Laureto Rodoni
STROZZATI DALLA VITA
Silloge poetica dedicata a Lulu, alla Contessa Geschwitz, a Marie, a Wozzeck e
al loro bambino, personaggi delle due opere liriche di Alban Berg, tutti
strozzati dalla vita.
Sono
nato a Biasca, Canton Ticino, Svizzera, il 21 settembre 1953. Ho studiato
letteratura italiana, filologia romanza e letteratura latina alle Universit di
Friburgo e di Firenze principalmente sotto la guida di Padre Giovanni Pozzi. Ho
insegnato per 30 anni nella Scuola Media del mio paese. Mi occupo ora di
musicologia, soprattutto delle figure di Ferruccio Busoni e di Gian Francesco
Malipero. Studio inoltre l'opera
lirica nei suoi vari aspetti. Curo una quarantina di Websites dedicate
all'opera, alla musica classica in genere e alla letteratura: www.rodoni.ch - 0041 91 862 30 53
NOTA
FORMALE: Punto di
riferimento costante la metrica italiana, principalmente i versi
imparisillabi, anche quando il verso si disgrega in ipermetri. Di rado compare
l'endecasillabo "errato" secondo la trattastistica metrica, con un
accento principale sulla quinta sillaba. I parisillabi, tranne a volte il
decasillabo manzoniano, sono quasi sempre raggruppati. Ho evitato di collocare
la dieresi sulle parole con iato, poich il contesto metrico stesso ne rivela
la presenza o l'assenza. assente la figura della dialefe.
1. ESILIO DALLA VITA – I
Tutta la notte a cercarti in tuguri
e vicoli imbrattati
di sterco e di piscio fumanti
ingombri
di ratti e di fanciulli
randagi
grommati d'escrementi disseccati
di sangue nero
rappreso
di vecchi
macilenti – furenti di prostrata
livida disperanza:
martiri crocifissi
sul fetido pattume
della nostra scelleratezza:
scaraventati in questo strazio in grembo
all'ombra
inchiodati all'Attimo Eterno
con la brama di dileggiare
e di squarciare il Tempo.
La notte perenne balugina
lumi taglienti
incubi immondi
solitudini insanguinate:
madide disfatte
che colloqui
pi non hanno...
2. ESILIO DALLA VITA – II
I pontefici della vita
ti sputarono in faccia un dio
subdolo e fallace.
Tutta la notte
a cercarti nei cassonetti
nei
tombini nelle discariche.
L'alba ti rinvenne farnetico
in una fabbrica deserta
o forse era una chiesa
sconsacrata
Dimmi il senso di questa sosta
rannicchiato nel fango
lontano dal Tempo:
forse martirio
per redimere le passioni
e per elevarti a purezza?
Ma la salvezza
– fuga d'esilio
tra vicoli e tuguri
da nebbie nere avvolti –
non forse per te un atto
contro natura?
3. VITA
MENTITA
Latra il randagio
scarnito sull'assito
sconnesso del rifugio
a strapiombo sul precipizio.
Aborri chi profana
borioso di vita mentita
la tua sofferta solitudine,
clausura
dell'anima? Non vuoi
essere come l'albero che s'offre
inerme al piscio
del cane?
Esiti una preghiera
a Cristo? Come un bimbo sbigottito
buttato nel nostro pattume...
braccato,
gabbato, come tutti?
Anche tu nimbo
dolcissimo che affondi
le mani cerule
nel vuoto soffitto dei cieli
possa presto, implacabile e feroce
sprangare l'uscio, accostare gli scuri
da assalti ingordi
e dalle fessure – come un prodigio –
scrutare attonito lo specchio
dei cilestri acquitrini
e il pallido languore
del cielo aspettando sereno
Ma attento...
L'attesa corrode la vita.
Chiss forse lontano
laggi tra quei falbi vapori
dove da sempre
riddano spettri
bizzarri
in quel silenzio che trasecola
e trascolora...
Io, l'uscio, l'ho sprangato.
Per sempre,
evocando
la Morte,
divieto
supremo e i suoi detriti:
– parole scure come sangue infetto –
vittima inerme
di festose rovine.
Ma lontano laggi
sommersi lumi maturano in suoni
angelici
in un trasecolare
in un trascolorare di silenzi.
