STÉPHANE MALLARMÉ


RITRATTO DI EDOUARD MANET

BIOGRAFIA E OPERE

POESIE



ORIGINALI IN FRANCESE

VERSIONE CARTACEA GARZANTI

Traduzione di Adriano Guerrini





RITRATTO DI AUGUSTE RENOIR

SALUTO

Nulla, spuma, vergine verso
A non designar che la coppa;
Tal si tuffa lungi una frotta
Di sirene, il dorso riverso.

Noi navighiamo, o miei diversi
Amici, io già sulla poppa
Voi sulla prua ch'apre alla rotta
Flutto di folgori e d'inverni;

Un'ebbrezza bella m'ingiunge
Senza temer beccheggio lungo
Di levar alto questo salve

Solitudine, scoglio, stella
A non importa ciò che valse
La cura bianca della vela.

LA DISDETTA

Alte sullo stordito armento degli umani
Balzavano di luci le selvagge criniere
Dei mendichi d'azzurro col piede qui sui piani.

Fin nella carne un vento spiegato per bandiere
Oscuro flagellava di freddo il loro andare
E ancora vi scavava rughe d'ira severe.

Sempre con la speranza d'incontrarsi col mare,
Viaggiavan senza pane, senza bastoni o urne
Mordendo il cedro d'oro dell'ideale amaro.

Rantolarono molti nelle gole notturne
Felici, ebbri del sangue lento da lor fluente,
O morte, solo bacio su bocche taciturne!

La lor disfatta è opera d'un angelo possente
Ritto sull'orizzonte, d'una spada al bagliore:
Porpora si rapprende sul cuor riconoscente.

Come già prima il sogno or succhiano il dolore
E quando vari ritmando lamenti voluttuosi
Il popolo si china e la madre ne ha onore.

Quelli son consolati, sicuri e maestosi;
Ma accanto di fratelli hanno una schiera ignota,
Beffata, martoriata dai casi più tortuosi.

Il sale ugual dei pianti rode la dolce gota,
Si cibano di cenere col medesimo amore,
Ma è volgare o burlesca la sorte che li ruota.

Potevano eccitare anche come un clangore
La servile pietà delle razze malferme,
Prometei cui manchi vùlture roditore!

No, vili e persi in vaste sabbie senza cisterne
Corron sotto la sferza d'iroso dittatore:
La Disdetta, il cui riso ignoto li prosterna.

Amanti, salta in groppa terzo, il separatore!
Poi varcato il torrente vi tuffa in acqua amara
E fa un masso fangoso di voi doppio candore.

Grazie a lui, se uno soffia la buccina bizzarra,
Ragazzi ci torceranno in un riso ostinato
Scimmiottando, la mano sul dietro, la fanfara.

Grazie a lui, se uno orna ecco un seno seccato
Con una rosa nubile che vi porta chiarezza,
Bava luccicherà sul suo fiore dannato.

E questo nano scheletro, piumato per vaghezza,
Calzato, cui l'ascella peli in vermi ha converso,
Per essi è l'infinito della vasta amarezza.

Vessati essi non vogliono provocare il perverso,
La lor daga stridendo segue il raggio di luna
Che piove sul carcame e vi passa attraverso.

Mesti senza l'orgoglio che sacra la sfortuna,
Tristi di vendicare l'ossa a colpi di becco,
Essi agognano l'odio e non l'astio che abbruna.

Essi sono il sollazzo d'ogni gratta-ribeca,
Di marmocchi, bagasce, della vecchia semenza
Dei pezzenti che danzano quando la brocca è secca.

I poeti che vivono d'ira e beneficienza
Non conoscono il male di questi dei oscurati,
Li dicono tediosi e senza intelligenza.

"Posson fuggire essendo d'ogni impresa saziati,
Come cavalli vergini schiumano di tempesta
Piuttosto che al galoppo partire corazzati.

D'incenso il vincitore sazierem alla festa:
Ma perché non indossano, essi, buffoni egregi,
Cenci scarlatti urlando che tutti ci si arresti!"

Quando tutti sul viso gli han sputato i lor spregi,
Nulli ed a bassa voce invocando che tuoni,
Questi eroi eccessivi di scherzosi disagi

Vanno ridicolmente a impiccarsi ai lampioni.

APPARIZIONE

La luna s'attristava. Serafini piangenti,
L'archetto alzato, in sogno, dalle viole morenti
Traevan, nella calma di vaporosi fiori,
Bianchi singhiozzi a petali dagli azzurri pallori.
- Era quel santo giorno del nostro primo bacio.
La fantasia, martirio cui da sempre soggiaccio,
S'inebriava sapiente al profumo di tristezza
Che pur senza rimpianto lascia e senza amarezza
La vendemmia d'un sogno al cuore che l'ha colto.
Dunque erravo, alle vecchie pietre l'occhio raccolto,
Quando per via, col sole sui capelli splendente,
E nella sera, tu m'apparisti ridente,
Ed io vidi la fata dal cappuccio di luce
Che un tempo sui miei sonni di fanciullo felice
Già passava, lasciando, dalle sue mani belle,
Nevicar bianchi fiori di profumate stelle.

SUPPLICA FUTILE

Principessa! a invidiare d'un'Ebe la ventura
Che ai labbri e al vostro bacio spunta sulla tazzina,
Consumo gli occhi, ma la discreta figura
Mia d'abate neppure starebbe sul piattino.

Poi ch'io non sono il tuo cagnolino barbuto,
Né il dolce, né il rossetto, né giuochi birichini,
E su di me il tuo sguardo chiuso io so caduto,
Bionda cui acconciarono orefici divini!

Sceglieteci... tu cui le risa di lampone
Si congiungono in gregge come agnellette buone
Brucando in tutti i voti, belando paradisi;

Affinché Amore alato d'un ventaglio sottile
Mi vi pinga col flauto mentre addormo l'ovile,
Principessa, sceglieteci pastor dei tuoi sorrisi.

IL PAGLIACCIO PUNITO

Occhi, laghi alla sola mia ebbrezza di rinascere
Altro dall'istrione che col gesto ridesta
Come piuma di lampade ignobili la cenere,
Ho bucato nel muro di tela una finestra.

Nuotando traditore con gambe e braccia sciolte,
A molteplici balzi, rinnegando nell'onda
Il falso Amleto! è come se mille e mille volte
Per vergine sparirvi innovassi una tomba.

Ilare oro di cembalo che una mano irritò
Il sole tocca a un tratto la pura nudità
Che dalla mia freschezza di perla io esalai,

Rancida nera pelle quando su me è passata,
Ch'era tutto il mio crisma io ignorato, ingrato!,
Quel trucco dentro l'acqua perfida dei ghiacciai.

LE FINESTRE

Stanco del triste ospizio e del fetore oscuro
Che sale tra il biancore banale delle tende
Verso il gran crocifisso tediato al nudo muro,
Sornione un vecchio dorso vi raddrizza il morente:

Trascina il pelo bianco e l'ossa magre, lento,
Alle vetrate che un raggio chiaro indora,
Meno per riscaldare il suo disfacimento
Che per vedere il sole sopra le pietre ancora.

E la bocca, febbrile e d'azzurro assetata,
(Essa così aspirava, giovane, il suo tesoro,
Un corpo verginale e d'allora) ha lordato
D'un lungo amaro bacio il caldo vetro d'oro.

Ebbro, vive, ed oblia la condanna del letto,
L'orologio, la tosse, le fiale, l'ora estrema,
E allorquando la sera sanguina sopra il tetto,
Con l'occhio all'orizzonte, nella luce serena,

Vede galere d'oro, splendide come cigni,
Dormire sopra un fiume di porpora e d'essenze,
Cullando il fulvo e ricco lampo dei lor profili,
Ricolme di ricordo, di vasta indifferenza!

Così, colto da nausea dell'uomo, anima dura,
Che s'imbraga felice, per gli appetiti soli
Mangiando, ed ostinato cerca questa lordura
Per offrirla alla donna che gli allatta figliuoli,

Io fuggo e mi attacco a tutte le vetrate
Dove si volge il dorso alla vita e al destino,
E nel vetro, lavato dall'eterne rugiade,
Che l'Infinito indora col suo casto mattino,

Mi contemplo e mi vedo angelo! e muoio, e torno
- Che il cristallo sia l'arte o la mistica ebbrezza -
A nascer, col mio sogno diadema al capo intorno,
Dove, in cieli anteriori, fiorisce la Bellezza.

Ma ahimè il Quaggiù impera: fino a questo sicuro
Rifugio esso perviene talora a nausearmi,
E la Stupidità, col suo vomito impuro,
Mi fa turar le nari innanzi ai cieli calmi.

Non tenteremo, o Me che sai amare pene,
D'infrangere il cristallo cui insulta l'Averno,
E di fuggire infine, mie ali senza penne,
A volo - con il rischio di cadere in eterno?

I FIORI

Dalle valanghe d'oro del vecchio azzurro, il giorno
Primevo e dalla neve immortale degli astri,
Un tempo i grandi calici tu ritagliasti intorno,
Per la terra ancor giovane, vergine di disastri,

Il gladiolo selvaggio, cigni dal collo fino,
E quel divino lauro dell'anime esiliate
Vermiglio come l'alluce puro del serafino
Che colora un pudore d'aurore calpestate,

Il giacinto ed il mirto, adorato bagliore,
E,- simile alla carne della donna, la rosa
Crudele, del giardino chiaro Erodiade in fiore,
Quella che uno splendente feroce sangue irrora!

