LORD GEORGE GORDON BYRON

IL CORSARO

CANTO PRIMO



CANTO PRIMO

"... nessun maggiore dolore,
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria,.,.".

Dante

I

Sulle serene onde del mar azzurro cupo
I nostri pensieri e i nostri cuori liberi e sconfinati
al par di quello,
Dovunque ci conduca il vento e il flutto spumeggiante,
Un impero posseggono e una patria!
Questo è il nostro dominio illimitato,
E nostro scettro è quel vessillo che tutti fa tremare.
Qui è l'irrequieta nostra vita, che divisa è sempre
Fra gli affanni e l'ozio, sempre gioiosa al mutar della sorte.
Chi può dir questo come noi?
Non certo tu che schiavo di mollezze Cadere il cuor ti sentiresti
All'agitarsi primo delle onde.
Né tu, fatuo signor di agi e di lascivie
Cui più riposo non arreca il sonno che il piacere più non sazia.
Oh, chi può dir, se non colui che ha sperimentato nel suo cuore,
In trionfo danzando sull'oceano vasto,
Il senso pieno della vita, il folle battere del polso,
Il fremito che coglie chi solca queste vie senz'orma?
Dirlo può sol colui che ama l'approssimarsi della mischia
E vede volgersi in piacere quel ch'è minaccia per altrui;
E che zelante cerca quel che rifuggono i codardi
E là dove il debole cadrebbe, soltanto lui,
Soltanto lui può sentirsi il cuor balzare in petto
E spiriti e speranze ridestarsi.
Tema di morte non abbiamo, se pur con noi cade il nemico;
Essa non è per noi altro che un sonno più pesante;
E venga quando vuole, la vita della vita noi cogliamo.
Perduta ch'essa sia, che importanza può aver
Che ne sia stata causa un morbo o uno scontro in battaglia?
Chi del proprio disfacimento si compiace
Trascini pur per lungo corso d'anni un'esistenza di malato;
Tra il penoso ansimar e il ciondolar del capo paralitico:
A noi toccherà la fresca zolla e non un letto reso ardente dalla febbre
A lui tra i rantoli a fatica dal petto l'anima uscirà,
A noi quasi d'un balzo, in un ansito solo, si scioglierà dai lacci.
Vada pur fiera la sua spoglia d'un'urna o d'un'esigua fossa,
E chi lo dileggiò durante la sua vita
A onoramela tomba si disponga.
Le nostre lacrime, al contrario, pur se scarse, son sincere
Quando l'oceano copre d'un liquido sepolcro il nostro estinto.
Per noi anche il convito offre caldo rimpianto
Nella coppa rossa che la memoria nostra onora

E un succinto epitaffio nel periglioso giorno
Allorché i vincitori si spartiscono il bottino
E gridan, mesta la fronte oppressa dal ricordo,
"Come avrebbe esultato in tal momento il valoroso che è caduto!".


II

Nell'isola del Pirata è questo il coro

Che si leva intorno ai fuochi della veglia,
Queste le note che riecheggian per le rupi,
Che a quelle orecchie rozze risuonan come un canto!
In gruppi sparsi sulla bionda sabbia
Si sfidano, o trincano, o conversano, o affilano la spada,
Scelgono l'armi e a ciascuno assegnano una lama,
E indifferente è l'occhio al sangue che ne offusca il baglior.
Chi ripara gli scafi, chi il timone aggiusta o il remo,
Chi meditando vaga lungo il lido;
Chi solerte prepara lacci per gli uccelli,
Chi al sole stende le stillanti reti;
Se lontano nel mar almeno un segno possa apparir di vela
Con occhio avido d'imprese vanno tutti cercando.
Narra ciascun dei molti e molti pericoli notturni
E già si chiede dove sarà il prossimo bottino:
Dove, non ha importanza, ché a questo pensa il Capo.
E quel che tocca a br è non fallire il colpo.

Ma chi è mai questo Capo? Per ogni lido il nome suo
Fama ha tremenda: altro quelli non chiedono né sanno.
Egli si unisce a br solo per comandare;
Rare le sue parole, ma acuto è l'occhio e pronto è il braccio.
Mai condisce con gioia quei gioviali conviti,
Ma quel silenzio gli perdonan in virtù delle sue gesta.
Giammai per il suo labbro la purpurea coppa van colmando,
E il nappo passa innanzi a lui non degustato;
E di tal sorta è il pasto suo che il più rude uom della sua ciurma
Di assaggiare perfin disdegnerebbe;
Il pane più comune che vi sia, del domestico orto le radici,
E qualche frutto che dell'estiva stagion è la ricchezza,

Quella mensa frugale riforniscon
Di ciò che un eremita non potrebbe rifiutare.
Ma nel fuggir dei sensi le gioie grossolane,
Par che di tale astinenza il suo spirito nutra.
"A quel lido drizzate!". Ed essi vanno. "Fate così". E presto è fatto.
"E ora dietro a me in compatta schiera!".
E il saccheggio è compiuto.
Pronti sono i suoi detti e pronti gli atti,
E ciascun vi obbedisce e i pochi che ardiscon far domande
Breve risposta e disdegnoso sguardo
Da lui ricevon qual unica rampogna.


