PAUL VERLAINE

POESIE I


da PRIMI VERSI

La morte

a Victor Hugo.

Come un mietitore la cui falce cieca
abbatte il fiordaliso e insieme il duro cardo,
come piombo crudele che nella corsa brilla,
sibila e inesorabile fende l'aria a colpirvi;

così l'orrenda morte si mostra sopra un drago,
passando tra gli umani come un tuono,
rovesciando, folgorando ogni cosa che incontri
impugnando una falce tra le livide mani.

Ricco, vecchio, giovane, povero, al suo lugubre impero
tutti obbediscono; nel cuore dei mortali
il mostro affonda, ahimè!, unghie di vampiro!
e sui bambini infierisce come sui criminali:

aquila fiera e serena, quando dall'alto dei tuoi cieli
vedi planare sull'universo quell'avvoltoio nero
non insorge il disprezzo (più che collera, vero?),
o magnanimo genio, nel tuo cuore?

Ma, pur sdegnando la morte e i suoi allarmi,
Hugo, tu sai appenarti per i poveri vinti;
tu sai, quando bisogna, qualche lacrima spargere,
qualche lacrima d'amore per chi non vive più.

[1858.]


Aspirazione

Ali! Ali!
(RÜCKERT.)

Questa valle è triste e grigia: una fredda nebbia
la opprime;
come fronte di vecchio l'orizzonte è rugoso;
uccello, gazzella,
prestatemi il vostro volo; lampo, portami via!
in fretta, presto,
verso i prati del cielo dove la primavera regna
e ci invita
alla festa eterna, allo splendido concerto
che sempre vibra,
la cui eco lontana turba la fibra
del mio cuore ansimante.
Là, sotto gli occhi di Dio benedicente, raggiano
strani fiori,
là sono alberi in cui come nido gorgheggiano
migliaia d'angeli;
là ogni suono sognato, là ogni splendore
inaccessibile
formano, in un imene miracoloso, cori
inenarrabili!
là, vascelli innumerevoli dai cordami di fuoco
fendono le onde
di un lago di diamante dove sono dipinti
il cielo blu e i mondi;
là, nell'aria incantata, volteggiano odori
ammalianti,
inebriando insieme il cervello e i cuori
con le loro carezze.
E vergini dalla carne fosforescente, dagli occhi
la cui orbita austera
racchiude la siderale immensità dei cieli
e del mistero,
baciano castamente, come si addice ai defunti,
il santo poeta
che scorge un turbinìo di legioni di spiriti
sulla sua testa.
L'anima, in questo Eden, beve a lunghi sorsi l'ideale,
torrente splendido
che scende da alti luoghi e svolge il suo cristallo
senza una ruga.
Ah! per trasportarmi in quel settimo cielo,
me, povero diavolo,
me, fragile figlio di Adamo, cuore tutto materia,
lontano dalla terra,
da questo mondo impuro dove ogni giorno il fatto
distrugge il sogno,
dove l'oro rimpiazza tutto, la bellezza, l'arte, l'amore,
dove non si solleva
alcuna gloria un poco pura senza che i fischiatori
la deflorino,
dove gli artisti per disarmare i denigratori
si disonorano,
lontano da questa galera dove, tranne il debosciato che se la dorme,
tutti sono infami,
lontano da tutto ciò che vive, lontano dagli uomini
e ancor più dalle donne,
aquila, al sognatore ardito, per alzarlo dal suolo,
apri la tua ala!
Lampo, portami via! Uccello, gazzella,
prestatemi il vostro volo!

10 maggio 1861.


Inezie

Degnate sopportare che alle vostre ginocchia, Signora,
il mio povero cuore dichiari la sua fiamma.

Vi adoro quanto Dio, anzi di più,
e niente mai spegnerà questo bel fuoco.

Il vostro sguardo, profondo e pieno d'ombra,
mi fa felice se splende, e se no, triste.

Quando passate, bacio la terra,
e voi tenete il mio cuore nella vostra mano.

Sola, nel suo nido, piange la tortorella.
Stanco, io sono solo e come lei piango.

L'alba al mattino resuscita i fiori,
e vedervi placa ogni dolore.

Se scomparite, più non crescono i fiori
e, voi lontana, domina la tristezza.

Se apparite, la verzura e i fiori
nei prati, nei boschi, dispiegano i loro colori.

Se voi voleste, Signora e mia diletta,
se tu volessi, sotto le verdi fronde,

andarcene a braccetto,
Dio! che baci! e che discorsi folli!
E invece no! Sempre fate l'arcigna,
e intanto io brucio e m'inaridisco,

e il desiderio m'incalza e mi morde,
perché io vi amo, Signora Morte!

21 luglio 1861.


Gli dei

Vinti ma non domati, esiliati ma vivi,
e malgrado gli editti dell'Uomo e le sue minacce,
non hanno certo abdicato, serrate le mani tenaci
su tronconi di scettro, e corrono nei venti.

Le nuvole veloci dai mobili capricci
sono la polvere ai piedi di questi spettri rapaci
e la folgore urlante attraverso gli spazi
è solo un'eco lontana dei loro duri olifanti.

A loro volta suonano la rivolta contro l'Uomo,
il loro vincitore stupefatto e malridotto
dopo una tale lotta con simili nemici.

Dal Corano, dai Veda e dal Deuteronomio,
da ogni dogma, pieni di rabbia, tutti gli dèi
sono usciti in guerra: All'erta! e occhi aperti.


A Don Chisciotte

Don Chisciotte, vecchio paladino, gran vagabondo,
invano la folla assurda e vile ride di te:
la tua morte fu un martirio e la tua vita un poema,
e i mulini a vento avevano torto, mio re!

Va', non fermarti, va', protetto dalla tua fede,
sul tuo destriero fantastico che io amo,
va', spigolatore sublime! - gli oblii della legge
sono più numerosi, più grandi, di un tempo.

Hurrah! noi ti seguiamo, noi, i poeti santi,
dai capelli cinti di follia e di verbena.
Guidaci all'assalto delle grandi fantasie,

e presto, nonostante i tradimenti,
sventolerà l'alato stendardo delle Poesie
sul cranio canuto dell'inetta ragione!

Marzo 1861.


Una sera d'ottobre

L'autunno e il sole al tramonto! Sono felice!
Sangue sopra marciume!
L'incendio allo zenith! La morte nella natura!
L'acqua stagnante, l'uomo febbrile!

Oh! è questa la tua ora e la tua stagione, poeta
dal cuore vuoto d'illusioni,
rosicchiato dai denti di topo delle passioni,
che bello specchio, e che festa!