Tu facesti il candore dei gigli singhiozzanti
Che mari di sospiri sorvola dolcemente
E per l'azzurro incenso dei pallidi orizzonti
In sogno lento sale alla luna piangente!

Osanna sopra il sistro e dentro l'incensiere,
Nostra Signora, osanna da questi nostri limbi!
E si disperda l'eco nelle celesti sere,
Estasi degli sguardi, scintillio dei nimbi!

O Madre, che creasti nel seno giusto e forte,
Calici in sé cullanti una futura essenza,
Grandi corolle con la balsamica Morte
Per lo stanco poeta roso dall'esistenza.

RINASCITA

L'esangue primavera già tristemente esilia
L'inverno, tempo lucido, tempo d'arte serena,
E in me, dove un oscuro sangue colma ogni vena,
L'impotenza si stira ed a lungo sbadiglia.

Crepuscoli s'imbiancano tiepidi nella mente
Che come vecchia tomba serra un cerchio di ferro,
Ed inseguendo un sogno vago e bello, io erro
Pei campi ove la linfa esulta immensamente.

Poi procombo snervato di silvestri sentori,
E scavando al mio sogno una fossa col viso,
Mordendo il suolo caldo dove, sbocciano i fiori,

Attendo nell'abisso che il tedio s'alzi... Oh riso
Intanto dell'Azzurro sulla siepe e sui voli
Degli uccelli ridesti che cinguettano al sole!

ANGOSCIA

Non vengo questa sera per il tuo corpo, o bestia
Che i peccati d'un popolo accogli, né a scavare
Nei tuoi capelli impuri una triste tempesta
Sotto il tedio incurabile che versa il mio baciare:

Chiedo al tuo letto il sonno pesante, senza sogni,
Librato sotto il velo segreto dei rimorsi,
E che tu puoi gustare dopo le tue menzogne
Nere, tu che del nulla conosci più che i morti.

Poi che il Vizio, rodendomi l'antica nobiltà,
M'ha come te segnato di sua sterilità;
Ma mentre nel tuo seno di pietra abita un cuore

Che crimine o rimorso mai potrà divorare,
Io pallido, disfatto, fuggo col mio sudario,
Sgomento di morire se dormo solitario.

«STANCO DELL'OZIO AMARO...»

Stanco dell'ozio amaro in cui la mia pigrizia
Offende quella gloria per cui fuggii l'infanzia
Dolcissima dei boschi di rose nell'azzurro
Naturale, e più ancora stanco del patto duro
Di scavare vegliando un rinnovato avello
Dentro l'avaro e freddo suolo del mio cervello,
Per la sterilità spietato affossatore,
- Che mai dirò, o Sogni, che mai a quest'Aurora,
Visitato da rose, se, temendo i suoi fiori
Lividi, il cimitero unirà i cavi orrori? -

Voglio lasciare l'Arte vorace di un paese
Crudele, e, sorridendo ai vecchi volti offesi
Che mostrano gli amici, il genio ed il passato,
E il lume che la mia agonia ha vegliato,
Imitare il Cinese, anima chiara e fina,
La cui estasi pura è dipinger la cima
Sopra tazze di neve rapita dalla luna
D'un fiore strano che la sua vita profuma
Trasparente, d'un fiore che egli sentì fanciullo
Innestarsi al suo cuore prezioso, azzurro nulla.
E la morte così, solo sogno del saggio,
Sereno, sceglierò un giovane paesaggio
Che sulle tazze assente la mia mano pingerà.
Una linea d'azzurro fine e tenue sarà
Un lago dentro il cielo di nuda porcellana,
Per una bianca nube una luna lontana
Immerge il lieve corno nel gelo d'acque calme,
Presso tre grandi cigli di smeraldo, le canne.

IL CAMPANARO

Mentre alta la campana desta la voce chiara
All'aria pura e limpida e fonda del mattino
E passa sul fanciullo che lancia una preghiera
Per essa camminando tra la lavanda e il timo,

Il campanaro avverte un uccello passare
Sul volto e biascicando latino e con la mano
Tirando tristemente la corda secolare,
Non ode che discendere un tintinnio lontano.

Io son quell'uomo. Ahimè! dalla vogliosa notte
Tiro invano la fune a suonar l'Ideale:
Freddi peccati intorno svolano, eterne ali,

E le voci mi giungono solo vuote e interrotte!
Ma un giorno infine, stanco d'aver sempre suonato,
O Satana, alla fune mi troverai impiccato.

TRISTEZZA D'ESTATE

Il sole, o lottatrice sulla sabbia assopita,
Nell'oro dei capelli un bagno languoroso
Ti scalda e ardendo incenso sulla gota nemica
Mescola con i pianti un incanto amoroso.

Quest'immobile calma e la fiamma del cielo
T'ha rattristata, o baci miei timorosi, e dici:
"Noi non saremo mai un sarcofago solo
Sotto il deserto antico e le palme felici!"

Ma la tua chioma fulva è un tiepido ruscello
Dove affondare fermi l'anima che ci assilla
E trovare quel Nulla che tu saper non puoi.

Io gusterò il belletto pianto dagli occhi tuoi:
Forse al cuor che colpisti esso donar saprà
Dell'azzurro e dei sassi l'insensibilità.

L'AZZURRO

Del sempiterno azzurro la serena ironia
Perséguita, indolente e bella come i fiori,
Il poeta impotente di genio e di follia
Attraverso un deserto sterile di Dolori.

Fuggendo, gli occhi chiusi, io lo sento che scruta
Intensamente, come un rimorso atterrante,
L'anima vuota. Dove fuggire? E quale cupa
Notte gettare a brani sul suo spregio straziante?

Nebbie, salite! Ceneri e monotoni veli
Versate, ad annegare questi autunni fangosi,
Lunghi cenci di bruma per i lividi cieli
Ed alzate soffitti immensi e silenziosi!

E tu, esci dai morti stagni letei e porta
Con te la verde melma e i pallidi canneti,
Caro Tedio, per chiudere con una mano accorta
I grandi buchi azzurri degli uccelli crudeli.

Ed ancora! che senza sosta i tristi camini
Fùmino, e di caligine una prigione errante
Estingua nell'orrore dei suoi neri confini
Il sole ormai morente giallastro all'orizzonte!

- Il cielo è morto. - A te, materia, accorro! dammi
L'oblio dell'Ideale crudele e del Peccato:
Questo martire viene a divider lo strame
Dove il gregge degli uomini felice è coricato.

Io voglio, poiché infine il mio cervello, vuoto
Come il vaso d'unguento gettato lungo un muro,
Più non sa agghindare il pensiero stentato,
Lugubre sbadigliare verso un trapasso oscuro...

Invano! Ecco trionfa l'Azzurro nella gloria
Delle campane. Anima, ecco, voce diventa
Per più farci paura con malvagia vittoria,
Ed esce azzurro angelus dal metallo vivente!

Si espande tra la nebbia, antico ed attraversa
La tua agonia nativa, come un gladio sicuro:
Dove andare, in rivolta inutile e perversa?
Mia ossessione. Azzurro! Azzurro! Azzurro! Azzurro!

BREZZA MARINA

La carne è triste, ahimè! e ho letto tutti i libri.
Fuggire là, fuggire! Io sento uccelli ebbri
D'esistere tra cieli ed ignorate spume.
O notti! né il chiarore deserto del mio lume
Sulla pagina vuota che il candore difende,
Riterrà questo cuore che al mare si protende,
Né la giovane donna che allatta ad una culla,
Né antichi parchi a specchio d'occhi pensosi, nulla.
Io partirò! Veliero dall'alta alberatura,
Salpa l'ancora verso un'esotica natura!
Un Tedio, desolato dalle speranze inani,
Crede ancora all'addio supremo delle mani!
E questi alberi forse, amici alle-tempeste,
Sono quelli perduti che il vento adesso investe,
Perduti, senza vele, né verdi isole ormai...
Ma tu, mio cuore, ascolta cantare i marinai!

SOSPIRO

La mia anima sale, o placida sorella,
Al cielo errante della tua angelica pupilla
E alla tua fronte, dove, giuncato di rossore,
Sogna un autunno, come nell'antico pallore
D'un parco un getto d'acqua sospira su all'Azzurro!
- Verso il tenero Azzurro d'Ottobre mite e puro
Che guarda in grandi vasche la sua malinconia
E lascia, su acque morte, dove, fulva agonia
Le foglie errano al vento tracciando un freddo viaggio,
Il sole trascinarsi giallo col lungo raggio.

ELEMOSINA

Prénditi questa borsa, Mendicante! tu accorto
Non l'hai toccata, antico lattante a poppa avara,
Per trarne goccia a goccia il tuo rintocco a morto.

Cava tu dal metallo qualche colpa bizzarra
E vasta come noi lo stringiamo sul cuore
Sòffiavi che si torca! un'ardente fanfara.

Chiesa ed incenso che tutte queste dimore
Sui muri quando culla un'azzurra chiarezza
Il tabacco in silenzio dilati le preghiere,

E l'oppio onnipossente ogni farmaco spezzi!
Stracci e pelle, vuoi tu buttare il cappottino
E ber nella saliva una felice inerzia,

E nei caffè sontuosi attendere il mattino?
I soffitti arricchiti di naiadi e di veli,
Si butta, al mendicante di vetrina, un festino.

