Carlo Michelstaedter

 

Poesie

 

Se camminando vado solitario

per campagne deserte e abbandonate

se parlo con gli amici, di risate

ebbri, e di vita,

 

se studio, o sogno, se lavoro o rido

o se uno slancio d'arte mi trasporta

se miro la natura ora risorta

a vita nuova,

 

Te sola, del mio cor dominatrice

te sola penso, a te freme ogni fibra

a te il pensiero unicamente vibra

a te adorata.

 

A te mi spinge con crescente furia

una forza che pria non m'era nota,

senza di te la vita mi par vuota

triste ed oscura.

 

Ogni energia latente in me si sveglia

all'appello possente dell'amore,

vorrei che tu vedessi entro al mio cuore

la fiamma ardente.

 

Vorrei levarmi verso l'infinito

etere e a lui gridar la mia passione,

vorrei comunicar la ribellione

all'universo.

 

Vorrei che la natura palpitasse

del palpito che l'animo mi scuote...

vorrei che nelle tue pupille immote

splendesse amore. -

 

Ma dimmi, perchŽ sfuggi tu il mio sguardo

fanciulla? O tu non lo comprendi ancora

il fuoco che possente mi divora?...

e tu l'accendi...

 

Non trovo pace che se a te vicino:

io ti vorrei seguir per ogni dove

e bever l'aria che da te si muove

nŽ mai lasciarti. -

 

31 marzo 1905

 

 

* * *

 

PoichŽ il dolore l'animo m'infranse

per me non ebbe pi la vita un fiore...

e pure inconscio iva cercando amore

l'animo offeso.

 

Ahi ti vidi e a te il pensier rivolsi

a te che pura sei siccome un giglio...

... Le lacrime mi sgorgano dal ciglio

invirilmente.

 

Oh mia fanciulla, oh tu non hai compreso

di quanto amore io t'ami. Ed un dolore

nuovo, pi intenso mi attanaglia il cuore

che tu feristi.

 

Se m'ami Elsa a che mi fai soffrire?

Tu della vita mia unico raggio

tu che sola m'infondi quel coraggio

che mi fa vivo!

 

Lo sguardo mio non t'ha saputo dire

non t'han saputo dir le mie parole

quello che dice all'universo il sole,

amore! amore!?

 

3 aprile 1905

 

 

 


Alba. Il canto del gallo

 

 

 

Salve, o vita! dal cielo illuminato

dai primi raggi del sorgente sole

all'azzurra campagna!

 

Salve, o vita! potenza misteriosa

fiume selvaggio, poderoso eterno

ragione e forza a tutto l'universo

salve o superba!

 

Te nel silenzio gravido di suoni

te nel piano profondo o palpitante

cui nuovi germi agitano il seno

te nel canto lontano degli uccelli

nel frusciar delle nascenti piante;

te nell'astro che sorge trionfante

ed in fra muti sconsolati avelli

sento vibrare

 

E ribollir ti sento nel mio sangue

mentre il sole m'illumina la faccia

e dalle labbra mi prorompe il grido:

 

viva la vita!

 

1¡ giugno 1905

 

 

 


La notte

 

 

 

Tace la notte intorno a me solenne

le ore vanno e sfilan le memorie

siccome un nero e funebre convoglio.

 

Del cielo nelle oscuritˆ remote

nell'ombra amica che con man soave

le grevi forme della chiesa lambe,

nell'ombra amica che gl'uomini culla

col lento canto della pace eterna

vedo di forme strane scatenarsi

una ridda veloce e affascinante

vedo la mente umana abbacinata

chinar la fronte...

 

Ma il mio pensiero innalzasi sdegnoso

e squarcia il manto della notte bruna

libero, e vola, -

vola alla luce pura trionfante

vola al sole del vero, dove i forti

stan combattendo l'immortale agone

cinti le terapie d'agili corone,

vola esultante.

 

 


 

La scuola finita!

 

é giunta l'ora del distacco, giunta;

io vi lascio sedili riscaldati

aule sapienti portici affollati

ora e per sempre!

 

Ansie e battaglie e faticose veglie

liete sconfitte e facili vittorie

e voi quaderni carchi di memorie

io v'abbandono.

 

Libero sono dalla tirannia

d'ogni minuto; sono rotti i ceppi

che per lunghi anni rallentar non seppi.

Libero sono!

 

Libero, e innanzi a me s'apre la vita

con gli orizzonti vasti ed intentati

e coi premi lontani ed agognati

nei sogni antichi.

 

Freme nel petto l'animo convulso:

sete di gloria e sete di sapere

desiderio d'azione e di piacere

in me ribolle.

 

In un amplesso solo poderoso

vorrei legare a me tutta la terra

vincere il fato e la fortuna ch'erra

cieca nel mondo.

 

* * *

 

Ma un brivido mi corre per le membra,

la vita fredda e piena di sgomento,

triste isolato debole mi sento

vo' ritornare.

 

Vo' ritornare ai banchi della scuola

alla diuturna noia, alle catene

a quel fetore che facea s“ bene,

ai professori.

 

Amici, or vedo quanto abbiam perduto;

della nostra esistenza, calda un'onda

nel buio del passato si sprofonda

inesorato.

 

Con quel legame che ci die' comuni

ore di gioia ed ore di sconforto

anche un periodo della vita morto

in quest'istante.

 

Ma non dobbiam per˜ chinar la fronte.

Col ferro in pugno verso l'ideale

ci batterem con animo leale!

In alto i cuori!

 

E se fra le battaglie della vita

saremo vinti forse, da lontano

ci volgeremo a stringerci la mano

... addio compagni!

 

Gorizia, 25 giugno 1905

 

 

 


Sibila il legno nel camino antico

e par che tristi rimembranze chiami

mentre filtra sottil pei suoi forami

vena di fumo.

 

O caminetto antico quanto triste

che nella nera bocca tua rimanga

la legna che non arde e par che pianga

di desiderio,

 

ma dal profondo della sua poltrona

socchiusi gli occhi, il biondo capo chino

stese le mani al fuoco del camino

Nadia ride.

 

 


 

I

 

Cade la pioggia triste senza posa

a stilla a stilla

e si dissolve. Trema

la luce d'ogni cosa. Ed ogni cosa

sembra che debba

nell'ombra densa dileguare e quasi

nebbia bianchiccia perdersi e morire

mentre filtri voluttuosamente

oltre i diafani fili di pioggia

come lame d'acciaio vibranti.

 

Cos“ l'anima mia si discolora

e si dissolve indefinitamente

che fra le tenui spire l'universo

volle abbracciare.

 

Ahi! che svanita come nebbia bianca

nell'ombra folta della notte eterna

la natura e l'anima smarrita

palpita e soffre orribilmente sola

sola e cerca l'oblio.

 

 

II

 

ÇGuardi dove cammina! o 'che 'gli cieco?È.

M'erutta in faccia con fetor di vino

un popolano dondolando l'anca.

In vasta curva costeggiando il fiume

tremola ancor la luce dei fanali

e l'Arno scorre sonnacchioso e grigio,

l'acque melmose.