4. LO STAGNO SCARLATTO
Lambita
dalle ombre dei morti
ti specchi nuda in uno stagno
scarlatto. Chi ha dilaniato la tua anima?
Chi... falso infido vano? La vergogna
estrema ti attende... Abito
da tanto tempo
l'indifferenza smorta dell'assenza
senza pi devozione per l'essenza
nera della tua inesistenza.
Stordita muore
la notte...
Cammini
lenta sospinta dalle ombre dei morti
per sentieri scabri dove urla
il torrente spronando i martiri
alla purezza del dolore.
Balugina la face della morte:
tutto rabbrivida
e il tempo nulla
dir se non parole
mentite.
Ora il sibilo dell'abisso
si fa silenzio
ma stride l'esumare
le nostre memorie che i sogni
ci conficcano negli occhi. Anche
allora il tempo
ci era vietato – tempo
di voci rotte
di creature come spasimi
d'un canto massacrato.
5. LE MACERIE DEL DESTINO
Quella febbre
feroce
sotto un sole bianco
quei bagliori acerbi
di un tempo lontano:
nostalgie dolenti
d'un'anima secca
impresse nel vento.
Sul cammino notturno
della mia deriva
cala lenta la luce
come muti tripudi
ricamati sul velo
della notte sgomenta
o forse lividi graffi nell'aria
infetta di lume lunare.
Allora il canto
dolente delle esequie
si mutava in sogghigno
sardonico e maligno.
Sfolgoravi inesausta
nell'inferno di rocce dirupate
e scivolava fra le dita
come
pesce d'argento
la tua giovinezza.
Possa tu finalmente
la coscienza spirare
del tempo
e nutrire di tenebre feroci
il tuo cuore indurito.
Ma ricorda:
maschera la saggezza
le nostre ferite e ci insegna
a sanguinare di nascosto
a scomparire senza traccia
sepolti sotto i crolli della storia.
Possa tu finalmente
come nuovo prodigio
dalle macerie
risorgere del tuo destino.
6. PRIMA CHE IL PIANTO DIVENTI PIETRA
D'un
tratto rivedo la bambola
consunta che stringevi
pavida di satiri lascivi:
stridente
disarmonica
disparatezza che graffiava
il velo del tuo spirito innocente.
Ancora
ti rivedo curva
sul mio risveglio al tocco
delle tue mani fredde.
Fuggi dal tempo che ristagna
faville senza
riflessi senza
brividi. Fuggi... nulla
mi scuote – d'una sola
ebbrezza
ubriaco: di acre acida
rassegnazione.
Qual pauroso tremito quando
ogni cosa severamente
scruter
il giudice
sovrano: tripudio di morte
sotto
tumidi e lividi
nembi mentre venti ghiacciati
le
latbre
sferzano del cuore ma non
vanire come il seme
dei sogni in raffiche inesauste!
Rimani, effimero soffio di luce
tra rose di fuoco.
Addio, del passato
sortilegi di vita
fantastica, sfavilli
di favole,
amori scapestrati,
torbidamente puri sotto il sole
che s'abbaruffa
di nuvole giallastre e si congeda
da noi scapigliati sull'erba:
orgasmo
dissoluto
d'assoluta mortifera passione.
Eri buia come il fuoco nel fondo di rocce
e di grotte, eri bella
come tesori
di
laghi disseccati...
Non vanire, polvere vana
alle ventate inesauste: Angelo
mio, mostrati ancora una volta!
Ti rimango vicino
mentre il dolore cerca
il suo Tempio prima che il pianto
diventi pietra. E che la Vita
in me non torni com'erba di marzo
novella.
7. SU ALTARI
STERPOSI
Una nuvola nera rode il cerchio
della luna e ciechi e convulsi
stridono contro i vetri di finestre
spente corvi impazziti. L'ora fissa
sul quadrante, sfinita
la forza dei pendoli: il Tempo
sospeso
e dalle macerie
del Tempio, da sepolcri
velati d'erba amara,
s'erge a fioca luce l'angoscia
flebile dei morti. Il ricordo
s'incrina tra colonne
spezzate e scheletri di vlte.