Quando esci, vecchio dio, tremante sotto i teli
D'imballaggio, l'aurora è un lago di vin d'oro
E tu giuri d'avere nella tua gola i cieli!

Non avendo contato il lampo del tuo tesoro
Almeno puoi ornarti d'una piuma, e a ricordo
Portare un cero al santo in cui tu credi ancora.

Non pensar ch'io vaneggi in parole discordi.
La terra s'apre antica a chi muore di fame.
Odio un'altra elemosina, voglio che tu mi scordi,

Fratello, e innanzitutto non comprare del pane!

DONO DI VERSI

Ti reco questo figlio d'una notte idumea!
Nera, spiumata, pallido sangue all'ala febea,
Pel vetro che d'aromi fiammeggianti si dora,
Per le finestre, ahimé ghiacciate e fosche ancora,
L'aurora si gettò sulla lampada angelica.
Palme! e quando mostrò essa quella reliquia
Al padre che nemico un sorriso tentò,
L'azzurra solitudine inutile tremò.
O tu che culli, con la bimba e l'innocenza
Dei vostri piedi freddi, accogli quest'orrenda
Nascita: ed evocando clavicembalo e viola,
Premerai tu col vizzo dito il seno che cola
La donna in sibillina bianchezza per la bocca
Dall'azzurro affamata, dall'alta aria non tocca?

ERODIADE

Scena

LA NUTRICE. ERODIADE

N.

Tu vivi! o l'ombra d'una principessa
Vedo forse? Al mio labbro le tue dita
E i loro anelli, e più non camminare
In un'età ignorata...

E.

Indietro. Il biondo
Fiume dei miei capelli immacolati
Quando bagna il mio corpo solitario
D'orror lo gela ed immortali sono
Questi capelli che la luce allaccia.
O donna, un bacio mi sarebbe morte,
Se beltà non è morte...
Da che incanto
Condotta e qual mattino dai profeti
Obliato versa le sue tristi glorie
Su morte lontananze? Tu m'hai vista,
O nutrice invernale, sotto il greve
Carcere di granito e ferro dove
Miei leoni trascinano i selvaggi
Secoli, entrare e camminar, fatale,
Le mani salve, nell'odor deserto
Di quegli antichi re: ma forse ancora
Vedesti i miei terrori? Là m'arresto
Meditando gli esilî, e sfoglio, come
Presso un'acqua di fonte che m'accolga,
Pallidi gigli in me fioriti, mentre
Innamorati di seguire i languidi
Frammenti con lo sguardo che in silenzio
Pel mio sogno discendono, i leoni
Scostano della veste l'indolenza
E guardano i miei piedi che la calma
Tornerebbero al mare. Calma dunque
I fremiti senili della carne,
Vieni e questa mia chioma somigliante
Le criniere feroci che terrore
Vi destano, poiché tu più non osi
Così vedermi, aiuta a pettinare
Con noncuranza avanti ad un cristallo.

N.

Se non la gaia mirra nelle fiale
Chiuse, almeno d'essenze alla vecchiaia
Delle rose rapita, o mia fanciulla,
Provare vuoi la funebre virtù?

E.

Lascia questi profumi! Non sai dunque
Ch'io li odio, nutrice, e vuoi ch'io senta
La loro ebbrezza il capo mio languente
Sommergere? lo voglio i miei capelli
Che non son fiori a spandere l'oblio,
Ma oro, sempre vergine d'aromi,
Nei loro lampi crudeli, nei pallori
Profondi, abbiano sempre la freddezza
Sterile del metallo, coi riflessi
Dei gioielli sui muri dell'infanzia
Solitaria, dei vasi e dei trofei.

N.

Perdono! Cancellava il tuo divieto
L'età, regina, dal mio vecchio cuore
Impallidito come nero libro...

E.

Basta! Sorreggi innanzi a me lo specchio.
O specchio! acqua di tedio, nel tuo quadro
Gelido, quante volte in lunghe ore,
Desolata dei sogni e ricercando
I miei ricordi, come foglie sotto
Il tuo cristallo dal profondo vuoto,
In te m'apparvi quasi una lontana
Ombra; ma alcune sere nella tua
Fonte severa, ho conosciuto, orrore!,
La nudità del mio confuso sogno!
Nutrice, sono bella?

N.

Un astro, invero,
Ma questa treccia cade...

E.

Ferma l'atto
Criminoso che il sangue mi raggela
Nella sua fonte, l'empietà famosa:
Ah! dimmi quale demone sicuro
T'induce in tal sinistro affanno, il bacio,
Gli offerti aromi e infine, lo dirò?,
Mio cuore, anche sacrilega la mano,
Tu volevi toccarmi, sono un giorno
Che non senza sventura sulla torre
Tramonterà... O giorno ch'Erodiade
Osserva con terrore!

N.

Strano tempo
In verità; ma te ne guardi il cielo!
Tu erri, solitaria ombra e novello
Furore e riguardando in te precoce
Sgomento; eppure sempre, o mia fanciulla,
Adorabile quanto un'immortale,
Terribilmente bella, e tale che

E.

Ma volevi toccarmi?

N.

... Io vorrei
Esser colui al quale serba il Fato
I tuoi segreti.

E.

Oh taci!

N.

Verrà dunque?

E.

O pure stelle, non udite!

N.

Come
Pensare mai, ancora più implacabile
E supplicante, se non tra terrori
Oscuri, il dio atteso dallo scrigno
Della vostra bellezza! E per chi dunque,
Divorata d'angosce, conservate
Lo splendore ignorato ed il mistero
Vano del vostro essere?

E.

Per me.

N.

Triste fiore che cresce solitario
Né altro brivido sa che la sua ombra
Scorta con occhio atono sull'acqua!

E.

Tienti la tua pietà con l'ironia.

N.

Ditemi tuttavia: o ingenua bimba,
Non scemerà, un giorno, questo sdegno
Trionfale.

E.

Ma chi mi toccherebbe,
Se fui sacra ai leoni? Ed io non voglio
Nulla d'umano e, incisa, se mi vedi
Gli occhi perduti al paradiso, è quando
Mi sovviene il tuo latte che già bevvi.

N.

Vittima lamentabile che s'offre
Al suo destino!

E.

Sì, per me, per me,
Io fiorisco, deserta! Lo sapete,
Giardini d'ametista, senza fine
Fuggiti in abbagliati dotti abissi,
Ori ignorati che la vostra antica
Luce serbate sotto il buio sonno
D'una terra primeva, pietre voi
Dove i miei occhi come a pure gioie
Tolgon la melodiosa chiarità,
E voi metalli che splendor fatale
Donate a questa giovane mia chioma
E il greve portamento! Quanto a te,
Donna cresciuta in secoli maligni
Per la malvagità dei sibillini
Antri, che parli d'un mortale! cui
Dalle vesti qual calice, profumo
Di feroci delizie, sboccerebbe
Brivido bianco la mia nudità,
Profetizza che se all'azzurro tiepido
D'estate verso lui nativamente
Donna mi svelo e scorge il mio pudore
Di stella abbrividente, io muoio!
Amo
L'orrore d'essere vergine, e io voglio
Vivere nel terrore che mi danno
I miei capelli, e a sera, nel mio letto,
Inviolato rettile, sentire
Nell'inutile carne della pallida
Tua chiarità il freddo scintillio,
Tu che bruci di castità, o notte
Bianca di ghiacci e di crudele neve!
E tua sorella solitaria, o eterna
Sorella, a te il mio sogno salirà:
Tale già, raro e limpido il mio cuore
Che lo pensò, mi credo sola in questa
Patria di tedio e tutto intorno a me
Vive idolatra innanzi ad uno specchio
Che riflette nell'acque addormentate
Erodiade e lo sguardo di diamante...
O estremo incanto, sì! ecco lo sento!
Io sono sola.

N.

Dunque morirete,
Signora?

E.

No, povera nonna, va,
E perdona il mio duro cuore. E prima,
Se vuoi, chiudi le imposte, ché l'azzurro
Serafico sorride nei profondi
Vetri, ed io lo detesto, il bell'azzurro!

Onde laggiù si cullano, sai tu
Forse un paese dove a sera il cielo
Sinistro abbia di Venere gli sguardi
Odiati, tra le foglie: io vi andrei.


Accendi ancor, dì pure fanciullesco,
Le torce ove la cera dal leggero
Fuoco piange tra l'oro vano un pianto
Straniero, e...

N.

Ora?

E.

Addio.
Mentite, o fiore
Nudo delle mie labbra.
Io attendo ormai
Un'incognita cosa, o forse, grida
E mistero ignorando, voi gettate
I singhiozzi supremi e martoriati
D'un'infanzia che sente trasognata
Cadere infine i gelidi gioielli.

IL POMERIGGIO D'UN FAUNO

Egloga

IL FAUNO

Quelle ninfe, le voglio perpetuare.

Chiare così le loro carni lievi
Che nell'aria volteggiano assopita
Di folli sonni.

Forse amai un sogno?

Dirama il dubbio, cumulo d'antica
Notte, in fronde sottili che, rimaste
Il bosco vero, provano ch'io solo,
Io solo, ahimé! m'offrivo per trionfo
La caduta ideale delle rose.

Pensiamo...

