QUINTO ORAZIO FLACCO

EPODI

TRADUZIONE DI MARIO RAMOUS


1, a Mecenate


Su un battello, amico mio, te ne andrai
fra le alte torri delle navi,
preparato ad affrontare per Cesare
qualsiasi rischio, Mecenate:
ed io? per me la vita, se ti salvi,
è gioia, se no solo un peso.
Vivrò come vuoi tu in questa pace,
che solo al tuo fianco m'è dolce,
o sosterrò il tuo travaglio con l'animo
che s'addice a uomini forti?
Sí, lo sosterrò, e tra i valichi alpini
e il Caucaso inospitale
ti seguirò o sino all'ultimo golfo
d'occidente con cuore ardito.
Ti domandi che aiuto possa darti,
gracile e incapace che sono:
al tuo fianco sentirò meno l'ansia,
che piú m'assale se tu manchi:
cosí l'uccello, quando lascia i piccoli
che alleva, teme con piú angoscia
l'insidia dei serpenti, anche se poi
dentro il nido non sa difenderli.
Volentieri servirò in questa e in ogni
guerra, sperando di piacerti,
non perché piú numerosi si pieghino
i giovenchi sotto il mio giogo,
o perché il mio gregge prima del caldo
migri dalla Puglia in Lucania,
o una villa bianca nell'alta Túscolo
s'appoggi alle mura di Circe.
Per tua bontà sono ricco abbastanza:
non cerco soldi da inumare
come l'avaro Cremete o da spendere
come un nipote scioperato.


2, Alfio l'usuraio

'Beato chi, lontano dagli affari,
come gli uomini delle origini,
lavora coi buoi i campi paterni,
libero da speculazioni;
e non lo svegliano trombe di guerra,
non trema alla furia del mare,
evita il foro e i portoni arroganti
dei cittadini piú potenti.
Cosí agli alti pioppi sposa i tralci
ormai cresciuti della vite,
contempla in una valle solitaria
le mandrie sparse che muggiscono,
recide col ronchetto i rami inutili
e innesta quelli piú fecondi,
versa il miele fuso in anfore terse
o tosa le sue pecorelle;
e quando l'autunno sovrasta i campi
splendente di frutti maturi,
gode a cogliere le pere d'innesto
e l'uva che emula la porpora,
per donarle a te, Priapo, a te, padre
Silvano, che vegli i confini.
È bello allora sotto un leccio antico
stendersi sull'erba compatta,
mentre fra gli argini scorre un torrente,
stridono nel bosco gli uccelli,
zampillano e bisbigliano le fonti,
invitando a un placido sonno.
Ma quando è inverno e fra i tuoni del cielo
Giove rovescia pioggia e neve,
con la muta dei cani in lungo e in largo
caccia i cinghiali nelle trappole,
tende su canne lisce reti fitte
per insidiare i ghiotti tordi
o, dolce preda, prende al laccio lepri
atterrite e gru pellegrine.
Chi fra tutto ciò non scorda le pene
che l'amore porta con sé?
Se poi una sposa onesta aiuta in casa
e alleva con dolcezza i figli,
come una sabina o la moglie arsa
dal sole d'un pugliese svelto,
e in attesa del tuo ritorno mette
legna sul focolare sacro,
chiude nei recinti il florido gregge,
munge le turgide mammelle
e, spillato dal tino il vino nuovo,
prepara un pranzo genuino,
in cambio certo non vorrei le ostriche
del Lucrino o i rombi e gli scari,
che per caso fra i tuoni una burrasca
ci portasse qui dall'oriente.
E piú di una gallina faraona
o del buon francolino ionico,
vorrei gustare a tavola le olive
piú succose colte dagli alberi,
o il lapazio di campo, l'erba malva
(un toccasana per lo stomaco),
l'agnella uccisa per le feste sacre,
il capretto strappato al lupo.
E a pranzo è dolce guardare le pecore
che sazie s'affrettano a casa,
guardare i buoi stanchi tirare a capo
chino il vomere sollevato,
e intorno ai Lari lucidi gli schiavi,
sciame che arricchisce la casa.'

Cosí parlava Alfio l'usuraio,
già pronto a farsi contadino,
e alle idi ritirò i suoi denari,
per darli a frutto alle calende.


