla piattaforma, rimettendosi in posa.
Lord Henry si lasciò cadere in una grande poltrona di vimini e lo osservò. Gli unici rumori che rompevano il silenzio erano i colpetti leggeri e i fruscii del pennello sulla tela, salvo quando, ogni tanto, Hallward indietreggiava per osservare a distanza il lavoro. Il pulviscolo dorato danzava nei raggi di sole che fluivano obliqui dal finestrone aperto. Su ogni cosa pareva incombere l'intenso odore delle rose.
Dopo circa un quarto d'ora Hallward smise di dipingere e con le sopracciglia aggrottate osservò lungamente Dorian Gray poi a lungo il quadro, mordendo l'estremità di uno dei suoi grossi pennelli. "È completamente finito," esclamò alla fine e, chinatosi, scrisse il suo nome a lunghe lettere vermiglie nell'angolo sinistro della tela.
Lord Henry si avvicinò ed esaminò il quadro. Senza dubbio era una meravigliosa opera d'arte e anche la rassomiglianza era meravigliosa.
"Mio caro amico, ti faccio le mie più vive congratulazioni," disse. "È il più bel ritratto dell'epoca moderna. Signor Gray, venga e si guardi."
Il giovane ebbe un sussulto, come se si fosse destato da un sogno. "È davvero finito?" mormorò scendendo dalla piattaforma.
"Completamente finito," ripeté il pittore. "E oggi hai posato magnificamente. Te ne sono davvero riconoscente."
"È tutto merito mio," intervenne Lord Henry. "Non è vero signor Gray?"
Dorian non rispose, ma passò con aria svogliata davanti al quadro e si voltò per osservarlo. Quando lo vide arretrò leggermente e per un attimo arrossì di piacere. Gli occhi gli si illuminarono di gioia, come se per la prima volta si fosse riconosciuto. Rimase immobile, stupito. Sentiva debolmente che Hallward gli diceva qualcosa, ma non capiva il significato delle parole. Il senso della sua bellezza lo colpì come una rivelazione. Non se ne era mai reso conto, prima. I complimenti di Basil Hallward gli erano sembrati solo le piacevoli esagerazioni di un amico; li aveva ascoltati, ne aveva riso, li aveva dimenticati. Non avevano avuto nessuna influenza sul suo carattere. Poi era venuto Lord Henry Wotton con quel suo strano panegirico sulla giovinezza e il terribile avvertimento della sua brevità. Sul momento la cosa lo aveva colpito e ora, mentre contemplava l'ombra della propria bellezza, la piena realtà di quella descrizione lo attraversò come un lampo. Sì, un giorno il suo volto sarebbe divenuto rugoso e avvizzito, gli occhi deboli e scoloriti, la grazia della sua figura rotta e deforme. Le labbra avrebbero perduto il colore scarlatto, l'oro sarebbe scomparso dai capelli. La vita, che avrebbe formato la sua anima, avrebbe distrutto il suo corpo. Sarebbe diventato orribile, ripugnante, goffo.
Mentre pensava a queste cose, un'acuta fitta di dolore lo attraversò come una coltellata, facendo rabbrividire ogni nervo della sua delicata natura. Gli occhi assunsero un color ametista e li velò una nebbia di lacrime. Gli sembrò che una mano di ghiaccio gli avesse stretto il cuore.
"Non ti piace?" esclamò finalmente Basil Hallward un poco colpito dal silenzio del giovane e non comprendendone il motivo.
"Certo che gli piace," disse Lord Henry. "A chi non piacerebbe? È una delle migliori opere dell'arte moderna. Ti darò tutto quello che vorrai chiedermi. Devo averlo."
"Non è mio, Harry."
"E di chi é?"
"Di Dorian, naturalmente," rispose il pittore.
"È davvero un individuo fortunato."
"Che cosa triste!" mormorò Dorian Gray, sempre tenendo gli occhi fissi sul ritratto. "Che cosa triste! Io diventerò vecchio, orribile, disgustoso, ma questo quadro resterà sempre giovane. Non sarà mai più vecchio di quanto è oggi, in questa giornata di giugno... Se solo potesse essere il contrario! Se potessi io rimanere sempre giovane e invecchiasse il quadro, invece! Per questo... per questo darei qualunque cosa! Sì, non c'è nulla al mondo che non darei! Darei l'anima!"
"Non credo che saresti soddisfatto di un accordo del genere, Basil," esclamò Lord Henry, ridendo. "Sarebbe una brutta fine per il tuo quadro."
"Sarei nettamente contrario, Harry," disse Hallward.
Dorian Gray si voltò verso di lui e lo guardò. "Lo credo, Basil. Preferisci la tua arte ai tuoi amici. Per te non valgo più di una statuetta di bronzo patinato. Anche meno, oserei dire."
Il pittore lo guardò sconcertato. Era così insolito in Dorian un linguaggio simile. Che cosa era successo? Sembrava piuttosto arrabbiato. Era rosso in volto e aveva le guance ardenti.
"Sì," proseguì, "per te valgo meno del tuo Hermes d'avorio o del tuo fauno d'argento. Quelli ti piaceranno sempre, ma per quanto ti piacerò io? Fino al giorno in cui mi apparirà la prima ruga, immagino. Adesso so che quando si perde la bellezza, qualunque essa sia, si perde tutto. Me lo ha insegnato il tuo quadro. Lord Henry Wotton ha perfettamente ragione. La giovinezza è l'unica cosa che vale la pena di possedere. Quando mi accorgerò di invecchiare mi ucciderò."
Hallward impallidì e gli afferrò la mano. "Dorian! Dorian!" esclamò, "non dire queste cose. Non ho mai avuto un amico come te, e non ne avrò mai un altro. Tu non sei geloso delle cose materiali, non è vero? Tu che sei più bello di tutte loro!"
"Sono geloso di tutto ciò la cui bellezza non muore. Sono geloso del ritratto che hai dipinto. Perché dovrebbe conservare quello che io devo perdere? Ogni attimo che passa toglie qualcosa a me e dà qualcosa al ritratto. Oh, se solo potesse accadere l'inverso! Se il quadro cambiasse e io potessi rimanere come sono adesso! Perché lo hai dipinto? Un giorno mi deriderà... mi deriderà orribilmente!" Calde lacrime gli salirono agli occhi. Strappò la mano da quella di Basil e, lasciatosi cadere sul divano, seppellì il volto tra i cuscini come se pregasse.
"Questo è opera tua, Harry," disse il pittore amaramente.
Lord Henry scosse le spalle. "È il vero Dorian Gray... Tutto qui."
"No, non è il vero Dorian Gray."
"Se non lo è, io che cosa c'entro?"
"Avresti dovuto andartene quando te l'ho chiesto," mormorò Basil.
"Sono rimasto quando me lo hai chiesto," fu la risposta di Lord Henry.
"Harry, non posso litigare contemporaneamente con i miei due migliori amici, ma fra tutti e due mi avete fatto odiare l'opera più bella che ho mai fatto e quindi la distruggerò. Che cos'è se non tela e colore? Non permetterò che si metta tra le nostre tre vite e le rovini."
Dorian Gray sollevò dai cuscini la testa dai capelli d'oro e guardò, pallido in viso e con gli occhi gonfi di lacrime, il pittore che si avvicinava al tavolo di lavoro di abete, sistemato di fronte agli alti tendaggi della finestra. Che cosa intendeva fare? Le sue dita vagavano alla ricerca di qualche cosa nella confusione di tubetti di stagno, di pennelli asciutti. Sì, cercava la lunga spatola dalla sottile lama dì acciaio flessibile. Alla fine la trovò. Stava per fare a pezzi la tela.
Con un singhiozzo soffocato il giovane balzò dal divano e, precipitatosi addosso a Hallward, gli strappò la lama dalle mani e la gettò in fondo allo studio. "No, Basil, non farlo!" gridò. "Sarebbe un delitto!"
"Sono contento che finalmente tu apprezzi il mio lavoro, Dorian," disse freddamente il pittore, quando si fu ripreso dalla sorpresa. "Non l'avrei mai pensato."
"Apprezzare il tuo lavoro? Ne sono innamorato, Basil. È parte di me, lo sento."
"Bene, non appena sarai asciutto, ti vernicerò, ti metterò la cornice e ti manderò a casa. Allora potrai fare di te stesso quello che più ti piacerà." Attraversò la stanza e suonò il campanello per il tè. "Prendi il tè, naturalmente, Dorian? E anche tu, Harry? O avete qualcosa da obiettare contro questi semplici piaceri?"
"Adoro i piaceri semplici," disse Lord Henry. "Sono l'ultimo rifugio delle cose complicate. Ma non mi piacciono le scenate fuorché sul palcoscenico. Che personaggi assurdi siete, tutti e due! Mi domando chi ha mai detto che l'uomo è un animale ragionevole. È stata la definizione più prematura che sia stata data. L'uomo è molte cose, ma non è ragionevole. Del resto, sono contento che non lo sia: avrei preferito che voi due, ragazzetti, non vi azzuffaste a proposito del quadro. Sarebbe stato meglio se tu lo avessi dato a me, Basil. Questo stupido ragazzo in realtà non lo desidera, mentre io sì"
"Se lo dai a qualcun altro, Basil, non ti perdonerò mai!" gridò Dorian Gray, "e non permetto a nessuno di chiamarmi uno stupido ragazzo."
"Sai che il quadro è tuo, Dorian. Te l'ho dato prima ancora che esistesse."
"E lei sa di essere stato leggermente stupido, signor Gray, e sa anche che, in realtà, non le dà affatto fastidio sentirsi ricordare che è molto giovane."
"Avrei avuto moltissimo da obiettare questa mattina, Lord Henry."
"Ah, questa mattina! Da allora lei ha vissuto."
Si sentì bussare alla porta e il maggiordomo entrò reggendo il vassoio del tè che posò su un minuscolo tavolo giapponese. Si udì il tintinnio delle tazze e dei piattini e il sibilo sommesso di un samovar georgiano. Un ragazzo reggeva due ciotole di porcellana cinese. Dorian Gray si mosse e versò il tè. I due uomini si avvicinarono lentamente al tavolino ed esaminarono che cosa c'era sotto i coperchi.
"Andiamo a teatro, stasera," disse Lord Henry. "Deve esserci senz'altro qualcosa, da qualche parte. Ho promesso di pranzare da White, ma si tratta solo di un vecchio amico e quindi posso avvertirlo con un telegramma che sono malato o che non posso andare a causa di un impegno preso successivamente. Penso che questa sia una scusa molto bella: avrebbe in sé tutta la sorpresa dell'innocenza."
"È così noioso dover indossare l'abito da sera," bofonchiò Hallward. "E poi quando lo si ha indossato è così orrendo."
"Sì," rispose Lord Henry con aria sognante, "il modo di vestire del diciannovesimo secolo è detestabile. È così scialbo, così deprimente. L'unico elemento di colore che sia rimasto nella vita moderna è il peccato."
"Non dovresti proprio dire queste cose davanti a Dorian, Harry."
"Davanti a quale Dorian? Quello che ci sta versando del tè o quello del quadro?"
"Davanti ad ambedue."
"Mi piacerebbe venire a teatro con lei, Lord Henry," disse il ragazzo.
"Venga, allora. E verrai anche tu, Basil, non è vero?"
"Proprio non posso. Preferirei di no. Ho molto lavoro da fare."
"Bene, allora andremo noi due soli, signor Gray."
"Mi farebbe moltissimo piacere."
Il pittore si morse il labbro e tenendo la tazza in mano si avvicinò al ritratto. "Io resterò con il vero Dorian," disse tristemente.
"È proprio il vero Dorian?" esclamò, dirigendosi verso di lui, l'originale del ritratto. "Sono davvero cosi?"
"Sì, sei proprio così."
"È meraviglioso, Basil!"
"Perlomeno in apparenza sei così. Ma il ritratto non cambierà mai," sospirò Hallward. "È già qualcosa."
"Quante storie si fanno sulla fedeltà!" esclamò Lord Henry. "Pensa, anche in amore è semplicemente una questione di fisiologia. Non ha nulla a che fare con la nostra volontà. I giovani vorrebbero essere fedeli e non lo sono; i vecchi vorrebbero essere infedeli e non possono. È tutto quello che se ne può dire."
"Dorian, non andare a teatro questa sera," disse Hallward. "Rimani qui a cena con me."
"Non posso, Basil."
"Perché?"
"Perché ho promesso a Lord Henry Wotton di andare con lui."
"Non gli piacerai di più per il fatto di mantenere le tue promesse. Lui non mantiene mai le sue. Ti prego di non andare."
Il giovane esitò e lanciò un'occhiata in direzione di Lord Henry che, accanto al tavolino da tè, li stava osservando con un sorriso divertito.
"Devo andare, Basil," rispose.