III

"Una vela, una vela!". Ecco il premio promesso alla Speranza!
E la nazione? La bandiera? Che mostra il telescopio?
Ahimé, no, non c'è premio, eppure benvenuta sia la vela:
Vermiglio come il sangue freme al vento il vessillo.
Sì, un vascello è dei nostri che ritorna,
Soffia prospera o brezza! L'ancora getterà prima di sera.
Di già doppiato è il capo, di già la baia
Tra le spume dei flutti quella superba prora accoglie.
Vedi con qual baldanza esso procede!
Con l'ali bianche dispiegate, mai tuttavia per fuggir l'avversario,
Come vivente creatura solca l'onde,
E pare che allo scontro gli elementi sfidi.
Chi non ardirebbe affrontar d'una battaglia i fuochi,

D'un naufragio i disastri,
Pur di farsi signor della sua tolda popolosa?


IV

Rauca lungo il suo fianco la gomena discende;
Si ammainano le vele, al calar dell'ancora il vascello ondeggia,
E già vedon gli oziosi accorsi sulla riva
Il battello che scende dalla poppa robusta:
D'uomini è tutto pieno, con i veloci remi si avvicina
E la chiglia la secca va sfiorando.
S'alza un coro d'evviva e d'amichevoli saluti!
Per tutto il lido la mano l'uno all'altro stringe;
Risa, domande, sollecite risposte,
E attesa di gran festa in tutti i cuori!


V

Rapida si diffonde la notizia, una gran folla accorre sulla spiagga;
Tra un frastuono di voci e grida che si alzan risonanti
S'odon di donne ansiose i più gentili accenti,

E d'amico, di sposo, ovver d'amante ogni amoroso
Labbro dice il nome.
"Son dunque salvi? Nulla c'importa dell'impresa.
Quando vederli si potrà? E ci daran conforto i loro detti?
Là dove infuria la battaglia e dove il flutto più s'adira
Per certo si comportarono da prodi, ma chi di br scampò?
Corrano dunque a rallegrarci
E con un bacio a dissipar il dubbio dagli occhi nostri deliziati!".


VI

"Dove si trova il nostro Capo? C'è per lui un messaggio,
Forse breve è la gioia per il nostro ritorno
E tuttavia sincera; è pur sempre una festa anche se rapida dilegua!
Or dunque, Juan, portaci rapido dal Capo:
Dopo i saluti doverosi la festa si farà per il ritorno,
E ascolteremo tutti quel che ciascun desidera sapere".
Lenti si avviano su per l'erta rocciosa

Alla torre di guardia che la baia sovrasta,
Fra cespugli di felci e di silvestri fiori,
Tra le argentine e fresche polle
Che scaturiscon dalla roccia di granito
E allettan con le chiare e fresche spume
L'assetato viandante.
Di dirupo in dirupo van salendo; lassù presso la grotta,
Che guarda mai quell'uomo solitario verso il mare?
Pensosamente egli si appoggia al brando
Che non fu mai per quell'ardito braccio bastone da riposo.
"E lui, è Conrad, secondo il suo costume, solo;
Va' dunque, Juane fa' che il nostro piano egli conosca.
Il nostro legno egli scorto ha di già, digli che presto
Ascolterà da noi notizie urgenti:
Ancora non osiamo avvicinano, tu ben sai quanto egli s'adombri
Se a lui s'accosta persona sconosciuta o non gradita".