3, l'aglio di Mecenate

Se con mano empia squarci la gola
al vecchio genitore,
l'aglio dovrai mangiare,
che micidiale è piú della cicuta.
Ventre di ferro, i mietitori!
Che veleno è? mi strazia le viscere.
Forse sangue di vipera
è cotto in segreto con queste erbe?
o queste vivande letali
le ha manipolate Canidia?
Quando Medea s'invaghí di Giasone,
il duce che fra tutti gli argonauti
brillava di maggior bellezza,
lo unse, prima che legasse i tori
al giogo che ignoravano,
con questo intruglio,
e, in questo imbevuti i suoi doni,
si vendicò della rivale,
fuggendo poi sul drago alato.
Né mai dagli astri calò tanta arsura
sull'assetata Puglia,
né sulle spalle
del travagliato Ercole
avvampò piú infocato il dono.

Ma se ti tornasse una voglia simile,
beffardo Mecenate,
mi auguro che la tua bella
fermi con la mano i tuoi baci
e si rannicchi
sulla sponda estrema del letto.


4, contro l'arroganza di un ex schiavo

Quanta è per istinto guerra fra lupi e agnelli,
questa io la porto a te,
che hai le spalle bruciate dalla sferza iberica
e le gambe dai ferri.
Passeggia pure tronfio della tua ricchezza:
non ti cambia origine la fortuna.
Non vedi? quando tu misuri la Via Sacra
con una toga di sei braccia,
lo sdegno di chi veramente è libero
fa storcere il viso ai passanti.

'Frustato a sangue per ordine dei triumviri
fino a stancare il banditore,
ora a Falerno ara mille iugeri,
batte l'Appia coi suoi destrieri
e cavaliere altero siede in prima fila
in barba alla legge di Otone.
Che serve armare di rostri la prua
d'una flotta da guerra
contro i pirati e quell'esercito di schiavi,
se lui, proprio lui la comanda?'


5, le malie di Canidia

'Per tutti gli dei che in cielo governano
il genere umano e la terra,
cos'è questo fermento? perché tutte
mi guardate con occhi truci?
Per i tuoi figli, se a presenziare un tuo parto
hai mai invocato Lucina,
per questo vano ornamento di porpora,
per Giove che questo condanna,
dimmi, perché mi guardi come una matrigna
o una belva ferita?'

Cosí con voce tremante pianse il fanciullo,
quando impietrito fu spogliato,
un corpo immaturo che avrebbe intenerito
l'empio cuore dei traci.
Canidia allora, che fra i capelli arruffati
ha nodi guizzanti di vipere,
ordina che su fiamme della Còlchide
siano arsi cipressi funebri,
caprifichi divelti dai sepolcri,
uova di rospo viscido
sporche di sangue, penne di civetta,
erbe che vengono da Iolco
o dall'Iberia, patria di veleni, e ossa
strappate ai denti di una cagna.
Sàgana intanto, discinta e con i capelli
irti come riccio di mare
o cinghiale in fuga, sparge in tutta la casa
acqua del lago Averno.
Veia, che non è distolta da alcun rimorso,
scava a colpi di zappa
la terra, gemendo per la fatica:
qui seppelliranno il fanciullo
con solo il capo che affiora, come chi nuota
fuori dell'acqua ha solo il mento,
perché davanti ai cibi sempre nuovi e freschi
abbia a morire lentamente:
col midollo estratto e il fegato inaridito
si farà cosí un filtro d'amore,
quando le sue pupille sbarrate sul cibo
vietato si saranno spente.
Era presente anche Folia, la riminese
(cosí si crede a Napoli
fra gli sfaccendati e nelle città vicine),
che ama le donne come un uomo
e per magia con l'incanto della sua voce
strappa dal cielo luna e stelle.
E Canidia, livida di rabbia, rodendosi
coi denti l'artiglio del pollice,
senza ritegno disse:

'Dell'opera mia
fedeli testimoni,
Notte e Luna, regina del silenzio,
al tempo dei sacri misteri,
ora, ora assistetemi e l'ira divina
volgete sulle case ostili.
Mentre le fiere si nascondono negli orridi,
abbandonate a un dolce sonno,
fate che i cani di Suburra latrino
contro quel vecchio traditore e tutti ridano,
profumato cosí com'è di nardo,
che migliore non saprei fare.
Ma perché, perché non hanno effetto i veleni
spietati della barbara Medea?
con questi, in fuga, si vendicò della figlia
del grande Creonte, la superba rivale,
quando il peplo avvelenato, datole in dono,
tra le fiamme rapí la sposa in fiore.
Nessuna radice nascosta in luoghi impervi,
nessuna erba m'è sfuggita,
e il letto, in cui dorme, tutte le mie rivali
dovrebbe per malia fargli scordare.
Per gli incantesimi d'un'altra maga, ahimè,
piú sapiente, se ne va libero.
Ma ora, Varo, dovrai piangere a lungo:
per effetto di un filtro inusitato
correrai da me e a me tornerà il tuo cuore
non piú attratto da cantilene marsiche.
Filtro piú forte ti preparerò, piú forte
te lo mescerò, visto che mi odi,
e il cielo sprofonderà nel mare e su questo
si stenderà la terra,
se tu per me non arderai d'amore
come la fiamma nera del bitume'.

A queste minacce il fanciullo piú non tenta
d'intenerire quelle scellerate,
ma dopo lo smarrimento rompe il silenzio e
lancia, come Tieste, la sua maledizione:

'I filtri non possono mutare il destino
degli uomini, giusto o ingiusto che sia.
Vi maledirò; e questa maledizione
nessun sacrificio potrà espiarla.
Quando, messo a morte, sarò spirato, innanzi
vi comparirò nella notte come un demone,
larva che con gli artigli vi ghermirà il volto,
perché questo possono i morti,
e pesando sui vostri cuori inquieti,
nel terrore vi ruberò il sonno.
Nei villaggi da ogni parte la folla
vi lapiderà, streghe maledette,
e avvoltoi e lupi sull'Esquilino
dilanieranno le vostre membra insepolte:
questo dovranno vedere i miei genitori,
che, ahimè, mi sopravviveranno'.


6, contro Mevio (?)

Perché, cane vigliacco come sei coi lupi,
molesti i passanti innocenti?
Perché, se hai cuore, a vuoto non minacci me,
che ti risponderei a morsi?
Come un molosso o un fulvo cane di Laconia,
forti alleati dei pastori,
per l'alta neve inseguirò a orecchie ritte
qualunque fiera mi si pari innanzi.
Tu terrorizzi il bosco di latrati,
ma poi annusi il cibo che ti gettano.
Attento, attento: con furia contro i malvagi
ho sempre pronte le mie corna,
come il genero ripudiato da Licambe
o l'aspro nemico di Búpalo.
Credi che se qualcuno tentasse di mordermi,
piangerei inerme come un bambino?


7, il delitto delle guerre civili

Dove, dove vi gettate voi, scellerati?
perché impugnate le spade in disarmo?
Forse non si è sparso sulla terra e sul mare
sangue latino a sufficienza?
e non perché i romani incendiassero in guerra
le rocche altere di Cartagine
o gli indomiti britanni in catene
scendessero per la Via Sacra,
ma perché, come sperano i parti, perisse
questa città di propria mano?
Non è costume questo di lupi o leoni,
feroci solo coi diversi.
Follia cieca vi travolge? forza invincibile
o colpa? Rispondete.
Tacciono, e un pallore scolora il loro volto,
la mente attonita, sgomenta.
Certo: un fato atroce perseguita i romani,
l'infamia di aver ucciso un fratello,
quando, a maledizione dei nipoti, il sangue
di Remo bagnò innocente la terra.


8, a un'amante ammuffita

Mi chiedi cosa snervi le mie forze tu,
ammuffita da troppo lunga vita,
che hai denti neri, tutta la fronte solcata
di rughe per l'età avanzata
e un culo osceno che si spalanca fra natiche
flaccide di vacca digiuna?
E per eccitarmi mostri sul petto tette
pendule come quelle di cavalla,
un ventre floscio e cosce rinsecchite
sopra polpacci tumefatti.
Buon per te, e immagini trionfali seguano
pure il tuo funerale,
né vi sia sposa che a passeggio possa
mostrare perle piú rotonde.
E allora? perché quei libretti stoici amano
dormire fra i tuoi cuscini di seta,
i miei nervi profani sono meno inerti
e il mio cazzo langue di meno?
Per farlo rizzare dall'inguine riottoso,
devi lavorare di bocca.