"Molto bene," disse Hallward. Si mosse e posò la tazza sul tavolino. "È piuttosto tardi e, dato che vi dovete vestire, è meglio che non perdiate tempo. Arrivederci, Harry. Arrivederci Dorian. Venite presto a trovarmi. Domani."
"Certamente."
"Non te ne dimenticherai?"
"No, certamente no," esclamò Dorian.
"E... Harry!"
"Sì, Basil?"
"Ricorda quello che ti ho chiesto questa mattina, quando eravamo in giardino."
"Me ne sono dimenticato."
"Mi fido di te."
"Vorrei potermi fidare anch'io di me," disse Lord Henry, ridendo. "Venga, signor Gray. La mia carrozza è qui fuori e posso accompagnarla a casa. Arrivederci, Basil. È stato un pomeriggio molto interessante."
Appena la porta si fu chiusa alle loro spalle, il pittore si lasciò cadere su un divano e sul viso gli apparve un'espressione di sofferenza.


III

Il giorno dopo, alle dodici e mezzo, Lord Henry Wotton fece una passeggiata da Curzon Street ad Albany per trovare suo zio, Lord Fermor, uno scapolo allegro anche se di modi un po' bruschi, definito egoista dagli estranei, perché da lui non traevano nessun particolare vantaggio, ma generoso dalla società, perché offriva il pranzo a chi lo divertiva. Il padre era stato ambasciatore inglese a Madrid quando era giovane Isabella e non si pensava ancora a Prim, ma si era poi ritirato dal corpo diplomatico per capriccio, seccato perché non gli era stata offerta l'ambasciata di Parigi, posto che riteneva gli spettasse di diritto per la nascita, l'indolenza, il buon inglese dei suoi rapporti e la disordinata passione per i piaceri. Il figlio, che era segretario del padre, aveva dato le dimissioni insieme al suo superiore, un po' scioccamente come si pensò allora, e, avendo ereditato il titolo pochi mesi dopo, si era seriamente dedicato allo studio della grande arte aristocratica di non fare assolutamente nulla. Possedeva due grandi case in città, ma preferiva vivere in appartamenti d'affitto perché aveva meno seccature e pranzava quasi sempre al club. Dedicava qualche attenzione alla direzione delle sue miniere di carbone nel Midland e si scusava di questo suo vizio industriale col dire che l'unico vantaggio di possedere del carbone era che esso permetteva a un gentiluomo il decoro di bruciare legna nel caminetto. In politica era conservatore, salvo quando i conservatori erano al governo. Allora li accusava esplicitamente di essere un mucchio di radicali. Per il suo cameriere, che lo tiranneggiava, era un eroe e un terrore per la maggior parte dei suoi parenti, che a sua volta tiranneggiava. Avrebbe potuto nascere solo in Inghilterra, e ripeteva di continuo che il paese stava andando in malora. I suoi principi erano antiquati e anche a proposito dei suoi pregiudizi ci sarebbe stato molto da dire.
Quando Lord Henry entrò nella stanza, trovò lo zio, con un ruvido abito da caccia, seduto in poltrona e intento a fumare un sigaro brontolando sul Times. "Bene Henry," disse il vecchio gentiluomo, "come mai sei uscito così presto? Pensavo che voi dandies non vi alzaste mai prima delle due e che non vi si potesse vedere prima delle cinque."
"Puro affetto familiare, ti assicuro, zio George. Ho bisogno di qualche cosa da te."
"Soldi, immagino," disse Lord Fermor assumendo un'espressione brusca. "Bene, siediti e parlamene. Oggigiorno i giovani pensano che il denaro sia tutto."
"Sì," mormorò Lord Henry, slacciando il bottone della giacca, "e quando invecchiano se ne rendono conto. Ma non voglio soldi. Solo la gente che paga i propri conti ne ha bisogno, zio George, e io, i miei, non li pago mai. Il credito è il capitale di un figlio cadetto sul quale è possibile vivere piuttosto bene. Inoltre, tratto sempre con i negozianti di Dartmoor e così non mi seccano mai. Vorrei una informazione, invece, non un'informazione utile naturalmente: un'informazione inutile."
"Bene, posso dirti qualunque cosa scritta in un Libro Azzurro inglese, Harry, anche se la gente oggi scrive un sacco di assurdità. Quando ero in diplomazia, le cose andavano molto meglio. Ma sento che ora si viene ammessi per concorso. Che cosa puoi aspettarti? Gli esami, signori, sono una farsa dall'inizio alla fine. Se uno è un gentiluomo, ne sa quanto basta, e se non lo è, tutto quello che sa va a suo demerito."
"Il signor Dorian Gray non è sui Libri Azzurri, zio George," disse Lord Henry pianamente.
"Il signor Dorian Gray? E chi è?" domandò Lord Fermor aggrottando le folte sopracciglia bianche.
"È questo che volevo sapere da te, zio George. O piuttosto, so chi è. È il nipote dello scomparso Lord Kelso. Sua madre era una Devereux, Lady Margaret Devereux. Voglio che mi parli di sua madre. Com'era? Chi ha sposato? Ai tuoi tempi conoscevi quasi tutti e quindi dovresti saperlo. In questo momento il signor Dorian Gray mi interessa molto. Lo conosco da pochissimo."
"Il nipote di Kelso!" ripeté il vecchio gentiluomo. "Il nipote di Kelso!... Certo... conoscevo sua madre intimamente. Mi pare che sia stato al suo battesimo. Era una ragazza straordinariamente bella, Margaret Devereux, e lasciò tutti gli uomini costernati quando se ne scappò con un tipo senza una lira. Un nessuno, signori, un ufficiale subalterno di un reggimento di fanteria o roba del genere. Certo. Ricordo tutta la storia come se fosse avvenuta ieri. Quel povero giovanotto, rimase ucciso in un duello a Spa, pochi mesi dopo il matrimonio. Una brutta storia. Si disse che Kelso aveva pagato un avventuriero delinquente, un animale belga perché insultasse in pubblico suo genero. Lo pagò, signori, lo pagò perché facesse questo. E quel tizio infilò il suo uomo come un piccione. La cosa venne messa a tacere ma, perdio, dopo questa faccenda, al club Kelso le sue bistecche per qualche tempo se le mangiò da solo. Riprese la figlia con sé, ma lei non gli rivolse più la parola. Oh, sì, una brutta faccenda. Anche la ragazza morì, morì meno di un anno dopo. E lasciò un figlio, non è vero? Me ne ero dimenticato. Com'è il ragazzo? Se assomiglia alla madre deve esser un bel ragazzo."
"È molto bello."
"Spero che capiti in buone mani," proseguì il vecchio, "Se Kelso nei suoi confronti si è comportato come si deve erediterà un bel mucchio di soldi. Anche sua madre era ricca. Ereditò l'intera proprietà di Selby dal nonno. Il nonno odiava Kelso. Lo considerava un bastardo. E del resto lo era. Venne una volta a Madrid, quando, io ero là. Perdio, mi vergognai di lui. La regina mi domandava di continuo notizie di quel nobile inglese che litigava sempre sul prezzo con i cocchieri. Era diventato un argomento diffuso di conversazione. Per un mese non osai mettere piede a corte. Spero che abbia trattato il nipote meglio di quei vetturini."
"Non so," rispose Lord Henry. "Immagino che il ragazzo sia in buone condizioni economiche. Non è ancora maggiorenne. So che è proprietario di Selby. Me lo ha detto lui. E... sua madre era bellissima?"
"Margaret Devereux era una delle creature più belle che io abbia mai visto Henry. Non riuscii mai a capire che cosa la spinse a comportarsi in quel modo. Avrebbe potuto sposare chi voleva. Carlington era impazzito per lei. Però era romantica, lo erano tutte le donne della sua famiglia. Gli uomini erano delle nullità, ma, perdio, le donne erano meravigliose. Carlington andò da lei in ginocchio; me lo disse, lui stesso. Lei gli rise in faccia e a quel tempo a Londra non c'era una ragazza che non gli desse la caccia. E, dato che stiamo parlando di matrimoni sciocchi, che cos'è questa storia che mi ha riferito tuo padre a proposito di Dartmoor che vuole sposare un'americana? Le ragazze inglesi non sono abbastanza buone per lui?"
"In questo momento è molto di moda sposare le americane, zio George."
"Io sosterrò le donne inglesi contro tutto il mondo, Harry," disse Lord Fermor, battendo il pugno sul tavolo.
"Si punta sulle americane."
"Ma si dice che non durano," bofonchiò lo zio.
"Non reggono alla distanza, ma nella corsa ad ostacoli non le batte nessuno. Prendono le cose al volo. Non credo che Dartmoor abbia nessuna possibilità di cavarsela."
"Chi sono i suoi genitori?" brontolò il vecchio. "Ne ha, perlomeno?"
"Le ragazze americane sono brave nel nascondere i genitori tanto quanto le donne inglesi nel nascondere il loro passato," disse alzandosi per andarsene.
"Immagino che vendano carne di maiale in scatola."
"Lo spero, zio George, nell'interesse di Dartmoor. Mi si dice che inscatolare il maiale è in America la professione più lucrosa, dopo la politica."
"È graziosa?"
"Si comporta come se fosse bella. Quasi tutte le americane lo fanno: è il segreto del loro fascino."
"E perché non se ne possono stare nel loro paese queste americane? Non fanno altro che ripeterci che è il paradiso delle donne."
"È vero. Proprio per questo, come Eva, sono eccessivamente ansiose di uscirne," disse Lord Henry. "Arrivederci, zio George. Se rimango ancora farò tardi a colazione. Grazie per avermi dato le informazioni che volevo sapere. Mi piace sempre saper tutto dei miei nuovi amici e nulla dei vecchi."
"Da chi sei a colazione?"
"Da zia Agatha. Le ho chiesto di invitarmi insieme al signor Gray: è il suo ultimo protegé."
"Uff! Devi dire alla tua zia Agatha di non seccarmi più con le sue richieste per beneficenza. Mi danno la nausea. Quella brava donna pensa che io non abbia di meglio da fare che firmare assegni per i suoi stupidi capricci."
"D'accordo, zio George, glielo riferirò, ma sarà inutile. I filantropi perdono ogni senso di umanità: è la loro caratteristica distintiva."
Il vecchio gentiluomo emise un grugnito di approvazione e suonò per il cameriere. Lord Henry passò sotto la bassa arcata che immette in Burlington Street e si incamminò verso Berkeley Square.
Questa dunque era la storia della famiglia di Dorian Gray. Nonostante la crudezza con cui gli era stata riferita, lo attirava per questa sua atmosfera insolitamente moderna e romantica. Una bella donna che metteva tutto a repentaglio per una passione folle. Poche settimane di sfrenata felicità, troncate da un delitto vile e odioso. Dopo mesi di silenziosa sofferenza, un figlio nato nel dolore. La madre strappata via dalla morte, il figlio abbandonato alla solitudine e alla tirannia di un vecchio incapace di amore. Sì, un passato interessante: inquadrava il giovane, lo rendeva per così dire più perfetto. Dietro ogni cosa squisita c'era sempre qualcosa di tragico. Interi mondi dovevano agire per far fiorire un minuscolo fiore... E quanto era stato affascinante la sera prima, durante la cena al club, seduto di fronte a lui con gli occhi stupiti, le labbra socchiuse in uno stato di gioia e di timore. I paralumi rossi diffondevano un rosa più intenso sulla nascente meraviglia del suo viso. Parlare con lui era come suonare un meraviglioso violino: rispondeva a ogni tocco, a ogni fremito dell'archetto... c'era qualcosa di tremendamente esaltante nell'esercitare la propria influenza. Nessun'altra attività la eguagliava. Proiettare la propria anima in una forma piena di grazia e lasciarvela indugiare per un momento; sentir ritornare l'eco delle nostre idee insieme a tutta la musica della passione e della giovinezza; trasferire il proprio temperamento in un'altra persona come se fosse un fluido sottile o uno strano profumo. C'era una vera gioia in tutto ciò: forse la più completa che ci sia rimasta in un'epoca limitata e volgare come la nostra, un'epoca grossolanamente carnale nei suoi piaceri, grossolanamente volgare nelle sue ambizioni... Ed era anche un personaggio meraviglioso, questo ragazzo incontrato nello studio di Basil in un'occasione così insolita; o, comunque, lo si sarebbe potuto trasformare in un personaggio meraviglioso. Possedeva la grazia e la bianca purezza dell'infanzia e una bellezza simile a quella che ci hanno serbato i grandi marmi greci. Di lui si sarebbe potuto fare qualsiasi cosa: lo si poteva rendere un titano o un giocattolo. Che peccato che una bellezza simile fosse destinata ad appassire!... E Basil? Quant'era interessante da un punto di vista psicologico! Questo suo nuovo stile, questo suo nuovo modo di guardare la vita, suggeriti così stranamente dalla semplice presenza di un giovane che non ne aveva la minima consapevolezza; lo spirito silenzioso che abita nella penombra dei boschi e che si avventura non visto tra i campi aperti, gli era apparso improvvisamente come una driade, senza timori perché, nella sua anima che lo cercava, si era risvegliata quella meravigliosa percezione a cui soltanto si rivelano le cose meravigliose; le mere forme e strutture delle cose che, per così dire, si vanno affinando e acquistano una sorta di valore simbolico, come se esse stesse fossero modelli di altre forme più perfette la cui ombra rendevano reale. Quant'era strano tutto questo! Ricordava qualcosa di simile nella storia. Non era forse Platone, l'artista del pensiero, che l'aveva analizzato per primo? Non era forse Michelangelo che lo aveva scolpito nei marmi colorati di un sonetto? Ma nel nostro secolo era strano... Sì, avrebbe cercato di essere per Dorian Gray quello che il ragazzo era per il pittore che aveva dipinto quel meraviglioso ritratto. Avrebbe cercato di dominarlo... e, in realtà, a metà ci era riuscito. Avrebbe fatto suo quel meraviglioso spirito. C'era qualcosa di affascinante in quel figlio dell'amore e della morte.