Spicca dei colli ancor la massa oscura

e San Miniato avvolto nella nebbia

ombra nell'ombra, -

fiaccola rossa dai camini neri

batte nell'aria, e l'alito affannoso

ferve di vita.

E risponde dall'anima mia triste

un'ansiosa brama di vittoria

ed un bisogno amaro di carezze:

forza incosciente - fiaccola fumosa.

 

III

 

O vita, o vita ancor mi tieni, indarno

l'anima si divincola, ed indarno

cerca di penetrar il tuo mistero

cerca abbracciare in un amplesso immenso

ogni tuo aspetto. -

Amore e morte, l'universo e '1 nulla

necessitˆ crudele della vita

tu mi rifiuti.

Febbraio 1907

 

 

 


I

 

A che mi guardi fanciulla con gli occhi pieni di luce,

con gli occhi azzurri profondi ed al volto ti sale una fiamma?

Non ha sole la mia giovinezza, non conta gli anni il mio core

l'anima mia dolorosa non sa le primavere.

Fanciulla perchŽ ti soffermi? perchŽ t'avvicini al mio core?

perchŽ o fanciulla l'avvolgi nel fuoco tuo giovanile?

Fanciulla freddo il mio core, freddo il mio core e lontano,

non sente l'alito ardente della tua giovane vita.

 

II

 

Quando pei blandi tramonti, per gli ampi meriggi infocati

sui pallidi volti sussurra amor violente lusinghe,

e quando maggio riarde il petto all'uomo che vive

il core mio tace o fanciulla. -

E quando pel fosco piano cui plumbeo il cielo incombe

divampa la fiamma ribelle sospinta dal vento dell'odio

dell'odio doloroso delle moltitudini vinte

ed arde ogni giovane core e piange nell'aria fumosa

lo spasimo disperato, e suona l'urlo pi alto

quando frementi si tendono gli archi di tutte le vite

esso tace o fanciulla.

E quando la mamma mi trae dalle aride ciglia una stilla

e quando la morte mi tocca, mi stringe il core convulso

e caldo m'ottenebra gli occhi il sangue di quanti ho amato

esso tace ancora o fanciulla.

E quando m'irride la folla e quando m'innalza la lode

e quando sfacciata mi sento la forza dei giovani anni

il cor mio tace o fanciulla un superbo infinito silenzio.

 

Pasqua 1907

 

 

 


Senti Iolanda come triste il sole

e come stride l'alito del vento -

passa radendo i vertici fioriti

un nembo irresistibile.

 

Senti, sinistro il grido degli uccelli

vedi che oscura l'aria

ed fuliggine

nel raggio d'ogni luce e dal profondo

sembra levarsi tutto quanto triste

e doloroso nel passato e tutte

le forze brute in fremito ribelle

contaminarsi irreparabilmente.

 

Scompose il nembo irreparabilmente

il tuo sorriso,

Iolanda, e mi percorse

con ignoto terrore il core altero. -

Che questo che s'attarda insidioso

nel nostro sguardo allor che senza fine

immoto intenso dalle nere ciglia

arde di vicendevole calore?

PerchŽ di fosca fiamma la pupilla

s'accende nel languore disperato?

PerchŽ non ride amore

come rideva amico nelle tenui

sere di maggio?

é pi forte, pi forte

questa torbida fiamma di desio

e mentre tutto intorno a me precipita

mentre crolla nel vortice funesto

ogni affetto, ogni fede, ogni speranza

sbatte le rosse lingue e s'attorciglia

inestinguibile.

 

E pi, e pi, e pi nel cielo tumido

arde l'ansia selvaggia e dolorosa

purchŽ io sugga dai tuoi occhi il fascino

purchŽ io senta le tue mani fremere

purchŽ io colga alla tua bocca fervida

la voluttˆ infinita del tuo bacio

ìolanda, e l'ebbrezza infinita. -

 

Giugno 1907

 

 

 


Che ti valse la forte speranza, che ti valse la fede che non crolla

che ti valse la dura disciplina, l'ansia che t'arse il core

o mortale che chiedi la tua sorte, se dopo il tormento diuturno

se dopo la rinuncia estrema - non muore la brama insaziata

la forza bruta e selvaggia, se ancora nel tedio muto

insiste e vivo ti tiene; - perchŽ tu senta la morte

tua ogni istante nell'ora che lenta scorre e mai finita

perchŽ tu speri disperando e attenda ci˜ che non pu˜ venire

perchŽ il dolore cieco pi forte sia del dolore che vide

la stessa vanitˆ di sŽ stesso? - Tu sei come colui nella notte

vide l'oscuritˆ vana ed attese da dio chiedendo la divina luce

e d'ora in ora il fiero cuor nutrendo

di pi forte volere e la speranza

esaltando pi viva, quando il giorno

con la luce pietosa

alla vita mortale

ogni cosa mortale riadulava

non ei si scosse che con l'occhio fiso

vedeva pur la notte senza stelle. -

Come il tuo corpo che il sole accarezza

gode ed accoglie avido la luce

perchŽ non anche l'animo rivolgi

ai lieti e cari giochi? Vedi intorno

fin dove giunge il guardo, la campagna

ride alla luce amica

 

 

 


Amico - mi circonda il vasto mare

con mille luci - io guardo all'orizzonte

dove il cielo ed il mare

lor vita fondon infinitamente. -

Ma altrove la natura aneddotizza

la terra spiega le sue lunghe dita

ed il sole racconta a forti tratti

le coste cui il mare rode ai piedi

ed i verdi vigneti su coronano.

E gi: alle coste in seno accende il sole

bianchi paesi intorno ai campanili

e gi nel mare bianche vele erranti

alla ventura. -

 

A me d'accanto, sullo stesso scoglio

sta la fanciulla e vibra come un'alga,

siccome un'alga all'onda varia e infida

φιλοβαθεία. -

S'avviva al sole il bronzo dei capelli

ed i suoi occhi di colomba tremuli

guardano il mare e guardano la costa

illuminata. -

Ma sotto il velo dell'aria serena

sente il mistero eterno d'ogni cosa

costretta a divenire senza posa

nell'infinito.

Sente nel sol la voce dolorosa

dell'universo, - e l'abisso l'attira

l'agita con un brivido d'orrore

siccome l'onda suol l'alga marina

che le tenaci aggrappa

radici nell'abisso e ride al sole. -

 

Amico io guardo ancora all'orizzonte

dove il cielo ed il mare

la vita fondon infinitamente.

Guardo e chiedo la vita

la vita della mia forza selvaggia

perch'io plasmi il mio mondo e perchŽ il sole

di me possa narrar l'ombra e le luci -

la vita che mi dia pace sicura

nella pienezza dell'essere.

 

E gli occhi tremuli della colomba

vedranno nella gioia e nella pace

l'abisso della mia forza selvaggia -

e le onde varie della mia esistenza

l'agiteranno or lievi or tempestose

come l'onda del mar l'alga marina

che le tenaci aggrappa

radici nell'abisso e ride al sole. -

Pirano, agosto 1908

 

 

 


Il canto delle crisalidi

Vita, morte,

la vita nella morte;

morte, vita,

la morte nella vita.