O se le donne di cui parli
Fossero solo augurio dei tuoi sensi
Favolosi! Sfuggiva l'illusione,
Fauno, dagli occhi azzurri e freddi, come
Sorgente in pianto, d'una, la più casta:
Ma l'altra, dici tu ch'essa è diversa,
Tutta sospiri, come calda brezza
Del giorno nel tuo vello? Eppure no!
Nello stanco ed immobile deliquio
Fresco il mattino soffoca ai calori
Se lotta, nessun murmure d'un'acqua
Che il mio flauto non versi alla boscaglia
Irrorata d'accordi; e il solo vento
Fuor delle canne pronto ad esalarsi
Prima che sperda il suono in una pioggia
Arida è, all'orizzonte, senza ruga,
Senza moto, il visibile, sereno,
Artificiale soffio: ispirazione
Che torna al cielo.

O rive siciliane
D'uno stagno tranquillo saccheggiate
A gara con il sole dal mio orgoglio
Tacito sotto fiori di scintille,
NARRATE «Ch'io tagliavo qui le canne
Cave domate dal talento; quando
Sull'oro glauco di lontane fronde
Che i tralci dedicavano a fontane,
Un biancore animale ondeggia e posa:
E che al preludio lento dove nascono
Le zampogne, quel volo via di cigni
No! di naiadi fugge oppur s'immerge».

Inerte, tutto brucia l'ora fulva
Senza svelare per qual arte insieme
Sfuggiron gli imenei troppo augurati
Da chi cercava il la: mi desterò
Allora nel fervore primigenio,
Diritto e solo sotto un'onda antica
Di luce, gigli! ed uno di voi tutti
Per il candore.

Altro che quel nulla
Dolce dal loro labbro divulgato,
Il bacio, che assicura a bassa voce
Delle perfidie, il petto mio, intatto
Da prove, testimonia un misterioso
Morso, dovuto a qualche dente augusto;
Ma basta! un tale arcano a confidente
Elesse il giunco gemino ed immenso
Che s'usa sotto il cielo. Esso, stornando
Sopra sé il turbamento della gota
Sogna in un luogo assolo d'incantare
La bellezza dei luoghi con fallaci
Mescolanze tra essa e il nostro canto
Credulo e far così per quanto alto
Si moduli l'amore, far svanire
Dall'ordinario sogno, dorso, fianco
Puro, seguito coi miei sguardi chiusi,
Una sonora, vana, uguale linea.

Torna dunque, strumento delle fughe,
O maligna siringa, a rifiorire
Ai laghi ove m'attendi! Io, di mia voce
Fiero, voglio parlare lungamente
Di dee, e con pitture d'idolatra
All'ombra loro sciogliere cinture
Ancora: così quando lo splendore
Ho succhiato dell'uve, per bandire
Un rimorso già eluso da finzione,
Alzo beffardo al cielo dell'estate
Il grappo vuoto e nelle chiare bucce
Soffiando, avido ed ebbro, fino a sera
In esse guardo.

O ninfe, rigonfiamo
Di RICORDI diversi. «Aprendo i giunchi
Il mio occhio dardeggiava su ogni forma
Immortale, che il suo brucior nell'onda
Sommergeva ed un grido d'ira al cielo
Della foresta: lo splendente bagno
Di capelli dispare tra le luci
E i brividi, o preziose pietre! Accorro,
Quando ai miei piedi languide s' allacciano
(Stanche del male d'esser due) dormenti
Solo tra le lor braccia fortunate.
Le rapisco allacciate e volo a questa
Macchia, schivata dalla frivola ombra,
Folta di rose che nel sole estenuano
Ogni profumo, dove sia il sollazzo
Nostro simile al giorno consumato».
Io t'adoro, corruccio delle vergini,
O delizia feroce del fardello
Sacro, nudo, che scivola, che fugge
Alle mie labbra avide di fuoco
Protese a bere, lampo ecco trasale!,
Il terrore segreto della carne:
Dai piedi della dura fino al cuore
Della timida, lascia volta a volta
Un'innocenza, umida di lacrime
Folli o sparsa d'umori meno tristi.
«La mia colpa fu questa: avere, gaio
Di vincere ingannevoli paure,
Separato quel nodo scapigliato
Di baci che gli dei gelosamente
Avevano intrecciato: poiché appena
Io stavo per nascondere un ardente
Riso nelle sinuosità felici
D'una sola (tenendo con un dito
La più piccola, ingenua, non ancora
Rossa, affinché il candore suo di piuma
Si tingesse all'affanno dell'amica
Che s' accende), ecco via dalle mie braccia
Disfatte da trapassi vaghi sfugge
Quella preda, per sempre ingrata, senza
Pietà del mio singulto ancora ebbro».

Ma tanto peggio! alla felicità
Altre mi condurranno con la treccia
Annodata ai miei corni sulla fronte:
Tu sai, o mia passione, che già porpora
Matura il melograno scoppia e d'api
Mormora; e il nostro sangue, innamorato
Di chi lo afferra, cola per l'eterno
Sciame del desiderio. Quando il bosco
A sera d'oro e cenere si tinge
Una festa s'esalta nel fogliame
Estinto: Etna!, è tra le tue pendici
Visitate da Venere che posa
Il bianco piede sulla dura lava,
È quando un triste sonno tuona e il fuoco
Ormai s'affioca... Afferro la regina!

O sicuro castigo...

No, ma l'anima
Senza parole e questo greve corpo
Tardi ancora soccombono al silenzio
Fiero del mezzogiorno: senza più,
Dormiamo nell'oblio della bestemmia,
Sulla sabbia turbata e com'io amo
La bocca aperta all'astro che matura
I chiari vini.

Coppia, addio; tra poco
L'ombra io scorgerò che diveniste.

«LA DENSA CHIOMA VOLO D'UNA FIAMMA... »

La densa chioma volo d'una fiamma all'estrema
Sera di desideri per tutta dispiegare
Si posa (io direi la morte d'un diadema)
Verso l'ornata fronte suo antico focolare

Ma solo sospirando questa nube vivente
L'ignizione del puro fuoco sempre interiore
Senz'altro oro continua originariamente
Nella gemma dell'occhio serio o motteggiatore

La nudità diffama d'un eroe giovinetto
Colei che non muovendo lampo di braccialetto
Solo a semplificare trionfalmente la donna
Compie la gesta con la sua fulgente chioma

Di spargere rubini sul dubbio ch'ella scorza
Come fa una gioiosa e tutelare torcia.

SANTA

Alla finestra sta, celando
Il vecchio sandalo della viola
Che discolora, scintillare
Un tempo con flauto o mandola,

La pallida Santa, mostrando
Il vecchio libro che si spiega
Dal Magnificat ruscellante
Un tempo da vespro a compieta:

Alla vetrata d'ostensorio
Che dell'Angelo un'arpa sfiora
Fatta col volo della sera
Per la sua falange d'avorio

Che pur senza sandalo vecchio
Né vecchio libro, scende e sale
Sopra il piumaggio strumentale,
Musicante del silenzio.

BRINDISI FUNEBRE

O tu, fatale emblema della nostra ventura!

Saluto di demenza e libagione oscura,
Certo non alla magica speranza del passaggio
Alzo la coppa in cui soffre un mostro dorato!
La tua apparizione ormai più non mi basta:
Poiché io stesso in luogo di porfido t'ho posto.
Il rito è per le mani d'estinguere la face
Contro le ferree porte del sepolcro che tace:
E mal s'ignora, eletto per questa nostra quieta
Festa di celebrare l'assenza del poeta,
Che questo bel sepolcro in sé lo chiude intero.
Eccetto che la gloria ardente del mestiere,
Fino all'ora comune e vile della cenere,
Pel vetro acceso d'una sera fiera di scendere,
Ritorna verso i fuochi del puro sol mortale!

Magnifico, totale e solitario, tale
Esalando vacilla il falso orgoglio umano.
Questa folla feroce! Essa annuncia: noi siamo
La triste opacità di noi spettri futuri.
Ma il blasone dei lutti sparso su vani muri
D'una lacrima il lucido orrore ho disprezzato,
Quando, sordo al mio sacro distico, né allarmato,
Qualcuno dei passanti, superbo, cieco e muto,
Ravvolto nel suo vago sudario, si trasmuta
Nell'eroe intangibile della postuma attesa.
Vasto abisso portato nelle nebbie a distesa
Dal turbo di parole ch'egli non disse ancora,
Il nulla a questo Uomo abolito di allora:
«Memorie d'orizzonti, cos'è, o tu, la Terra?»
Urla quel sogno; e, voce la cui luce si perda,
Lo spazio ha per trastullo il grido: «Io non so!»

Il Maestro, col grave occhio, pacificò
Sui suoi passi dell'eden l'inquieta meraviglia
Il cui finale brivido, sol con la voce, sveglia
Il mistero d'un nome per il Giglio e la Rosa.
Resta, di questa sorte, resta mai qualche cosa?
Una oscura credenza, o voi tutti, v'ingombra.
Il genio luminoso eterno non ha ombra.
Io voglio, pensieroso di voi, voglio vedere
A chi si dileguò, ieri, dentro il dovere
Ideale che sono i parchi di quest'astro,
Restare per l'onore del tranquillo disastro
Una solenne, vasta agitazione in cielo
Di parole, ebbra porpora, calice sullo stelo,
Che quel diafano sguardo, diamante, acqua d'aurora,
Rimasto là sui fiori di cui nessuno muore,
Alza solo tra l'ora ed il raggio del giorno!