Altri, pedanti, sciocchi o pazzi,
ammirino la primavera e l'alba,
le due verginelle, più rosee delle loro vesti;

io amo te, aspro autunno, ti preferisco a tutti
i visini innocenti, angelici,
cortigiana crudele dalle pupille strane.

10 ottobre 1862.


L'Apollo di Pont-Audemer

Che fusto! diciott'anni: grandi braccia;
mani da strapparvi la testa dalle spalle;
su una fronte bassa e dura, capelli rossi, corti.
Poi, perbacco, a ballare ci sa proprio fare!

Crescono fitti i figli a quelle che raggira,
nella sua pubertà fiera e selvaggia il bel ragazzo va,
come un re nella porpora che sa la propria parte
e parla con voce austera, e avanza a grandi passi.

Più tardi, che il destino lo risparmi o lo colpisca,
lo si vedrà, buon vecchio, barba bianca, occhio opaco,
spegnersi dolcemente come un giorno alla fine,

oppure, umile eroe, martire del dovere,
rotolare sul fondo di un'oscura trincea
o di un fossato, il cranio aperto da una scheggia di granata.

9 settembre 1864.


Versi aurei

L'arte non vuole lacrime e non transige,
ecco in due parole la mia poetica: è fatta
di grande disprezzo per l'uomo e di lotte
contro l'amore stridulo e la stupida noia.

So che bisogna penare per ascender la vetta
e la salita è ripida a guardarla dal basso.
Lo so, e so anche che molti poeti
hanno spalle troppo strette o polmoni fiacchi.

Così sono grandi coloro che, a dispetto dell'invidia,
avendo vinto la vita nell'aspra battaglia
ed ormai liberi dal giogo delle passioni,

mentre come un albero vegeta il sognatore
e si agitano - lamentoso ammasso - le nazioni,
si raccolgono in un egoismo di marmo.

[1866.]



da POESIE SATURNINE


I Saggi d'altri tempi...

I Saggi d'altri tempi, che valevano quelli di oggi,
credettero, e la questione ancora è poco chiara,
di leggere nel cielo le buone sorti e i disastri
e che ogni anima fosse legata a un astro.
(Si è riso molto di questa spiegazione
del mistero notturno, senza pensare che il riso
è spesso ridicolo oltre che ingannevole.)
Ora, i nati sotto il segno di SATURNO,
fulvo pianeta, caro ai negromanti,
hanno tra tutti, secondo le antiche formule,
una buona dose di sventura e di bile.
Inquieta e debole, l'Immaginazione
in loro rende vano lo sforzo della Ragione.
Sottile come veleno, ardente come lava,
e raro, il sangue cola e circola nelle loro vene
riducendo in cenere il loro triste Ideale.
Così devon soffrire i Saturnini, così
morire - ammesso che noi siamo mortali -
poiché il corso della loro vita è disegnato,
linea per linea, dalla logica di un Influsso maligno.

P.V.

MELANCHOLIA
a Ernest Boutier.


Iº Rassegnazione

Da bambino sognavo Ko-Hinnor,
sfarzo persiano e papale,
Eliogabalo e Sardanapalo!

Sotto dei tetti d'oro, tra i profumi,
al suono della musica il mio desiderio
creava harem infiniti, paradisi fisici!

Oggi, più calmo ma non meno ardente,
sapendo della vita che bisogna piegarsi,
ho dovuto frenare la mia bella follia,
e tuttavia senza troppo rassegnarmi.

E sia! il grandioso mi sfugge,
ma via da me il lezioso, al diavolo la feccia!
E ancora detesto la donna vezzosa,
la rima assonante e l'amico prudente.


IIº Nevermore

Ricordo, ricordo, ma cosa vuoi da me? L'autunno
faceva librare il tordo nell'aria àtona,
e il sole dardeggiava un monotono raggio
sul bosco ingiallito dove la bora esplode.

Eravamo soli, lei e io, camminando
sognanti, al vento i capelli e il pensiero.
A un tratto, volgendo a me lo sguardo commovente:
"Qual è stato il tuo giorno più bello?"disse

con voce d'oro vivo, dolce e sonora,
dal fresco timbro angelico. Un sorriso discreto
fu la mia risposta, e le baciai devoto la bianca mano.

- Ah! i primi fiori, come sono profumati!
e come vibra con mormorìo incantevole
il primo sì che esce dalle labbra adorate!


IIIº Dopo tre anni

Spinta la stretta porta vacillante,
ho passeggiato nel piccolo giardino
appena rischiarato dal sole del mattino
che gemmava ogni fiore di un'umida scintilla.

Niente è cambiato. Ho rivisto tutto: l'umile
pergola di vite selvatica con le sedie di vimini...
Ancora la fontana che mormora argentina,
e il vecchio pioppo col suo lamento eterno.

Come allora palpitano le rose: come allora
i grandi gigli orgogliosi si dondolano al vento.
Ogni allodola che va e viene, la conosco.

Perfino ho ritrovato in piedi la Vèleda
il cui gesso si sfalda là in fondo al viale,
- gracile, nell'insipido odore di rèseda.


IVº Voto

Ah! i convegni amorosi! le prime amanti!
l'oro dei capelli, l'azzurro degli occhi, il fiore delle carni
e poi, nell'odore dei corpi giovani e cari,
la timida spontaneità delle carezze!

Come sono lontane tutte quelle allegrie
e quei candori! Ahimè! tutti fuggirono
in una primavera di rimorsi i neri inverni
delle mie noie, dei miei disgusti, delle mie tristezze!

Eccomi dunque solo, tetro e solo,
tetro e disperato, più gelido di un vecchio,
e come un povero orfano senza sorella maggiore.

Oh la donna dall'amore tenero e ardente,
dolce, pensosa e bruna, e mai stupita,
e che a volte vi bacia in fronte, come un bimbo!


Vº Stanchezza

A batallas de amor campo de pluma.
(GONGORA.)

Dolcezza, dolcezza, della dolcezza!
Calma un po' i tuoi slanci febbrili, tesoro.
Anche nell'impeto del piacere, vedi, talvolta l'amante
deve avere il calmo abbandono d'una sorella.

Sii languida, fammi addormentare sotto le tue carezze,
ritmàti i tuoi sospiri e lo sguardo che culla.
Sì, la stretta gelosa e lo spasmo ossessivo
non valgono un lungo bacio, anche mendace!

Ma nel tuo caro cuore d'oro, mi dici, ragazza mia,
la passione selvaggia suona l'olifante!...
E lasciala suonare quanto vuole, l'accattona!