Non varcare questo confine
sacro alla morte! E se ancora ti resta
amore dell'agnello
incrostato di sangue, possa tu
rivivere
su questa terra guasta
dalle pietre scolpite di foschi
sospiri e sia disperso dagli altari
sterposi
il Male
farnetico
nei labirinti melmosi dell'Ade.
Dilaga
la nube
nera e si spegne la luna.
Meglio forse non
essere nati
che vivere di sangue in focolai
di terrore? Ma non
c' scampo che possa annientare
il cupo splendore di queste
rovine. Siamo troppo stanchi
per nuove albe: altro non rimane
che annaspare
nelle scorie
della storia.
8. EPPURE IERI – I
Scintille
d'argento e crisantemi bianchi
dolorosamente zampillano
come sprilli di stelle
da sordi e sordidi crateri
e sulle ceneri
della Notte ricadono.
Nel torpore sgomento
pi non risuona l'eco della terra
e uccelli grigi
gridando
strappano le tenebre come dardi
avvelenati.
Dissolti
i culti in un mondo di pifferi
di
tarlacche* e d'armoniche sghembe
di
desideri allucinati non
rimane che una solitudine
insanguinata da artigli di demoni
mentre i colori sfiniti del Nulla
scorrono corrono attorno ai crateri
spenti e fumanti. Legno secco
l'Albero della Sapienza
e della Vita:
bare ne faranno i becchini
per le nostre carogne
per le nostre utopie
per i nostri dolori.
Eppure ieri – al crepuscolo –
regnava una pace serena
e dolce giungeva
da un'ombra remota
un canto celeste.
Voce dialettale onomatopeica del mio paese nel senso di "strumento di
legno rumoroso che si suona il Venerd Santo al posto delle campane".
Significa anche "raganella" e metaforicamente
"chiacchierone/a". Il vocabolo inserito in un decasillabo
manzoniano.
9. EPPURE IERI – II
I rintocchi notturni
sono bagliori nell'aria brumosa
e l'ansito freddo
dell'ora di Dio
si stinge
al trapassare
sinistro della Notte
quando sfiniti spirano i sussurri.
Fingo me stesso dinanzi alla vita
glossa prolissa in un libro stracciato:
angustie antiche che straripano
e sprofondano l'anima macera
in se stessa. Cadono i sogni
come ramre a lembo a lembo...
eppure ieri il sole
era verde tra i rami.
Indugia
la Processione e nessuno pi regge
la Croce sulle pietre profanate
da sangue puro
sull'orlo d'un dirupo
infuocato di demoni convulsi:
"Anime anguste d'impure imposture
di mendaci voragini divine
stuprate ribelli la vita
la mente catta
schiudete."
Non so pi di mete e di porti
di timori
di gioie di castighi
e soffro
il silenzio sbarrato
alle vie di scampo.
Confortami
nella
notte illune felice
di tristezza: la sofferenza
desiderio e il disamore
trascina
in un deserto
d'esilio dove un'esile
voce smussata dalla pena
s'erge stremata incontro alle armonie
dell'universo fino all'alba
confine a un giorno senza volto
in questo disordine irrimediabile.
Ma sar il sole ancora verde
tra gli alberi?
"Siedi con noi
al desco
arido della nostra vita."
Riprende lenta
la Processione
al gracidare ghiado di tarlacche
logore e giace la Croce spezzata
su pietra malferma schizzata
di sangue puro
sull'orlo di un dirupo
convulso
di demoni infuocati:
"La
Grazia
una fola beffarda...
tra mendaci voragini divine."
10. CANTO FUNEBRE – I
Amico caro – senza
di lei ritornavi la sera
quando si sfanno nuvole svogliate
in un
pallore uggioso
stordito
– inetto
alla solitudine.
Mille sere le vette
ti hanno oscurato e l'erba e le campagne
e il cielo dentro un silenzio di morte.
Sai tu
forse che l'infinito
oltre un alito si apre?
Ma
oltre il tempo dell'esistenza
e del tuo amore tu
non sapevi dire. Spiravi
sogni lontani,
spiravi la morte. E fu chiuso
il tuo corpo – effimera effige
della pena ma intorno
resta la vita fioca
d'un'anima inconscia di s.
Tacevi e quel tacere era infinito.
Vedi
ancora le brume all'orizzonte?
Caro
amico,
oltre – con pochi passi –
saremo figure dimenticate.