 

Noi col filo

col filo della vita

nostra sorte

filammo a questa morte.

 

E pi forte

il sogno della vita -

se la morte

a vivere ci aita

 

ma la vita

la vita non vita

se la morte

la morte nella vita

 

e la morte

morte non finita

se pi forte

per lei vive la vita.

 

Ma se vita

sarˆ la nostra morte

nella vita

viviam solo la morte

 

morte, vita,

la morte nella vita;

vita, morte,

la vita nella morte. -

 

 

 


Dicembre

 

 

 

Scende e sale senza posa

nebbia e pioggia greve e scura,

nella nebbia la natura

si distende accidiosa.

 

Goccia, goccia lieve chiara

va sicura al suo destin

scende e spera, e vanno a gara

altre gocce senza fin.

 

Gi l'attende terra molle

dove all'altre unita va

a formar le pozze putride

per i campi e le cittˆ.

 

Nella pozza riflettete

gocce unite in societˆ

grigio in grigio terra e cielo

per i campi e le cittˆ.

 

Ma la noia il disinganno

fa le gocce sollevar

ed il bene che non sanno

van col vento a ricercar.

 

Dalle pozze dalle valli

sale il velo e in alto va,

non ha forma nŽ colore

l'affannosa umiditˆ.

 

Nella nebbia la natura

si distende accidiosa,

scende e sale senza posa

pioggia e nebbia fastidiosa.

 

Vigilia di Natale 1909

 

 

 


Nostalgia

 

Ma un vento lieto gi dalla montagna

invade la natura senza luce

che per pioggia e per nebbia si dissolve

e delle nubi oscure la continua

trama dirompe, e la diffusa nebbia

leva ed in lembi bianchi la sospinge

giocosamente;

e ride il sole volto ad occidente

ed i monti lontani e le colline

boscose e la pianura

risuscita ugualmente illuminando

nella lor gloria varia

delle ben note forme all'abitante.

Ma splendono pi chiare e pi serene

festevolmente,

poichŽ pi luminosi si rimandan

i generosi a lor raggi del sole.

Riluce il monte e il piano

e il ciel riluce

di verde luce presso all'orizzonte,

e in alto nell'azzurro

l'ultime nubi fuggono ed il sole

con lieto riso

tinge di rosa gli orli alle fuggenti.

 

Ahi! come tutta la natura in breve

si rasserena

nella pacata luce,

e la pena passata e il lungo tedio

dei giorni grigi oblia: chŽ solo a gioco

s'era offuscata: ed or con nuovo gioco

si rinnovella

e rifulge pi pura.

Ma il cor mi punge con tristezza amara

che il d“ ripensa della gioia

e l'alba luminosa e la speranza

folle e sicura, quando

con lieto viso incontro al nuovo sole

levai il primo canto, e la sua luce

era certa promessa alla mia speme

- e le dolci figure del mio sogno

che appena avvicinate dileguaro

tristi, perch'io ver lor fervidamente

mi protendessi

e in me le volessi, me stesso in loro

tutto esaurire.

Voler e non voler per pi volere

mi trattenne sull'orlo della vita

ad angosciarmi in aspettar mia volta

ed ai giucchi d'amore ed alle imprese

giovanili mi fece disdegnoso.

- A qual pro? Ma alla veglia dolorosa

una fiamma splendeva e la nutriva

una speme pi forte.

ChŽ se al lieto commercio e del piacere

al giocondo convito l'imperioso

battere mi togliea del mio volere

impaziente, e mi togliea '1 fatale

precipitar dell'ora, nel futuro

pur m'indicava la mia ferma fede

un giorno ed una gioia senza fine

e l'affrettava.

Ahi, quanto pur m'illuse la mortal

mia vista che di fuor ci finge certo

quanto ci manca sol perchŽ ci manca -

Çvuoto il presente, vuoto nel futuro

senza confini ogni presente, placa

il voler tuo affannoso!

non chieder pi che non possa natura!È.

Ma il cor vive, e vuole, e chiede e aspetta

pur senza speme, aspetta e giorno ed ora

e giorno ed ora nŽ sa che s'aspetta

e inesorabilmente

passano l'ore lente.

Cos“ fuggita e fugge giovinezza

ed i miei sogni e la speranza antica

nel mio cupo aspettar ancor ritrovo

insoddisfatti.

 

Che mi giova o natura luminosa

l'armonia del tuo gioco senza cure?

Ahi, chi il tuo ritmo volle preoccupare

rientrar non pu˜ nei tuoi eterni giri

ad oz•are

nel lavoro giocondo ed oblioso.

é suo destino attender senza speme

nŽ mutamento,

vegliando, il passar de l'ore lente.

 

Dicembre 1909

(antivigilia dell'anno nuovo)

 

 

 


Marzo

 

Marzo ventoso

mese adolescente

marzo luminoso

marzo impenitente.

 

Marzo che fai tuoi giochi

con le nuvole in alto

e con l'ombra e le luci

dˆi mutevol risalto

alla terra stupita

 

alla terra intorpidita,

mentre dal seno le strappi

e le primole e le rose

e fresch'acque rigogliose

lieto fai rigorgogliare.

 

Ed il passero riscuoti

con la tua folle ventata

nella sua grondaia secca

nella siepe denudata.

 

Spazzi i portici e le calli

e la nebbia nelle valli

e la polvere degli avi

e i propositi dei savi

rompi e l'ombra delle chiese.

 

Ed il pavido borghese

che nell'essa porta il gelo

dell'inverno trapassato

e col corpo imbarazzato

geme il reuma ed il torpore,

che nel volto porta il velo

della noia ed il pallore

della diuturna morte,

si rinchiude frettoloso

si rinvoltola accidioso

e rincardina le porte.

 

Se lo scuoti e lo palesi,

marzo giovane pazzia,

la sua trista nostalgia

sogna il sonno di sei mesi.

 

Ei ti teme, dolce frate

marzo, terrore giocoso

ma tu passi vittorioso

sbatti gli usci e le impannate

con le tue folli ventate.

 

E la densa polve sveli

nel tuo raggio popolato

e sul legno affumicato

i vetusti ragnateli.

 

Poich'il termine al riposo

canti, marzo adolescente,

t'odia questa buona gente,

marzo luminoso.

 

Ma se t'odiano addormiti

nelle coltri riscaldate

ed i passeri impauriti

nelle siepi denudate,

t'ama il falco su nell'aria

che pi agile si libra

nella tua ventata varia

e la sente in ogni fibra

lieto nella tua procella,

chŽ per lei si fa pi bella

chŽ per lei si fa pi pura

ai suoi occhi la natura.

 

Marzo mese luminoso

marzo adolescente

marzo mese irriverente

marzo ventoso.

 

1¡ marzo 1910

 

 

 


Aprile

 

 

Che pi d'un giorno la vita mortale?