Appoggia la tua fronte sulla mia, la tua mano nella mia,
e fammi giuramenti che romperai domani,
e fino all'alba piangiamo, o piccola focosa!


VIº Il mio sogno familiare

Faccio spesso un sogno strano e penetrante,
d'una donna sconosciuta che amo e che mi ama
e che ogni volta non è proprio la stessa
ma neppure un'altra, e mi ama e mi comprende.

Sì, mi comprende, e il mio cuore, trasparente
a lei soltanto, solo per lei, ahimè! non è più
un problema, e lei sola, piangendo, sa rinfrescare
i sudori della mia fronte livida.

È bruna, bionda o rossa? - Lo ignoro.
Il suo nome? Ricordo che è dolce e sonoro
come i nomi dei nostri cari che la Vita esiliò.

Ha uno sguardo simile a quello delle statue,
e la sua voce, lontana, e calma, e grave,
ha l'inflessione delle voci amate che ora tacciono.


VIIº A una donna

A voi questi versi, per la grazia consolatrice
dei vostri grandi occhi dove ride e piange un dolce sogno,
per la vostra anima pura e così onesta, a voi
questi versi dal fondo del mio violento sconforto.

Perché, ahimè! l'incubo orrendo che mi tormenta
non mi dà tregua e infuria, folle, geloso,
come branco di lupi si moltiplica
e si accanisce sul mio destino che insanguina!

Oh! io soffro, soffro terribilmente, così tanto
che è un'ècloga, in confronto al mio, il primo gemito
del primo uomo scacciato dall'Eden.

E gli affanni che voi potete provare
sono rondini in un cielo pomeridiano,
- mia cara, - intiepidito da un bel giorno di settembre.


VIIIº L'angoscia

Niente di te, Natura, mi commuove, né i campi
generosi né la vermiglia eco delle pastorali
siciliane, né gli sfarzi aurorali,
né la dolente solennità dei tramonti.

Rido dell'Arte, rido anche dell'Uomo, dei canti,
dei versi, dei templi greci, delle torri a spirale
che innalzano in un cielo vuoto le cattedrali,
e osservo con identico sguardo i buoni e i cattivi.

Non credo in Dio, e abiuro e rinnego
ogni pensiero, e quanto alla vecchia ironia,
l'Amore, vorrei proprio non sentirne più parlare.

Stanca di vivere, paurosa della morte, simile
al vascello perduto, prigioniero del flusso e del riflusso,
salpa l'anima mia per orrendi naufragi.



ACQUEFORTI
a François Coppée.

Iº Schizzo parigino

La luna spargeva i suoi colori di zinco
ad angoli ottusi.
Fili di fumo in forma di cinque
uscivano densi e neri dagli alti tetti aguzzi.

Il cielo era grigio. Piangeva la tramontana
come un contrabbasso.
Lontano, un gatto freddoloso e discreto
miagolava sottile in modo strano.

Io, camminavo, pensando al divino Platone
e a Fidia,
a Salamina e a Maratona,
sotto l'occhio ammiccante dei becchi blu del gas.

IIº Incubo

Ho visto passare nel mio sogno
- come l'uragano sulla spiaggia, -
la spada in una mano
nell'altra una clessidra,
quel cavaliere

delle ballate di Germania
che per città e campagna
e dal fiume alla montagna,
dalle foreste alla valle,
uno stallone

rosso-fiamma e nero-ebano,
senza briglia né morso né redini
né hop! né frustino, trascina
tra sordi rantoli
sempre! sempre!

Un gran cappello dalla lunga piuma
ombreggiava il suo occhio che brilla
e si spegne. Così, nella bruma,
s'accende e muore l'azzurro lampo
di un'arma da fuoco.

Come l'ala di un'ossifraga
atterrita da un'improvvisa tempesta,
nell'aria screziata di neve,
si gonfiava il suo mantello
e sbatteva nel vento,

e mostrava con aria trionfante
un torso d'ombra e d'avorio,
e nella notte nera
luccicavano in grida stridenti
trentadue denti.


IIIº Marina

L'oceano sonoro
palpita sotto l'occhio
della luna in lutto
e palpita ancora,

mentre un lampo
brutale e sinistro
fende il cielo di bistro
con un lungo zig-zag chiaro,

e ogni onda,
con balzi convulsi,
lungo i frangenti
va, viene, brilla e grida

e nel firmamento,
dove corre l'uragano,
ruggisce il tuono
formidabilmente.


IVº Effetto notturno

Notte. Pioggia. Un cielo sbiadito che ritaglia
di guglie e torri traforate un profilo
di città gotica perduta in grigie lontananze.
Pianura. Un patibolo carico d'impiccati contorti;
scossi dall'avido becco delle cornacchie
danzano nell'aria nera gighe ineguagliabili,
e intanto i loro piedi sono pasto dei lupi.
Qua e là cespugli di rovi e qualche agrifoglio
drizzano a destra e a manca l'orrido fogliame
sull'oscuro guazzabuglio di uno sfondo d'abbozzo.
E poi, intorno a tre lividi prigionieri
che vanno a piedi nudi, un drappello di alti armigeri
in marcia: le loro lance dritte, come ferri d'erpice,
brillano in senso contrario alle lance della pioggia.


Grotteschi

Le sole gambe per cavalcatura,
sola ricchezza l'oro degli sguardi,
lungo il sentiero delle avventure
vanno cenciosi e tetri.

Indignato, il saggio li rimbrotta;
lo sciocco compiange quei pazzi furiosi;
mostran loro la lingua i bambini
e le ragazze li prendono in giro.

Il fatto è che, odiosi e ridicoli
e veramente malefici,
nei crepuscoli hanno l'aspetto
di un brutto sogno;

e torcendo la mano destra
sulle chitarre stridule,
intonano nel naso canti bizzarri,
nostalgici e ribelli;

insomma nei loro occhi
ride e piange - fastidioso -
l'amore delle cose eterne,
dei vecchi morti e degli antichi dèi!

- Andate, dunque, vagabondi senza sosta,
errate, funesti e maledetti,
lungo abissi e greti,
sotto l'occhio chiuso dei paradisi!

La natura all'uomo si allea
nel punire a dovere
l'orgogliosa malinconia
che vi fa camminare a fronte alta,

e su voi vendicando la bestemmia
delle grandi speranze veementi,
vi dilania la fronte anatema
coi colpi rudi degli elementi.

Il giugno vi arde e il dicembre
fino alle ossa vi gela la carne,
e la febbre vi invade le membra
scorticate nei canneti.

Tutto vi respinge, tutto vi strazia,
e quando per voi verrà la morte,
magra e fredda, il vostro cadavere
sarà disdegnato dai lupi!