VII

Juan è da lui e tutto il piano espone;
Egli tacito ascolta e sol col capo assente.
Juan chiama i suoi compagni, essi son là, al lor saluto
Egli appena s'inchina e non fa motto.
"Queste lettere, Capo, vengon dal Greco che spiando
Sempre ci avvisa se prossimi son conquiste o rischi:
Quali che siano le sue nuove noi ti riferiamo,
Or si potrebbe...". "Basta così", dice troncando quei discorsi.
Pieni si fan di meraviglia e confusione, e intanto che all'orecchio
L'uno all'altro sussurra congetture,

Van spiando il suo volto con furtive occhiate
Per coglier nel suo sguardo l'effetto del messaggio.
Come se questo avesse immaginato, egli le spalle volge,
Per emozione non tradir o dubbio, o per orgoglio,

E il plico legge, "Le tavolette mie, Juan, ascolta,
Consalvo dov'è mai?".
"Nei legno ch'è ancorato"
"E che resti colà, quest'ordine a lui tu porterai.
E voi al dover vostro, per allestire la partenza:
Io stesso questa sera sarò al comando dell'impresa".
"Signore, questa sera stessa?".
"Certo, al calar del sole:
Quando sarà il tramonto anche la brezza più fresca si farà.
Il corsaletto mio, il mantello, un'ora sola e già saremo andati.
Il corno alla tua spalla appendi, senza ruggine alcuna
Fa' che la carabina non tradisca le mie attese.
Fa' che ben affilato sia il mio brando
E che più ampia l'elsa sia e adatta alla mia mano.
Questo esegua rapido l'armiere,
Da ultimo essa il mio braccio affaticò molto più del nemico:
Provvedi che il segnai del fuoco venga dato in tempo
Per annunciar a noi che l'ora di sostar è terminata".


VIII

Obbediscono tutti e in fretta se ne vanno,
Pronti a solcar ancora, e così presto, la distesa marina:
Né alcuno sa rammaricarsi perché è Conrad il capo dell'impresa,
E chi mai contrastar oserebbe le decisioni sue?
Quell'uomo solitario e misterioso,

Raro al sorriso e raro anche al sospiro,
Il cui nome anche i più fieri della ciurma fa tremare,
E quei volti abbronzati rende smorti,
E su di lor sa imporsi con quell'arte dell'imperio
Che confonde, domina e ogni cuor raggela.
Che cos'è mai questa malia che la sua gente senza legge
Riconosce e invidia e tuttavia contrasta invano?
Che cos'è mai questa malia che fedeli a lui tutti li piega?
E il poter del Pensiero, è della Mente la magia!
Essi son vincolati dal successo, E più sicuri son fatti dall'astuzia
Che l'altrui debolezza modella a piacer suo.
E ver, egli si serve della forza dei suoi, ma all'insaputa loro,
E di quelli le imprese più gagliarde fa apparir come sue.
Sempre così è stato sotto il sole, così sarà per sempre,
Sempre per uno solo s'affaticano i più!
Tale è la legge di Natura, ma l'infelice che s'affanna
Non deve maledir, non deve odiare chi trionfa per lui.
Se delle fulgide catene il peso conoscesse

Oh, quanto gli parrebbe lieve
Il gravar del suo umile travaglio!


IX

A differenza degli eroi degli evi antichi

Demoni agli atti ma angeli nel volto,
Poche attrattive ha Conrad nell'aspetto,
Pur se sguardi di fuoco adombra il bruno ciglio;
Egli è possente, eppur un Ercole non è,
Gigantesca non è la sua statura;
Eppur chi lo guardasse nel complesso,
Vi scorgerebbe il tratto che dai più lo distingue.
Si meraviglia chi lo vede e tuttavia confessa
Che così è, ed il perché si chiede.
Dal sol brunita è la sua guancia; la fronte sua pallida e alta
Ricopron scompigliate nere ciocche;
E spesso, involontario, rivela un moto del suo labbro
Il superbo pensier ch'egli raffrena
E tuttavia non sa celare.
Pur se pacata è la sua voce e placido l'aspetto,
Par sempre ch'egli provi un turbamento
Che non desideri mostrare.
I profondi solchi che segnano quel volto e il mutar del colore
Attirano lo sguardo e insieme lo confondono
Come se in quegli oscuri recessi della mente
Forma prendesser passioni tempestose, quantunque indefinite.
Forse è proprio così, ma chi può dirlo con certezza?
L'indiscreta domanda si spegnerebbe al gelo del suo sguardo.
Ben pochi ardiscono sfidar da pari a pari
L'occhio suo inquisitore.
Egli possiede l'arte, quando uno sguardo accorto vuol cercare
Di scandagliar quel cuore e del volto spiarne i mutamenti,
Di spiar a sua volta chi l'osserva...
Per farlo meditar sopra se stesso
E farlo timoroso di rivelar al suo signor
Un segreto pensiero piuttosto che sondar quello di Conrad.
C'è nel suo riso il ghigno d'un demonio,

Che suscita emozioni miste di rabbia e di paura,
E là dove egli volge il rabbuiato suo cipiglio
Gemendo per sempre se ne vanno e Speranza e Pietà.