Nubil'e brev'e freddo e pien di noia,

die p˜ bella parer ma nulla vale.

petrarca, Triumphus Temporis

 

Il brivido invernale e il dubbio cielo

e i nembi oscuri che al novello amore

han fatto schermo della terra antica

dispersi a un tratto, al sol ride la terra

che d'erbe e fiori ancor s' ricoperta

- se pur il ciel di nubi ancora svarii,

onde occhieggian le stelle nelle notti,

e nere fra il lor vario scintillare

traggan le lunghe dita pel sereno

che al piano oscuro ed ai profili neri

degli alberi dei monti si congiungono.

Ma nel cielo e nel piano, ma nell'aria,

ma nello sguardo della tua compagna

e nel pallido viso,

ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca

canta ci˜ che non sai: la primavera.

 

Cos“ mi tragge a me stesso diverso

e amor m'induce e desiderio, ancora

ch'io non sappia per che, pur fiduciosi.

ChŽ pur in me natura si nasconde

insidiosa e ignaro me sospinge.

Ahi, che mi vale, se pur fugge l'ora

e mi toglie da me s“ ch'io non possa

saziar la mia fame ora qui tutta?

Ma solo e miserabile mi struggo

lontano e solo, anco s'a te vicino

parlo ed ascolto, o mia sola compagna.

Mentre di tra le dita delle nubi

a che occhieggian le stelle nel sereno?

Giˆ trapassa la notte e nuove fiamme

leverˆ il sole ch'ei rispenga tosto:

passano i giorni e giˆ sarˆ qui '1 verno

e il sol sorgendo pallido e incurante

farˆ fiorire il fango per le strade.

A che occhieggian le stelle nel sereno?

Qui bulica la terra e qui si muore,

cantano i galli e stridon le civette.

O gioia del novello nascimento,

o nuovo amore e antico!

O vita, chi ti vive e chi ti gode

che per te nasce e vive ed ama e muore?

Ma ogni cosa sospingi senza posa

che la tua fame tiene, e che nel vario

desiderar continua si trasmuta.

Di sŽ ignara e del mondo desiosa

si volge a questo e a quello che nemico

le amica il vicendevole disio,

nemica a quelli pur quando li ami

e ancora a sŽ per pi voler nemica.

Cos“ nel giorno grigio si continua

ogni cosa che nasce moritura,

che in vari aspetti pur la vita tiene -

ed il tempo travolge - e mentre viva

vivendo muor la diuturna morte.

 

Ed ancor io cos“ perennemente

e vivo e mi tramuto e mi dissolvo

e mentre assisto al mio dissolvimento

ad ogni istante soffro la mia morte.

E cos“ attendo la mia primavera

una ed intera ed una gioia e un sole.

Voglio e non posso e spero senza fede.

Ahi, non c' sole a romper questa nebbia,

ma senza fine e senza mutamento

sta in ogni tempo intero ed infinito

l'indifferente tramutar del tutto.

 

Pur tu permani, o morte, e tu m'attendi

o sano o tristo, ferma ed immutata,

morte benevolo porto sicuro.

Che ai vivi morti quando pur sia vano

quanto la vita il pallido tuo aspetto

e se morir non sia che continuar

la nebbia maledetta

e l'affanno agli schiavi della vita -

- purchŽ alla mia pupilla questa luce

che pur guarda la tenebra si spenga

e pi non sappia questo ch'ora soffro

vano tormento senza via nŽ speme,

tu mi sei cara mille volte, o morte,

che il sonno verserai senza risveglio

su quest'occhio che sa di non vedere,

s“ che l'oscuritˆ per me sia spenta.

 

Notte 16-17 aprile 1910

 

 

 


Giugno

 

Tutta la forza dal tuo seno, o terra,

il sole ha tratto che salendo avvampa,

e l'estate trionfa.

Due volte l'erba ti recise avaro

il prudente bifolco, e giˆ le fronde

onde tutta t'ammanti,

per il continuo ardor si fan perdute.

Ed alla notte gli astri all'orizzonte

per i vapor rosseggiano pi grandi

quasi la vita per pi forza gravi

come un'aura di morte.

Ma se i fiori onde prossima l'aurora

del giorno estremo

anelava l'adolescente Aprile

vento estivo ha dispersi,

sotto le fronde si matura il frutto

e il bifolco gioisce.

Ahi, la promessa della primavera

in questo picciol frutto si rinserra

ed il tempo procede per il giro

d'altri inverni e di nuove primavere.

 

Ma alla notte sui vertici ricolmi

passa il nembo e pel cielo s'accavalla

la nera massa delle nubi, e lungi

livida luce rompe la tenbra

e pei piani rivela in nuovo aspetto

messi ondeggianti ed alberi ricurvi

e pei monti corruschi nuove forme

ed in cielo pi mondi e nuova vita

ogni volta diversa, mentre lungi

nuova voce rimbomba e intorno e in alto

si spande e ancor dai monti riecheggia.

E a destra e a manca e presso e da lontano

riappar la nuova luce, e come il cielo

nel diverso bagliore si trasmuta,

cos“ la terra la livida faccia

in nuova congiunzion sembra mutare,

mentre presso e lontano, oscuro o chiaro

romba il nuovo fragore senza posa.

 

Qual nuova speme, anima solitaria,

qual si ridesta

al diffuso baglior speme sopita?

Dal diffuso baglior verrˆ la Luce

mai veduta? e dal rombo vorticoso

la Voce squillerˆ che non udisti?

Ecco la terra ancora si congiunge

coi nuovi mondi in alto,

e la striscia di fuoco ecco dirompe

la tenebra, ed io stesso abbacinato

nel vortice di fuoco sono avvolto.

Sospesa a quella luce la mia vita

un attimo od un tempo senza fine,

che fra il lampo ed il tuono non si vive.

- Ora scoppia la vita e s'apre il frutto

del mio tanto aspettar, ora la gioia

intera e il possesso dell'universo,

ora la libertˆ ch'io non conosco,

ora il Dio si rivela, ora la fine.

Ma scroscia il tuono che m'assorda... io vivo

e famelico aspetto ancor la vita.

Altri lampi, altri tuoni, ed il mistero

in benefica pioggia si dissolve.

 

 

 


Risveglio

 

Giaccio fra l'erbe

sulla schiena del monte, e beve il sole

il mio corpo che il vento m'accarezza

e sfiorano il mio capo i fiori e l'erbe

ch'agita il vento

e lo sciame ronzante degli insetti. -

Delle rondini il volo affaccendato

segna di curve rotte il cielo azzurro

e trae nell'alto vasti cerchi il largo

volo dei falchi...

Vita?! Vita?! qui l'erbe, qui la terra,

qui il vento, qui gl'insetti, qui gli uccelli,

e pur fra questi sente vede gode

sta sotto il vento a farsi vellicare

sta sotto il sole a suggere il calore

sta sotto il cielo sulla buona terra

questo ch'io chiamo ÇioÈ, ma ch'io non sono.

No, non son questo corpo, queste membra

prostrate qui fra l'erbe sulla terra,

pi ch'io non sia gli insetti o l'erbe o i fiori

o i falchi su nell'aria o il vento o il sole.

Io son solo, lontano, io son diverso -

altro sole, altro vento e pi superbo

volo per altri cieli la mia vita...