A volte, per addormentarmi,
penso ai morti che ho conosciuto
e sgrano un rosario d'immagini
che m'innalzi al di sopra di me.
11. IL NOSTRO MALE*
La levit di quest'ora sospesa
nella luce che il sole dipinge
alle tue vesti si dissolve di sera
tra le lapidi nostre annerite.
Un'aspra brezza risveglia il tuo male
ma un'oscura speranza perdura.
Rinasce la fatica dell'inutile
e trascorre nel tedio l'assenza:
dal mondo eslusi in ore amorfe senza
la memoria del nostro vissuto
tu rovine non temi finch vivi
nelle falbe faville del sogno.
Stiamo congiunti per tutta la notte
di
ritorno nel nostro giaciglio.
E nella coppa della mano serbi
il mio seme fragrante – stupita
d'improvvido timore e dal tuo corpo
traggo ancora il tripudio dell'essere
un murmure nel serico silenzio
dell'ignoto in un giorno incantato...
tra le rovine d'un'ora sospesa
sulle lapidi nostre annerite.
* Distici formati da endecasillabi regolari di ritmo vario e da decasillabi
manzoniani rigorosamente identici nel loro ritmo anapestico (ossimoro ritmico).
12. EPPURE IERI – III
Eppure ieri – al crepuscolo –
regnava una pace serena
e dolce giungeva
da un tempo antico
un canto celeste.
Die Frist ist um*: pensieri intrisi
di parole sbrecciate e monche
come rntoli rcano
sghembi postludi
grotteschi appelli
Vastamente piagata
la terra appare.
Ma si perdura
tenaci
tra i solchi inariditi d'un esistere
mendace – ilari d'un'eclisse
ferale che pi non spaventa.
Incute silenzio una vetta
che sulla valle sbigottita incombe
e nulla
echeggia
se non il frullo
di passeri
dissennati d'orrore
ma da lontano
dall'immane scempio tra guazze
rossastre sale il grido
strozzato
di vite disfatte in attesa.
*Espressione tedesca ( ormai giunto il tempo)
inserita in un novenario.
13. INFERI
AMOROSI
La luce smorta
ptina d'ambra
i rami caduti tra chiazze
di brividi verdastri, tumuli
di foglie stracce e primule smarrite
di nascere.
Svaria il vento e tutto scompiglia:
anima – aneliti – memoria
e il mugliare d'un mare immane
e fragili fragranze
per soverchia dolcezza...
Nembi incombenti
sospingono in ansiti bui
il ricordo: pareti
insozzate di sangue
slavato – bagasce discinte
che graffiano
ruggine divertite d'irrisione
a dio:
ma tu, Amore, sei pi grande della Morte
e ti stringo ancora negli occhi tenebrati
come incatenata al mio ribrezzo.
E ghignano e sferzano
con corde nere
di pece e di sterco
e selvagge discorrono...*
Sempre mi abbacina il candore
della tua nudezza
e per sgomente luci
fingo ancora di cercarti
e geme dal silenzio il perdono
del tuo abbandono eterno
estremo dono
forse
del mio fervido culto.
Tu hai crocifisso il tempo della mia vita:
lacrime e sangue
tracce che la sabbia aggrumano.
Se piangerti potessi la mia piaga
ma le parole si spezzano in roche sillabe
e indurano a spietate disperanze...
Un groppo mi strangola
su questa deserta plaga all'imbrunire
che fu dimora d'amore
slancio ad astri e pianeti
e cisterna di amarezze e disillusioni.
Vortica la turba dalle fetide ascelle
ti schiaccia tra fili ruggine
paletti trafitti
su un assito marcio
su paglia impregnata
d'urina e su cocci
di bottiglie... Pur
smarrita la luce
e la gloria del martire
pur dissacrati gli occhi
incuti il senso
d'un divino poema.
* discorrere in senso latino: "correre qua e l"
14. BRACE SPENTA
L'ho veduta
vestita di bianco
quante volte! quando abbuia
nei silenzi lividi dei miei pensieri
o sui sepolcri austeri
dei miei profeti.
Tu sei attesa atroce che strangola l'ora.
Torna nitore che rorido sboccia
come nei sogni fragranti di calicanto
fra canti di angelico candore
oltre la disperanza
oltre la saggezza
oltre la follia...