X

Ma del malvagio suo pensier son lievi i segni,
Solo nell'intimo, solo nell'intimo del cuore lo spirito s'infiamma!
Amor palesa tutti i mutamenti,

Odio, al contrario, Ambizione e Inganno
Non più che un amaro sorriso san mostrare.
Un fuggevol moto del suo labbro, il più lieve pallor che si diffonde
Sull'impassibile suo aspetto, di profonde passioni

Parlano da soli, e chi volesse l'effetto misurarne
Deve osservar senza esser visto.
Allor, precipitoso il passo, l'occhio levato al cielo,

Strette le mani come in pausa d'agonia,
Tende l'orecchio, all'improvviso balza, nel timor che troppo
L'intruso si avvicini a spiar quegli istanti di terrore.
Ogni tratto del volto, del cuor mostra il tumulto,
Libere le passioni si fanno più violente, né possono placarsi
Allor ch'erompon nel confuso contrasto che la gota
Fa gelar o avvampar, o rende madida la fronte.
Allor soltanto, o stranier, se pur ne hai l'ardire
Vieni a mirar l'anima sua e la tranquillità che gli è donata in sorte!
Vieni a veder quel fosco e solitario cuore
Quanto arda al pensier del maledetto suo passato!
Vieni a veder; ma chi ha mai visto o mai potrà vedere
D'un uomo tal lo sfogo delle segrete cure?


XI

Eppur non era Conrad da Natura fatto

Per guidar chi si macchia di colpe,
Era lui stesso strumento terribile di colpa;
L'animo suo era mutato e molto tempo prima
Che gli atti suoi lo inducesser a portare guerra al mondo
E a ripudiare il cielo.
Appreso aveva la lezion del Disinganno:
Esser saggio a parole e inetto al fare;
Saldo troppo per ceder, troppo orgoglioso per piegarsi,
Dalle sue arti frodolente sopraffatto,
Quell'arti stesse come causa del suo mal malediceva
E non il traditor che sempre lo tradiva;
Né stimava che conceder favori a più degna persona
Gioia dargli potesse o mezzo per concederne ancora.
Temuto, schivato, calunniato,
Così trascorse il fior della sua prima giovinezza;
Troppo gli uomini odiava per provar rimorso
Ed era certo che della collera la voce
Come una forza sovrumana lo chiamasse
A vendicar su tutti le offese d'uno solo.
D'esser ribaldo non ignora, ma di sé migliore
Il prossimo suo egli non stima.
Disdegna il buono e l'ipocrita disdegna
Che occulta quel che l'ardimentoso compie in piena luce.
Ben sa d'esser odiato, e tuttavia sa bene
Quanto chi lo detesta tremi vilmente al suo cospetto.
Solitario, selvatico, bizzarro, egli vive così
Senza provar né moto di passione né moto di disprezzo.
Il suo nome contrista, sorprendon le sue gesta
Eppure chi lo teme di dileggiano non ardisce.
Dispregia l'uomo il verme, e tuttavia si guarda bene
Dal ridestare dell'attorto serpe l'assopito veleno.
L'uno può rivoltarsi senza poter peraltro vendicare il morso;
Muor l'altro, ma alla morte trascina il suo avversario;
Veloce esso s'avvinghia a chi l'assale;
Schiacciar si può ma non domar finch'esso può colpire!


XII

Nessuno tuttavia è malvagio del tutto, egli ha nei cuore
Un dolce affetto che non lo abbandona.
Spesso egli spregia chi si fa fuorviare

Da sentimenti degni di uno sciocco o di un fanciullo,
E di lottare tuttavia si sforza invano
Contro una passione che anche per uno come lui
D'Amore ha nome!
Sì, è vero Amor, immutabile, immutato,
Per una donna da cui giammai si vuol diviso.
Benché le più leggiadre prigioniere vogliano attrarlo

Con lo sguardo,
Egli le sfugge e non le cerca, ma freddo passa
Innanzi a lor.
Ancor che numerose beltà giacciano schiave nel Serraglio,
Nessuna mai di ion ha reso liete le ore sue più oziose.
Sì, per certo è Amor, se teneri pensieri

Pur duramente messi a prova, più forti son fatti
Dalle angustie,
Ancor più fermi dalla lontananza,
Invariati a ogni mutar di cielo,
E quel che è più, dal tempo non consunti!
Pensieri che né speranza delusa né d'inganno l'infamia
Posson indebolir s'ella sorride;
Né vampa d'ira né acerbissima pena
Può palesar accanto a lei il minimo scontento.
Sempre egli vuoi incontrarla con gioia e lasciarla serena
Nel timor che un ansioso suo sguardo non le sconvolga il cuore.
Un tal affetto che nulla può strappare
Se amore ai mortali è dato in sorte, altro non è che amore!
Ah, sì, egli è un ribaldo!