PAESAGGI TRISTI
a Catulle Mendès.

Iº Tramonti

Un'alba estenuata
sparge per i campi
la malinconia
dei soli morenti.
La malinconia
culla con dolci canti
il mio cuore in oblìo
nei soli morenti.
E strani sogni,
simili a soli
che muoiono sui greti,
fantasmi vermigli,
sfilano senza tregua,
sfilano, simili
a grandi soli
che muoiono sui greti.


IIº Crepuscolo della sera mistica

Il Ricordo con il Crepuscolo
rosseggia e trema sull'orizzonte ardente
della Speranza in fiamme che indietreggia
e s'ingrandisce come un recinto
misterioso dove più di una fioritura
- dalia, giglio, tulipano e ranuncolo -
si slancia su un pergolato e circola
tra la malsana esalazione
di odori grevi e caldi il cui veleno
- dalia, giglio, tulipano e ranuncolo -
annegandomi i sensi, e anima, e ragione,
mescola in un deliquio immenso
il Ricordo con il Crepuscolo.


IIIº Passeggiata sentimentale

Il tramonto dardeggiava i suoi ultimi raggi
e il vento cullava le pallide ninfee;
le grandi ninfee tra i canneti
rilucevano tristi sulle acque calme.
Io, me ne andavo solo, portando la mia piaga
lungo lo stagno, tra i salici
dove la bruma vaga evocava un fantasma
grande, lattiginoso, disperato
e piangente con la voce delle alzàvole
che si chiamavano battendo le ali
tra i salici dove solo io erravo
portando la mia piaga; e la spessa coltre
di tenebre venne a sommergere gli ultimi
raggi del sole nelle sue onde smorte
e le ninfee, tra i canneti,
le grandi ninfee sulle acque calme.


IVº Notte di valpurga classica

È più il sabba del secondo Faust che l'altro.
Un sabba ritmico, ritmico, estremamente
ritmico. - Immaginate un giardino di Lenôtre,
corretto, ridicolo e incantevole.

Delle rotonde; in mezzo, getti d'acqua; viali
ben dritti; silvani di marmo; divinità marine
di bronzo; qua e là Veneri denudate;
alberi a scacchiera, prati verdi;

castagni; tappeti di fiori in forma di dune;
qui, roseti nani affilati con sapienza;
più in là, tassi potati a triangolo. Su tutto
la luna di una sera d'estate.

Mezzanotte rintocca, e nell'aulico parco risveglia
un'aria malinconica, un sordo, lento e dolce suono
di caccia: dolce, lento, sordo e malinconico
come l'aria di caccia del Tannhäuser.

Canti velati di corni lontani in cui la tenerezza
dei sensi stringe la paura dell'anima in accordi
armoniosamente dissonanti nell'ebbrezza;
ed ecco che al richiamo dei corni

s'intrecciano d'un tratto forme candide,
diafane, che il chiaro di luna rende
opaline nell'ombra verde dei rami,
- un Watteau sognato da Raffet! -.

S'intrecciano nell'ombra verde degli alberi
con languido gesto, disperato, profondamente,
poi, intorno ai cespugli, ai bronzi e ai marmi,
danzano in tondo molto lentamente.

- Questi spettri agitati sono dunque il pensiero
del poeta ebbro, o il suo rimpianto, o il rimorso,
questi spettri agitati in forme cadenzate,
oppure sono solo dei morti?

Sono dunque il tuo rimorso, sognatore attratto
dall'orrore, o il rimpianto, o il pensiero,
questi spettri agitati da un vortice sfrenato,
oppure morti in preda alla follia?

Che importa! eccoli andare ancora i febbrili fantasmi,
in ampio girotondo sussultano tristi
come atomi dentro un raggio di luce
per poi svanire nell'istante

umido e scialbo in cui l'alba, uno dopo l'altro
spegne i corni, perché non resti più niente,
proprio niente, tranne un giardino di Lenôtre,
corretto, ridicolo e incantevole.


Vº Canzone d'autunno


I singhiozzi lunghi
dei violini
d'autunno
mi feriscono il cuore
con languore
monotono.

Ansimante
e smorto, quando
l'ora rintocca,
io mi ricordo
dei giorni antichi
e piango;

e me ne vado
nel vento ostile
che mi trascina
di qua e di là
come la foglia
morta.


VIº L'ora del pastore

La luna è rossa sul brumoso orizzonte;
nella nebbia che danza la prateria
s'addormenta fumosa, e la rana grida
tra i verdi giunchi che un brivido attraversa;

i fiori d'acqua chiudono le corolle;
in lontananza, dritti e serrati,
alcuni pioppi allineano i loro incerti spettri;
intorno ai cespugli vagano le lucciole;

si svegliano i gufi e silenziosi
nell'aria nera remano con le ali pesanti,
e lo zenith si riempie di sordi bagliori.
Bianca, Venere emerge, ed è la Notte.


VIIº L'usignolo

Come volo strepitante di uccelli eccitati,
tutti i miei ricordi s'abbattono su di me,
s'abbattono nel giallo fogliame del mio cuore
che contempla il suo ricurvo tronco d'ontano
nello stagno viola dell'acqua dei Rimpianti
che lì vicino scorre malinconica,
s'abbattono, e poi il frastuono malvagio
che un'umida brezza salendo placa,
a poco a poco nell'albero si spegne
e in un istante non si sente più nulla,
più nulla tranne la voce che celebra l'Assente,
più nulla tranne la voce - languida! -
dell'uccello che fu il mio Primo Amore,
che ancora canta come il primo giorno;
e nel triste splendore di una luna
che s'innalza pallida e solenne,
una notte d'estate malinconica e greve,
piena di silenzio e di oscurità,
culla sull'azzurro che un dolce vento sfiora
l'albero che freme e l'uccello che piange.


CAPRICCI

a Henry Winter.


Iº Donna e gatta

Lei giocava con la sua gatta,
e quale meraviglia era vedere
la mano bianca e la bianca zampa
trastullarsi nell'ombra della sera.

Lei nascondeva - scellerata! -
sotto i guanti di filo nero
le unghie d'agata assassine,
taglienti e chiare come un rasoio.

Anche l'altra faceva la sdolcinata
e ritraeva gli artigli acuminati,
ma il diavolo non ci perdeva nulla...

E nel boudoir dove sonoro
tintinnava il suo aereo riso
brillavano quattro punti fosforescenti.