Spaura la prima tempesta d'inverno
pregna di sogni di altre stagioni.
Si piegano le croci a spezzarsi
su rose e strelizie stremate.
Sussurra lontano lontano una luce di fuoco
che sola sa vincere l'estremo avvenire.
Ma chi calpesta laggi le foglie marce
strappate dal vento in scie di nero?
Di quel
fuoco lontano
restano l'eclisse di una brace
e una bianca effige d'eterno nitore.
15. RANTOLO GIOIOSO
fasci di ferina
luce rossastra
scavano
il buio
tossici d'odio
senza
perdono – ognuno
malvagio a ognuno –
irridi errante le scie remote
tra scabri cespugli
e putre tritume
in forre profonde
su tetro terrume
in questo opprimente dover
essere ovunque tu vada lusinga
con lo
spirito incipriato
e l'anima biaccata
il futuro
sole morto
angeli morti
figure nere su morte citt
sapienza
morta
in una morta
follia
ma ancora puoi
nutrire questo morbo
che trapunge la vita
inerte e muto?
altre scie calpesta
altre trame che trascolorano
dietro i tronchi dietro le mura
dietro la vita
sotto un cielo fosso e scosso
d'incasta e insolente bellezza
ma non giungi a meta
se non sul carname carminio
che diffonde il tuo rantolo gioioso
in eterno: non vi salvezza
se non nel divellere l'anima:
i suoi aneliti e i suoi baratri.
16. TRA DELIQUI DEL FARE E DEL DIRE
fino all'alba inerrante
apri la porta
nega il presente la luce
e tradisce
lasciami entrare
cattura il presente che strema
all'imprvvido agguato – rbida
pillole inghiotti
e sperma tra singhiozzi
e tosse in glosse
tra deliqui del fare e del dire
vomiti
preghiere
lacerti d'esecrate
parole insorgono a poema
brucio tutto tutto in me brucia
brucio su questa mota immota
fetido seccume – tutto ricade in cenere
che oscura appena l'obbrobrio di funeste
lontananze – questo pensiero fratto delle
infinitudini –
ogni virgola menzogna ma ogni sillaba conta
per l'antico fasto della morte
carogna che sopravvive a se stessa –
vita attutita dai rintocchi d'opachi sensi
facciamo i bagagli e ci resti
memoria laddove non resta
pi nulla
tra deliqui
del fare
e deliri
del dire
pregare
recere
inetti all'utopia
17. IL DEMONE DEL MARE – CANTO FUNEBRE II
C' polvere sulla tua fronte
e sul tuo volto assorto: l'hai visto
morire l'uomo forte
che incontrava il destino tra gli scogli
dove il vento inscena i naufragi.
Ascolti il rugliare scaglioso
del mare e indugi alla finestra
finch la luna non raggiunge
il culmine d'un cielo inquieto.
Fra brume volubili e vane
sussurra ancora il demone dei mari
il suo nome. Fu immonda la sua vita
ma come tumore di perle
in un impuro paradiso.
E rinneg la poesia
distrusse i libri
visse in esilio – martire sublime.
Presto lo liber la Morte
dalla nausea di se stesso – l'uomo
forte che incontrava il destino
dove il vento inscena i naufragi.
E indugi alla finestra
fin quando il mattino non sorge
velando di porpora i nuvoli
d'oriente imbizzarriti: e la preghiera
sgomento: siam tutti
sospesi a un mutamento
che non s'avvera.
Ma chi ha visto il suo sguardo in morte
la morte pi non teme.
18. NOKTURNO
Nella straducola
incassata
un lume solitario
falba e scialba nebbie stagnanti
e lacerti d'una incerta figura
come sospesa
da angeli neri.
Al lividigno lucore dell'alba
strema la sua lussuria
e invoca
con voce roca
un sipario: finale d'atto
o di commedia.
Vivi una vita muta che non delira
non infuria non freme
senza una fede senza un senso
in un deserto di cenere nera:
Giorni inerti iterati in tedio ardente
di sfinite speranze:
rifugio estremo
dell'inettezza al fare all'essere.
Ma fin quando potrai
ingannare l'orrore?
Dimmi: fin quando?