D'improvviso si fermò e diede un'occhiata alle cose. Si accorse di aver oltrepassato di un pezzo la casa di sua zia e, sorridendo di sé, ritornò sui suoi passi. Quando entrò nel vestibolo un po' buio, il maggiordomo lo avvertì che il pranzo era già iniziato. Consegnò bastone e cappello a uno dei valletti ed entrò in sala da pranzo.
"In ritardo come al solito, Harry," esclamò la zia scuotendo il capo.
Inventò senza difficoltà una scusa e, dopo essersi accomodato nella sedia vuota accanto a lei, si guardò intorno per vedere chi c'era. Dal fondo della tavola, Dorian gli fece un timido inchino, arrossendo di piacere. Di fronte a lui c'era la duchessa di Harley, una signora di ottimo carattere e di ottima salute che piaceva molto a tutti quelli che la conoscevano, dotata di quelle imponenti proporzioni architettoniche che gli storici contemporanei, nelle donne che non sono duchesse, definiscono pinguedine. Alla sua destra sedeva Sir Thomas Burdon, membro radicale del Parlamento che nella vita pubblica seguiva il suo leader e nella vita privata i migliori cuochi: pranzava coi conservatori e pensava con i liberali, secondo una saggia e ben nota regola. Il posto alla sinistra della duchessa era occupato dal signor Erskine di Treadley, un vecchio gentiluomo di notevole fascino e cultura che, tuttavia, aveva preso la cattiva abitudine di tacere perché, come aveva spiegato una volta a zia Agatha, tutto quello che aveva da dire lo aveva detto prima dei trent'anni. La sua vicina era la signora Vandelour, una delle più vecchie amiche di zia Agatha, santa tra le donne, ma vestita talmente male che faceva pensare a un libro di preghiere mal rilegato. Fortunatamente per il signor Erskine, accanto alla signora Vandelour era seduto Lord Faudel, un'intelligentissima mediocrità, vivace come una relazione ministeriale alla Camera dei Comuni, con il quale la donna stava parlando in quel tono estremamente serio che, come aveva notato una volta, era l'unico imperdonabile errore in cui cadono tutte le persone davvero buone, e al quale nessuna di loro riesce a sfuggire.
"Stavamo parlando di quel povero Dartmoor, Lord Henry," esclamò la duchessa facendogli un cenno affabile attraverso la tavola. "Lei pensa che voglia davvero sposare quella bella ragazza?"
"Penso, duchessa, che lei abbia deciso di chiedergli la sua mano."
"Che cosa terribile!" esclamò Lady Agatha. "Davvero, qualcuno dovrebbe intervenire."
"Ho saputo da ottima fonte che il padre ha un negozio di manufatti americani," disse Sir Thomas Burdon in tono arrogante.
"Mio zio poco fa ha suggerito che forse produce maiale in scatola, Sir Thomas."
"Manufatti americani! Che cosa sono i manufatti americani?" domandò la duchessa, sollevando le grandi mani in un gesto di meraviglia calcando il tono sul verbo.
"Romanzi americani," rispose Lord Henry servendosi qualche quaglia.
La duchessa parve perplessa.
"Non dargli retta, cara," sussurrò Lady Agatha. "Non parla mai sul serio."
"Quando l'America fu scoperta," disse il deputato radicale e iniziò a esporre alcuni fatti tediosi. Come tutti coloro che cercano di esaurire un argomento, esauriva i suoi ascoltatori. La duchessa sospirò ed esercitò il suo privilegio d'interruzione. "Vorrei proprio che non fosse mai stata scoperta!" esclamò. "Davvero, le nostre ragazze non hanno più possibilità al giorno d'oggi. È terribilmente ingiusto."
"Forse, dopotutto, l'America non è mai stata scoperta," disse il signor Erskine. "Secondo me, è stata semplicemente identificata."
"Oh, ma io ho visto qualche esemplare delle abitanti," rispose la duchessa in tono vago. "Devo confessare che la maggior parte Sono molto graziose. E inoltre sono ben vestite. Comperano tutti i loro abiti a Parigi. Vorrei poter fare altrettanto."
"Si dice che gli americani buoni, quando muoiono, vadano a Parigi," ridacchiò Sir Thomas che aveva un ben fornito repertorio di battute stantie.
"Davvero! E dove vanno gli americani cattivi quando muoiono?" domandò la duchessa.
"Vanno in America," mormorò Lord Henry.
Sir Thomas aggrottò le sopracciglia. "Temo che suo nipote nutra dei pregiudizi su questo grande paese," disse rivolto a Lady Agatha. "Io l'ho percorso tutto in vetture messe a mia disposizione dalle autorità che, sotto questo aspetto, sono estremamente civili. Le assicuro che è un viaggio estremamente educativo."
"Ma a scopo educativo dovremmo proprio visitare Chicago?" domandò lamentosamente il signor Erskine. "Non me la sento di fare il viaggio."
Sir Thomas agitò una mano. "Il signor Erskine di Treadley ha il mondo nella sua libreria. A noi, persone pratiche, piace vedere direttamente le cose, non leggerne. Gli americani sono un popolo estremamente interessante. Sono dotati di uno spiccato buonsenso. Penso che questa sia la loro principale caratteristica. Sì, signor Erskine, sono dotati di uno spiccato buonsenso. Le assicuro che non fanno mai stupidaggini."
"Che cosa orrenda!" esclamò Lord Henry. "Posso sopportare la forza bruta, ma la ragione bruta è assolutamente insopportabile. C'è un che di sleale nel farne uso. È come tirare un colpo basso all'intelletto."
"Non la capisco," disse Sir Thomas arrossendo alquanto.
"Io sì, Lord Henry," mormorò con un sorriso il signor Erskine.
"I paradossi, a modo loro, vanno tutti molto bene..." ritorse il baronetto.
"Era un paradosso?" domandò il signor Erskine. "A me non sembra. Forse lo era. Ecco, la via dei Paradossi è anche la via della verità. Per saggiare la realtà dobbiamo farla camminare sulla corda tesa. Quando le verità si fanno acrobati, possiamo darne un giudizio."
"Santo cielo," disse Lady Agatha, "in che modo discutete, voi uomini! Non riesco mai a capire di che cosa stiate parlando. Oh, Harry, sono piuttosto arrabbiata con te. Perché cerchi di convincere il nostro caro signor Dorian Gray a lasciar perdere l'East End? Ti assicuro che sarebbe un elemento prezioso. Lo ascolterebbero suonare con molto piacere."
"Voglio che suoni per me," disse Lord Henry, sorridendo. Lanciò una breve occhiata verso l'estremità della tavola e colse uno sguardo radioso in risposta.
"Ma sono così infelici a Whitechapel," insistette Lady Agatha.
"Posso aver compassione per tutto tranne che per la sofferenza," disse Lord Henry, scuotendo le spalle. "Per la sofferenza proprio non posso: è troppo brutta, troppo orribile, troppo tormentosa. Nella simpatia odierna per il dolore c'è qualcosa di tremendamente morboso. Si dovrebbe solidarizzare con il colore, con la bellezza, con la gioia di vivere. Quanto meno si parla dei dolori della vita, tanto meglio."
"Tuttavia l'East End rimane un problema importante," notò Sir Thomas scuotendo gravemente il capo.
"Certo," rispose il giovane Lord. "È il problema della schiavitù e noi cerchiamo di risolverlo divertendo gli schiavi."
L'uomo politico lo fissò. "E allora che cambiamenti proporrebbe lei?"
Lord Henry rise. "Non desidero cambiare nulla in Inghilterra, salvo il clima," rispose. "Mi basta e mi soddisfa la contemplazione filosofica ma, dato che il diciannovesimo secolo è fallito per troppa compassione, suggerisco di rivolgersi alla scienza perché ci rimetta in strada. Le emozioni hanno il vantaggio di condurci fuori strada, mentre il vantaggio della scienza è quello di essere priva di emozioni."
"Ma abbiamo delle così grandi responsabilità," azzardò timidamente la signora Vandelour.
"Tremendamente gravi," fece eco Lady Agatha.
Lord Henry spostò lo sguardo sul signor Erskine.
L'umanità si prende troppo sul serio. È il peccato originale del mondo. Se l'uomo delle caverne fosse stato capace di ridere, la storia sarebbe stata diversa."
"Lei mi consola moltissimo," cinguettò la duchessa. "Ogni volta che vengo a trovare sua zia mi sento sempre in colpa perché non provo nessun interesse per l'East End. In futuro potrò guardarla in faccia senza arrossire."
"Il rossore dona molto, duchessa," fece notare Lord Henry.
"Solo quando si è giovani," lei rispose. "Quando una vecchia come me arrossisce è un gran brutto segno. Ah, Lord Henry, vorrei che lei mi insegnasse come si fa a tornare giovani."
Lord Henry rifletté un momento. "Riesce a ricordare qualche grosso errore commesso in gioventù, duchessa?" le domandò, guardandola attraverso la tavola.
"Moltissimi, temo," esclamò la duchessa.
"E allora tornate a commetterli," disse Lord Henry gravemente. "Per ritornare giovani, basta ripetere le proprie follie."
"Una teoria deliziosa!" esclamò la duchessa. "Devo metterla in pratica."
"Una teoria pericolosa!" uscì dalle labbra tese di Sir Thomas. Lady Agatha scosse il capo ma suo malgrado si divertiva. Il signor Erskine ascoltava.
"Sì" proseguì, "questo è uno dei grandi segreti della vita. Al giorno d'oggi la maggior parte della gente muore come se fosse subdolamente colpita da un attacco di buon senso. Solo quando è troppo tardi si accorge che le uniche cose che non si rimpiangono sono le proprie follie."
Una risata corse per la tavola.
Giocò con l'idea, appassionandosi. La lanciò per aria trasformandola, se la lasciò sfuggire e la ricatturò, la rese iridescente con la fantasia, le diede le ali del paradosso. Proseguì, e l'elogio della follia si elevò a filosofia, la filosofia stessa ritornò giovane e, catturata dalla folle musica del piacere, indossando, come si potrebbe immaginare, una tunica macchiata di vino e cinta d'edera, danzò come una baccante sui monti della vita, sbeffeggiando la sobrietà del pigro Sileno. Dinnanzi a lei i fatti fuggivano come spaventate creature della foresta e i suoi bianchi piedi pigiavano nell'enorme tino accanto al quale siede il saggio Omar, finché lo spumeggiante succo dell'uva sali attorno alle gambe nude in onde di bolle purpuree o sotto forma di rossa schiuma traboccò dagli scuri fianchi inclinati e gocciolanti del tino. Era una straordinaria improvvisazione. Lord Henry sentiva fissi su di sé gli occhi di Dorian Gray e la consapevolezza che nell'uditorio c'era una persona che desiderava affascinare sembrava rendere più incisivo il suo spirito e dar colore alla sua fantasia. Era brillante, fantastico, irresponsabile. Affascinava gli ascoltatori che, dimentichi di sé, seguivano ridendo il suo flauto. Dorian Gray non gli toglieva lo sguardo di dosso ma se ne stava seduto, come preso da un incantesimo. Sulle sue labbra i sorrisi si susseguivano, la meraviglia si faceva sempre più intensa sui suoi occhi scuri. Alla fine, la realtà, indossando una livrea del tempo, si presentò nella sala impersonata da un domestico per annunciare alla duchessa che la carrozza la stava attendendo. La duchessa si torse le mani in un gesto di finta disperazione. "Che seccatura," esclamò. "Devo andare. Devo passare a prendere mio marito al club per accompagnarlo a qualche assurda riunione che lui dovrà presiedere da Willi's Rooms. Se faccio tardi, di sicuro si infurierà e non posso sostenere una scenata con questo cappello. È troppo delicato. Una sola parola dura basterebbe per rovinarlo. No, devo andare, cara Agatha. Arrivederci, Lord Henry, lei è assolutamente delizioso e terribilmente deprimente. Sono certa di non sapere che cosa obiettare alle sue opinioni. Deve venire a pranzo da noi qualche sera. Martedì? È libero martedì?"