Dei nostri veri parchi è già tutto il soggiorno,
Dove il poeta puro, col gesto largo e mite
Al sogno, del suo còmpito nemico, lo interdice;
Affinchè nel mattino del suo riposo altero
Sorga, ornamento al bianco viale del cimitero,
Quando l'antica morte è come per Gautier
Di non aprire i sacri occhi e tacere in sé,
Il solido sepolcro che tutti i danni inghiotte,
E l'avaro silenzio e la pesante notte.

PROSA

(per des Esseintes)

Iperbole! dalla mia memoria
Trionfalmente non t'è dato
Levarti oggi magica storia
In un vecchio libro ferrato:

Poiché io in fondo, con la scienza,
L'inno dei cuori spirituali
Nell'opera della mia pazienza,
Atlanti, erbari, rituali.

Conducevamo il viso in viaggio
(O sorella, due fummo, due)
Su molte grazie del paesaggio,
Paragonandole alle tue.

L'era d'autorità s'infosca
Quando senza motivo si dice
Di questo meriggio che la nostra
Doppia incoscienza approfondisce

Che, terra dei cento giaggioli,
Essi sanno se pure è stata,
Del suo nome non fa parola
L'oro della tromba d'estate.

Sì, in un'isola che l'aria
Colma di vista e non di visioni
Ogni fiore più largo svaria
Senza che noi se ne ragioni.

Tali, immensi, che ciascuno
Ordinariamente s'ornò
D'un lucido giro, lacuna
Che dai giardini lo separò.

Gloria a lungo bramata, Idee,
Tutto esaltava in me vedere
La famiglia delle iridacee
Sorgere a questo nuovo dovere,

Ma la sorella sennata e tenera
Non portò più lungi lo sguardo
Del sorriso e, quasi ad intenderla
Io con cura antica m'attardo.

Oh! sappia lo Spirito di litigio,
A quest'ora che noi taciamo,
Che lo stelo d'un multiplo giglio
Troppo ingrandiva per ciò che siamo

E non come piange la sponda,
Quando il suo gioco monotono mente
A voler che l'ampiezza comprenda
Tra il mio giovane sbalordimento

D'udir tutto il cielo e le carte
Senza fine attestati su me,
Dal flutto stesso che si diparte,
Che quel paese non fu e non è.

La fanciulla più non si estasia
E dotta già attraverso sentieri
Dice la parola: Anastasio!
Nata per immortali papiri,

Prima che rida un sepolcreto
Sotto alcun clima, suo bisavolo,
Di quel nome: Pulcheria! segreto
Sotto il troppo grande gladiolo.

VENTAGLIO

della Signora Mallarmé

Quasi usando per sua parola
Null'altro che un battito al cielo,
Il futuro verso s'invola
Dall'avorio che in sé lo cela.

Ala piano corra all'orecchio
Questo ventaglio se esso è
Quello per cui qualche specchio
Risplendette dietro di te

Chiaro (dove ritorna a scendere
Inseguita in ogni frammento
Un po' d'invisibile cenere
Unica a rendermi lamento)

Ed appaia uguale domani
Tra quelle tue agili mani.

ALTRO VENTAGLIO

della Signorina Mallarmé

Sognatrice, in pura delizia
Per te affondo senza cammino,
Sappi, con sottile malizia,
Serbar la mia ala nella mano.

Una freschezza di crepuscolo
Dal prigioniero colpo giunge
E l'orizzonte ad ogni battito
Delicatamente respinge.

Vertigine! ecco abbrividisce
Lo spazio come un grande-bacio,
Folle perché invano fiorisce
Non può salire né aver pace.

Senti il severo paradiso
Simile ad un riso sepolto
Scivolare giù dal tuo viso
Nelle pieghe unanimi accolto!

È scettro delle rive rosa
Stagnanti nelle sere d'opale,
Bianco volo chiuso che posa
Accanto al fuoco del bracciale.

FOGLIO D'ALBUM

Signorina voi che voleste
Le mie armonie diverse
Udire rivelarsi un poco
D'improvviso e come per gioco

A me sembra che questo saggio
Tentato innanzi a un paesaggio
Sia buono solo perché smisi
Per contemplare il vostro viso

Sì questo suono esile e vano
Che con la rattrappita mano
Io esclusi all'estremo limite
Manca di mezzi se esso imita

Il vostro semplice e squillante
Riso di bimba che l'aria incanta.

RIMEMBRANZA D'AMICI BELGI

A volte e senza che tale soffio la muova
Tutta la vetustà quasi color d'incenso
Come di sé furtiva e visibile io sento
Che la pietra si spoglia piega su piega sola

Fluttua o sembra per sé non recare una prova
Se non di riversare balsamo antico il tempo
A noi immemorabili taluno sì contento
Sulla prontezza della nostra amicizia nuova

Carissimi incontrati nella giammai banale
Bruges moltiplicante l'alba al morto canale
Con il lento passaggio sparso di molti cigni

Quando solennemente quella città m'apprese
Quali tra i propri figli un altro vol designi
Lo spirito a irradiare pronto com'ali tese.

CANZONETTE

I • (Il Ciabattino)

Fuor della pece nulla da fare,
Candido è il giglio, come odore
Semplicemente è da preferire
A questo buon aggiustatore.

Egli ora sta per aggiuntare
Cuoio più ch'io mai abbia avuto
Al mio paio e fa disperare
Un bisogno di piede nudo.

Il suo martello che non sbaglia
Fissa chiodi motteggiatori
Sulla suola sempre la voglia
Conducente ad altri sentieri.

Calzature ricreerebbe,
O piedi! se voi lo voleste!

II • (La Venditrice d'erbe aromatiche)

La tua paglia blu di lavanda
Non crederai con questo ardito
Cipiglio che tu me la venda
Come all'ipocrita t'è riuscito

S'egli il suo muro ne tappezza
Il muro dei luoghi assoluti
Per il ventre che si fa beffa
Di bei sentimenti rivenuti.

Meglio tra mezzo ad una chioma
Invadente lì tu la metta
Che si senta il salubre aroma,
Zeffirina, Pamela, Betta,

O verso lo sposo conduci
Le primizie delle tue pulci.

BIGLIETTO

Non raffiche senza motivo
Come ad occupare la via
(Cappelli in volo fuggitivo);
Ma una danzatrice apparita

Turbo di mussolina oppure
Furor di spume scompigliato
Che alza con le ginocchia pure
Quella di cui abbiamo vissuto

Per tutto, non lui, insistito
Spirituale, ebbra ed immobile
Folgorare col lieve vestito
Senza farsi altro proposito

Che scherzoso possa il ventare
Della gonna Whistler sfiorare.

ARIETTA

I • «Qualunque una solitudine...»

Qualunque una solitudine
Senza il cigno né la riva
Mira la sua desuetudine
Alla vista che io priva

Qui lasciai della gloriuzza
Alta così da non giungerla
Di cui molto cielo si screzia
Coi gioielli del crepuscolo

Ma languidamente costeggia
Come tolto abito bianco
Tale un uccello se s'immerga
Esultante lì daccanto

Nell'onda te divenuta
Tua fervida gioia nuda.

II • «Indomabilmente ha dovuto...»

Indomabilmente ha dovuto
Come si lancia la speranza
Prorompere lassù perduto
Con furore e con silenzio,

Voce straniera nella folta
Selvetta e non da eco seguìta
L'uccello che mai non s'ascolta
Un'altra volta nella vita.

Egli questo nel dubbio esala
E selvatico musicista,
Se non dalla sua dalla mia gola
Il singhiozzo salì più triste

Ora straziato egli intero
Resterà su qualche sentiero!

VARI SONETTI

«Quando la legge, ombra fatale...»

Quando la legge, ombra fatale, minacciò,
Un Sogno antico, male che rode le mie vertebre,
Afflitto di perire sotto le volte funebri,
In me l'indubitabile sua ala ripiegò.

O fasto, sala d'ebano, dove un re si tentò
Con le ormai rattrappite morte ghirlande celebri,
Voi non siete che orgoglio mentito dalle tenebre
Innanzi al solitario che una fede abbagliò.

Sì, la Terra lontano laggiù da quest'orrore,
L'inconsueto mistero getta con gran chiarore
Sotto i secoli immondi che l'oscurano meno.

Lo spazio, si dilati o s'annulli, sereno
Ruota tra fuochi vili testimoni nel tedio
Che s'è d'un astro in festa illuminato il genio.

«Il verginale, il bello...»

Il verginale, il bello e il vivace presente
Con un colpo dell'ala ebbra ecco ci spezza
Il duro lago obliato chiuso dal trasparente
Ghiacciaio di quei voli che mai seppero altezza!

Un cigno d'altri giorni se stesso a ricordare
S'abbandona magnifico, ma ormai senza rimedio
Per non aver cantato la plaga ove migrare
Quando già dello sterile inverno splenda il tedio.

Questa bianca agonia inflitta dallo spazio
Al collo che lo nega lo scuoterà di strazio,
Ma non l'orror del suolo dove sta prigioniero.

Forma che dona ai luoghi il suo candor di giglio,
Il Cigno senza moto nell'inutile esiglio
Si veste del disprezzo d'un gelido pensiero.

«Fuggito il bel suicida...»