IIº Gesuitismo


È ironico il Dolore che mi uccide e aggiunge
al supplizio il sarcasmo, e non tortura affatto
in modo chiaro: punzecchia con un sorriso falso
e in ridicola farsa trasforma il mio martirio,
e sulla bara in cui giace il mio Sogno putrescente
mugola un De Profundis sull'aria del Tradéri.
È un Tartufo che mentre infiocchetta di rose
Pompòn gli altari di Madonne corrucciate,
e intanto fa intonare a cori di fanciulli
quei cantici d'acqua tiepida in cui si bagna il cuore,
o inamidando gli amorosi soggoli
che serpeggiano nel sacro cuore delle Beate,
o dicendo il rosario a bassa voce,
mentre passa la mano sull'esile colletto,
mentre parla dell'anima compunto,
soltanto medita la mia rovina - infame!


IIIº La canzone delle ingenue


Noi siamo le Ingenue,
bandeaux lisci e occhi turchini,
che vivono quasi ignorate
nei romanzi poco letti.

Camminiamo abbracciate,
né la luce è più pura
del fondo dei nostri pensieri,
e i nostri sono sogni d'azzurro;

e per i prati corriamo
e ridiamo e cinguettiamo
dall'alba al tramonto
a caccia di farfalle;

copricapo da pastorella
proteggono la nostra freschezza,
i nostri vestiti - così leggeri! -
sono di estremo candore;

i Richelieu, i Caussade
e i cavalieri di Faublas
ci prodigano occhiate,
i saluti e gli "ahimè!"

ma invano, e le loro moine
vanno a rompersi il naso
contro le pieghe ironiche
delle nostre semplici gonne;

e il nostro candore si beffa
dell'immaginazione
di quei conquistatori
benché talvolta sentiamo

battere il cuore sotto i nostri manti
a certi pensieri clandestini,
nel saperci le amanti
future dei libertini.

IV o Una gran dama


Bella "da far dannare i santi", da turbare sotto il cappuccio
un vecchio giudice! Portamento da imperatrice.
Parla italiano - e i suoi denti scintillano -
con un leggero accento russo.

I suoi occhi freddi, dove lo smalto incastona il blu di Prussia,
hanno il lampo insolente e duro del diamante.
Per lo splendore del seno, per il candore
della pelle, nessuna regina o cortigiana,

neppure Cleopatra la lince o la gatta Ninon
eguagliano, no!, la sua bellezza patrizia.
Vedi, buon Buridano, "Costei è una gran dama!".

Niente da fare, bisogna adorarla in ginocchio,
distesi, non avendo altri astri nei cieli che i suoi folti rossi capelli,
oppure frustarla in faccia, questa femmina!

V o Il signor Prudhomme


È molto serio: è sindaco e padre di famiglia.
Il colletto gli inghiotte gli orecchi. Gli occhi
galleggiano indolenti in un sogno senza fine,
e la primavera in fiore splende sulle sue pantofole.

Che gliene importa dell'astro d'oro, o del viale
dove canta nell'ombra l'uccello, o dei cieli,
e dei verdi prati, delle radure silenziose?
Il signor Prudhomme pensa a sposare la figlia

con il signor Machin, giovanotto facoltoso.
È di buona condizione, botanico e panciuto.
Quanto ai facitori di versi, buoni a nulla e cialtroni,

ha orrore di quei fannulloni barbuti e scapigliati
più ancora che del suo eterno catarro,
e la primavera in fiore splende sulle sue pantofole.

Savitri


(MAHA-BARATTA.)

Per salvare il suo sposo, Savitri fece il voto
di restare tre giorni e tre notti intere
in piedi, senza muovere gamba o busto o palpebra;
rigida - così disse Vyasa - come un palo.

No, Surya, né i tuoi raggi crudeli né il languore
che Chandra a mezzanotte spande sulle vette
fecero vacillare, coi loro sforzi sublimi,
il pensiero e la carne di quella donna di gran cuore.

- Che ci assedi l'Oblìo, nero e tetro assassino,
o ci prenda a bersaglio l'Invidia dal volto amaro,
come Savitri rendiamoci impassibili
ma come lei nutrendo alte aspirazioni.

Serenata


Come la voce di un morto che canti
dal fondo della fossa,
o amante, ascolta salire al tuo rifugio
la mia voce aspra e falsa.

Apri l'anima e l'orecchio al suono
del mio mandolino:
per te ho fatto, per te, questa canzone
tenera e crudele.

Canterò i tuoi occhi d'oro e d'onice
puri da ogni ombra,
poi il Lete del tuo seno, poi lo Stige
dei tuoi capelli scuri.

Come la voce di un morto che canti
dal fondo della fossa,
o amante, ascolta salire al tuo ritiro
la mia voce aspra e falsa.

Poi molto loderò, come bisogna,
la carne benedetta
il cui profumo opulento mi ritorna
nelle notti d'insonnia.

E per finire loderò il bacio
delle tue rosse labbra,
la tua dolcezza nel martirizzarmi,
- Angelo mio! - mia Sgualdrina!

Apri l'anima e l'orecchio al suono
del mio mandolino;
per te ho fatto, per te, questa canzone
tenera e crudele.

Una dalia


Cortigiana dal seno duro, dall'occhio opaco e bruno
che lentamente si apre come quello di un bue,
il tuo gran torso splende come un marmo nuovo.

Fiore grasso e ricco, nessun aroma fluttua
intorno a te, e la serena bellezza del tuo corpo
svolge, opaca, i suoi accordi impeccabili.

Non odori neppure di carne, quel sapore che almeno
emanano le donne che rivoltano il fieno,
e troneggi, Idolo insensibile all'incenso.

- Così la Dalia, regina vestita di splendore,
solleva senza orgoglio la sua testa inodore,
irritante tra i provocanti gelsomini!

Nevermore


Suvvia, mio povero cuore, suvvia, mio vecchio complice,
raddrizza e dipingi a nuovo i tuoi archi di trionfo;
sui tuoi altari d'oro falso brucia un incenso rancido;
spargi di fiori i bordi spalancati del precipizio;
suvvia, povero cuore, suvvia, mio vecchio complice!

Innalza a Dio il tuo cantico, o ringiovanito cantore;
intona, organo rauco, splendidi Te Deum;
vecchio precoce, incipria le tue rughe;
muro ingiallito, vèstiti di tappeti bruni e dorati;
innalza a Dio il tuo cantico, ringiovanito cantore.

Suonate, sonagli; suonate, campanelle; suonate, campane!
perché il mio sogno impossibile ha preso corpo, e io lo tengo
stretto tra le mie braccia: la Felicità, l'alato
viaggiatore che non permette all'Uomo d'avvicinarsi,
- suonate, sonagli; suonate, campanelle; suonate, campane!