9, a Mecenate nell'annuncio della vittoria di Azio

Quando, eccitato per la vittoria di Cesare,
berrò nella tua grande casa il cecubo
(cosí voglia Giove), che serbi, Mecenate
felice, per i banchetti festivi,
mentre risuona il nostro canto tra la lira
dorica e il flauto barbaro?
come il giorno in cui l'ammiraglio di Nettuno,
che minacciava a Roma i ceppi tolti
con amicizia a schiavi infidi, fu battuto
per mare e fuggí con le navi in fiamme.

Un romano, ahimè (non lo crederanno i posteri),
vendutosi a una femmina,
soldato qual è, porta armi e pali agli ordini
di decrepiti eunuchi,
e tra le insegne militari il sole brilla
sopra un'oscena zanzariera.
Ma, inneggiando a Cesare, i cavalieri galli
si sono schierati a torme con noi
e le navi del nemico, virando svelte
a sinistra, si nascondono in porto.

Trionfo, trionfo, perché trattieni i carri d'oro
e le giovenche brade?
Trionfo, mai duce esaltasti simile a Cesare,
né il vincitore di Giugurta,
né l'Africano, il cui valore seppellí
Cartagine nelle macerie.
Vinto per terra e mare il nemico ha mutato
la porpora col saio a lutto:
forzando il vento forse si dirige a Creta,
che splende di cento città,
forse verso le Sirti sconvolte dall'austro
o ancora va alla ventura per mare.
Porta allora, ragazzo, coppe piú grandi
e vino di Lesbo, di Chio,
o versaci il nostro cecubo, che combatte
la spossatezza della nausea:
il dolce Bacco giova a sciogliere le angosce
e i timori per la sorte di Cesare.


10, contro Mevio

Sciolti gli ormeggi, con funesti auspici salpa
la nave dell'odioso Mevio:
scatenando i marosi, flagellagli i fianchi,
ricorda, ricordalo, Austro.
E il tenebroso Euro nel mare sconvolto
disperda remi infranti e gomene;
sorga Aquilone col nerbo che in cima ai monti
scuote e sradica i lecci;
e nella notte fosca in cui cupo declina Orione
non gli appaia una stella amica.
Né vada per acque piú tranquille del mare
ch'ebbero i greci vittoriosi,
quando Pallade l'ira sua da Troia in fiamme
volse contro l'empia nave d'Aiace.
Oh, quanto sudore attende i tuoi marinai
e come giallo sarà il tuo pallore,
quanti i piagnistei indegni d'uomo, quante le preghiere
che Giove non udrà,
quando, muggendo all'umido vento del sud,
l'Ionio ti frantumerà la chiglia!
Se grassa preda, lunga distesa sul lido,
sarà data in pasto agli smerghi,
alle Tempeste immolerò un'agnella
e un caprone lascivo.


11, a Pettio

Non amo piú, Pettio, come un tempo scrivere
versi, perché d'amore profondo sono ferito,
un amore, che piú d'ognuno, di tutti
mi fa ardere per teneri ragazzi o fanciulle.

Questo dicembre, che spoglia la foresta,
è il terzo da che cessò la mia pazzia per Inachia.
Ero, ahimè, la favola della città:
un mare di vergogna! e di quei conviti mi pento,
in cui se ti apparti in silenzio, traendo
dal profondo sospiri, tradisci la tua passione.
'Ma contro l'avidità non vale niente
il buon cuore di un povero?' ti dicevo sfogandomi,
quando infervorato dal fuoco del vino
mi strappava ogni segreto quel demonio di un dio.
'Ah, se dentro mi ribollisse la rabbia
di liberarmi, gettando al vento i falsi rimedi
che non valgono a sanarmi la ferita,
l'onore mio non lotterebbe piú ad armi impari.'
Davanti a te questo affermavo con forza,
ma, invitato ad andarmene, con piede titubante
tornavo, ahimè, a quella soglia nemica,
a quella porta sbarrata, a spezzarmi reni e fianchi.