E mille e mille accuse
Ricadon su di lui, empia non è però la sua passione
Che indomita egli sente; svanita ogni altra sua virtù,
Neppure la sua colpa estinguer può quel sentimento
Che fra tutti è il più dolce!


XIII

Sostò un momento, finché gli uomini suoi, veloci,
Superato il tornante, si diressero al piano.
"Ben strane nuove! tanti rischi ho affrontato,
Ma non saprei perché, questo mi appar l'ultimo mio!
Eppur così predice il cuor; timor non voglio avere, tuttavia,
Ché trovarmi non deve la mia ciurma
Nel dubbio vacillante.
Affrontare la morte è temerario,

Ma più mortal ancora è aspettare
Che all'inesorabile destino il nemico ci spinga.
Se il mio piano fallisse e se contraria fosse la Fortuna,
In molti saranno a lagrimar sul nostro rogo.
Ah, sì, dorman pur costoro e pacifici siano i loro sogni!
Mai li risveglierà il giorno con raggi più splendenti
Di quelli che arderanno questa notte, purché il vento spiri,
Per rianimar questo infiacchito vendicator dei mari.
E ora da Medora! oh mio oppresso cuore!
Per sempre possa il cuor di lei più lieve esser di te!
Eppur son prode; grande vanto davvero fra tanti prodi!
Gli stessi insetti del pungiglion fan uso
A difesa di ciò che hanno più caro.
Questo coraggio che l'infima creatura mostra al pari di noi,
Poco merito accampa, ma degno fu il mio intento
Nell'addestrar i pochi miei seguaci a scontrarsi coi molti.
Sempre io dissi br di non versare sangue inutilmente:
Or non c'è scelta, si perisca o si vinca!
E così sia, di morir non m'incresce,
Bensì d'inviarli là dove per loro non c'è scampo.
Da tempo ormai della mia sorte ho poca cura,
Ma il mio orgoglio freme nel vedermi preso in questa rete.
E tutta qui l'intelligenza mia, questa è la mia abilità
Se in una sola impresa la speranza e le forze pongo in gioco?
Ah, qual destino! La tua follia devi accusar, non il destino,
Ella può ançor salvarti; purché non sia già tardi!".


XIV

Nei suoi pensieri stava così raccolto,
Allorché giunse in vetta al monte che una torre corona:
Presso il portal si soffermò, ponendosi all'ascolto
Di quelle dolci note che udiva raramente;
Di tra l'alta inferriata il soavissimo canto si levava,
E dell'usignolo suo leggiadro eran questi gli accenti:


1

"Profondo nel mio cuor riposa un tenero segreto,

Gelosamente custodito e a tutti sconosciuto,
E sol si svela quando il mio cuor col tuo batte in accordo,
E quindi a palpitar ritorna nel silenzio.


2

Qui entro, qual funereo lume

Arde di lenta, eterna, invisibil fiamma
Ch'estinguer non può disperazione cupa
Pur se come non mai è flebile il suo raggio.


3

Ricordati di me! Oh, non passar sulla mia tomba

Indifferente alle reliquie ch'essa cela:
La sola pena che il mio cuor non regge
E quella di trovar oblio dentro al tuo cuore!


4

Ascolta le mie parole appassionate, flebili ed estreme:

Non biasima Virtù il pianto per l'estinto;
Una lacrima sol è quanto io ti chiedo,
La ricompensa prima, ultima e sola di questo mio immenso amore!".
Egli varcò la soglia, l'andito percorse
Ed entrò nella stanza al terminar del canto:
"Oh, mia Medora - esclama - quanta tristezza c'è nelle tue note!".

"Se Conrad è lontano, potrei dunque gioir?

Se tu non sei con me ad ascoltarmi,
Sempre col canto mio s'effonde dell'animo la pena:
Sempre ogni accento è l'eco del mio cuore,
Del mio cuore in tumulto, benché sia muto il labbro!
Oh quante notti nel mio giaciglio solitario
Temevo in sogno che il vento tempeste scatenasse,
O che la brezza che fremer faceva dolcemente la tua vela
Fosse preludio mormorante di soffio più violento.
Era pur lieve quella brezza, eppur sembrava
Cupo profetico lamento che te piangesse
Preso in balia dall'infuriata onda.
Allor balzar dal letto io volevo
Per riattizzar la fiaccola del faro
Nel timor che per negligenza di guardiani
Estinguer si potesse.
E quante ore inquiete ho passato a osservar le stelle a una a una,
E giungeva il mattino, ma tu non c'eri ancora.
Oh, come gelida soffiava sul mio cuor la brezza,
Come funesto irrompeva il giorno sugli sconvolti miei pensieri,
E io ero sempre là con gli occhi fissi al mare,
Ma non c'era prora che al mio pianto, alla mia fede e ai voti
Un conforto portasse!
Alfin, sul mezzogiorno, scorsi una vela che salutai e benedissi,
S'avvicinò, o me infelice, e passò oltre!
Ne giunse un'altra, gran Dio, e quella era la tua!
Mai più vivrei giorni così affannati
Se tu imparassi a divider con me le gioie del riposo!
Tu sei già più che ricco e tanti altri luoghi