La Felicità ha camminato al mio fianco;
ma la FATALITÀ non conosce tregua:
il verme è nel frutto, il risveglio nel sogno,
e il rimorso nell'amore; questa è la legge.
- La Felicità ha camminato al mio fianco.

Il bacio


Bacio! rosa malva nel giardino delle carezze!
Vivo accompagnamento sulla tastiera dei denti
dei dolci ritornelli che Amore canta negli ardenti cuori
con voce d'arcangelo dai languori incantevoli!

Sonoro e grazioso, Bacio, divino Bacio!
Voluttà incomparabile, ebbrezza inenarrabile!
Salve! L'uomo, chino sulla tua coppa adorabile,
s'inebria d'una felicità che non sa esaurire.

Come il vino del Reno e come la musica,
tu consoli e culli, e il dolore
spira con una smorfia sulla tua piega porporina...
Uno più grande, Goethe o Will, t'innalzi un verso classico.

Io, povero trovatore di Parigi, posso soltanto
offrirti questo mazzetto di strofe infantili:
sii benevolo e, come premio, sulle scherzose labbra
di Una che conosco, Bacio, scendi e ridi!

Marco


Quando Marco passava, ogni giovanotto
si sporgeva per vederle gli occhi, Sodome
in cui i fuochi d'Amore bruciavano spietati
il tuo misero tugurio, o fredda Amicizia;
tutt'intorno danzavano mistici profumi
nei quali s'annientava l'anima piangente;
sui suoi capelli rossi scivolava un incanto;
il suo vestito emanava musiche strane
quando Marco passava.

Quando Marco cantava, le sue mani sull'avorio
evocavano spesso la nera profondità
delle arie primitive mai più riprese,
e la sua voce saliva ai paradisi
della sinfonia immensa dei sogni,
e allora l'entusiasmo trasportava
verso cieli conosciuti chiunque udisse
quel timbro d'argento che vibrava senza tregua
quando Marco cantava.

Quando Marco piangeva, le sue lacrime terribili
sfidavano il bagliore delle armi più belle;
le sue labbra di sangue scurivano il loro carminio
e la sua disperazione non aveva nulla d'umano;
simile al focolare esasperato dall'olio
la sua ira cresceva, rossa, come se fosse
d'una leonessa che all'aspra foresta
comunica la sua collera terribile,
quando Marco piangeva.

Quando Marco danzava, la sua gonna cangiante
andava e veniva come una marea,
e, come flessibile bambù, il suo fianco
si torceva, sporgendo il bianco seno:
un lampo partiva. La sua gamba di marmo,
enfaticamente cinica, sollevava
i suoi splendori opachi, ed era come
il rumore del vento della notte tra le fronde,
quando Marco danzava.

Quando Marco dormiva, oh! quali profumi d'ambra
e di carne, mescolati, riempivano la stanza!
Sotto i lenzuoli la linea squisita del dorso
sinuosa ondeggiava, e nell'ombra delle tende
il respiro saliva ritmico e leggero;
un sonno felice e calmo chiudeva
i suoi occhi, e quel dolce mistero incantava
i vaghi oggetti sparsi sugli scaffali;
quando Marco dormiva.

Ma quando lei amava, flutti di lussuria
straripavano, come da una ferita
esce un sangue vermiglio fumante e ribollente,
da quel corpo crudele che il suo crimine assolve;
il torrente infrangeva le dighe dell'anima,
annegava il pensiero, e tutto sconvolgeva
al suo passaggio, e risorgeva
agile e insaziabile come fiamma,
e poi gelava.

FESTE GALANTI



Chiaro di luna


La vostra anima è un paesaggio squisito
che maschere e bergamasche ammaliano
suonando il liuto e danzando e quasi
tristi nei fantasiosi travestimenti.

Pur cantando in tono minore
l'amor vincitore e la buona sorte,
alla felicità non sembran proprio credere
e si fonde il loro canto col chiaro di luna,

col calmo chiaro di luna triste e bello
che negli alberi fa sognare gli uccelli
e singhiozzare d'estasi gli zampilli,
gli zampilli alti e svelti tra i marmi.

Pantomima


Pierrot che non ha niente d'un Clitandro
si vuota un fiasco senza più attendere
e, pratico, prende a morsi un pasticcio.

Cassandro, in fondo al viale,
versa una lacrima misconosciuta
per il nipote diseredato.

Quel ribaldo di Arlecchino combina
il rapimento di Colombina
e si fa quattro piroette.

Colombina sogna, sorpresa
di sentire un cuore nella brezza
e di udire delle voci nel suo cuore.

Sull'erba


L'abate divaga. - E tu, marchese,
ti metti la parrucca di traverso.
- Squisito questo vecchio vino di Cipro,
ma non, Camargo, come la vostra nuca.

- Mia fiamma... - Do, mi, sol, la, si.
Abate, la tua perfidia si svela!
- Che io possa morire, mie Signore,
se per voi non colgo una stella!

- Vorrei essere un cagnolino!
- Baciamo le nostre pastorelle,
ad una ad una. - Ebbene, Signori?
- Do, mi, sol. - Eh, buonasera, Luna!

Il viale


Truccata e dipinta come al tempo degli àrcadi,
fragile tra i nodi enormi dei suoi nastri,
eccola passare sotto gli ombrosi rami, nel viale
dove verdeggia il muschio sulle vecchie panche,
con mille moine e mille vezzi
riservati di solito alle amate cocorite.
È azzurra la lunga veste a strascico, e il ventaglio
che sgualcisce tra le dita sottili dai larghi anelli
è rallegrato da soggetti erotici, così vaghi
che lei sorride, fantasticando, a più di un dettaglio.
- Bionda, insomma. Naso grazioso e bocca
incarnatina, grassa e divina d'orgoglio
inconsapevole. - Del resto, più fine di quel nèo
che ravviva il bagliore un po' ingenuo dell'occhio.

La passeggiata


Il cielo così pallido e gli alberi così gracili
sembran sorridere ai nostri abiti chiari
che ondeggiano leggeri
con noncuranza e movimenti d'ali.

E il vento dolce increspa l'umile vasca
e la luce del sole attenuata
dall'ombra dei bassi tigli del viale
ci giunge azzurra, non a caso morente.

Squisiti seduttori e civette incantevoli,
teneri cuori, ma liberi dal giuramento,
noi conversiamo deliziosamente
e gli amanti stuzzicano le amanti,

la cui mano impercettibile talvolta
sa dare uno schiaffo, ricambiato
da un bacio sull'ultima falange
del mignolo, e poiché la cosa è

immensamente impertinente, selvaggia,
si è puniti da uno sguardo molto duro
che contrasta, del resto,
con la smorfia assai clemente della bocca.