Ora mi lega l'amore per Licisco,
che si vanta piú languido di qualsiasi donnina:
da lui non possono sciogliermi i consigli
spassionati degli amici, né le sue dure ingiurie,
ma l'altra fiamma d'una bianca fanciulla
o di un ragazzino liscio con i capelli al vento.


12, a un'amante insaziabile

Che vuoi, che vuoi, donna, vogliosa di neri elefanti?
perché mi mandi doni e letterine?
sono un giovane male in arnese, ma ho naso fine:
piú di un segugio il covo del cinghiale,
fiuto con raro istinto se fra i peli delle ascelle
ronfa un caprone o nelle nari un polipo.

Che sudore, che fetore emana dalle sue membra
flaccide, quando sul pene afflosciato
vuol soddisfare le sue voglie sfrenate e dal viso
le colano goccia a goccia i belletti,
le tinture estratte dallo sterco di coccodrillo,
mentre infoiata manda in pezzi il letto.
E provoca il mio disgusto con queste oscenità:

'Tu non sei cosí fiacco con Inachia;
con lei ne fai tre per notte, con me dopo la prima
sei finito. Vada in malora Lesbia!
cercavo un toro e quella mi presenta un buono a nulla.
E avevo Aminta di Coo, con un membro
piantato imperiosamente sopra un inguine indomito,
piú di un albero giovane sui colli.
Per chi credi preparate queste lane imbevute
di porpora? Ma per te, non capisci,
per te, perché fra i tuoi compagni non ci fosse ospite
che piú di te l'amante preferisse.
Ahimè, mi temi come un'agnella i lupi affamati
o un capretto i leoni, e fuggi, fuggi'.


13, rapiamus occasionem de die

Minacciose all'orizzonte
si addensano le nuvole
e una bufera di neve
ci travolge;
dal nord il vento
urla tra gli alberi e sul mare.
Prendiamoci, amici miei,
ciò che dà la vita
e se reggono le forze con decoro,
sgombriamo la fronte
rannuvolata dall'età.
E tu versati un po' di vino
dell'anno in cui nacqui;
non dire altro:
forse, mutando la sorte,
un dio volgerà tutto al meglio.
Qui non rimane
che profumarci di essenze orientali
e con la musica
allontanare dal cuore
l'inquietudine del domani.
Sono parole di Chirone,
il suo congedo per Achille:
'Ragazzo invincibile,
nato mortale da una dea,
la terra di Assàraco,
solcata dalle acque rapide e gelide
del Simoenta e del torrente Xanto,
ti attende.
Ma con trama infallibile
le Parche t'impediranno il ritorno
e neppure tua madre,
azzurra di mare,
potrà ricondurti in patria.
Laggiú ogni dolore
dovrai consolare col vino,
col canto,
teneri conforti
all'angoscia che ci sfigura'.


14, a Mecenate

Perché una noia snervante m'abbia diffuso dentro,
in fondo al cuore, tanto oblio,
come se a gola riarsa tutto avessi inghiottito
con l'acqua del Lete il suo sonno,
buon Mecenate, a furia di chiedermelo m'uccidi.
Un dio, un dio m'impedisce
di condurre a termine i giambi che avevo iniziato,
le poesie che ti promisi.
Cosí, cosí dicono che per Battillo di Samo
a Teo ardesse Anacreonte,
il poeta che al suono della lira tanto spesso
pianse d'amore in ritmi franti.
Ahimè, anche tu bruci, ma la fiamma che incendiò
Troia in armi non fu piú bella:
godi della tua sorte. A Frine, quella libertina
che mi estenua, io non le basto.