Con lugubre tripudio calpestiamo
infine le nostre intime reliquie
e una dissennata delizia
per il cuore la nostra
passione tossica come l'assenzio,
amara come l'assenza. Verr
il giorno
in cui vestigia pi
non resteranno.
19. VISIONI GOTICHE
Straripa il delirio
per vicoli scuri
tra bassi tuguri
velati da lividi
vapori tra nembi
violenti di tempesta
e d'improvviso
appare la luna che irradia
e irride un intrico di lmuri
tra fronde nereggianti.
Rantoli spezzati
spurgano le ridde
sgranando rosari
sospesi su pozze
ribollenti. Cammina
e non teme i rami spinosi
e le pietre puntute
sullo stretto sentiero.
All'alba – spossata
s'accascia dinanzi
al camino di una locanda
tra visi assenti e smorti.
Ma pugnali non sguainano ostili
e non sputano motti beffardi
nei boccali di birra schiumanti.
Meglio fingere di esser stranieri
codardi e supini su panche
avvolti dal fumo e con gesti
sfiniti o strascicate sillabe
non
dire
tirando la coperta
fin sopra le labbra. Ma forse
in fondo a una cisterna
tra liquami giallastri
soccomberai, incatenata
a una disfatta che non ha domani:
anche per te
la salvezza un atto contro natura.
20. PROVE E RECITE
Pensavo da bambino di lambire
con aquiloni smunti e laceri
la luna rossa appesa
a una smorta stella. E ora voci
di bruma dall'ombra sussurrano:
quando il tuo cuore trafitto rintoccano
le campane a morto? O risuona
tra gli arbusti il trillo d'argento
delle allodole? Tu
sai che da tempo
insceno la morte:
sudate prove
di una commedia oscena
non ancora appresa a memoria.
E se la recita avvenisse in sogni
tra sudici e policromi
travestimenti
che dileggiano le dimesse
stagioni del passato?
E se il sogno
s'avverasse: maschere sconce
su volti
soavi e l'aquilone smunto e lacero
che la luna lambisce...
Le armi spuntate si affilano e sgorga
da non finte ferite
vivido sangue. Tu
m'accusi che non provo* sulla scena
la gioia di morire...
Ma il contrasto perdura
fra quel che credo e quel che sento
e si accresce al declino della vita:
forse non sono degno di quella
morte
e del suo dono eterno.
Il vecchio poeta che saggia
l'asprezza viscida del sentiero
all'alba rimedita il passato
sul libro distrutto
dalla sua giovinezza
e mira a una vetta pi pura
della preghiera.
Relitto d'una giovent
naufragata i versi pi puri
ardisce quando ancora vergine
serba l'impeto e la vertigine
delle memorie
nella
catarsi
atroce d'una catastrofe. Tu
crocifiggi al tuo amore il mio sgomento
e che quella luna e che quella
stella per sempre alberghino
in me
e quella
morte
* provo usato soprattutto in
senso teatrale
21. SUSSURRA
IL DESTINO
Sussurra il destino
nel vento spaurito
che cupa d'azzurro
sprofonda la nave
in mare di rose
e un falco d'argento
ghermisce una nube:
inchiodata al cielo – la speranza
avvizzisce e l'ombra del vespro
scoscende. Dal muro sbrecciato
formiche furenti
a nugoli sgorgano
e sbandano a mete
segrete. Sospiri
esili di vita
o forse soltanto
in me la memoria
che pure sospiro:
scolpisci la sabbia
se vuoi che di te
qualcosa
rimanga:
anche la rocca eccelsa
sar soltanto sabbia
infine: verga sulla proda
deserta il tuo nome
e spera che presto
il mare di gemiti
lo ammanti: tu
sei la morte che dopo
di te resta e irride in un mondo
senza scopi. E se scopi restano,
sfociano in incipit
senza scopi. Sussurra
il destino nel vento
spaurito che cupa d'azzurro
sprofonda
la nave in un mare di rose
e un falco d'argento ghermisce
una nube: inchiodata al cielo
la speranza avvizzisce...
...esili sospiri di vita
o in me forse soltanto
la memoria che pure
sospiro...
22. MACERIE D'ATTI INCOMPIUTI
Nel chiostro
la musica si spezza
s'incrinano le voci
si spengono le luci
in veli di nebbia
dipinti d'azzurro.
E regna
uno stanco e strano stupore.