Ma ora qui che aspetto, e la mia vita

perchŽ non vive, perchŽ non avviene?

Che questa luce, che questo calore,

questo ronzar confuso, questa terra,

questo cielo che incombe? M' straniero

l'aspetto d'ogni cosa, m' nemica

questa natura! basta! voglio uscire

da questa trama d'incubi! la vita!

la mia vita! il mio sole!

 

Ma pel cielo

montan le nubi su dall'orizzonte,

giˆ lambiscono il sole, giˆ alla terra

invidiano la luce ed il calore.

Un brivido percorre la natura

e rigido mi corre per le membra

al soffiare del vento. Ma che faccio

schiacciato sulla terra qui fra l'erbe?

Ora mi levo, che ora ho un fine certo,

ora ho freddo, ora ho fame, ora m'affretto,

ora so la mia vita,

che la stessa ignoranza m' sapere -

la natura inimica ora m' cara

che mi darˆ riparo e nutrimento,

ora vado a ronzar come gl'insetti. -

Sul S. Valentin, giugno 1910

 

 

 


[Alla sorella Paula]

 

 

Come le rondinelle anno per anno

tornano al nido che le vide implumi,

cos“ l'uomo nel giro dei suoi giorni

torna e ritorna al pensier della culla.

Ed ogni anno quel d“ rifesteggiando

che alla fame, alla sete, che al dolore,

che alla vita mortale l'ha svegliato,

ogni anno in quel d“ si riconforta

ad amar la sua vita.

E i parenti - che allor nel neonato,

nella creatura fragile impotente,

della speranza lor videro il frutto,

e con pavido amore a lui porgendo

quanto la vita dona a chi la chiede

del suo pianto si fecer velo agli occhi,

confidando che vesti e nutrimento

gli potessero far viver la vita,

- anno per anno poi rinnovellando

la speranza lontana ed il dolore

si fanno velo ancora agli occhi stanchi,

grazie porgendo a lui dell'esser nato,

perch'ei sia grato a lor della sua vita,

perchŽ il muto dolore sia obliato

e la promessa vana ogni presente.

Ma l'augurio che ci˜ ch'ei mai non ebbe

pur un istante

promette in lunghi anni luminosi

dia la sua luce presa dal futuro

al giorno natalizio, e l'illusione

moltiplicando gli finga la fame

esser un bene e vita sufficiente

la diuturna morte.

E baci e doni e la mensa imbandita,

dolci parole in copia e dolci cose,

liete promesse e guardi fiduciosi

faccian chiara la stanza famigliare

facciano schermo alla notte paurosa...

 

Paula, non ti so dir dolci parole,

cose non so che possan esser care,

poichŽ il muto dolore a me ha parlato

e m'ha narrato quello che ogni cuore

soffre e non sa - che a sŽ non lo confessa.

Ed oltre il vetro della chiara stanza

che le consuete imagini riflette

vedo l'oscuritˆ pur minacciosa

- e sostare non posso nel deserto.

Lasciami andare, Paula, nella notte

a crearmi la luce da me stesso,

lasciami andar oltre il deserto, al mare

perch'io ti porti il dono luminoso

... molto pi che non credi mi sei cara.

 

2 agosto 1910

 

 

 


Onda per onda batte sullo scoglio

- passan le vele bianche all'orizzonte;

monta rimonta, or dolce or tempestosa

l'agitata marea senza riposo.

Ma onda e sole e vento e vele e scogli,

questa la terra, quello l'orizzonte

del mar lontano, il mar senza confini.

Non il libero mare senza sponde,

il mare dove l'onda non arriva,

il mare che da sŽ genera il vento,

manda la luce e in seno la riprende,

il mar che di sua vita mille vite

suscita e cresce in una sola vita.

 

Ahi, non c' mare cui presso o lontano

varia sponda non gravi, e vario vento

non tolga dalla solitaria pace,

mare non che non sia un dei mari.

Anche il mare un deserto senza vita,

arido triste fermo affaticato.

Ed il giro dei giorni e delle lune,

il variar dei venti e delle coste,

il vario giogo s“ lo lega e preme

- il mar che non mare s'anche mare.

Ritrova il vento l'onda affaticata,

e la mia chiglia solca il vecchio solco.

E se fra il vento e il mare la mia mano

regge il timone e dirizza la vela,

non pi la mia mano che la mano

di quel vento e quell'onda che non posa...

ChŽ senza posa come batte l'onda

chŽ senza posa come vola il nembo,

s“ la travaglia l'anima solitaria

a varcar nuove onde, e senza fine

nuovi confini sotto nuove stelle

fingere all'occhio fisso all'orizzonte,

dove per tramontar pur sorga il sole.

Al mio sole, al mio mar per queste strade

della terra o del mar mi volgo invano,

vana la pena e vana la speranza,

tutta la vita arida e deserta,

finchŽ in un punto si raccolga in porto,

di sŽ stessa in un punto faccia fiamma.

 

Pirano, agosto 1910

 

 

 


Ognuno vede quanto l'altro falla

quando crede passar filo per cruna,

pur spera ognuno d'infilar sua cruna,

nŽ perchŽ pi s'avveda dell'inganno

meno ritenta ancora la fortuna.

Che tale la sua sorte:

col suo filo sperar vita tramare

e con la speme giungere alla morte.

 

 


 

Non la patria

il comodo giaciglio

per la cura e la noia e la stanchezza;

ma nel suo petto, ma pel suo periglio

chi ne voglia parlar

deve crearla. -

 

 

 


é il piacere un dio pudico,

fugge da chi l'invoc˜;

ai piaceri egli nemico,

fugge da chi lo cerc˜.

 

Egli ama quei che non lo invoca,

egli ama quei che non lo sa;

e dona la sua luce fioca

a chi per altra luce va. -

 

Chi lo cerca non lo trova,

chi lo trova non lo sa;

il suo nome mette a prova

questa fiacca umanitˆ. -

 

é il piacere l'Iddio pudico

ch'ama quello che non lo sa:

se lo cerchi se' giˆ mendico,

t'ha giˆ vinto l'oscuritˆ. -

 

 

 


Per ora a bordo non lavorare

che inerte pende la vela

e il vento tace sul mare

e il mar a specchio del cielo

Per ora - a bordo non lavorare

 

A sera il sole calerˆ nel mare

che senza nubi il cielo

e gi ai confini del mare

l'orizzonte senza velo

A sera - il sole calerˆ nel mare

 

Oggi sul ponte dolce riposare

che senza moto la nave

riposa il riposo del mare

e non si pu˜ camminare

Oggi sul ponte dolce riposare

 

Sola sul dorso del mare

nel mezzo del cerchio lontano

sta sotto il ciel meridiano

la nave a galleggiare

 

 

 


[I figli del mare]

 

Dalla pace del mare lontano

dalle verdi trasparenze dell'onde

dalle lucenti grotte profonde

dal silenzio senza richiami -

Itti e Senia dal regno del mare

sul suolo triste sotto il sole avaro

Itti e Senia si risvegliaro

dei mortali a vivere la morte.