Nella grotta


Ecco! mi uccido ai vostri piedi!
perché è infinita la mia afflizione,
e la tigre terribile d'Ircania
è un'agnella in confronto a voi.

Sì, qua dentro, crudele Climene,
questo gladio che in molte battaglie
stese tanti Scipioni e tanti Ciri,
porrà fine alla mia vita e alla mia pena!

Ma ne ho proprio bisogno
per scendere ai Campi Elisi?
Con frecce acuminate non mi trafisse Amore
il cuore, non appena il tuo sguardo mi abbagliò?

Gli ingenui


I tacchi alti lottavano con le lunghe gonne
di modo che, secondo il terreno e il vento
talvolta balenavano polpacci, troppo spesso
intercettati, e noi amavamo l'ingannevole gioco.

Talvolta, poi, il dardo di un insetto geloso
tormentava il collo delle belle sotto i rami
ed eran lampi improvvisi di bianche nuche,
ed era grande festa nei nostri occhi folli.

Cadeva la sera, un'equivoca sera d'autunno:
le belle, sognanti, appese al nostro braccio,
bisbigliarono allora parole talmente speciose
che l'anima nostra da allora ne trema stupita.

Corteo


Una scimmia in giubba di broccato
trotta e sgambetta davanti a lei
che spiegazza un fazzoletto di pizzo
nella mano ad arte inguantata,

mentre un negretto tutto rosso
sostiene a braccia tese i lembi
della pesante veste sospesa,
attento ai movimenti d'ogni piega;

la scimmia non perde d'occhio
il seno bianco della dama,
tesoro opulento invocato
dal torso nudo di un dio;

talvolta il negretto solleva,
birbante, più su del necessario,
il sontuoso fardello
per veder ciò che sogna di notte;

lei avanza sulle scale
e non pare troppo sensibile
all'omaggio insolente
dei suoi famigli animali.

Le conchiglie


Ogni conchiglia incrostata
nella grotta dove ci amammo
ha la sua specialità.

Una ha la porpora delle nostre anime
rapita al sangue dei nostri cuori
quando io ardo e tu t'infiammi;

un'altra ostenta i tuoi languori
e i tuoi pallori quando, stanca,
ce l'hai coi miei sguardi beffardi;

quest'altra imita la grazia
del tuo orecchio, e quella
la tua rosea nuca, corta e grassa;

ma una, tra tante, mi turbò.

Pattinando


Fummo vittime entrambi,
Signora, di reciproci raggiri,
per via di quel turbamento
da cui fummo colpiti nell'Estate.

La Primavera aveva certo un po'
contribuito, se ben ricordo,
a rendere confuso il nostro gioco
ma in modo meno oscuro!

Perché l'aria è così fresca a primavera
che insomma le rose in boccio,
che Amore pare schiudere ad arte,
hanno profumi quasi innocenti;

e gli stessi lillà hanno un bel
diffondere il loro alito pungente
nell'ardore del sole nuovo:
quest'eccitante tutt'al più rianima,

tanto lo zefiro soffia, beffardo,
disperdendo l'afrodisiaco
effluvio, così che il cuore riposa
e anche lo spirito è assente,

e i cinque sensi, euforici,
si danno alla pazza gioia,
ma soli, proprio soli e senza
che la crisi monti alla testa.

Fu il tempo, sotto cieli chiari,
(ricordate, Signora?)
dei baci superficiali,
dei sentimenti a fior d'anima.

Liberi da folli passioni,
pieni di amara benevolenza,
come godemmo entrambi
senza entusiasmo - e senza pena!

Felici istanti! - ma venne l'Estate:
addio, rinfrescanti brezze!
Un vento di greve voluttà
investì le nostre anime sorprese.

Fiori dai calici vermigli
ci lanciarono odori maturi
e ovunque i cattivi consigli
caddero dai rami su di noi.

Cedemmo a tutto questo,
e fu una ben ridicola
vertigine a sconvolgerci
finché la canicola durò.

Risa oziose, pianti senza ragione,
mani strette all'infinito,
madide tristezze, deliqui,
e che pensieri incerti!

L'Autunno, per fortuna,
con la sua luce fredda e i venti rigidi,
giunse a correggerci, breve e secco,
dalle nostre brutte abitudini,

e ci indusse bruscamente
all'eleganza richiesta
ad ogni amante irreprensibile
e ad ogni degna amata...

Ora è Inverno, Signora, e chi
su di noi scommise, trema per la sua borsa,
e già le altre slitte
osano disputarci la corsa.

Con le due mani dentro il manicotto,
tenetevi bene sul sedile
e filiamo! - e assai presto Fanchon
c'infiorerà - checché si dica!

Fantocci


Scaramuccia e Pulcinella,
uniti da un malvagio disegno,
gesticolano neri contro la luna.

Intanto l'eccellente dottore
bolognese coglie lentamente
i semplici nell'erba bruna.

Allora sua figlia, musetto grazioso,
sotto la pergola, di nascosto,
scivola via mezza nuda alla ricerca

del suo bel pirata spagnolo,
del quale un languido usignolo
grida lo sconforto a squarciagola.

Citera


Un padiglione dalle ampie aperture
ripara dolcemente le nostre gioie
rinfrescate da roseti amici;

l'odore tenue delle rose,
grazie al lieve vento estivo,
si fonde coi profumi ch'ella si è messa;

fedele alla promessa dei suoi occhi,
il suo coraggio è grande, e il suo labbro
trasmette una febbre squisita;

e dato che l'Amore tutto appaga
tranne la fame, sorbetti e confetture
ci preservano dagli sfinimenti.

In barca


Tremola la stella del pastore
nell'acqua più nera e il pilota
cerca un acciarino nei calzoni.

È il momento, Signori, ora o mai più,
d'essere audaci, e io metto
le mie mani dappertutto, ormai.

Il cavaliere Ati, che gratta
la sua chitarra, a Clori l'ingrata
lancia un'occhiata scellerata.

L'abate confessa Egle sottovoce
e quello sregolato del visconte
concede al proprio cuore ogni libertà.

Intanto si leva la luna
e lo scafo nella sua breve corsa
fila allegro sull'acqua sognante.

Il fauno


Un vecchio fauno di terracotta
ride al centro delle aiuole del giardino,
certo presagendo un brutto seguito
agli istanti sereni

che hanno condotto me e te
- pellegrini malinconici -
fino a quest'ora che in fuga
volteggia al suono dei tamburelli.