Ameni al par di questo invitarti potranno
A lasciar questa vita raminga.
Non è il pericolo, tu lo sai, che mi spaventa,
Io tremo solo se tu sei lontano;
Né tremo per la vita mia ma per la tua

Di gran lunga più cara,
Che sempre per amore di uno scontro
Dall'amor mio rifugge.
Strano davvero è questo tuo cuore, con me pur tanto dolce,
Con la natura sempre in guerra e con quel che desidera più forte!".
"Strano davver è questo cuore, mutato da gran tempo;
Schiacciato come il verme, s'è vendicato come un aspide,
Senza speranza alcuna sulla terra che non fosse il tuo amore,
E solo in cenno di pietà dal cielo.

Questi miei sentimenti che pure tu condanni,
Il mio amor per te che odio è per gli altri,
Son tanto strettamente avvinti che se fosser disciolti,
L'uman genere amando, cesserei d'amarti.
Ma non temer, tutto il passato è prova
Che il mio amore per te non può finire.
Coraggio, ordunque, o mia Medora!
Pur se per breve tempo, per una volta ancora dobbiamo separarci".

"Separarci adesso? Me lo diceva il cuore:

Sempre così dilegua d'ogni mia gioia il più bel sogno.
Lasciarci adesso! Ah, non può esser vero!
Or ora quel vascello nella baia l'ancora ha calato:
L'altro è lontano, e alla sua ciurma occorre
Un poco di riposo prima di affrontar nuovi cimenti.
Amore mio, della mia debolezza tu ti burli,
E, prima di ferirlo, più forte ancor vuoi rendere il mio cuore.
Or non giocare più con la mia ambascia,
Sono per me i tuoi scherzi più amari che gioiosi.
Ora taci, mio bene, vieni con me a divider il festino
Ch'io stessa con mano trepidante ti allestii.
Lieve fatica, inver, fu il prepararti questo pasto frugale!
Guarda, ho raccolto la frutta che pareva più matura,
O comunque a te la più gradita, cercando sempre
Quella che giudicavo la più bella: per ben tre volte
Mi son ferita il piede salendo la collina
Per trovar freschissima sorgente.
Sì, stasera gusterai un dolcissimo sorbetto:
E là, nella coppa di ghiaccio, scintillante!
Del grappolo il gioioso liquor giammai non ti rallegra;
Quando sul desco appare il nappo,
Più musulmano sei d'un musulmano.
Ma non pensar che te ne faccia colpa, ché anzi mi rallegro
Che sia per te una scelta quel ch'è rinuncia per altrui.
Deh vieni, allestita è la mensa e accesa è già
La lampada d'argento che non teme vento di Scirocco.
T'intratterranno intanto le mie ancelle

E io con lor potrò danzare, oppur sulla chitarra
Quegli accordi trarrò che sono a te più grati
Per l'animo placarti o indurti al sonno,
O se questo l'orecchio t'affliggesse,
Si leggera la storia, dall'Ariosto narrata,
Di Olimpia la bella che in epoca remota
Dal suo amante venne abbandonata.
Se tu crudel più fossi del traditor della misera fanciulla,
Avresti cuore di lasciarmi ancora,
O più crude! persino di quell'infame traditor (tu ne sorridevi)
Quando al chiaror del cielo appariva l'isola d'Arianna,
Che t'indicavo qui da questi scogli,

E intanto, un poco per scherzar un poco per timore
Che il tempo trasformasse in certezze i miei dubbi,
Così dicevo: come quel traditor,

Conrad mi lascerà per l'alto mare:
Ma egli mi smentiva perché tornava ancora!".
"Ancora, ancora e sempre ancora, amore mio!
Se vita avrò quaggiù e in ciel speranza