"Per lei, duchessa, passerei sopra chiunque," disse Lord Henry con un inchino.
"Ah! Questo è molto bello e anche molto brutto da parte sua," esclamò la duchessa. "Quindi ricordi di venire," e scivolò fuori dalla stanza seguita da Lady Agatha e dalle altre signore.
Appena Lord Henry si fu nuovamente seduto, il signor Erskine girò attorno alla tavola e, presa una sedia accanto a lui, gli posò una mano sul braccio.
"Lei, parlando, getta via libri interi," disse; "perché non ne scrive uno?"
"Mi piace troppo leggere i libri per darmi la pena di scriverne, signor Erskine. Certo, mi piacerebbe scrivere un romanzo; un romanzo grazioso come un tappeto persiano e altrettanto irreale. Ma in Inghilterra esiste un pubblico solo per i giornali, per i libri per ragazzi e le enciclopedie. Di tutti i popoli del mondo, quello inglese è il meno dotato del senso della bellezza letteraria."
"Temo che lei abbia ragione," rispose il signor Erskine. "Anch'io avevo ambizioni letterarie ma le ho lasciate perdere molto tempo fa. E ora, mio caro giovane amico, se lei mi permette di chiamarla così, posso chiederle se crede davvero a tutto ciò che ha detto a tavola?"
"Me ne sono completamente dimenticato," sorrise Lord Henry. "Era così brutto?"
"Sì, molto brutto. In realtà la ritengo una persona molto pericolosa e, se alla nostra buona duchessa dovesse succedere qualche cosa, vedremmo in lei il principale responsabile. Ma mi piacerebbe parlare della vita con lei. La generazione nata con me era noiosa. Un giorno, quando lei sarà stanco di Londra, venga a trovarmi a Treadley e mi spieghi la sua teoria del piacere davanti a una straordinaria bottiglia di Borgogna che ho la fortuna di possedere."
"Ne sarò felice. Una visita a Treadley sarebbe un grande privilegio. Troverei un ospite perfetto e una perfetta biblioteca."
"Lei completerà il tutto," rispose il vecchio gentiluomo con un cortese inchino. "E ora sono costretto a salutare la sua eccellente zia. Mi attendono all'Athenaeum. È, l'ora in cui andiamo a dormire là."
"Tutti voi, signor Erskine?"
"Tutti e quaranta. In quaranta poltrone. Stiamo facendo pratica per l'Accademia Britannica di Lettere."
Lord Henry rise e si alzò. "Io me ne andrò al Park," esclamò.
Mentre stava uscendo, Dorian Gray gli toccò il braccio. "Mi permetta di venire con lei," mormorò.
"Pensavo che lei avesse promesso a Basil Hallward di andare a trovarlo," rispose Lord Henry.
"Preferisco venire con lei. Sì, sento di dover venire con lei. Me lo permetta. E mi promette di parlare per tutto il tempo? Nessuno parla in modo così stupendo."
"Ah! Ho parlato abbastanza per oggi," disse Lord Henry, sorridendo. "Adesso desidero solo osservare la vita. Può osservarla con me, se lo desidera."


IV

Un pomeriggio, un mese dopo, Dorian Gray era sdraiato in una lussuosa poltrona nella piccola biblioteca della casa di Mayfair di Lord Henry. Era a suo modo una stanza molto graziosa, con l'alto rivestimento a pannelli di quercia verde oliva, le decorazioni color avorio e il soffitto a stucchi. Sulla moquette rosso mattone erano stesi tappeti persiani dalle lunghe frange di seta. Su un minuscolo tavolino di legno lucido era posata una statuetta di Clodion e, accanto, una copia di Les Cent Nouvelles rilegata per Margherita di Valois da Clovis Eve e ornata con la margherita d'oro che la regina aveva scelto come stemma. Sulla mensola del caminetto erano disposti alcuni grossi vasi di porcellana azzurra con tulipani a pappagallo, e dai vetri piombati della finestra entrava la luce color albicocca di una giornata estiva londinese.
Lord Henry non era ancora arrivato. Era sempre in ritardo per principio, ritenendo che la puntualità ruba il tempo. Il ragazzo appariva quindi piuttosto annoiato mentre, con dita svogliate, sfogliava le pagine di un'edizione riccamente illustrata di Manon Lescaut che aveva trovato in uno degli scaffali. Il monotono ticchettio regolare di un orologio Luigi XIV lo infastidiva. Per un paio di volte pensò di andarsene.
Alla fine sentì dei passi fuori e la porta si aprì. "Come sei in ritardo, Harry!" mormorò.
"Temo che non sia Harry, signor Gray," rispose una voce, acuta.
Dorian si guardò in giro rapidamente e si alzò in piedi.
"Mi scusi, pensavo..."
"Pensava si trattasse di mio marito. Sono soltanto sua moglie. Permetta che, mi presenti da sola. La conosco benissimo attraverso le fotografie. Credo che mio marito ne abbia diciassette."
"Non diciassette, Lady Wotton."
"Saranno diciotto, allora. Inoltre l'ho vista con lui l'altra sera all'opera." Parlando rideva nervosamente e lo fissava con gli occhi di un incerto color pervinca. Era una donna: strana che indossava abiti che parevano sempre disegnati in un accesso di rabbia e indossati durante una tempesta. Era sempre innamorata di qualcuno e, dato che la sua passione, non era mai corrisposta, aveva mantenute intatte tutte le sue illusioni. Cercava di essere pittoresca, ma riusciva soltanto a sembrare sciatta. Si chiamava Victoria e aveva la mania di andare in chiesa.
"È stato al Lohengrin, Lady Wotton, non è vero?"
"Sì, il mio diletto Lohengrin. La musica di Wagner mi piace più di ogni altra. È così rumorosa che si può parlare per tutto il tempo senza che gli altri capiscano ciò che si dice. È un grande vantaggio, non le pare, signor Gray?"
Lo stesso riso sincopato e nervoso eruppe dalle labbra sottili. Le sue dita presero a giocherellare con un lungo tagliacarte di tartaruga.
Dorian sorrise e scosse il capo: "Mi dispiace, ma non sono d'accordo, Lady Wotton. Non parlo mai durante la musica, perlomeno non durante la buona musica. Quando si ascolta della cattiva musica è un dovere affogarla nella conversazione."
"Ah! Questa è una delle idee di Harry, vero, signor, Gray? Le idee di mio marito le vengo a sapere attraverso i suoi amici. È l'unico modo che ho per conoscerle. Ma non deve credere che non mi piaccia la buona musica. La adoro, ma ne ho paura: mi rende troppo romantica. Ho semplicemente adorato i pianisti... due alla volta, in qualche caso, secondo quanto dice Harry. Non so cosa ci sia in loro. Forse perché sono stranieri. Lo sono tutti, non è vero? Anche quelli nati in Inghilterra diventano stranieri dopo qualche tempo, non le pare? È una cosa così intelligente da parte loro, e un così grande complimento per l'arte. La rende del tutto cosmopolita, non è vero? Lei non è mai venuto a nessuno dei miei party, vero, signor Gray? Deve venirci. Non posso permettermi le orchidee, ma per gli stranieri non bado a spese. Danno un'aria così pittoresca alla casa! Ma ecco Harry... Harry, sono entrata a cercarti per chiederti qualche cosa, non ricordo che cosa, e ho trovato il Signor Gray. Abbiamo fatto una piacevolissima chiacchierata sulla musica. Abbiamo le stesse idee. No, credo che le nostre idee siano completamente diverse, ma lui è stato molto gentile. Sono così contenta di averlo conosciuto."
"Ne sono felice, tesoro, molto felice," disse Lord Henry, inarcando le curve sopracciglia scure e guardandoli con un sorriso divertito. "Mi dispiace tanto di essere in ritardo, Dorian. Sono andato a cercare una pezza di broccato antico in Wardour Street e ho dovuto contrattare per ore intere. Oggi la gente conosce il prezzo di tutto e non conosce il valore di nulla."
"Mi dispiace ma devo andare," disse Lady Wotton, rompendo, con una delle sue sciocche, improvvise risate, un silenzio imbarazzante. "Ho promesso di andare in carrozza con la duchessa. Arrivederci, signor Gray. Arrivederci, Harry. Ceni fuori, immagino. Anch'io. Forse ci vedremo da Lady Thornbury."
"Penso anch'io, cara," disse Lord Henry chiudendo la porta alle sue spalle, mentre la donna scivolava fuori dalla stanza come un uccello del paradiso rimasto tutta la notte sotto la pioggia e lasciando dietro di sé un leggero odore di frangipane. Quindi accese una sigaretta e si accomodò sul divano.
"Non sposare mai una donna con i capelli color paglia, Dorian," disse, dopo qualche boccata.
"Perché, Harry?"
"Perché sono troppo sentimentali."
"Ma a me piacciono le persone sentimentali."
"Non sposarti affatto, Dorian. Gli uomini si sposano perché sono stanchi, le donne perché sono curiose e ambedue rimangono delusi."
"Non credo che mi sposerò facilmente, Harry. Sono troppo innamorato. È uno dei tuoi aforismi. Lo sto mettendo in pratica, come faccio per tutto quello che dici."
"Di chi sei innamorato?" domandò Lord Henry dopo, una pausa.
"Di un'attrice," disse Dorian Gray arrossendo.
Lord Henry scosse le spalle. "È un début piuttosto banale."
"Non diresti così se la conoscessi, Harry."
"Di chi si tratta?"
"Si chiama Sibyl Vane."
"Mai sentita nominare."
"Nessuno l'ha mai sentita nominare, ma un giorno la gente la conoscerà. È un genio."
"Mio caro ragazzo, nessuna donna è un genio. Le donne sono un sesso decorativo. Non hanno mai nulla da dire, ma lo dicono con grazia. Le donne rappresentano il trionfo della materia sull'intelletto, proprio come gli uomini rappresentano il trionfo dell'intelletto sulla morale."
"Harry, come puoi dire una cosa simile?"
"Mio caro Dorian, è assolutamente vero. In questo periodo sto analizzando le donne e quindi dovrei saperlo. L'argomento non è poi così astruso come ritenevo un tempo. Ho scoperto che, in definitiva, ci sono solo due tipi di donne, quelle semplici e quelle che si truccano. Le donne semplici sono molto utili. Se vuoi farti la reputazione di persona rispettabile, devi solo uscire con loro a cena. Le altre donne sono molto affascinanti, ma commettono un errore: si truccano per cercare di essere e di apparire giovani. Le nostre nonne si truccavano per cercare di essere di spirito e di parlare con spirito. Il rouge e l'ésprit viaggiavano di conserva, allora. Adesso è tutto finito. Finché una donna riesce a dimostrare dieci anni di meno di sua figlia è completamente soddisfatta. Per quanto riguarda la conversazione, poi, ci sono solo cinque donne a Londra con cui valga la pena di parlare e due di loro non possono essere accolte nella buona società. Comunque, parlami del tuo genio. Da quanto tempo la conosci?"
"Ah, Harry! Le tue opinioni mi fanno paura."
"Non farci caso. Da quanto tempo la conosci?"
"Da tre settimane circa."
"E come l'hai incontrata?"
"Te lo racconterò, Harry, ma devi essere comprensivo. Dopo tutto, non sarebbe mai successo se non ti avessi incontrato. Mi hai riempito di un folle desiderio di conoscere tutto della vita. Per giorni e giorni, dopo averti incontrato, mi sembrava che qualcosa mi pulsasse nelle vene. Mentre passavo il tempo al Park, o quando passeggiavo per Piccadilly, guardavo tutti quelli che incontravo e mi chiedevo con una folle curiosità, quale tipo di vita facessero. Alcuni mi affascinavano, altri mi riempivano di terrore. Nell'aria c'era uno squisito veleno. Ero innamorato delle sensazioni... Bene, una sera verso le sette decisi di andare in cerca di qualche avventura. Sentivo che questa nostra Londra mostruosa e grigia, con la sua miriade di persone, i suoi peccatori sordidi e i suoi splendidi peccati, come una volta l'hai definita, doveva avere qualcosa in serbo per me. Immaginai mille cose, la semplice sensazione del pericolo mi dava un senso di piacere. Ricordavo quello che mi avevi detto quella sera meravigliosa, la prima volta che cenammo insieme, sul fatto che la ricerca della bellezza è il vero segreto della vita. Non so che cosa mi aspettassi, ma uscii di casa e mi diressi verso est. Mi smarrii quasi subito in un labirinto di stradine buie e di piazze nere e senza aiuole. Verso le otto e mezzo passai davanti ad un assurdo teatrino, con grandi lampade a gas ed enormi manifesti. In piedi, davanti all'ingresso, un ignobile ebreo che indossava il panciotto più stupefacente che mi sia mai capitato di vedere, fumava un sigaro di poco prezzo. Aveva dei riccioli unti e sul petto della camicia inamidata riluceva un enorme diamante. "Vuole un palco, mylord?" domandò quando mi vide, togliendosi il cappello con un gesto straordinariamente servile. C'era in lui qualcosa, Harry, che mi divertiva: era talmente mostruoso. Riderai di me, lo so, ma entrai davvero e pagai un'intera ghinea per il palco. Ancora oggi non riesco a capire perché lo feci; e tuttavia se non lo avessi fatto, mio caro Harry, se non lo avessi fatto, avrei perduto la più grande avventura sentimentale della mia vita. Vedo che ridi: è molto brutto da parte tua!"