Mandolino


I donatori di serenate
e le belle ascoltatrici
si scambiano frasi insulse
sotto fronde canore.

È Tirsi ed è Aminta,
ed è l'eterno Clitandro,
e Damide che per tante
crudeli compone dolci versi.

Le corte giubbe di seta,
gli abiti lunghi a strascico,
la loro eleganza, la gioia,
le loro morbide azzurre ombre

volteggiano nell'estasi
di una luna rosa e grigia
e il mandolino chiacchiera
tra i fremiti di brezza.

A Climene


Mistiche barcarole,
romanze senza parole,
cara, poiché i tuoi occhi
color del cielo,

poiché la tua voce, strana
visione che sconvolge
e turba l'orizzonte
della mia ragione,

poiché l'aroma insigne
del tuo pallore di cigno,
poiché il candore
del tuo odore,

ah! poiché tutto il tuo essere,
musica penetrante,
nimbi d'angeli morti,
toni e profumi,

ha, con alme cadenze,
in sue corrispondenze
indotto il mio cuore sottile,
così sia!

Lettera


Lontano dai vostri occhi, Signora, per motivi
imperiosi (tutti gli dèi chiamo a testimoni)
languisco e muoio, come è mio costume
in casi simili, e con il cuore pieno di amarezza
vago tra affanni in cui l'ombra vostra mi segue,
di giorno nei pensieri e di notte nei sogni,
e di notte e di giorno, adorabile Signora!
Sicché infine il mio corpo cedendo spazio all'anima,
anch'io a mia volta diventerò un fantasma
e allora, nel lamentevole spasmo
degli abbracci vani, dei desideri innumerevoli,
la mia ombra per sempre si fonderà nella vostra.

Nell'attesa, mia diletta, sono il tuo servitore.

Da te tutto procede secondo i gusti tuoi...
il pappagallo, il gatto, il cane? È sempre bella
la compagnia? E quella Silvana di cui avrei amato
l'occhio nero se il tuo non fosse azzurro,
e che talvolta mi fece dei cenni, perbacco!,
è ancora la tua dolce confidente?

Ora, Signora, un progetto impaziente m'ossessiona:
conquistare il mondo e tutti i suoi tesori
per porli ai vostri piedi come pegno - indegno -
d'un amore pari a tutte le più celebri fiamme
che abbian rischiarato le tenebre dei grandi cuori.
Cleopatra, in fede mia, fu amata meno
da Marcantonio e da Cesare che voi da me,
siatene certa, Signora, e io saprò combattere
come Cesare per un sorriso, o Cleopatra,
e come Antonio fuggire al solo pensiero di un bacio.

E con questo, carissima, addio. Perché, vedi, parlo troppo
e il tempo che si perde a leggere una missiva
non varrà mai la pena di averla scritta.

Gli indolenti


- Beh! malgrado i destini gelosi,
moriamo insieme, volete?
- La proposta è insolita.

- È bene ciò che è raro. Dunque moriamo
come nei Decameroni.
- Hi! hi! hi! che amante bizzarro!

- Bizzarro, non so. Amante
irreprensibile, di certo.
Allora, moriamo insieme?

- Signore, voi scherzate ancora meglio
di come amate, e con parole d'oro;
ma stiamocene zitti, ve ne prego! -

E così quella sera Tirsi
e Dorimene, seduti accanto
non lontano da due ilari silvani,

ebbero il torto inespiabile
di rinviare una squisita morte.
Hi! hi! hi! che amanti bizzarri.

Colombina


Leandro lo sciocco,
Pierrot che con un salto
di pulce
scavalca la siepe,
Cassandro sotto
il cappuccio,

e poi Arlecchino,
quel birbante così
fantasioso
dai folli costumi,
con gli occhi lucidi
sotto la maschera,

- do, mi, sol, mi, fa, -
e tutti vanno,
ridono, cantano
e danzano davanti
a una bella bambina
cattiva

i cui occhi perversi
come gli occhi verdi
delle gatte
difendono le sue bellezze
e dicono: "Giù
le zampe!".


- Continuano ad andare!
Fatidico corso
degli astri,
oh, dimmi verso quali
cupi o crudeli
disastri

la bambina implacabile,
che svelta solleva
le gonne,
la rosa sul cappello,
conduce il suo gregge
di gonzi?

L'amore per terra


Il vento dell'altra notte ha abbattuto l'Amore
che nell'angolo più misterioso del parco
sorrideva tendendo malignamente l'arco,
e il cui aspetto ci fece sognare un giorno intero!

Il vento dell'altra notte l'ha abbattuto! Il marmo
al soffio del mattino rotola sparso. È triste
vedere il piedistallo con il nome dell'artista
che si legge appena nell'ombra di un albero,

oh! è triste vedere il piedistallo in piedi
tutto solo! E pensieri malinconici vanno
e vengono nel mio sogno dove il dolore profondo
evoca un avvenire solitario e fatale.

Oh, è triste! - Anche tu, non è vero?, sei commossa
da un quadro così dolente, benché il tuo occhio frivolo
s'incanti alla farfalla di porpora e d'oro che vola
sopra i frammenti sparsi nel viale.

In sordina


Calmi nella penombra
che gli alti rami spargono
penetriamo il nostro amore
di questo silenzio profondo.

Uniamo le nostre anime, i cuori
ed i sensi in estasi,
in mezzo ai vaghi languori
dei pini e dei corbezzoli.

Socchiudi gli occhi,
incrocia le braccia sul seno,
e dal tuo cuore assopito
scaccia per sempre ogni progetto.

Lasciamoci persuadere
al dolce soffio che culla
e che ai tuoi piedi viene ad increspare
le onde di erba rossa.

E quando, solenne, la sera
cadrà dalle nere querce,
voce della nostra disperazione
l'usignolo canterà.

Colloquio sentimentale


Nel vecchio parco gelido e deserto
sono appena passate due forme.

Hanno occhi morti, e labbra molli,
e le loro parole si odono a stento.

Nel vecchio parco gelido e deserto
due spettri hanno evocato il passato.

- Ricordi la nostra estasi d'allora?
- E perché vuoi che la ricordi?

- Batte ancora il tuo cuore solo a udire il mio nome?
Ancora vedi in sogno la mia anima? - No.

- Ah, i bei giorni d'indicibile felicità
quando univamo le nostre bocche! - Può darsi.

- Com'era azzurro il cielo, e grande la speranza!
- Vinta, fuggì la speranza, nel cielo nero.

Andavano così tra l'avena selvatica,
e le loro parole le udì solo la notte.