Fuggito il bel suicida vittoriosamente
Tizzo di gloria, spuma sanguigna, oro, tempesta!
O riso se laggiù la porpora s'appresta
A parare fastoso il mio sepolcro assente.

Come! non un brandello più di tanto splendore
S'attarda, è mezzanotte, all'ombra della nostra festa
Eccetto che il tesoro sontuoso d'una testa
Versa la noncuranza dolce senza lucore,

La tua così per sempre delizia! sì la tua
Sola che in sé ritenga degli svaniti cieli
Un po' del fanciullesco trionfo, acconciatura,

Quando con chiarità la posi sui guanciali
Come un casco guerriero d'imperatrice infante
Da cui rose cadrebbero a esserti somigliante.

«Le pure unghie di onice...»

Le pure unghie di onice levando verso i cieli
L'Angoscia a mezzanotte sostiene, lampadofora,
Arsi dalla Feníce i sogni vesperali
Che non furono accolti da cineraria anfora:

Valve qui nella vuota sala io non discerno,
Abolito gingillo d'inanità sonora
(Poi che il Maestro attinge i pianti dell'Averno
Con questo solo oggetto di che il Nulla s'onora).

Ma accanto alla vetrata aperta al nord un oro
Agonizza seguendo l'araldico decoro
Di licorni avventanti fuoco contro un'ondina,

Ella, defunta ignuda dentro lo specchio china,
Ancor che l'oblio chiuso nel quadro presto forse
Fissi lo scintillio settemplice dell'Orse.

LA TOMBA DI EDGAR POE

Tal ch'in Lui stesso infine l'eternità lo muta,
Il Poeta staffila con una spada nuda
Il secolo atterrito di non aver udita
La morte trionfare in voce sconosciuta!

Idra che ascoltò l'angelo con un vile sussulto
Mentre dava alle voci del volgo un senso puro,
Essi lo proclamarono sortilegio bevuto
Nel gorgo senza onore di qualche fiotto cupo.

Del suolo e della nube avversari, o lamento!
Se con la nostra idea non avremo scolpito
Sulla pietra di Poe un rilievo splendente

Quieto masso quaggiù caduto da un oscuro
Disastro mostri almeno la fronte di granito
Alla nera Bestemmia che vola nel futuro.

LA TOMBA DI CHARLES BAUDELAIRE

Il tempio seppellito divulga dalla bocca
Sepolcrale di scolo bava fango e rubino
L'abominio di qualche idolo Anubí, rossa
Fiamma su tutto il muso come un urlo ferino

O che il recente gas torca losca la luce
Raccogliente si sa ogni subìto obbrobrio
Un immortale pube esso raccende truce
Il cui volo al riverbero muta dal letto proprio

Qual fronda inaridita in città senza sere
Benedire potrà com'ella rimanere
Inutilmente contro il marmo di Baudelaire

Al velo che la cinge assente abbrividendo
Quella sua Ombra stessa tutelare veleno
Sempre da respirare se d'esso periremo.

TOMBA

Anniversario - Gennaio 1897

La nera corrucciata roccia se la tempesta
La ruoti, non starà neppur sotto pie mani
Tastanti se il suo volto somigli ai mali umani
Come per benedirne qualche impronta funesta.

Qui sempre se il tubare del colombo rampolla
Quel duolo immateriale di fittissime oscura
Nubili pieghe l'astro colmo dei dì futuri
Di cui un lampeggiare argenterà la folla.

Chi cerca, il solitario balzo ripercorrendo
Poco innanzi esteriore del nostro vagabondo -
Verlaine? Egli è celato, Verlaine, tra l'erba verde

A sorprendere solo ed ingenuo d'accordo
Le labbra senza bervi né la lena esaurendo
Un piccolo ruscello calunniato la morte.

OMAGGIO

Il silenzio già funebre d'una seta ondulante
Più d'una sola piega sul mobilio dispone
Che deve a un cedimento del più forte pilone
Precipitare con la memoria mancante.

Il nostro antico giuoco del Libro trionfale,
Magici segni in cui il migliaio s'esalta
A propagare un brivido familiare con l'ala!
Celàtemelo dunque in un alto scaffale.

Dal sorridente strepito originario odiato
Tra lor di chiarità sovrane ha zampillato
Fin verso un tempio nato per il lor simulacro,

Trombe altissime d'oro sopra le carte fini,
Il dio Riccardo Wagner radiante un crisma sacro
Che pur l'inchiostro svela, singulti sibillini.

OMAGGIO

Ogni Aurora pur freddolosa
A contrarre un pugno oscuro
Contro delle trombe d'azzurro
Imboccate da questa sorda

Ha il pastore con la borraccia
E il bastone che batte duro
Lungo il suo passo futuro
Fin che l'ampia sorgente spiccia

A noi dinanzi tu così
Vivi, o solitario Puvis
De Chavannes,
tu mai solo

Di condurre a bere la Storia
Alla ninfa senza velo
Che le scopre la tua Gloria.

«DI VIAGGIARE ALLA SOLA CURA...»

Di viaggiare alla sola cura
Oltre un Oriente splendido e oscuro
- Questo saluto sia messaggero
Del tempo, capo che doppi a prora

Come su qualche antenna in basso
Tuffantesi con la caravella
Spumeggiava sempre in sollazzo
Un uccello d'un'altra novella

Che gridava monotonamente
Senza che mutasse il timone
Un inutile giacimento
Notte, gioielli e disperazione

Nel canto che il riso richiama
Del pallido Vasco de Gama.

I • «FUMI OGNI ORGOGLIO DELLA SERA...»

Fumi ogni Orgoglio della sera,
Torcia spenta con una scossa
Senza che al fine soprassedere
L'immortale alito possa!

La stanza antica dell'erede
Di tanta gloria ricca e morta
Più tepore pur non avrebbe
S'egli apparisse dalla porta.

Necessari orror del passato
Come un artiglio che s'appende
Al sepolcro denegante,

Sotto un greve marmo isolato
Nessun altro fuoco s'accende
Che la mensola folgorante.

II • «SORTO DAL BALZO E DALLA VETTA...»

Sorto dal balzo e dalla vetta
D'un lieve effimero cristallo
Senza fiorire l'amara veglia
S'interrompe ignorato il collo.

Certo mia madre e l'amante bere
Mai poterono una sola volta
Alla medesima Chimera,
Io, silfo della fredda volta!

Puro vaso di niuna essenza
Che inesauribile vedovanza
Nega pure se agonizzante,

Ingenuo bacio dei più funebri!
A nulla espirare annunciante
Una rosa in mezzo alle tenebre.

III • «S'ABOLISCE UN TENUE MERLETTO...»

S'abolisce un tenue merletto
Nel dubbio del Giuoco supremo
A dischiuder come blasfema
Solo assenza eterna di letto.

Questa bianca unanime lotta
D'una ghirlanda con sé, fuggita
Contro la luce impallidita
Più che non seppellisca fiotta.

Ma in colui che il sogno indora
Triste s'addorme una mandola
Dal cavo nulla musicale

Tale che verso le finestre
Dal suo e nessun altro ventre
Si potrebbe nascer filiale.

«QUALE SETA, BALSAMO AI TEMPI...»

Quale seta, balsamo ai tempi,
Dove s'estenua la Chimera
Vale l'attorta nube nera
Che tu fuor dello specchio tendi!

Vecchi vessilli meditanti
S'esaltano lungo la strada:
Io possiedo la tua chioma nuda
Per fuggire i miei occhi contenti.

No! La bocca non è sicura
Di soddisfare la sua arsura
Se non fa, il tuo principe amante,

In mezzo a questo ciuffo soffice
Espirare, come un diamante,
Grido di Glorie ch'esso soffoca.

«INTRODURMI NELLA TUA STORIA...»

Introdurmi nella tua storia
Come un eros sbigottito
Se ha col nudo piede toccato
Un po' d'erba del territorio

Contro ghiacciai attentatorio
Io non so l'ingenuo peccato
Che tu avrai impedito
D'alto riso la sua vittoria

Dì se il contento in me è poco
Tuono e rubini alla mia trave
Di veder nell'aria ove sale

Con dispersi reami un fuoco
Morir la ruota sangue e croco
Di mie bighe prece serale

«ALLA NUBE OPPRIMENTE, GIÙ...»

Alla nube opprimente, giù
Scoglio di basalto e di lava
Taciuto e pure l'eco schiava
D'una tuba senza virtù

Qual sepolcral naufragio (tu,
Schiuma, vi bavi ma lo chiami)
Uno supremo tra i rottami
Abolisce la vela che fu

Oppure celò che d'ira anelo
Privo di qualche alto sfacelo
Tutto l'abisso vano emerso

Nella bianca chioma fluente
Avaramente avrà sommerso
Una sirena adolescente

«SOPRA IL NOME DI PAFO RICHIUSI...»

Sopra il nome di Pafo richiusi i miei volumi
Voglio eleggere solo del mio genio sull'ali
Una rovina bene-detta da mille spume
Sotto il giacinto, lungi, dei suoi giorni trionfali.

Con silenzi di falci accorra il freddo ghiaccio,
Io non vi ululerò lunghi inutili preghi
Se dovunque l'onore del falso paesaggio
Quel candido sollazzo radendo il suolo neghi.

La mia fame che frutto nessuno qui nutrica
Trova nella lor dotta carenza ugual sapore:
Splenda di carne umana e odorante una spica!