"Non sto ridendo, Dorian; perlomeno, non sto ridendo di te. Ma non dovresti dire la più grande avventura sentimentale della tua vita. Dovresti dire la prima avventura sentimentale della tua vita. Tu verrai sempre amato e sarai sempre innamorato dell'amore. Una grande passion è privilegio di chi non ha nulla da fare, l'unico scopo delle classi pigre di un paese. Non temere, ci sono cose squisite in serbo per te. Questo è solo l'inizio."
"Credi che la mia natura sia così superficiale?" esclamò arrabbiato Dorian Gray.
"No, credo che sia molto profonda."
"Che cosa vuoi dire ?"
"Mio caro ragazzo, le persone superficiali sono quelle che amano una sola volta nella loro vita. Quella che essi chiamano lealtà o fedeltà, io la chiamo o letargia dell'abitudine o mancanza d'immaginazione. La fedeltà è, per la vita emotiva, quello che la coerenza è per la vita intellettuale: una semplice confessione di fallimento. Fedeltà! Un giorno dovrò analizzarla. C'è in essa l'amore per il possesso. Ci sono molte cose che getteremmo via se non temessimo che altri, se ne impadronissero. Ma non voglio interromperti. Continua la tua storia."
"Bene, mi ritrovai seduto in un orrendo palchetto, con un sipario di pessimo gusto davanti agli occhi. Diedi un'occhiata da dietro le tende e osservai il locale. Era una cosa di pessimo gusto, tutto amorini e cornucopie, come, una torta nuziale di terza categoria. Il loggione e la platea erano quasi al completo, ma le due file di poltrone consunte erano completamente vuote e in quelli che immagino chiamino i distinti c'era al massimo una persona. Alcune donne andavano in giro vendendo arance e birra e si faceva un gran consumo di noccioline."
"Doveva essere proprio come ai bei tempi della commedia inglese."
"Proprio così, immagino, è molto deprimente. Cominciai a domandarmi che cosa fare, quando mi capitò sotto gli occhi il programma. Che cosa pensi che rappresentassero, Harry?"
"L'Idiota, ovvero Sordo ma Innocente, immagino. Credo che ai nostri padri questo genere di commedia piacesse. Quanto più vivo, Dorian, tanto più avverto la sensazione che quel che andava bene per i nostri padri, non va più bene per noi. Nell'arte, come nella politica, les grand-pères ont toujours tort."
"Lo spettacolo andava bene anche per noi, Harry. Era "Giulietta e Romeo". Devo ammettere che ero piuttosto seccato all'idea di vedere una rappresentazione di Shakespeare in un teatro così scalcinato ma, tuttavia, in un certo qual modo la cosa mi interessava. Decisi comunque di attendere la fine del primo atto. C'era un'orchestra tremenda diretta da un giovane ebreo che sedeva a un pianoforte sgangherato. Quasi mi spinse, ad andarmene, ma finalmente il sipario si alzò e iniziò lo spettacolo. Romeo era un signore anziano e massiccio con le sopracciglia dipinte, una tragica voce raschiante e la figura di un barile di birra. Mercuzio era più o meno allo stesso livello. Lo interpretava un guitto che nel testo aveva inserito delle battute sue ed era in ottimi rapporti con la platea. Erano ambedue grotteschi, come le scene che sembravano tirate fuori da un baraccone. Ma Giulietta! Harry! Immagina un ragazza di neppure diciassett'anni, con un visino come un fiore, una testolina greca con una pettinatura elaborata di riccioli castano scuri, occhi come pozzi viola di passione, labbra come petali di rosa. Era la creatura più bella che avessi visto in vita mia. Una volta mi hai detto che il pathos non ti commuove, ma che la bellezza, la semplice bellezza, ti riempie gli occhi di lacrime. Ti dirò, Harry, che a malapena riuscivo a vedere questa ragazza attraverso il velo di lacrime che mi era salito agli occhi. E la sua voce... non ho mai sentito una voce come quella. Dapprima era molto bassa, con note dolci e profonde, che parevano caderti una alla volta nelle orecchie. Poi diventò un po' più sonora, come un flauto o un oboe lontano. Nella scena del giardino aveva tutta la tremula estasi che si avverte appena prima dell'alba, quando cantano gli usignoli. E più tardi ci furono momenti in cui aveva la selvaggia passione dei violini. Sai quanto possa commuovere una voce. La tua voce e quella di Sibyl Vane sono due cose che non dimenticherò mai. Quando chiudo gli occhi le sento e ciascuna mi dice qualcosa di diverso. Non so quale seguire. Perché non dovrei amarla? Harry, io la amo davvero. Nella mia vita Sibyl è tutto. Vado a vederla recitare ogni sera. Una sera è Rosalind, la sera dopo Imogene. L'ho vista morire nelle tenebre di una tomba italiana, suggendo il veleno dalle labbra del suo amante; l'ho vista vagare nella foresta delle Ardenne, travestita da ragazzetto, con calzoncini, farsetto e un elegante berrettino. Era pazza e si è presentata di fronte a un re colpevole dandogli un cilicio da indossare ed erbe amare da assaggiare. Innocente, il suo collo sottile come un giunco è stato stretto dalle nere mani della gelosia. L'ho vista in ogni epoca e in ogni costume. Le donne comuni non ridestano mai la nostra immaginazione, sono chiuse nei limiti del loro secolo. Nessun incantesimo le trasfigura. Si conosce la loro anima con la stessa facilità con cui si conoscono i loro cappellini. Si può trovarle in ogni momento, non c'è nessun mistero in nessuna di loro. Al mattino vanno a cavallo nel parco, e al pomeriggio chiacchierano al tè. Hanno il loro sorriso stereotipato, i loro modi educati. Sono completamente prevedibili. Ma un'attrice! Com'è diversa un'attrice, Harry! Perché non mi hai detto che un'attrice è l'unica persona che valga la pena di amare?"
"Perché ne ho amate tante, Dorian."
"Oh, sì, donne orribili dai capelli tinti e dal volto truccato."
"Non parlare male dei capelli tinti e dei volti truccati. A volte hanno un fascino straordinario," disse Lord Henry.
"Adesso vorrei non averti parlato di Sibyl Vane."
"Non avresti potuto fare a meno di parlarmene, Dorian. Per tutta la vita mi dirai sempre tutto quello che farai."
"Sì, Harry, credo che tu abbia ragione. Non posso fare a meno di raccontarti le cose. Hai una strana influenza su di me. Se un giorno dovessi commettere un delitto, verrei a confessartelo. Tu mi capiresti."
"Le creature come te, i potenti raggi di sole della vita, non commettono delitti, Dorian. Tuttavia ti sono molto grato del complimento. E adesso dimmi - passami i fiammiferi, da bravo, grazie - attualmente, di che genere sono i tuoi rapporti con Sibyl Vane?"
Dorian Gray scattò in piedi rosso in viso e con gli occhi ardenti. "Harry, Sibyl Vane è sacra!"
"Le cose sacre sono le uniche che valga la pena di toccare, Dorian," disse Lord Henry, con una strana nota di commozione nella voce. "Ma perché dovresti essere seccato? Immagino che un giorno sarà tua. Quando si è innamorati, si comincia sempre ingannando se stessi e si finisce sempre ingannando gli altri. È quello che il mondo chiama sentimentalismo. Comunque la conosci, vero?"
"Certo che la conosco. La prima sera quell'orribile vecchio ebreo, quando la commedia fu finita, venne a gironzolare dalle parti del mio palco e si offrì di portarmi dietro il palcoscenico e di presentarmela. Mi fece infuriare e gli dissi che Giulietta era morta da secoli e che il suo corpo giaceva in una tomba di marmo, a Verona. Dall'espressione vacua e stupefatta che assunse, credo che abbia avuto l'impressione che avessi bevuto troppo champagne o qualcosa del genere."
"Non me ne meraviglio."
"Poi mi chiese se scrivevo per qualche giornale. Gli dissi che non li leggo nemmeno. Mi parve tremendamente deluso e mi confidò che tutti i critici teatrali cospiravano contro di lui e che bisognava comperarli tutti, nessuno escluso."
"Non sarei sorpreso se in questo avesse ragione. Ma del resto, a giudicare dall'apparenza, la maggior parte dei critici non deve essere affatto costosa."
"Be', lui pareva credere che fossero al di là delle sue possibilità," rise Dorian. "Nel frattempo, tuttavia, le luci del teatro erano state spente e fui costretto ad andarmene. Voleva farmi provare alcuni sigari che mi raccomandava caldamente, ma rifiutai. Naturalmente la sera dopo tornai. Quando mi vide mi fece un profondo inchino e mi rassicurò che ero un munifico patrono delle arti. Era un animale insopportabile, nonostante nutrisse un amore straordinario per Shakespeare. Una volta mi disse, con aria orgogliosa, che i suoi cinque fallimenti erano dovuti al "Bardo", come si ostinava a chiamarlo. Pareva ritenerlo un segno di distinzione."
"Era un segno di distinzione, Dorian, un grosso segno. La maggior parte della gente fallisce per aver investito troppo nella prosa della vita. Essere andato in rovina per la poesia è un onore. Ma quando hai conosciuto la signorina Sibyl Vane?"
"La terza sera. Aveva recitato nella parte di Rosalind. Non potei fare a meno di farle visita. Le avevo gettato dei fiori e lei mi aveva guardato; almeno così mi era sembrato. Il vecchio ebreo insisteva. Pareva deciso a portarmi dietro il palcoscenico e quindi acconsentii. È strano che non volessi conoscerla, non è vero?"
"No, non credo."
"Perché?"
"Te lo dirò qualche altra volta. Adesso voglio sapere della ragazza."
"Sibyl? Oh, era così timida e così gentile... C'è un che di fanciullesco in lei. Spalancò gli occhi vivamente meravigliata quando le dissi che cosa pensavo della sua interpretazione e sembrava non essere affatto consapevole delle sue capacità. Mi pare che fossimo tutti e due alquanto nervosi. Il vecchio ebreo se ne stava sogghignando sulla soglia del camerino polveroso, facendo alati discorsi sul nostro conto, mentre noi ci guardavamo l'un l'altro come ragazzini. Continuava a chiamarmi mylord, e quindi dovetti assicurare Sibyl che non ero nulla di simile. Lei disse con molta semplicità, riferendosi a me: "Ha più l'aspetto di un principe. La chiamerò Principe Azzurro.""
"Parola mia, Dorian, la signorina Sibyl sa come si fanno i complimenti."
"Non la capisci, Harry. Mi considerava semplicemente il personaggio di una commedia. Non conosce nulla della vita. Vive con la madre, una donna stanca e appassita che aveva interpretato la parte di Donna Capuleti indossando una specie di tunica color magenta e che ha l'aria di aver conosciuto tempi migliori."
"È un'aria che conosco. Mi deprime," disse Lord Henry esaminandosi gli anelli.
"L'ebreo voleva raccontarmi la sua storia, ma gli dissi che non mi interessava."
"Avevi ragione. C'è sempre qualche cosa di infinitamente meschino nelle tragedie degli altri."
"Sibyl è l'unica cosa che mi interessi. Che cosa m'importa da dove viene? Dalla testolina ai piedini è divina, assolutamente e completamente divina. Ogni sera vado a vederla recitare e ogni sera è più incantevole."
"Immagino sia per questo motivo che non vieni più a pranzo con me. Pensavo che tu dovessi avere qualche strana storia per le mani. E infatti ce l'hai, ma non è affatto quella che mi aspettavo."
"Mio caro Harry, facciamo colazione o pranziamo insieme ogni giorno e sono stato diverse volte all'opera con te," disse Dorian spalancando stupito gli occhi azzurri.
"Arrivi sempre terribilmente in ritardo."