Conrad ritornerà, ma adesso con l'ala sua veloce
Il tempo ci reca il momento dell'addio:
Perché egli vada e dove, or non importa dire,
Dacché tutto finisce nella fatal parola: addio!
E tuttavia di più vorrei svelarti, ma il tempo non ci è dato,
Tu non temer, questi non son terribili nemici;
E qui io lascerà un presidio più forte del consueto,
Pronto a improvvisi assedi e a una lunga difesa.
Né tu sola sarai, pur se lontano è il tuo signore,
Le nostre donne e le tue ancelle al fianco ti saranno;
E ti sia questo di conforto: al nostro nuovo incontro
La sicurezza ancor più dolce renderà la quiete.
Ascolta, questo è il corno di Juan che acuto squilla,
Un bacio, un altro, un altro ancora, addio!".
D'un balzo si levò, si strinse alle sue braccia,
Al petto di Conrad premette il volto
Fino a sentir i battiti del cuore.
Far sì che fino ai suoi si levino quegli occhi egli non osa,
Quegli occhi azzurro cupo volti in basso in un dolore senza pianto.
Ondeggia sulle braccia di lui la bionda chioma di Medora,
Che è tutta sciolta e con grazia scomposta;
Il batter del suo cuor è tanto fioco, pieno com'è dell'immagine di lui,
Che per troppo sentir quasi non sente!
Ascolta! Ecco rimbomba il segnale di fuoco
Che il calar del sole annuncia; egli quel sole maledice.
Più volte quella bella persona egli abbracciò,
Che muta a sé lo strinse implorando i suoi baci!
Con passo vacillante la condusse al letto,
La contemplò per un momento, come se più non la potesse contemplare.
Capì che al mondo altra donna non c'era se non lei;
Sulla fredda fronte un bacio le depose, si volse; e Conrad più non c'era.


XV

"Se ne è dunque partito?". Nella sua solitudine improvvisa
Quante volte, angosciata, si porrà questa domanda?
"Solo un istante fa egli era qui con me, e ora?".
Varcò il portal di corsa e nel portico giunta,

Sgorgò la piena delle lacrime sue,
Grandi, lucenti e copiose come mai ne versò.
Mai tuttavia quel labbro pronunciò "Addio!",

Perché in quella parola, in quella fatal parola,
Ancorché si prometta speranza o fedeltà,
Della disperazion v'alita il soffio.
Su ogni tratto del pallido, immobile suo volto

Impresso ha già il dolor quello che il tempo non
Potrà mai cancellare.
Il tenero azzurro dei suoi occhi grandi, appassionati

Si raggelava nel suo sguardo errante,
Finché lontano, ohimè quanto lontano, ella non scorse
La balenante immagine di lui, già subito perduta,

Allora come folle parve errar quello sguardo,
Fra le lunghe, brune ciglia di rugiadoso pianto scintillanti,
Che la tristezza non asciuga mai.
"Se ne è andato!". Al cuor la mano si portò
Con gesto rapido e convulso, poi dolcemente verso il ciel l'alzò.
Fisso lo sguardo tenne al mar e vide sollevarsi l'onda,
La bianca vela già salpata: più cuor non ebbe di guardare ancora;
Affranta fece ritorno alle sue stanze:
"Ah, che un sogno non è, me dereitta!".


XVI

Di balzo in balzo il fiero Conrad rapido discese,

Senza mai alla cima volger l'occhio,
Se non che gli angusti tornanti del sentiero
Gli mostravan per forza quel che di rivedere rifiutava:
Il solitario e dolce asilo a picco sulla roccia,

Che lui, di ritorno dal mar, salutava per primo,
E Medora, pallida e malinconica sua stella,

Che con l'amabil raggio di lontan lo raggiunge,
Lei non deve veder, a lei pensar non deve,
Se con lei rimanesse, sull'orlo della sua rovina rimarrebbe;
E tuttavia una volta almeno si arrestò, quasi a gettar
Tutto se stesso al fato e i suoi progetti al vento.
No, non si può, un capitano valoroso

Può commuoversi al pianto d'una donna
Ma tradir non deve i suoi compagni.
Scorge la barca, sente ch'è favorevole la brezza,
E fieramente tutti gli spiriti raccoglie.
Di nuovo egli s'affretta, e nell'udir

Il tumulto che nell'orecchio gli risuona,
Le affannose voci lungo la riva strepitanti,
Il grido, il segnaI e il percuotere dei remi,
Nel veder il mozzo in cima all'albero maestro,
Dell'ancora il levarsi, il dispiegarsi frettoloso delle vele,
E l'agitarsi dei berretti della gente