15, a Neèra

Era notte e in un cielo limpido velato di stelle
splendeva la luna,
e tu, già offendendo in cuore il nome degli dei,
giuravi sulle mie parole,
e ti stringevi a me con le braccia morbide piú forte
dell'edera intorno a una quercia:
finché i lupi odieranno gli agnelli e Orione i marinai,
quando d'inverno sconvolge il mare,
o una brezza leggera scompiglierà ad Apollo i lunghi capelli,
mio e tuo sarà questo amore.
Come dovrai dolerti, Neèra, del mio orgoglio:
se in questo corpo sopravvive un uomo,
non sopporterà che tu conceda a un altro le tue notti
e nell'ira cercherà chi lo riami.
Rotto l'incanto non mi piegherò piú alla tua bellezza,
se avrò coscienza del dolore.
E tu, chiunque tu sia piú felice di me che superbo
ora cammini sulla mia sventura,
puoi essere ricco quanto vuoi di terre e armenti,
avere oro che scorra come un fiume,
conoscere la dottrina arcana di un nuovo Pitagora
o Níreo vincere in bellezza:
anche tu piangerai l'amore passato a un altro
e riderò io allora.


16, oltre i lidi etruschi

Di nuovo il mio tempo si logora in guerre civili
e Roma di suo pugno rovina.
Quella città che non poterono distruggere i marsi,
l'esercito etrusco di Porsenna,
il contrasto con Capua, l'accanimento di Spartaco
e l'irrequietezza degli allòbrogi,
né domare la gelida gioventú di Germania
o Annibale, esecrato dai nostri padri,
l'annienteremo noi, genia dal sangue maledetto, e
sul nostro suolo torneranno le fiere.
Sulle ceneri s'ergerà un barbaro, nel frastuono
al galoppo calpesterà Roma,
e, orrore, disperderà sprezzante le ossa di Romolo,
ora difese da sole e vento.

Tutti, o i migliori fra voi, chiedono com'è possibile
affrancarsi da queste sventure:
unica soluzione è andarsene, come i focesi,
che fra le maledizioni abbandonarono
terra e case, lasciando che lupi ingordi e cinghiali
nei templi facessero la loro tana;
andarsene alla ventura o per mare dove porta
la furia di scirocco e libeccio.

Approvate? o v'è miglior consiglio? perché indugiamo
a imbarcarci, visti i buoni auspici?
Ma prima questo giuriamo: 'Sia lecito tornare
solo quando dal fondo verranno a galla i sassi,
e si osi spiegare le vele per la patria, quando
il Po lambirà le cime del Matino
e dall'alto l'Appennino strapiomberà nel mare,
o per strane voglie un portento d'amore
scambierà le parti, e la tigre si piegherà al cervo,
la colomba affascinerà il nibbio,
gli armenti arditi non temeranno i fulvi leoni
e un caprone liscio s'innamorerà del mare'.
Giurate questo e tutto ciò che può impedire il dolce
ritorno; partiamo cittadini,
tutti o il meglio del gregge incallito; illusi gli imbelli
rimangano in queste tane maledette.

Ma voi, voi coraggiosi, bandite i pianti da femmina
e volate oltre i lidi etruschi.
L'Oceano, che tutto abbraccia, ci attende; e in cerca andremo
di isole felici e di campi, campi beati,
dove il suolo dà i suoi frutti senza essere arato
e senza potarla fiorisce la vite,
dove il ramo d'olivo germoglia senza tradirti,
ornano fichi maturi gli alberi,
dai lecci cavi stilla il miele, e dall'alto dei monti
sgorga con fragore un'acqua lieve.
Laggiú le caprette da sé tornano a farsi mungere
e il gregge docile riporta gonfie le poppe;
non si ode a sera grugnire l'orso intorno all'ovile,
né si riempie la terra di vipere.
E in piú ci stupiremo felici di come l'euro,
gonfio di pioggia, non spazzi d'acquazzoni i campi
e il suolo riarso non secchi i semi che germogliano,
perché il re dei cieli tempera entrambi gli eccessi.
Laggiú mai non giunse nave d'Argo a forza di remi,
né impudica vi pose piede Medea;
là non volsero le antenne i nocchieri di Sidone,
né esausta la schiera di Ulisse.
Nessun contagio nuoce al bestiame, e il fuoco impietoso
degli astri non arroventa il gregge.
Quando l'età dell'oro si venò di bronzo, Giove
quelle rive riservò alla gente giusta.
Poi dal bronzo il tempo s'indurí nel ferro e da questo,
con me profeta, fuggono i giusti in pace.