Fra le grigie lagune palustri

al vario trasmutar senza riposo

al faticare sordo ansioso

per le umide vie ritorte

alle mille voci d'affanno

ai mille fantasmi di gioia

alla sete alla fame allo spavento

all'inconfessato tormento -

alla cura che pensa il domani

che all'ieri aggrappa le mani

che ognor paventa il presente pi forte

al vano terrore della morte

fra i mortali ricurvi alla terra

Itti e Senia i principi del mare

sul suolo triste sotto il sole avaro

Itti e Senia si risvegliaro. -

 

Ebbero padre ed ebbero madre

e fratelli ed amici e parenti

e conobbero i dolci sentimenti

la pietˆ e gli affetti e il pudore

e conobbero le parole

che conviene venerare

Itti e Senia i figli del mare

e credettero d'amare.

E lontani dal loro mare

sotto il pallido sole avaro

per il dovere facile ed amaro

impararono a camminare.

Impararono a camminare

per le vie che la siepe rinserra

e stretti alle bisogna della terra

si curvarono a faticare.

Sulle pallide facce il timore

delle piccole cose umane

e le tante speranze vane

e l'ansia che stringe il core.

 

Ma nel fondo dell'occhio nero

pur viveva il lontano dolore

e parlava la voce del mistero

per l'ignoto lontano amore.

E una sera alla sponda sonante

quando il sole calava nel mare

e gli uomini cercavano riposo

al lor ozio laborioso

Itti e Senia alla sponda del mare

l'anima solitaria al suono dell'onde

per le sue corde pi profonde

intendevano vibrare.

E la vasta voce del mare

al loro cuore soffocato

lontane suscitava ignote voci,

altra patria altra casa un altro altare

un'altra pace nel lontano mare.

Si sentirono soli ed estrani

nelle tristi dimore dell'uomo

si sentirono pi lontani

fra le cose pi dolci e care.

E bevendo lo sguardo oscuro

l'uno all'altra dall'occhio nero

videro la fiamma del mistero

per doppia face battere pi forte.

Senia disse: ÇVorrei morireÈ

e mirava l'ultimo sole.

Itti tacque, che dalla morte

nuova vita vedeva salire.

E scorrendo l'occhio lontano

sulle sponde che serrano il mare

sulle case tristi ammucchiate

dalle trepide cure avare

ÇQuesto morte, SeniaÈ - egli disse -

Çquesta triste nebbia oscura

dove geme la torbida luce

dell'angoscia, della paura.

 

Altra voce dal profondo

ho sentito risonare

altra luce e pi giocondo

ho veduto un altro mare.

Vedo il mar senza confini

senza sponde faticate

vedo l'onde illuminate

che carena non varc˜.

Vedo il sole che non cala

lento e stanco a sera in mare

ma la luce sfolgorare

vedo sopra il vasto mar.

Senia, il porto non la terra

dove a ogni brivido del mare

corre pavido a riparare

la stanca vita il pescator.

Senia, il porto la furia del mare,

la furia del nembo pi forte,

quando libera ride la morte

a chi libero la sfid˜È.

 

Cos“ disse nell'ora del vespro

Itti a Senia con voce lontana;

dalla torre batteva la campana

del domestico focolare:

ÇRitornate alle case tranquille

alla pace del tetto sicuro,

che cercate un cammino pi duro?

che volete dal perfido mare?

Passa la gioia, passa il dolore,

accettate la vostra sorte,

ogni cosa che vive muore

e nessuna cosa vince la morte.

Ritornate alla via consueta

e godete di ci˜ che v' dato:

non v' un fine, non v' una meta

per chi preda del passato.

Ritornate al noto giaciglio

alle dolci e care cose

ritornate alle mani amorose

allo sguardo che trema per voi

a coloro che il primo passo

vi mossero e il primo accento,

che vi diedero il nutrimento

che vi crebbe le membra e il cor.

Adattatevi, ritornate,

siate utili a chi vi ama

e spegnete l'infausta brama

che vi trae dal retto sentier.

Passa la gioia, passa il dolore,

accettate la vostra sorte,

ogni cosa che vive muore

nessuna forza vince la morteÈ.

 

Soffocata nell'onda sonora

con l'anima gonfia di pianto

ascoltava l'eco del canto

nell'oscuritˆ del cor,

e con l'occhio all'orizzonte

dove il ciel si fondeva col mare

si sentiva vacillare

Senia, e disse: ÇVorrei morireÈ.

Ma pi forte sullo scoglio

l'onda lontana s'infranse

e nel fondo una nota pianse

pei perduti figli del mare.

ÇNo, la morte non abbandonoÈ

disse Itti con voce pi forte

Çma il coraggio della morte

onde la luce sorgerˆ.

Il coraggio di sopportare

tutto il peso del dolore,

il coraggio di navigare

verso il nostro libero mare,

il coraggio di non sostare

nella cura dell'avvenire,

il coraggio di non languire

per godere le cose care.

Nel tuo occhio sotto la pena

arde ancora la fiamma selvaggia,

abbandona la triste spiaggia

e nel mare sarai la sirena.

Se t'affidi senza timore

ben pi forte sapr˜ navigare,

se non copri la faccia al dolore

giungeremo al nostro mare.

 

Senia, il porto la furia del mare,

la furia del nembo pi forte,

quando libera ride la morte

a chi libero la sfid˜È. -

 

Carsia, 2 settembre 1910

 

 

 


[A Senia]

 

 

I

 

Le cose ch'io vidi nel fondo del mare,

i baratri oscuri, le luci lontane

e grovigli d'alghe e creature strane,

Senia, a te sola lo voglio narrare.

 

ChŽ a brevi fiate nel tempo passato

nel fondo del mare mi sono tuffato.

A dare or la patria all'esule sirena,

la patria a me stesso e all'uomo abbattuto

svelare la via del suo regno perduto,

mi voglio tuffare con pi forte lena,

che ogni uom manifeste le tenebre arcane

conosca e vicine le cose lontane.

 

Ma quel che giˆ vidi nel fondo del mare,

i baratri oscuri, le luci lontane

e grovigli d'alghe e creature strane,

Senia, a te sola lo voglio narrare.

 

 

II

 

Da te lontano, nelle notti insonni,

innanzi agli occhi dove anche io miri,

sempre ho lo slancio della tua persona

come il vento la trae della passione

e la faccia raccolta che la fiamma

nel tempo stesso vela e manifesta.

Ma se l'occhio distolgo dalla strada

arida e sola che percorro oscura

e alla diafana luce lo rivolgo

dell'imagine tua cara e lontana,

invano cerco a me farla vicina,

invano cerco trattenerla, invano

tendo le braccia: nella notte oscura

non anche io l'ho mirata ed svanita.

E l'occhio stanco e ardente la tenbra

pur mira densa e inesorata quale

si chiuse innanzi all'antico cantore

che a Euridice si volse ed Euridice

nella notte infernale risospinse.