Che saluta in questo modo silenzioso
Chi a domar l'onda s'appresta;
Ma ancor di più, nel veder la vermiglia sua bandiera
Stupisce che il suo cuor sia stato così fiacco.
Pieni di fiamme ha gli occhi e di furore il petto:
Tutta ritrova in sé la sua baldanza.
Corre veloce, o meglio vola, e alfine arriva
Là dov'è l'estremo lembo dell'altura e incomincia la spiaggia.
Qui frena la sua corsa, non tanto per goder della frescura
Che si leva dal mar, quanto per dar al passo maggiore dignità,
Ché non convien apparir troppo frettoloso alla turba dei suoi.
Aveva Conrad ben appreso a dominar la gente
Con quell'arte che d'un velo ricopre l'orgoglioso, e spesso lo difende.
Altero il portamento, sprezzante era il suo volto

Sì che gli sguardi altrui tutti evitava o li rendeva timorosi.
Fiero l'aspetto, superbo aveva l'occhio
Che, pur cortese, ogni gioia volgare raffrenava.
Ogni suo moto sapeva controllar
Pur d'imporre il suo imperio.
Ma se voleva qualcuno accattivarsi, tanto mansueto si faceva
Che la sua cortesia l'ascoltator rendeva fiducioso
E tale da giudicar meno preziosi i doni altrui
D'una qualsiasi sua parola,
Quando risuonava nel cuor, mossa dal cuor di lui,
Quella profonda e dolce melodia d'accenti.
E tuttavia inconsueti gli sono questi modi:
Di compiacer gl'importa poco, sol soggiogare vuole;
Della sua gioventù le ne passioni
Tale lo han reso da stimar molto più chi lo teme che chi l'ama.


XVII

Pronta per la rassegna sfila la guardia sua.

E Juan gli sta di fronte, "Son tutti preparati?".
"Oh, sì, lo sono e sono già imbarcati:
L'ultimo battello non attende che te, o mio signore".
"La mia spada, dunque, il mio mantello".
Tosto salda gli pende al fianco l'arma e le sue spalle il mantello ricopre.
"Pedro chiamate qui!" E quegli arriva. E Conrad lo riceve
Con quella cortesia che usa solo con gli amici.
"Prendi le tavolette e leggile con cura,
Inciso vi è un messaggio ben degno di fiducia;
Or raddoppia la guardia e quando arriva Anselmo,
Fa' che lui pur, questi miei ordini rispetti.
Di qui a tre giorni, se ci soccorre il vento,
Il sole ci vedrà fare ritorno; e or va' in pace!".
Detto così, la mano strinse del fratello suo pirata,
Quindi con passo altero al suo battello si recò.

Il remo immerso scintillava, spargendo tutt'intorno a ogni colpo
Dell'onde le fosforiche fiammelle.
Raggiungon il vascello e Conrad sale a bordo;
Stride l'acuto fischio e indaffarati sono tutti;
Contento vede come docile il legno al timone obbedisca,

Come leale sia tutta la ciurma e meritevole di lode.
Orgoglioso si volge al giovane Gonsalvo:
Ma perché mai trasale all'improvviso,
E perché mai da un'intima tristezza è travagliato?
Ah! I suoi occhi han rivisto la torre sulla roccia,
Per un istante ha rivissuto il momento dell'addio!
Avrà la sua Medora di lassù di già scorto il naviglio?
Mai egli ha amato tanto come ora!
Ma troppo resta da far ancora prima del sorgere dell'alba;
Di nuovo in sé ritorna e dalla torre lo sguardo suo distoglie.
Con Gonsalvo discende nella cabina della nave
E là tutto il suo piano espone, i suoi mezzi e gli scopi.
Una lampada arde innanzi a loro, si dispiega la carta
E pronti sono gli strumenti al viaggio necessari.
Rimangon a confabular fino alla mezzanotte,
Ma quale ora mai può dirsi tarda per una mente ansiosa?
Calma la brezza intanto spirava dolcemente
E il vascello filava quasi le ali del falco avesse,
I promontori superando di quelle mille isole
Per guadagnar il porto ben prima assai, ben prima
Che sorridesse la luce del mattino.
Quand'ecco a un tratto scorgono al lume della luna
L'angusta baia dove stan le gale e del Pascià.
Contan allor le vele a una a una
E van notando come inutili splendano le fiaccole
Per i musulmani che della baia han poca cura.
In tutta sicurezza, senz'esser vista, di Conrad s'inoltrò la prora
Laddove tender disegnò l'agguato, l'ancora gettò
Protetto dalla roccia che eleva il suo erto profilo poderoso.
Quindi al dovere, non dal sonno, richiamò la sua ciurma,
Pronta sempre all'azione per terra ovver per mare.
Mentre fissava Conrad il fremere del flutto,
A lor calmo parlava, pur parlando di morte!