Col piede su una biscia dove attizza l'amore,
Forse perdutamente io penso a lungo ancora
L'altra, il seno bruciato d'un'amazzone antica.

BIBLIOGRAFIA

Questo quaderno, a parte l'inserimento di poche composizioni poste piuttosto come ornamento ai margini:

Saluto
Ventaglio, della Signora Mallarmé
Foglio d'Album Rimembranza d'amici belgi
Canzonette I e II Biglietto, a Whistler
Arietta I e II

e i sonetti

La Tomba di Charles Baudelaire
Alla nube opprimente, giù...

segue l'ordine, senza il raggruppamento, presentato nell'Edizione fac-simile fatta sul manoscritto dell'autore nel 1887.
Tranne alcune correzioni, introdotte con la ristampa dei brani scelti, Vers et Prose, della Librairie Académique, il testo rimane quello della bella pubblicazione sottoscritta e poi volatilizzatasi in tante aste, che lo ha fissato. La sua rarità si fioriva, nel formato originale, scomparso, del capolavoro di Rops.
Nessuna versione anteriore è qui data come variante.
Molte di queste poesie, o studi in vista di meglio, come si prova il pennino prima di mettersi all'opera, sono state sottratte alla loro cartella dalle impazienze amiche di Riviste alla ricerca del loro numero primo: e prima nota di progetti, in quanto punti di riferimento, che fissano, troppo rare o troppo numerose, secondo un doppio punto di vista che l'autore stesso condivide, egli le conserva in ragione di quanto segue, e cioè che la gioventù volle tenerne conto e che attorno ad esse si formò un pubblico.
SALUTO (pagina 9): questo sonetto, alzando il bicchiere, di recente a un Banchetto, della Plume, con l'onore di presiedervi.
APPARIZIONE (pagina 17) tentò i musicisti, tra cui MM. Bailly e André Rossignol che vi adattarono note deliziose.
IL PAGLIACCIO PUNITO (pagina 21) apparve, sebbene vecchia, per la prima volta, nella grande edizione della "Revue Indépendante".
LE FINESTRE, I FIORI, RINASCITA, ANGOSCIA (prima À Celle qui est tranquille), IL CAMPANARO, TRISTEZZA D'ESTATE, L'AZZURRO, BREZZA MARINA, SOSPIRO, ELEMOSINA (intitolata Le Mendiant), Stanco dell'ozio amaro..., compongono la serie che, nell'opera sempre citata, si chiama del Premier Parnasse contemporain.
ERODIADE (pagina 53), qui frammento, o solo la parte dialogata, comporta oltre al cantico di san Giovanni e la sua conclusione in un ultimo monologo, un Preludio e un Finale che saranno in seguito pubblicati, e si compone in poema.
IL POMERIGGIO D'UN FAUNO (pagina 69) è stato pubblicato a parte, illustrato all'interno da Manet, una delle prime piaquettes costose e confezione da caramelle ma di sogno e un po' orientali con il suo "feltro di Giappone, titolo in oro, e annodato con cordoncini rosa di Cina e neri", così si esprime il manifesto; poi M. Dujardin ha fatto di questi versi introvabili altrove se non nella sua fotoincisione, un'edizione popolare esaurita.
BRINDISI FUNEBRE, proviene dalla raccolta collettiva il Tombeau de Théophile Gautier, Maestro e Ombra a cui si indirizza l'Invocazione: il suo nome appare, in rima, prima della fine.
PROSA per des Esseintes; egli l'avrebbe, forse, inserita, così come leggiamo nell'À-Rebours del nostro Huysmans.
Signorina voi che voleste... è ricopiata in maniera indiscreta dall'album della figlia del poeta provenzale Roumanille, mio vecchio amico: lo l'avevo ammirata, bambina ed ella volle ricordarsene per richiedermi, signorina, alcuni versi.
RIMEMBRANZA. - Provo piacere nell'inviare questo sonetto al Libro d'Oro del Circolo Excelsior, dove avevo tenuto una conferenza e conosciuto degli amici.
CANZONETTE I e II commentano, con diverse quartine, nella accolta Les Types de Paris, le illustrazioni del pittore-maestro Raffaëlli, che le ispirò e le accettò.
BIGLIETTO, pubblicata, in francese, come illustrazione al giornale inglese the Whirlwind (il Turbine) verso la quale Whistler fu principesco.
ARIETTA. I, per inaugurare, novembre 1894, la superba publicazione dell'Épreuve. II Appartiene all'album di M. Daudet.
LA TOMBA DI EDGAR POE. - Inserito nel cerimoniale, vi fu reitato, per l'erezione di un monumento a Poe, a Baltimora, un blocco di basalto che l'America appoggiò sull'ombra leggera del Poeta, perché per la propria sicurezza non ne uscisse mai più.
LA TOMBA DI CHARLES BAUDELAIRE. - Fa parte del libro con questo titolo, pubblicato con sottoscrizione in vista di una statua, busto o medaglione commemorativi.
OMAGGIO, tra molti, di un poeta francese, richiesti dall'ammirevole Revue Wagnérienne, scomparsa prima del trionfo definitivo del Genio.
Tanta minuzia testimonia, inutilmente forse, una certa deferenza verso i futuri scoliasti.

[ALTRE POESIE E SONETTI]

«UNA TORBIDA NEGRA DAL DEMONIO SQUASSATA...»

Una torbida negra dal demonio squassata
Vuol gustare una bimba triste di frutta nuove
E già anche colpevoli nella veste bucata,
Quell'ingorda s'appresta alle scaltrite prove:

Al suo ventre compara due mamme piccolette
E sì alto che mano non lo saprà tenere
Essa dardeggia il palpito buio delle scarpette
Simile a qualche lingua inabile al piacere.

Contro la nudità paurosa di gazzella
Che trema, sopra il dorso come un folle elefante
Attendendo riversa e ammirandosi, ella
Alla bimba sorride con la bocca abbagliante;

E tra le gambe dove la vittima si china,
Nera una pelle alzando aperta sotto il crine,
Il palato s'avanza di quella bocca strana
Pallida e rosa al pari di conchiglia marina.

VECCHIA OUVERTURE DI ERODIADE

LA NUTRICE

(Incantesimo)

Abolita, ed orrenda la sua ala
Nel pianto della vasca, che, abolita,
Mira gli allarmi, coi suoi ori nudi
Frustando il cielo crèmisi, un'Aurora
Ha scelto, piume araldiche, la nostra
Sacrificale e cineraria torre.
Greve tomba da cui un bell'uccello
È fuggito, capriccio solitario
D'aurora dalle vane piume nere...
Ah! maniero di tristi e decaduti
Paesi! Niente fiotta! L'acqua cupa
Si rassegna, oramai non visitata
Dalle piume e dal cigno inobliabile:
L'acqua specchia soltanto l'abbandono
D'autunno, che vi estingue la sua face:
Del cigno, quando in mezzo al mausoleo
Pallido in cui tuffò la testa, triste
Per il diamante puro di una stella,
Ma anteriore, che mai non scintillò.

Colpa! rogo! supplizio! antica aurora!
Porpora in cielo! Stagno della porpora!
Complice! E sui carnati, spalancate,
Le vetrate.

La stanza singolare
Anche nel piano che correda un secolo
Bellicoso, gioielli impalliditi,
Ha il nevoso passato per colore
E la tappezzeria di madreperla,
Pieghe vane con gli occhi seppelliti
Di sibille offerenti vecchie dita
Ai Magi. Una tra esse, dal passato
Di fogliami, sul candido mio abito
Chiuso in avorio, con un cielo sparso
D'uccelli nero-argento, sembra in voli
Di fantasma partire mascherata,
Una fragranza, o rose! che conduce
Una fragranza, lungi da quel letto
Vuoto che un cero spento nascondeva,
Una fragranza d'oro freddo intorno
Al cuscinetto, ciuffo di corolle
Spergiure con la luna (se ne sfoglia
Alla cera spirata ancora una),
Il cui lungo rimpianto ed i cui steli
Chiude un sol vaso, languido splendore.
Trascinava un'Aurora ali tra il pianto!

Ombra maga dai fascini simbolici!
Una voce, una lunga evocazione
Dal passato, è la mia, forse all'incanto
Pronta? Tra gialle pieghe dal pensiero
Ancora trascinando, antica, uguale
A una stella incensata su un confuso
Cumulo d'ostensorî raffreddati,
Tra vecchi buchi e pieghe irrigidite
Secondo il ritmo e le non tocche trine
Del sudario che lascia tra i merletti
Disperato salire lo splendore
Velato s'alza: (o quale lontananza
Celata in questi appelli!) lo splendore
Vecchio, venato di rossore insolito,
Della voce languente, nulla, senza
Accoliti il suo oro getterà
In estremi bagliori, essa, ancora,
L'antifona dal verso che richiede,
All'agonia, all'ora delle lotte
Funebri! E a forza di silenzio e tenebra
Tutto ugualmente torna, vinto, stanco,
Fatidico, monotono, nel vecchio
Passato, come si rassegna l'acqua
Nelle vasche d'un tempo.