"Beh, non posso fare a meno di veder recitare Sibyl," esclamò, "magari solo per un atto. Bramo la sua presenza e quando penso all'anima meravigliosa che si nasconde in quel corpicino d'avorio, mi sento pieno di sgomento."
"Pranzi con me stasera, Dorian, non è vero?"
Dorian scosse il capo. "Stasera è Imogene," rispose, "e domani sera sarà Giulietta."
"Quando sarà Sibyl Vane?"
"Mai."
"Mi congratulo con te."
"Sei tremendo. Lei è tutte le eroine del mondo, è più di un solo essere. Ridi, ma ti dico che è un genio. La amo e devo fare in modo che mi ami. Tu che conosci tutti i segreti della vita, dimmi qual è l'incantesimo che induca Sibyl Vane ad amarmi! Voglio ingelosire Romeo. Voglio che tutti gli amanti morti sentano le nostre risate e si rattristino. Voglio che un sospiro della nostra passione animi la loro polvere e risvegli queste loro ceneri al dolore. Mio Dio, Harry, quanto l'adoro!" Parlava camminando avanti e indietro per la stanza. Rosse chiazze febbricitanti gli ardevano sulle gote. Era estremamente eccitato.
Lord Henry lo osservò con un sottile senso di piacere. Com'era diverso ora dal ragazzo timido e spaventato che aveva incontrato nello studio di Basil! La sua natura era sbocciata come un fiore e aveva dischiuso petali di fiamma scarlatta. La sua anima era scivolata fuori dal suo segreto nascondiglio e, sulla via, il desiderio le si era fatto incontro.
"E che cosa intendi fare?" domandò Lord Henry alla fine.
"Voglio che una sera tu e Basil veniate a vederla recitare. Non ho il minimo timore circa il risultato: sono certo che riconoscerete le sue grandi capacità. Poi dovremo tirarla fuori dalle mani dell'ebreo. È legata a lui per tre anni, per lo meno per due anni e otto mesi, a contare da oggi. Dovrò pagargli qualcosa, naturalmente. Quando tutto sarà sistemato, affitterò un teatro del West End e la lancerò nel modo giusto. Farà impazzire la gente, come ha fatto impazzire me."
"Questo potrebbe risultare impossibile, mio caro ragazzo."
"Sì, ci riuscirà. Sibyl non solo ha capacità artistiche e un consumato istinto teatrale, ma anche una personalità e tu spesso mi hai detto che sono le personalità, non i principi a muovere la storia."
"Bene, quando ci andremo?"
"Vediamo. Oggi è martedì. Stabiliamo per domani sera. Domani sera sarà Giulietta."
"D'accordo. Al Bristol alle otto; porterò Basil con me."
"Non alle otto, Harry, ti prego. Alle sei e mezzo. Dobbiamo essere là prima che si alzi il sipario. Devi vederla nel primo atto, quando incontra Romeo."
"Alle sei e mezzo! Che ora! Sarà come prendere un tè col pasticcio di carne, o leggere un romanzo inglese. Facciamo alle sette. Nessun gentiluomo cena prima delle sette. Vedrai Basil prima di allora o devo scrivergli?"
"Caro Basil. Non lo vedo da una settimana. È molto brutto da parte mia, perché mi ha mandato il ritratto in una cornice meravigliosa che ha disegnato apposta e, anche se sono un poco geloso del quadro che è di un mese più giovane di me, devo ammettere che mi fa molto piacere. Forse è meglio che gli scriva tu. Non voglio vederlo da solo. Dice delle cose che mi infastidiscono. Mi dà buoni consigli."
Lord Henry sorrise. "La gente ama molto donare le cose di cui ha più bisogno. È ciò che io chiamo l'abisso della generosità."
"Oh, Basil è il migliore degli amici, ma mi sembra un pochino filisteo. L'ho scoperto dopo averti conosciuto, Harry."
"Mio caro ragazzo, Basil mette nel suo lavoro tutto quello che ha in sé di affascinante. Come conseguenza, per la vita gli rimangono solo i suoi pregiudizi, i suoi principi e il suo buon senso. Gli unici artisti dotati di fascino personale che io abbia conosciuto sono i cattivi artisti: quelli buoni esistono solamente per quello che fanno e di conseguenza, sono assolutamente privi di interesse per quello che sono. Un grande poeta, un poeta davvero grande, è la meno poetica delle creature. Ma i poeti di scarso valore sono pieni di fascino. Quanto peggiori sono i loro versi, tanto più pittoreschi appaiono. Il semplice fatto di aver pubblicato un libro di sonetti di seconda scelta rende un uomo assolutamente irresistibile. Vive la poesia che non può scrivere. Gli altri, scrivono la poesia che non osano attuare."
"Mi chiedo se le cose stiano proprio così Henry," disse Dorian Gray versando alcune gocce di profumo da una grossa boccetta dal tappo dorato che era sul tavolo. "Sarà così, se lo dici tu. E adesso devo andare. Imogene, mi attende. Non dimenticarti di domani. Arrivederci."
Appena Dorian Gray ebbe lasciato la stanza, Lord Henry socchiuse gli occhi e iniziò a pensare. Certo, poche persone lo avevano interessato come Dorian Gray, e tuttavia la folle adorazione del ragazzo per un'altra persona non gli dava nessun fastidio né la minima fitta di gelosia. Anzi, ne era compiaciuto: lo rendeva un soggetto più interessante. I metodi delle scienze naturali lo avevano sempre affascinato, ma i normali oggetti; di studio di queste scienze gli parevano banali e privi di importanza. Così aveva cominciato vivisezionando se stesso, e aveva finito vivisezionando gli altri. La vita umana: questa gli sembrava l'unica cosa che valesse la pena di studiare. Al suo confronto null'altro aveva valore. È vero che se si osserva la vita nel suo singolare crogiuolo di piacere e di dolore, non è possibile proteggere il viso con una maschera di vetro, né impedire che i vapori di zolfo turbino la mente e intorbidiscano, l'immaginazione con fantasie mostruose e sogni, deformi. Ci sono veleni così sottili che per conoscerne le proprietà è necessario avvelenarsi. Ci sono malattie così strane che, per capirne la natura, è necessario subirne personalmente il decorso. E tuttavia, quali grosse ricompense se ne ottenevano! Come diventava meraviglioso il mondo! Che piacere notare la strana, dura logica della passione, la vita piena di colori dell'intelletto, che piacere nell'osservare dove si incontravano e dove si separavano, in che punto raggiungevano l'unisono, in che punto erano in opposizione! Che, importanza aveva il prezzo? Non si paga mai un prezzo troppo alto per una sensazione.
Sapeva, e il pensiero portò un lampo di piacere negli occhi di agata bruna, che sotto lo stimolo di certe sue parole, parole musicali musicalmente pronunciate, l'animo di Dorian Gray si era volto verso questa candida fanciulla, chinandosi in adorazione davanti a lei. Il giovane era in gran parte una creatura sua. Lo aveva reso precoce. Era una cosa importante. La gente comune attende che la vita le sveli i suoi segreti, ma ai pochi, agli eletti, i misteri della vita vengono rivelati prima che il velo venga scostato. A volte era conseguenza dell'arte, e soprattutto della letteratura che si occupa senza mediazioni delle passioni e dell'intelletto ma, di quando in quando, una personalità complessa ne prendeva il posto e ne assumeva il compito. A suo modo era un'autentica opera d'arte, poiché la vita ha i suoi capolavori elaborati, proprio come li hanno la poesia, la scultura, la pittura.
Sì, il giovane era precoce. Raccoglieva le sue messi mentre era ancora primavera. Aveva in sé gli impulsi e le passioni della giovinezza, ma stava diventando cosciente di sé. Osservarlo era delizioso. Con quel suo bel viso, con, quella sua bella anima, era una cosa da guardare con meraviglia. Non importava come tutto sarebbe finito, o era destinato a finire. Era come una di quelle figure piene di grazia di una processione o di uno spettacolo, le cui gioie ci sembrano remote, ma le cui pene stimolano il nostro senso del bello e le cui ferite sono simili a rose rosse.
Corpo e anima, anima e corpo: com'erano misteriosi! C'era qualche cosa di animalesco nell'anima mentre il corpo aveva i suoi momenti di spiritualità. I sensi potevano affinarsi e l'intelletto poteva degenerare. Chi poteva dire quando, dove terminava l'impulso della carne o dove iniziava quello della materia? Quanto erano misere le definizioni arbitrarie dei comuni psicologi! E tuttavia come era difficile scegliere tra le affermazioni delle varie scuole! Era forse l'anima un'ombra seduta nella casa del peccato? Oppure il corpo era proprio nell'anima, come pensava Giordano Bruno? La separazione tra spirito e materia era un mistero, ed era anche un mistero l'unione di spirito e materia.
Cominciò a domandarsi se saremmo mai stati in grado di rendere la psicologia una scienza così esatta da rivelarci ogni minimo principio di vita. Così come stavano le cose, ci ingannavamo sempre sul nostro conto e raramente capivamo gli altri. L'esperienza non aveva un valore etico, era semplicemente il nome che gli uomini davano ai loro errori. Di regola, i moralisti l'avevano ritenuta un avvertimento, avevano sostenuto che essa aveva una certa efficacia nella formazione del carattere, l'avevano esaltata come qualcosa che ci insegnava la via da seguire e ci mostrava quella da evitare. Ma nell'esperienza non c'è forza motrice. Come causa attiva aveva lo stesso infimo valore della coscienza. In realtà dimostrava solo che il nostro futuro sarà uguale al nostro, passato e che il peccato che abbiamo commesso una volta, con disgusto, lo ripeteremo molte volte con gioia.
Era evidente per lui che il metodo sperimentale era l'unico metodo attraverso il quale si sarebbe potuto giungere a un'analisi scientifica delle passioni e certamente Dorian Gray era un soggetto adatto e sembrava promettere risultati ricchi e fruttuosi. Questo suo improvviso folle amore per Sibyl Vane era un fenomeno psicologico di un certo interesse. Senza dubbio la curiosità vi aveva una parte importante: la curiosità e il desiderio di nuove esperienze; e tuttavia non era una passione semplice bensì piuttosto complessa. La parte che in essa aveva l'istinto sensuale dell'adolescenza era stata trasformata dal lavoro della fantasia e mutata in qualche cosa che, allo stesso Dorian, pareva staccata dai sensi e che proprio per questo motivo era più pericolosa. Sono le passioni sulla cui origine ci inganniamo quelle che ci tiranneggiano di più. Le nostre motivazioni più deboli sono quelle di cui siamo consapevoli, di cui conosciamo la natura. Spesso accade che quando pensiamo di condurre esperimenti sugli altri, in realtà stiamo sperimentando noi stessi.
Mentre Lord Henry sedeva sognando queste cose, bussarono alla porta ed entrò il cameriere, ricordandogli che era l'ora di vestirsi per la cena. Lord Henry si alzò e guardò nella strada. Il tramonto aveva tramutato in oro scarlatto le finestre alte della casa di fronte. Le imposte rilucevano come piastre di metallo rovente. Più in alto il cielo aveva il colore di una rosa appassita. Pensò alla giovane vita dagli intensi colori dell'amico e si domandò come tutto sarebbe finito.
Quando ritornò a casa verso mezzanotte e mezzo trovò un telegramma sul tavolo del vestibolo. Lo aprì e vide che era di Dorian Gray. Gli annunciava che si era fidanzato con Sibyl Vane.


V

"Mamma; mamma, come sono felice!" sussurrò la ragazza nascondendo il viso nel grembo della donna appassita e stanca che, volgendo le spalle alla luce violenta e invadente, sedeva nell'unica poltrona del minuscolo salotto. "Come sono felice," ripeté, "e anche tu devi esserlo!"
La signora Vane trasalì e posò le mani sottili, sbiancate dal bismuto, sul capo della figlia. "Felice!" ripeté. "Sono felice, Sibyl, solo quando ti vedo recitare. Il signor Isaacs è stato molto buono con noi e gli dobbiamo dei soldi."
La ragazza alzò la testa con un'espressione imbronciata. "Soldi, mamma?" esclamò. "Che importanza hanno i soldi? L'amore vale più del denaro."
"Il signor Isaacs ci ha anticipato cinquanta sterline per pagare i nostri debiti e per preparare un corredo conveniente per James. Non devi dimenticarlo, Sibyl. Cinquanta sterline sono una grossa somma. Il signor Isaacs è stato molto premuroso."
"Non è un gentiluomo, mamma, e non sopporto il modo che ha di parlarmi," disse la ragazza alzandosi ed avvicinandosi alla finestra.
"Non so come potremmo fare senza di lui," rispose la donna in tono lamentoso.
Sibyl Vane scosse il capo ridendo. "Non abbiamo più bisogno di lui, mamma. Il Principe Azzurro si prende cura di noi, ora." Poi tacque. Nel suo sangue una rosa s'agitò, colorandole le guance. Un respiro più frequente le fece socchiudere i petali tremanti delle labbra. Un vento caldo di passione la investì muovendole le delicate pieghe del vestito. "Lo amo," disse semplicemente.