17, palinodia per Canidia

Sí, sí, m'arrendo alla potenza delle tue arti,
e in ginocchio ti prego per il regno di Proserpina,
per la divinità inviolabile di Diana,
per i libri di magia che possono dal cielo
staccare e far scendere fra noi le stelle,
ti prego, Canidia, ferma gli incantesimi
e inverti, presto, inverti il corso della ruota.
Tèlefo mosse a pietà il nipote di Nèreo,
che con superbia gli aveva schierato contro
le forze della Misia e scoccato frecce acuminate.
E le madri troiane unsero il sanguinario Ettore,
ch'era destinato in pasto a cani e rapaci,
dopo che, uscito dalle mura, il re si prostrò
ai piedi di Achille, ahimè, cosí inflessibile.
La stessa ciurma travagliata di Ulisse,
al cenno di Circe, svestí le membra setolose
di quell'aspra pelle, e con la voce e l'intelletto
riaffiorò la dignità familiare dei volti.
Piú che a sufficienza ho pagato il mio debito
a te, che sei cara a trafficanti e marinai.
Fugge la giovinezza e l'aria di salute
s'è persa in un mucchio d'ossa avvolte di pelle livida.
Mi hanno incanutito tutti i tuoi profumi,
e non ho piú riposo a questi miei tormenti.
La notte scaccia il giorno, il giorno la notte
e non mi è dato di calmare il cuore gonfio d'affanni.
Dunque ho perso e per sventura devo credere ciò
che negavo: le magie dei sabelli turbano il cuore
e le nenie dei marsi squarciano il capo.
Che vuoi di piú? Mare, terra, io brucio
piú di Ercole cosparso del nero sangue
di Nesso, piú della fiamma che in Sicilia avvampa
nell'Etna infuocata: e tu, finché non sarò
ridotto in cenere e disperso da venti maligni,
rimani bollente fucina di veleni còlchici.
C'è un termine o mi manca ancora un tributo?
Dimmelo: sconterò con lealtà la pena imposta.
Sono pronto ad espiare, sia che tu mi chieda
cento giovenchi o una celebrazione in versi
che sai menzogneri: 'Tu, casta, tu, pura,
vagherai fra gli astri, come una stella d'oro'.
Il grande Castore e suo fratello, offesi
per l'oltraggio ad Elena, si piegarono alle suppliche
e resero al poeta gli occhi, che gli avevano tolti.
E tu, che lo puoi, liberami dalla follia,
tu, che non hai macchia di colpe paterne
e che non sei una fattucchiera, capace di disperdere
le ceneri abbandonate nel sepolcro dei poveri.
Tu hai cuore generoso e mani senza peccato,
Pattumeio è frutto del tuo ventre e rossi
del tuo sangue l'ostetrica lava i lenzuoli,
ogni volta che dopo un parto ti levi risanata.

'In orecchie serrate versi le tue suppliche:
non sono piú sordi al marinaio indifeso gli scogli,
che in alto mare Nettuno d'inverno martella.
Senza pena hai irriso e svelato i misteri
di Cotitto, i riti del libero amore,
e come censore delle stregonerie esquiline
hai riempito impunemente del mio nome la città.
Perché mai avrei arricchito le streghe di Peligno
e fatto filtrare veleni piú forti e rapidi?
Ma la tua morte sarà lenta, piú di quanto ti auguri:
per questo trascinerai, infelice, una vita ingrata,
per destinarti sempre a nuovi tormenti.
Invoca un po' di pace Tantalo, il padre dell'infido
Pèlope, per la continua voglia di cibo,
l'invoca Prometeo alla mercé dell'avvoltoio,
e invoca Sísifo di posare in cima al monte
il suo macigno; ma lo vieta la legge di Giove.
E tu vorrai ora gettarti dall'alto di una torre,
ora squarciarti il petto con una spada norica,
e invano infilerai la gola in un capestro,
afflitto dall'insofferenza e dall'angoscia.
Allora sulle tue spalle odiose io monterò a cavallo
e la terra si piegherà al mio orgoglio.
Io, che posso animare immagini di cera,
come tu curioso hai visto, e giú dal cielo
strappare con i miei incantesimi la luna,
io, che posso dalle ceneri risuscitare i morti
e stemperare i filtri della passione, credi
che piangerò, se le mie arti su te non hanno effetto?'