Ella ha cantato,
Talora incoerente, lamentabile
Segno! Il letto di pagine sottili,
Tale, vano e claustrale, non è il lino!
Che dei sogni tra pieghe non ha più
Care magie, né il morto baldacchino
Dalla deserta seta, dei capelli
Addormiti il profumo. Ma l'aveva?
Fredda fanciulla, di serbare all'alba
Brividente di fiori il suo piacere
Sottile, il suo passeggio a sera quando
L'ora cattiva fende melograni!
La luna, sì la sola è sul quadrante
Ferreo dell'orologio, sospendendo
Lucifero, ferisce sempre, sempre
Un'ora nuova di clessidra, pianto
Di goccia oscura, che, caduta, va,
E su quell'ombra, su quell'ineffabile
Passo, non l'accompagna un solo angelo!
Ciò non sa il re che assolda, da gran tempo
La vecchia gola è inaridita. Il padre
Ciò non sa, né il terribile ghiacciaio
Che ne specchia l'acciaio delle armi,
Quando, giacendo sopra una congerie
Di morti senza bara dal profumo
Di resina, enigmatico, egli offre
Ai vecchi abeti le sue trombe argentee!
Tornerà un giorno dai paesi alpestri!
In tempo? Perché tutto qui è presagio
Cattivo sogno! All'unghia che sul vetro
S'alza con il ricordo delle trombe,
Il vecchio cielo brucia e muta un dito
In un cero bramoso, e il suo rossore
Di crepuscolo triste affonderà
Presto dentro la cera che indietreggia!
Di crepuscolo no, ma d'alba rossa
Alba del giorno ultimo che viene
Tutto a finire, se così si torce
Che non più si sa l'ora, il rosseggiare
Di quest'ora profetica che piange
Su di lei, esiliata nel suo cuore
Prezioso, la fanciulla, come un cigno
Che nasconde i suoi occhi tra le piume,
Come tra le sue piume il vecchio cigno,
Passata angoscia delle piume, lungo
L'eterno viale delle sue speranze,
Per vedere i diamanti eletti d'una
Stella morente, e che non brilla più.

CANTICO DI SAN GIOVANNI

Il sole che nell'alta
Attesa là s'esalta
Ben presto ridiscende
Incandescente

Sento come alle vertebre
Dispiegarsi le tenebre
In un brivido lungo
Tutte congiunte

E la mia testa sorta
Sola vigile scorta
Nei voli trionfali
Di questa falce

Come rottura franca
Piuttosto calca o tronca
L'antico disaccordo
Con il suo corpo

Che di digiuni ebbra
Ancora seguirebbe
In qualche truce balzo
Il puro sguardo

Dove l'eterno gelo
Non tollera su al cielo
Che lo vinciate mai
Voi o ghiacciai

Ma secondo un battesimo
Luminosa al medesimo
Ente che mi ha voluto
China un saluto.

NEL GIARDINO

La giovane donna che avanza sul prato
Innanzi all'estate adorna di pomi e di grazie,
Quando delle ore il pieno mezzodì scocca le dodici,
In quella pienezza fermando i bei passi,

Disse un giorno, tragica abbandonata, - sposa -
Alla morte che seduceva il suo Poeta: Trapasso!
Tu menti. O vano clima nullo! io mi so gelosa
Del falso Eden che, triste, egli non abiterà.

Ecco perché i fiori profondi della terra
L'amano con silenzio e scienza e mistero,
Mentre nel loro cuore sogna il puro polline:

Ed egli, quando la brezza, ebbra di delizie,
Sospende per un attimo un nome che i calici rapisce,
Con voce flebile, talvolta, chiama piano: Ellen!

(V.R.)

SONETTO

(Per la vostra cara morta, il suo amico).
2 novembre 1877

- «Quando sui boschi obliati l'inverno più s'adombra
Tu piangi, o prigioniero solitario alla soglia
Perché questo sepolcro gemino, nostro orgoglio,
Ahimè! solo d'assenti grevi fiori s'ingombra.

Invano Mezzanotte cade nella penombra,
Non odi, gli occhi fissi t'esalti nella veglia
Fino a che sull'antica poltrona nel barbaglio
Dell'estremo tizzone appaia la mia Ombra.

Chi sovente desidera la Visita non deve
Premer con troppi fiori la pietra che solleva
La mia mano col tedio d'una forza sepolta.

Anima al chiaro fuoco tremante di sedere,
Per riviver mi basta se alle tue labbra ascolto
Il soffio del mio nome mormorato alle sere».

«DAMA CON CALMO ARDORE...»

Dama
Con calmo ardore tutt'insieme infiammante
La rosa che, crudele o strazïata e stanca
La porpora dislaccia pur della veste bianca
Per udir nella carne sua piangere il diamante,

Sì senza queste crisi di gocce e gentilmente
Né brezza pur se il cielo, con esso, tempestoso
Io non so quale spazio arrechi frettoloso
Al solo giorno il giorno vero del sentimento,

Non credi tu, diciamo, ch'ogni stagion propizia
Di cui spontanea in fronte ti rinasce la grazia
Basti per me e secondo una certa apparenza

Come un fresco ventaglio stupisce nella stanza
Se di quel po' che occorre d'emozione riattizza
Tutta la nostra prima monotona amicizia.

«TANTO CARA DA LUNGI E PRESSO...»

Tanto cara da lungi e presso e bianca, tanto
Te deliziosamente, Mary, che a un emanato
Balsamo raro io penso, ingannevole incanto,
Sopra qualche bel vaso di cristallo velato

Lo sai tu, sì! per me ecco da anni ormai
Da sempre il tuo sorriso risplendente colora
La rosa e la sua bella estate che non mai
Si muta, nel passato e nel futuro ancora.

Il cuore che talora nelle notti è in ascolto
O con qual nuovo nome dirti più tenerezza
S'esalta in quello, appena sussurro, di sorella

Ma tu, grande tesoro e sì piccolo volto,
Sottovoce m'insegni tutta un'altra dolcezza
Con il bacio soltanto detta nei tuoi capelli.

VENTAGLIO

di Méry Laurent

Frigide rose per aver vita
Tutte insieme interromperanno
Con un pronto calice bianco
Il vostro soffio fattosi brina

Ma fa che il mio battito liberi
La ciocca con un colpo più fondo
Questa frigidità si fonde
In un riso ebbro di vivere

A gettare il cielo in ritagli
Ecco come tu buon ventaglio
Convieni meglio d'un profumo

Non racchiudendo in sé nessuno
Inviolato od intatto così
L'aroma emanato da Méry.

CANZONETTE

III • (Lo Stradino)

Questi sassi tu livelli
E io, come trovatore,
Così un cubo di cervelli
Debbo aprire a tutte l'ore.

IV • (Il Venditore d'aglio e di cipolle)

Il tedio di recarci in visita
Con l'aglio noi allontaniamo.
L'elegia alle lacrime esita
Poco se cipolle tagliamo.

V • (La Moglie dell'operaio)

La zuppa, il bimbo, la donna
Al cavapietre destinati
Lo complimentano ch'egli rompa
con l'usanza di sposarsi.

VI • (Il Vetraio)

Il puro sole che ripone
Troppa luce per discernervi
Toglie abbagliato la camicia
Del vetraio dal suo groppone.

VII • (Il Giornalaio)

Sempre, non importa il titolo,
Senza pure un raffreddore,
Questo allegro bevitore
Grida un primo numero.

VIII • (La Venditrice d'abiti)

L'occhio vivo con cui valuti
Fino al loro contenuto
Mi separa dai miei abiti
E come un dio vado nudo.

RONDÒ

I • Nulla al risveglio...

Nulla al risveglio che non abbiate
Con qualche moina considerato
E più ancora se il riso scuote
Sui guanciali l'ala dorata

Indifferente voi sonnecchiate
Senza timor che sveli un fiato
Nulla al risveglio che non abbiate
Con qualche moina considerato

Tutti i sogni meravigliati
Che questa beltà li mandi a vuoto
Non producono fior sulla gota
Dentro l'occhio diamanti impagati
Nulla al risveglio che non abbiate

II • Se tu vuoi noi ci ameremo...

Se tu vuoi noi ci ameremo
Con le tue labbra senza parlare
Questa rosa non lasceremo
Che per un silenzio maggiore

I canti mai lanciano pieno
Del sorriso il puro splendore
Se tu vuoi noi ci ameremo
Con le tue labbra senza parlare

Zitto zitto tra i tondi sale
Silfo tra porpora imperiale
Un fiammante bacio allo stremo
Spezzato sulla punta dell'ale
Se tu vuoi noi ci ameremo

ARIETTA

(GUERRESCA)

Ciò mi va fuorché il tacere
Ch'io mi senta al focolare
Un calzone militare
Alla gamba rosseggiare

Sto in vedetta all'invasione
Col corruccio che conviene
Giust'appunto del bastone
Che sta in mano al marmittone

Nudo o con la scorza fresca
Non per battere il Tedesco
Ma minaccia altra se esca
Alla fine non v'incresca

Se io estirpo la simpatia
Quest'ortica questa pazzia

«L'ANIMA TUTTA RÏASSUME...»

L'anima tutta rïassume
Quando noi espiriamo in molti
Anelli placidi di fumo
Già da nuovi anelli dissolti

Sapiente sigaro e dichiara
Consumandosi a poco a poco
Se la cenere si separa
Dal suo chiaro bacio di fuoco

Così il coro delle romanze
Dal tuo labbro voli sottile
E tu escludine dinanzi
Il reale perch'esso è vile

Il senso troppo esatto oscura
La tua vaga letteratura