"Stupidina! Stupidina!" fu la frase pappagallescamente ripetuta che le giunse in risposta. Il moto delle dita adunche, coperte di falsi gioielli, aggiungeva un che di grottesco alle parole.
La ragazza rise di nuovo. Nella sua voce c'era la gioia di un uccellino in gabbia. Gli occhi colsero la melodia e la rivelarono splendendo; si chiusero per un attimo, come per nascondere il segreto. Quando si riaprirono, su di loro era passata l'ombra di un sogno.
La saggezza dalle labbra sottili le parlava dalla poltrona consunta, le consigliava prudenza prendendola a prestito da quel libro delle vigliaccherie il cui autore scimmiotta il nome del buon senso. Sibyl non l'ascoltava; era libera nella prigione della passione. Il suo principe, il Principe Azzurro, era con lei. Aveva chiesto alla memoria di riprodurglielo, aveva mandato la sua anima a cercarlo e questa glielo aveva riportato. Il suo bacio le ardeva sulle labbra, le sue palpebre erano calde del suo respiro.
Allora la saggezza cambiò metodo e parlò di indagini e di informazioni. Questo giovanotto doveva essere ricco. Se così era, si poteva pensare al matrimonio. Contro le conchiglie delle sue orecchie si infrangevano le onde dell'astuzia della vita. Le frecce dell'astuzia le cadevano vicino. Vide muoversi le labbra sottili e sorrise.
Improvvisamente, sentì il bisogno di parlare: quel silenzio fatto di parole la infastidiva. "Mamma, mamma," esclamò, "perché mi ama tanto? Io lo so perché lo amo: perché è come dovrebbe essere l'amore stesso, ma lui che cosa vede in me? Io non son degna di lui, eppure, come, non saprei dire, anche se mi sento tanto al di sotto di lui, non mi sento umile: mi sento orgogliosa, tremendamente orgogliosa. Mamma, tu amavi mio padre come io amo il mio Principe Azzurro?"
La vecchia signora impallidì sotto lo strato di cipria da poco prezzo che le imbrattava le guance; le sue labbra secche si contrassero in uno spasimo di sofferenza. Sibyl si precipitò verso di lei, le gettò le braccia intorno al collo e la baciò. "Perdonami, mamma. So che parlare di mio padre ti fa soffrire. Ma soffri solo perché lo hai amato tanto. Non essere così triste. Oggi io sono felice come lo eri tu vent'anni fa. Ah! Lascia che sia sempre felice!"
"Figlia mia, sei troppo giovane per pensare a innamorarti. E poi, che cosa sai di questo giovanotto? Non sai nemmeno come si chiama. Tutta questa faccenda è estremamente sconveniente e, davvero, nel momento in cui James sta per andarsene in Australia, ed io ho tante cose a cui pensare, devo dire che avresti dovuto essere più riflessiva. Tuttavia, come ho detto poco fa, se è ricco..."
"Ah! Mamma, mamma, lascia che sia felice!"
La signora Vane le lanciò un'occhiata e, con uno di quei falsi gesti teatrali che tanto spesso, negli attori, diventano una seconda natura, la strinse tra le braccia. In quell'attimo, la porta si aprì ed entrò un ragazzo dai capelli castani arruffati. Era tarchiato, con mani e piedi grossi, leggermente goffo nei movimenti. Non aveva nulla della finezza della sorella e difficilmente si sarebbe potuto indovinare lo stretto legame di parentela che c'era tra loro. La signora Vane lo fissò e accentuò il sorriso. Elevò mentalmente il figlio alla dignità di pubblico: era certa che il tableau fosse interessante.
"Dovresti conservare per me qualcuno dei tuoi baci, Sibyl, mi pare," disse il ragazzo con un brontolio gentile.
"Ah! ma a te non piace farti baciare, Jim," esclamò la ragazza. "Sei un orribile vecchio orso." E attraversò di corsa la stanza per stringerlo tra le braccia.
James Vane guardò teneramente in viso la sorella. "Voglio che tu venga a fare una passeggiata con me, Sibyl. Immagino che non vedrò più questa orribile Londra. E di certo non lo desidero."
"Figlio mio, non dire queste brutte cose," mormorò la signora Vane, prendendo con un sospiro uno sgargiante costume teatrale e cominciando a rammendarlo. Le dava un po' fastidio non far parte del gruppo. La pittoresca teatralità della situazione sarebbe aumentata.
"Perché no, mamma? Ne sono convinto."
"Mi dai un dispiacere, figlio mio. Spero che ritornerai con una florida posizione. Credo che laggiù nelle colonie non esista un bel mondo, nulla che io chiamerei bel mondo; quindi, quando ti sarai costruito una fortuna, dovrai ritornare e sistemarti qui a Londra."
"Bel mondo," mormorò il ragazzo. "Non voglio saperne nulla. Vorrei fare un po' di soldi per togliere te e Sibyl dal palcoscenico. Lo odio."
"Oh, Jim!" disse Sibyl ridendo, "non sei affatto gentile! Ma davvero vuoi fare una passeggiata con me? Che bello! Avevo paura che tu volessi andare a salutare i tuoi amici; come quel Tom Hardy che ti ha regalato quell'orrenda pipa, o Ned Langton, che ti prende in giro perché la fumi. È molto carino da parte tua riservarmi l'ultimo pomeriggio. Dove andiamo? Al Park?"
"Sono troppo male in arnese," rispose lui, aggrottando le sopracciglia. "Al Park ci va solo la gente elegante."
"Non dire assurdità, Jim," sussurrò Sibyl, accarezzandogli la manica della giacca.
Il giovane esitò un momento. "Benissimo," disse infine, "ma non metterci troppo a vestirti." Sibyl uscì a passo di danza. La si sentiva cantare mentre correva su per le scale, poi dal soffitto provenne il rumore dei suoi piedini.
Jim andò due o tre volte su e giù per la stanza, infine si voltò verso la figura immobile sulla poltrona. "Mamma, le mie cose sono pronte?" domandò.
"È tutto pronto, James," rispose la donna, senza sollevare lo sguardo dal lavoro. Da alcuni mesi si sentiva a disagio quando si trovava sola con questo suo figlio rude e severo. Quando i loro occhi si incontravano, la sua natura superficiale ne era turbata. Si chiedeva di continuo se sospettasse qualcosa. Poiché lui non faceva nessun'altra osservazione, il silenzio le divenne insopportabile. Cominciò a lamentarsi. Le donne si difendono attaccando, proprio come attaccano con strane e improvvise capitolazioni. "Spero che sarai contento della vita di mare, James," disse. "Però devi ricordare che l'hai scelta tu. Avresti potuto impiegarti nell'ufficio di un procuratore. I procuratori sono una classe molto rispettabile e spesso, in provincia, sono invitati a pranzo dalle migliori famiglie."
"Odio gli uffici e gli impiegati," rispose il ragazzo. "Ma hai ragione, la mia vita me la sono scelta io. Ti dico solo una cosa: bada a Sibyl, sta' attenta che non le succeda niente di male. Devi badare a lei, mamma."
"Che strani discorsi fai, James. Certo che baderò a lei."
"Ho sentito che un signore va tutte le sere a teatro e poi passa sul palcoscenico per parlarle. È vero? Che storia è?"
"Parli di cose che non capisci, James. Nella nostra professione siamo abituate a ricevere di continuo gli omaggi più lusinghieri. Io stessa un tempo ero solita ricevere molti mazzi di fiori ogni sera. Questo accadeva quando davvero si capiva la recitazione. Per quanto riguarda Sibyl, non so ancora se questa sua relazione sia una cosa seria o meno. Ma senza dubbio il giovanotto in questione è un perfetto gentiluomo. Con me è sempre gentilissimo. Inoltre pare che sia molto ricco e manda dei bellissimi fiori."
"Però non sai come si chiama," disse il ragazzo, aspro.
"No," rispose la madre, con una placida espressione in volto. "Non ha ancora rivelato il suo vero nome. La ritengo una cosa molto romantica. Probabilmente appartiene all'aristocrazia."
James Vane si morse un labbro. "Bada a Sibyl, mamma," esclamò, "bada a lei."
"Figlio mio, tu mi stai angustiando. Sibyl è sempre sotto la mia assidua vigilanza. Naturalmente, se questo signore è ricco non vi è motivo per cui Sibyl non debba unirsi a lui. Confido che sia un signore dell'aristocrazia: devo dire che ne ha tutta l'apparenza. Per Sibyl potrebbe essere un matrimonio brillantissimo. Formerebbero una bellissima coppia: lui ha un aspetto davvero splendido, lo hanno notato tutti."
Il ragazzo mormorò qualcosa tra sé e tamburellò con le grosse dita sui vetri della finestra. Si era appena voltato per dire qualcosa, quando si aprì la porta e Sibyl entrò di corsa.
"Come siete seri, tutti e due!" esclamò. "Che cosa è successo?"
"Nulla," rispose il fratello, "penso che qualche volta si può anche essere seri. Arrivederci, mamma; cenerò alle cinque. Ho messo via tutto, salvo le camicie, quindi non preoccuparti."
"Arrivederci, figlio mio," disse lei, con un inchino artificiosamente maestoso.
Era profondamente seccata dal tono che lui aveva adottato nei suoi confronti e, nel suo sguardo, c'era qualcosa che le faceva paura.
"Dammi un bacio, mamma," disse la ragazza. Le labbra belle come un fiore toccarono la guancia incipriata e ne scaldarono il gelo.
"Figlio mio, figlio mio!" esclamò la signora Vane, sollevando lo sguardo al soffitto in cerca di un immaginario loggione.
"Andiamo, Sibyl," disse il fratello con impazienza. Non sopportava gli atteggiamenti affettati della madre.
Uscirono nella tremolante luminosità di un giorno spazzato dal vento e si incamminarono lungo la triste Euston Road. I passanti lanciavano occhiate stupite a quel giovane imbronciato e massiccio, vestito rozzamente e senza cura, in compagnia di una fanciulla così fine e graziosa. Sembrava un volgare giardiniere che camminasse reggendo una rosa.
Jim ogni tanto si accigliava quando captava lo sguardo curioso di qualche sconosciuto. Provava quell'avversione a sentirsi guardato che prende i geni negli ultimi anni della loro vita, e che non abbandona mai le persone comuni. Sibyl, tuttavia, non si rendeva affatto conto dell'effetto che produceva. L'amore le fremeva nelle labbra sorridenti. Pensava al Principe Azzurro, e per pensarlo meglio non ne parlava, ma chiacchierava della nave sulla quale Jim si sarebbe imbarcato, dell'oro che certamente avrebbe trovato, della meravigliosa ereditiera che avrebbe certamente salvato dalle grinfie dei feroci banditi in camicia rossa. Perché lui non sarebbe rimasto un marinaio o uno stivatore o roba del genere. Oh, no! La vita di un marinaio è terribile! Immagina a starsene stipati in una nave orrenda, mentre le onde gonfie e ruggenti cercano di invaderla e un cupo vento schianta gli alberi, riducendo le vele a lunghi brandelli stridenti. Sarebbe sceso dalla nave a Melbourne, dopo aver detto educatamente arrivederci al capitano e si sarebbe diretto immediatamente verso i campi auriferi. Dopo neanche una settimana avrebbe scoperto una grossa pepita di oro puro, la più grossa pepita mai trovata, e l'avrebbe portata verso la costa su un carro scortato da sei poliziotti a cavallo. I banditi lo avrebbero aggredito tre volte, ma sarebbero stati sconfitti con un'enorme carneficina. Oppure no. Non sarebbe affatto andato nei campi auriferi. Erano posti orribili, dove gli uomini si ubriacavano, si sparavano addosso nel bar e usavano un linguaggio sconveniente. Jim sarebbe divenuto un bravo allevatore di pecore e una sera, ritornando a casa a cavallo, avrebbe visto una magnifica ereditiera sul punto di essere rapita da un bandito montato su un cavallo nero e l'avrebbe inseguita e liberata. Naturalmente lei si sarebbe innamorata di lui, e lui di lei, si sarebbero sposati, sarebbero ritornati in patria ed avrebbero vissuto in una grandissima casa, a Londra. Sì, c'erano cose meravigliose in serbo per lui, ma avrebbe dovuto comportarsi bene, non perdere la calma o spendere stupidamente i suoi soldi. Lei aveva solo un anno più di lui, ma della vita sapeva molte più cose di lui. E doveva anche badare bene a scriverle ad ogni partenza del postale, e di dire le preghiere ogni sera prima di addormentarsi. Il Signore era molto buono e avrebbe vegliato su di lui e dopo pochi anni se ne sarebbe ritornato ricchissimo e felice.