Spenta ogni luce allora ed ogni via

sbarrata, allor pi presso la tenbra

mi stringe s“ che il cuor ignoto orrore

m'invade, non per me se nella notte

solo io soccomba, ma per te, o compagna

forte e sicura - che pel mio piacer,

per la mia debolezza, il mio sostare

non t'abbia risospinta nella stretta

della diuturna sofferenza inerte.

 

Perci˜ se freddo e ruvido io ti sembri,

ma tu lo sai: per vieppi andare,

per nutrir pi vivida la fiamma,

perchŽ un giorno risplenda nella notte,

perchŽ possiamo un giorno fiammeggiar

liberi e uniti al porto della pace.

 

9 settembre 1910

 

 

III

 

Non sorridente sotto il sole estivo,

la faccia luminosa e gli occhi chiari

nel doppio raggio del sole e del mare -

non melodiosa in tutta la persona

nel ritmo della danza, o fiduciosa

nell'infuriar dell'onde, come quando

a me che ti chiedevo rispondevi:

ÇPer me non mai tempo di tornare,

chi va sicuro non potrˆ affogareÈ,

nŽ sbattuta dall'onda musicale

quando senza velami dai tuoi occhi

l'anima fiammeggiava e la tua vita

nelle dita sicure era raccolta -

non pi cos“ la creatura del sole,

il fiore della vita, la sorgente

ond'io le labbra asciutte dissetava,

la giovinezza quale altrove invano

per le vie della terra ho ricercata -

non pi cos“ ti vidi nel mio sonno,

quando la trama pi si fa sottile

e all'anima pi pura inverso l'alba

rivela il sogno le cose lontane.

Ma ripiegata in piccolo sedile,

come un uccello che ferito a morte

l'ultima vita con l'ali ripara,

d'un velo bianco ti facevi schermo

al freddo e alla vicina fredda morte;

e in faccia era svanito ogni colore,

ogni scintilla spenta, e nelle occhiaie

oscure gli occhi t'eran fatti cavi.

Io ti parlavo e tu non rispondevi,

ma pur col bianco vel t'adoperavi

di riparare l'ultimo calore.

T'ero vicino e tu non mi vedevi,

ma nella morte giˆ eri raccolta

ed alla morte come ad un riposo

stanca le membra e i veli disponevi,

con moto lento, come di chi ascolta

d'una squilla lontana il misterioso

annunzio noto, ch'altri non intende.

 

Cos“ m'eri distolta e la mia vita

invano sanguinava per ridare

a te la vita che s'era partita:

con le mani non ti potea scaldare,

con la voce non ti potea svegliare.

Come da lungi nel plumbeo mare

che si fonde col cielo vela bianca

non pi in mare che in cielo navigare

sembra, cos“ pur l'anima tua stanca

era giˆ della morte ed era in vita,

t'era fatta la vita sol dolore,

poichŽ in te la passione era svanita,

ma sulla faccia il pallido terrore

t'era dipinto e t'era chiuso il core.

 

Ahi, non questa sognammo amara morte

nel suo pallido aspetto pauroso,

questa che va a picchiar tutte le porte

e ai morti dalla nascita il riposo

finge nel tempo eterno e tenebroso,

ma la giovane morte che sorride

a chi per la sua cura non la teme,

la morte che congiunge e non divide

la compagna e il compagno e non li preme

con l'oscuro dolore - ma che insieme

li accoglie nel suo seno, come il porto

di pace chi ha saputo navigare

nel mar selvaggio, nel deserto mare,

che a terra non s' v˜lto per conforto.

 

Rimprovero m' il sogno e non spavento,

perch'io m'attardo mentre tu languisci;

s'io vinco certo cos“ non perisci.

Questo sogno m' sferza all'ardimento.

 

10 settembre 1910

 

 

IV

 

Dato ho la vela al vento e in mezzo all'onde

del mar selvaggio, nella notte oscura,

solo, in fragile nave ho abbandonato

il porto della sicurezza inerte.

Al mare aperto drizzata ho la prora

per navigare, ed alla sorte oscura

la forza del mio braccio ho contrapposta.

Non ho temuto il vento avverso e l'onda

canuta, nŽ la mensa famigliare

e l'usato giaciglio

ho rimpianto o il commercio delle care

e dolci cose. NŽ deserto e triste

m' apparso il mar sonante nella notte,

anzi la voce sua come un appello

mi son˜ in cor della mia stessa vita;

mi parve dolce cosa naufragare

nel seno ondoso che col ciel confina,

nŽ temuta ho la morte...

 

Alla punta del golfo donde il mare

s'apre libero e vasto senza fine

tu m'attendi sicura e fiduciosa,

le vesti al vento, ritta sullo scoglio.

Costeggiar mi conviene la scogliera

per uscire dal golfo, quindi uniti

navigheremo, poichŽ a me t'affidi:

s“ breve tratto da te mi divide

e dal libero mar s“ breve tratto!

- Ma perch'io tenti la bordata e tenda

la vela al vento, pur l'inerte chiglia

non fende l'onda, ch'ora sulle creste

spumanti, or negli abissi, or sur un bordo

or sull'altro la trae senza riposo.

E se l'albero gema, se la scotta

a spezzarsi si tenda, e nella vela

ingolfandosi il vento il mio naviglio

minacci di sommergere, pur sempre

alla stessa distanza io mi ritrovo

dalla punta agognata. Col timone

io m'adopero invano al mare aperto

dirizzare la prora: a chiglia inerte

il timone non giova.

 

Il vento e l'onde intanto lentamente

come un rottame verso la scogliera

mi spingono a rovina senza scampo.

Ch'io debba naufragar senza lottare

fra la miseria dei battuti scogli,

presso al porto esecrato, come un vile,

senza esser giunto al mare, e te lasciando

sola e distrutta dopo il sogno infranto

fra le stesse miserie?

 

Gorizia, 15 settembre 1910

 

 

V

 

Se mi trovo fra gli uomini talvolta,

qualunque cosa io parli, la mia voce

mi par che solo il nome tuo richiami.

Io taccio allora e aspetto trepidando

ch'altri con bocca impura a questa voce

risponda, e del mio bene ascoso mi discorra;

e se pur d'altre cose memorando

mi parlano con voce indifferente,

ma nel loro sorriso, ma negli occhi

mi par d'intravedere ch'altra cosa

vogliono dire, che nel cor profondo

s“ mi ferisce. Che da ogni mio gesto,

che dal volto mi par ch'altri mi legga

il pensiero di te che sei lontana.

 

Dal commercio degli uomini rifuggo

allora alla campagna solitaria

o alla mia stanza solitaria e solo

tutto in me mi raccolgo; ma nell'aria,

nel canto degli uccelli e nell'uguale

mormorare dell'acqua, dalle ripe

alte del fiume e pur dalle pareti

della mia ignuda stanza, a piena voce

il tuo nome riecheggia al mio silenzio,

s“ che palese a ognuno e manifesta

del tutto, al volgo preda senza schermo,

parmi l'anima mia nel suo segreto.

Ed il sogno che nasce palpitante,

la ÇstoriaÈ che non soffre le parole

ma vuol esser vissuta, il pi profondo

e caro senso della nostra vita,

che pur uniti e soli sotto il velo

di parole comuni nascondiamo,

d'atti comuni, con gelosa cura

nascondiamo a noi stessi, ora del volgo

mi par fatto preda contaminata.