Il ragazzo l'ascoltava con aria imbronciata, senza rispondere. Lo rattristava l'idea di partire. Ma non solo per questo si sentiva triste e taciturno.
Per quanto fosse inesperto, avvertiva nettamente la pericolosità della situazione di Sibyl. Questo giovane dandy che le faceva la corte non portava con sé nulla di buono. Era un gentiluomo: per questo lo odiava, per qualche strano istinto di razza che non avrebbe potuto spiegare, e che proprio per questo era in lui ancor più dominante. Conosceva anche la superficialità e la vanità della madre e in ciò vedeva un incommensurabile pericolo per Sibyl e per la sua felicità. I figli cominciano con l'amare i propri genitori; crescendo li giudicano e, a volte, li perdonano.
Sua madre! Aveva qualcosa da chiederle, qualcosa che aveva covato in silenzio per molti mesi. Una frase udita per caso a teatro, un bisbiglio di scherno che gli era giunto all'orecchio una sera, mentre attendeva all'ingresso del palcoscenico, avevano scatenato in lui una serie di terribili pensieri. Se ne ricordava come una frustata in pieno viso. Le sue sopracciglia erano talmente aggrottate che formavano una sorta di cuneo di peli. In un sussulto di sofferenza si morse il labbro inferiore.
"Non ascolti nemmeno una parola di quello che dico, Jim," esclamò Sibyl, "e io che sto facendo i più meravigliosi progetti sul tuo avvenire. Dimmi qualcosa."
"Che cosa vuoi che dica?"
"Oh, che farai il bravo e che non ci dimenticherai," rispose Sibyl, rivolgendogli un sorriso.
Jim scosse le spalle. "È più facile che sia tu a dimenticare me, che non io te, Sibyl."
Lei arrossì. "Che cosa vuoi dire, Jim?" domandò.
"Ho sentito che hai un nuovo amico. Chi è? Perché non me ne hai parlato? Non promette nulla di buono per te."
"Smettila, Jim!" esclamò lei. "Non devi dire nemmeno una parola contro di lui. Io lo amo."
"Ma come, non sai nemmeno come si chiama," obiettò il ragazzo. "Chi è? Ho il diritto di saperlo."
"Lo chiamo Principe Azzurro. Non ti piace questo nome? Oh, cattivo! Non dovresti dimenticarlo mai. Se tu solamente lo vedessi, capiresti che è la persona più affascinante del mondo. Lo incontrerai un giorno, quando ritornerai dall'Australia. Ti piacerà moltissimo. Piace a tutti e... io lo amo. Vorrei che tu potessi venire a teatro stasera. Lui verrà e io sarò Giulietta. Oh! Come reciterò! Immagina, Jim, essere innamorata e recitare la parte di Giulietta! E averlo seduto là davanti! Recitare per la sua soddisfazione! Temo che spaventerò il pubblico, lo spaventerò e lo dominerò. Essere innamorati significa superare se stessi. Il povero, orribile signor Isaacs griderà "è un genio" ai suoi fannulloni del bar. Mi ha già predicato come un dogma, stasera mi annuncerà come una rivelazione. Lo sento. E tutto questo è suo, soltanto suo, Principe Azzurro, il mio meraviglioso amante, il mio dio della bellezza. Ma io accanto a lui sono povera. Povera? Che importanza ha? Quando la povertà entra strisciando dalla porta, l'amore arriva volando dalla finestra. I nostri proverbi dovrebbero venire rifatti. Sono stati scritti d'inverno e adesso è estate; credo che per me la primavera sia proprio una danza di fiori nel cielo azzurro."
"È un signore," disse il giovane, cupo.
"Un principe," cantò la voce di lei. "Che cosa pretendi di più?"
"Vuole che tu diventi la sua schiava."
"Tremo al pensiero di essere libera."
"Voglio che tu ti guardi da lui."
"Vederlo vuol dire adorarlo, conoscerlo vuol dire aver fiducia in lui."
"Sibyl, sei impazzita per lui."
Lei rise e lo prese per il braccio. "Caro vecchio Jim, parli come se avessi cent'anni. Un giorno ti innamorerai anche tu e allora saprai che cosa vuol dire. Non prendere quest'aria scontrosa. Dovresti essere contento al pensiero che, mentre sei lontano, mi lasci più felice di quanto non sono mai stata. La vita è stata dura per tutti e due, terribilmente dura e difficile, ma d'ora in poi le cose saranno diverse. Tu vai in un nuovo mondo, io ne ho trovato uno. Ecco due sedili, sediamoci e guardiamo passare la gente elegante."
Sedettero in mezzo a una folla di gente intenta a guardare. Dall'altra parte della strada le aiuole di tulipani fiammeggiavano come palpitanti anelli di fuoco. Una polvere bianca, come una tremula nube di ireos, era sospesa nell'ansare dell'aria. Gli ombrelli da sole dai vivaci colori danzavano e cadevano come enormi farfalle. Sibyl spinse il fratello a parlare di sé, delle sue speranze, dei suoi progetti. Jim rispondeva lentamente a fatica. Si scambiavano le parole come i giocatori si scambiano i gettoni. Sibyl si sentiva oppressa, non riusciva a manifestare la gioia che provava. L'unica eco che le riuscì di suscitare fu un debole sorriso che curvò appena, la bocca imbronciata del fratello: Dopo un po' tacque. D'un tratto colse un lampo di capelli d'oro, di labbra ridenti e Dorian Gray passò in una carrozza aperta con due signore.
Balzò in piedi. "Eccolo!" esclamò.
"Chi?" domandò Jim Vane.
"Il Principe Azzurro," rispose lei, seguendo con lo sguardo la carrozza.
Jim balzò in piedi a sua volta e le afferrò rudemente un braccio. "Fammelo vedere. Chi e? Indicamelo. Devo vederlo!" esclamò. Ma proprio in quel momento sopraggiunse il tiro a quattro del duca di Berwic e, quando fu passato, la carrozza aperta aveva lasciato il Park.
"Se ne è andato," mormorò tristemente Sibyl. "Avrei voluto che tu lo vedessi."
"Avrei voluto anch'io perché, sicuro come dio in cielo, se mai ti dovesse fare del male, lo ucciderei."
Sibyl lo fissò terrorizzata. Lui ripeté la frase. Le parole tagliarono l'aria come una frustata. La gente intorno iniziò a guardarli. Una signora che stava accanto a lei si scostò.
"Andiamo via, Jim, andiamo via," sussurrò. Lui la seguì sempre con un'espressione ostinata in volto mentre Sibyl si faceva largo tra la folla. Era contento di quello che aveva detto. Giunti alla statua di Achille, Sibyl si voltò. Aveva negli occhi un'espressione di pietà che sulle labbra si trasformò in un sorriso. Scosse il capo. "Sei sciocco, Jim, sei tremendamente sciocco; un ragazzo dal pessimo carattere, tutto qui. Come hai potuto dire una cosa così orribile? Non sai di che cosa parli. Sei soltanto geloso e poco gentile. Ah, vorrei che anche tu ti innamorassi. L'amore rende buoni, mentre le cose che hai detto sono cattive."
"Ho sedici anni," rispose lui, "e so quello che dico. La mamma non ti può essere di aiuto. Non capisce che deve sorvegliarti. Adesso vorrei non dover andare in Australia: ho una gran voglia di mandare tutto a monte. Lo farei, se non avessi già firmato un contratto."
"Oh, non essere così serio, Jim. Sei come l'eroe di uno di quegli stupidi melodrammi che la mamma recitava tanto volentieri. Non voglio litigare con te. L'ho, visto e, oh! il vederlo è una perfetta felicità. Non litigheremo. So che non saresti capace di far male a chi amo, non è vero?"
"Immagino di no, finché lo amerai," fu la cupa risposta.
"Lo amerò sempre!" esclamò lei.
"Sarà meglio per lui."
Sibyl si staccò dal fratello, poi rise e gli posò una mano sul braccio. Era solo un ragazzo.
A Marble Arch salirono su un omnibus che li lasciò vicino alla loro, squallida casa di Euston Road. Erano le cinque passate e Sibyl doveva riposare un paio d'ore prima della recita. Jim insistette perché lo facesse. Disse che preferiva salutarla mentre non c'era la madre. Avrebbe fatto di sicuro una scena e lui detestava le scene di qualunque genere.
Si separarono nella stanza di Sibyl. Nel cuore del ragazzo c'era gelosia e un odio feroce e mortale per lo sconosciuto che, secondo lui, si era messo tra loro. Tuttavia quando le braccia di lei gli allacciarono il collo e le sue dita gli si insinuarono tra i capelli, si addolcì e la baciò con sincero affetto. Scese con gli occhi pieni di lacrime. La madre lo aspettava da basso. Quando entrò, brontolò per la sua mancanza di puntualità. Jim non rispose, ma sedette davanti al misero pasto. Le mosche ronzavano intorno alla tavola, muovendosi sulla tovaglia macchiata. Attraverso il rombo degli omnibus e il fracasso delle carrozze, sentiva la voce lamentosa divorargli a uno a uno i minuti che gli restavano.
Dopo un po', allontanò il piatto e si prese la testa tra le mani. Sentiva di avere il diritto di sapere. Se i suoi sospetti erano fondati, avrebbero dovuto dirglielo prima. Piena di paura, la madre lo osservava. Le parole le cadevano meccanicamente dalle labbra mentre, tra le dita, tormentava un lacero fazzoletto di pizzo. Quando l'orologio batté le sei, il ragazzo si alzò e si avviò alla porta. Poi si voltò, fissandola. I loro occhi si incontrarono. Vide in quelli di lei una folle richiesta di pietà e ne fu irritato.
"Mamma, devo chiederti una cosa," disse. Gli occhi della donna vagarono incerti nella stanza. Non rispose. "Dimmi la verità, ho il diritto di saperlo. Tu e mio padre eravate sposati?"
La donna emise un profondo sospiro. Era un sospiro di sollievo. Quel terribile momento, quel momento temuto notte e giorno, per settimane e per mesi, era venuto finalmente. Tuttavia non ne aveva paura, anzi, in una certa qual misura ne era delusa. La rude franchezza della domanda richiedeva una risposta altrettanto franca. La situazione non si era sviluppata gradualmente: era sorta brutalmente ricordandole una brutta prova teatrale.
"No," rispose, meravigliandosi dell'aspra semplicità della vita.
"Allora mio padre era un mascalzone?" esclamò il ragazzo, stringendo i pugni.
La donna scosse il capo. "Sapevo che non era libero. Ci amavamo moltissimo. Se fosse vissuto avrebbe badato a noi. Non parlare male di lui, figlio mio. Era tuo padre ed era un gentiluomo. In verità aveva parenti molto importanti."
Dalle labbra del ragazzo sfuggì una bestemmia. "Di me, non mi importa," esclamò, "ma non lasciare che Sibyl... È un gentiluomo anche quel tipo che si è innamorato di lei, o dice di esserlo, non è vero? E immagino che anche lui abbia parenti molto importanti."
Per un momento, la donna fu sopraffatta da un vergognoso senso di umiliazione. Chinò il capo e si passo sugli occhi una mano, tremante. "Sibyl ha una madre," mormorò. "Io non l'avevo."
Il ragazzo si commosse. Si avvicinò a lei e, chinatosi, le diede un bacio. "Mi dispiace di averti fatto soffrire chiedendoti di mio padre," disse, "ma non ho potuto farne a meno. Ora devo andare. Arrivederci. Non dimenticare che adesso dovrai badare a uno solo dei tuoi figli, e credimi, se quell'uomo rovinerà mia sorella, scoprirò chi è, lo rintraccerò e lo ammazzerò come un cane. Lo giuro."
Il tono esaltato della minaccia, i gesti pieni di passione che la accompagnavano, le folli parole melodrammatiche le fecero apparire più vivida la vita. Aveva familiarità con quest'atmosfera. Respirò più liberamente e, per la prima volta dopo molti mesi, ammirò sinceramente il figlio. Avrebbe voluto continuare la scena sullo stesso tono emotivo, ma lui tagliò corto. Bisognava portar giù i bauli e cercare gli indumenti pesanti. Il facchino della pensione entrava e usciva. Poi si dovette trattare con il vetturino. Il poco tempo andò perduto in meschini particolari. Fu con un rinnovato senso di delusione che, mentre il figlio si allontanava sulla carrozza, sventolò dalla finestra il lacero fazzoletto di pizzo. Sentiva che una grande occasione era stata sprecata. Si consolò descrivendo a Sibyl quanta desolazione sarebbe entrata nella sua vita, adesso che aveva uno solo dei suoi figli a cui badare. Ricordò la frase: le aveva fatto piacere. Della minaccia non disse nulla. Era stata espressa con vivacità e senso drammatico. Sentiva che un giorno o l'altro ne avrebbero riso tutti e tre.