 

Nei giorni del dolore e nelle notti

senza riposo, nella valle triste

della sorda fatica e del tormento

senza speranza, nel mio dubitare

cieco, quando l'abisso dell'inerzia,

dell'abbandono m'era aperto ai piedi,

allor fioca scintilla io l'allevava

il mio sogno lontano, ancor ch'io fossi

d'ogni certa speranza privo al tutto;

ma da quello una vena mi fluiva

di forza che nel mezzo delle cose

vane e volgari, delle ottuse cure,

indifferente mi facea e sicuro,

e al dolor mi temprava e ogni timore

del mio stesso soffrir, ogni ricerca

di premi, di riposo, di conforto

ogni viltˆ dal cuore mi toglieva.

Dal pi profondo della mia distretta,

nella mente pi oscura quella fiamma

mi era sorta, caduta ogni speranza,

e la risposta al tanto faticare

di richieste alla vita per lei chiara

mi rifulgeva: ÇNon chieder pi nulla,

sappi goder del tuo stesso dolore,

non adattarti per fuggir la morte;

anzi da te la vita nel deserto

fatti - che sia per gli altri nuova vita;

non disperare, ma rinuncia ai vani

aspetti della vita, e nel deserto

sarai tranquillo: dalla tua rinuncia

rifulgerˆ il tuo atto vittorioso,

ΑΡΓΙΑ sarˆ il tuo porto ΔΙ'ΕΝΕΡΓΕΙΑΣÈ.

 

E sentii la mia vita fiammeggiare

ed il deserto farsi popoloso,

credetti fosse giunto il luminoso

mio giorno nella notte e consumare

quella fiamma mi parve la mia vita.

Ma per pi lunga strada il mio destino

mi volse a far cammino: e vivo ancora

mi trovai nel fittizio riposo,

ma a te vicino per pi forte andare;

in te concreta vidi la mia fiamma,

in te il mio sogno fatto era vicino

e la mia vita pi certa: ogni ritorno,

ogni vile riposo, ogni timore

era morto per me. - Nel mare ondoso,

sulla brulla costiera solitaria,

sotto la forte quercia, a me vicina

io t'ho sentita siccome nel sogno. -

Non Argia ma Senia io t'ho chiamata,

per non sostar nel facile riposo,

e la lingua la fiamma consacrata

con le parole non contamin˜.

Pur or mi trovo ancora nella nebbia

e il camminar m' vano e la fatica

novellamente mi si fa penosa.

Io sento me da me fatto diverso,

se pur vicina ti sento lontana

ancora come un tempo, e la mia fiamma

geme che pur rifulse nella notte

per sua forza, sicura. Nelle tante

piccole e vane cose nuovamente

io mi dissolvo; nell'oscuro giro

della diuturna noia il nostro sogno

parmi tradito e per ignote voci

con parole di scherno messo a nudo,

pesato, misurato, confrontatoÉ

Come se ignote mani il focolare

andassero scrutando ingordamente,

e alle ceneri insieme le faville

disperdessero al vento...

 

L'angoscia di non giungere alla vita

e di perire dell'oscura morte

te trascinando nell'abisso, Senia,

mi prende forte s“ che dubitoso

mi son fatto di me, che non sopporto

le mie stesse parole, e di me stesso

invincibile nausea m'opprime.

 

Gorizia, 19 settembre 1910

 

 

VI

 

Ti son vicino e tu mi sei lontana,

mi guardi e non mi vedi, o s'io ti parlo,

pur amando ascolti, non per˜ m'intendi;

ti sono questo corpo e questi suoni,

ti sono un nome, ti son un dei tanti,

come un altro sarebbe

che per nome e per vista conoscessi.

Io non sono per te ÇioÈ, la mia vita,

io, questa mia volontˆ pi forte,

Il mio sogno, il mio mondo, il mio destino.

Io non sono per te: questo mio amore

disperato e lontano e doloroso

- gli passi accanto e non lo senti amare.

Ma ancor fra gli altri uomini t'aggiri,

con questo parli ed a quello t'affidi,

fra lor vivi e per lor, s'anco a nessuno

dai la tua speme intera e la fiducia.

Ma fra l'oggi e il domani e questo e quello

ti dissolvi, e trapassi senza sole

la tua selvaggia e forte giovinezza,

e la tua speme consumando ignara

sei di te stessa - ed io mi struggo invano.

Mentre mi vince gelosia crudele

non pur di questo giovane e di quello

cui lo sguardo concedi o la parola,

ma d'ogni cosa che ti sia vicina,

ma del sole, dell'aria, ma del pane,

chŽ di loro ti nutri e a me sei tolta;

gelosia d'ogni giorno, d'ogni istante,

che vivi, che non vivi di me solo,

che l'aria e il pane e il sole, che ogni cosa,

che il mondo intero, che la vita stessa

vorrei esser per te - ma tu l'ignori.

 

 

VII

 

Parlarti? e pria che tolta per la vita

mi sii, del tutto prenderti? - che giova?

che giova, se del tutto io t'ho perduta

quando mia tu non fosti il giorno stesso

che c'incontrammo? Che se pur t'avessi

ora, vincendo, mia per il futuro,

mia per diritto, mia per tuo volere,

mia non saresti pi che non sei ora,

mia non saresti pi che s'altra mano

ti possedesse. Che pur del mio corpo

sarei geloso come or son d'altrui.

Non pi sarei per te la vita intera

ch'ora non sono, se giˆ in me non l'ami:

ma se in me non l'ami, se tua vita

crear non so della mia vita stessa,

che pi giova sperar, che pi volere,

che mi giova la vita e il mio dolore

e questo amor lontano e disperato?

Fatto sono da me stesso diverso

che centra il fato mi dicevo forte,

poichŽ ho esperta e ancor vivo ad ogni istante

nella tua indifferenza la mia morte.

NŽ pi mi giova mendicare i giorni

nŽ chieder altro pi dal dio nemico,

se non che faccia mia morte finita.

 

 

 


All'Isonzo

 

Dalle nevose gole, dai torbidi

monti lontani con lena rabida,

con aspro sibilo soffia la raffica,

rompe la densa greve nebbia,

stringe le basse grigie nubi

e le respinge in onde gravide.

 

Passa radendo sui pioppi tremoli

- sul nero piano incombe il peso

della ciclopica lotta dell'etere.

Ma a lei pi forte risponde l'impeto

selvaggio e giovine del fiume rapido

cui le corrose ripe trattengono:

il suo possente muggito al sibilo

della procella commesce e il vivido

chiaror del lontano sereno

riflette livido, nell'onda torbida.

 

E al mar l'annuncio porta della lotta

che nebbia e vento nel ciel combattono,

al mar l'annuncio porta del tumulto

che in cor m'infuria quando la nausea,

quando il torpore, il dubbio, l'abbandono

per la tua vista, Argia, pi fervido

l'ardir combatte e sogna il mare libero.

 

Notte del 22 settembre 1910