Dissolto il delirio rimane
l'incubo, forma lucida
della mia mente.
Cammino scalzo con lo sguardo chino
sgranando il rosario e non temo
le spine e le pietre
e i vetri taglienti.
Rasento antiche mura
briose d'edera:
forse un pellegrinaggio
di redenzione?
Esule nella tua stessa figura
a me da tempo ignota,
sei lontana in un futuro
che conosci e rimani
in grembo a un tempo
ineffabile. Ma se scruto
la terra, tra le pietre
e le stoppie c' un tempo sospeso
che mi consola.
Mi ghermisce il passato
e la memoria accumula e svanisce
macerie d'atti
postumi e vani.
Non c' pi scampo.
Davanti al chiostro
esulto il tempo
sospeso
del tedio e come una megera
in un mondo senza
postriboli e senza
prosseneti
lo attraverso.
23. CHE IL SONNO IMMEMORI
Risuona nel sacrario dei pensieri
il passo greve – il canto rotto e scancio
d'un ubriaco. Poi
pi nulla se non l'affanno
della terra – soffio fioco di silenzio.
E la luna tra nubi sfilacciate
e nere – vana preghiera di luce –
svanisce lentamente
inghiottita dall'alba.
Che il sonno immemori
il mio sgomento!
Non siamo noi
forse
quel che ricordiamo?
Era all'alba
che arrancavi dalla palude
– nuda terrea vizza – verso
un angusto anfratto fragrante
di sperma acerbo: divoravi
la tua disillusione e questo cibo
agro ti disseccava l'anima.
E bestemmiavi
nell'abominio
l'abominevole
fantasma* – sfinita e furente
nella lenta agonia.
Costretta
ad amare quel che aborrivi –
suprema rinunzia – preludio
di santit.
Rimpianto – capovolta
speranza – che efferato
insaziabile tutto
prosciughi: ho rivissuto
mille volte il passato nostro – mille
volte... folle che morta
ancora irridevi al pitale
putido della nostra
passione.
E quel giorno il sole non sorse
a dare un raggio di purezza
allo sfacelo
della tua morte.
Non siamo noi
forse
quel che ricordiamo?
Ho serrato la porta a doppia
mandata: ma nella mia
vita la morte sempre
giunta al momento giusto.
E che un sogno infinito
infine immemori
il mio sgomento e copra
d'oblio profondo il fondo arroventato
dell'anima!
* L'abominevole fantasma Dio nella Philosophie dans le boudoir del Marquis de Sade.
24. SENZA TE DEUM SENZA TAEDIUM
questo chiarore
di luci acerbe
reca un ardore
stento senza te deum
senza taedium per sempre
all'ombra di dolenti
rinunce – estasi sibaritiche
e preghiere blasfeme
impresse nel vento – anima
secca nel cammino notturno
della nostra deriva
stanco di eludere il ribrezzo d'ogni brama
esaudita senza cristo crocifisso
sul catrame ferito al fetore
fumido di un massacro che raccapriccia
perfino il boia e nel sepolcro l'urna nera serba
ancora incanti di cenere azzurra – ora le lampade
consumano la luce e gli occhi dei ciechi diventano
rondini
nello
specchio dell'anima
quel tempo
di solitudini sepolte dalla pietra tombale
della vita
– senza ritorni
fallaci brame
di eterno – essere
ma la saggezza
maschera le nostre
piaghe e ci insegna a
sanguinare di nascosto
25. ARCADIE DESOLATE
d'insanie
saturo
che non sai lenire – dischiudi
le braccia
come ali tese
e arranca
all'acervo di vanit
perdute
macerie di memorie
mai sopite in distese
d'arcadie desolate e polverose
oltre i sensi fallaci
e le apparenze infami
che l'inglorioso
glorificano –
martirio
dell'esule –
e non saranno
la tua tomba perch
noi non abbiamo tomba.
tempo ormai di recitare
i lamenti: alla tua
gola la lama assassina – alone
sacro assordante di morte
ma
noi non abbiamo tomba
e contro
la condanna di Dio
ergi esausto soltanto
la tua
implacata
infelicit.
26. I TUOI OCCHI
Ma dimmi: quanto vale la sapienza
se tutto mistero – infinito
senza tetto e senza pareti?
E quanto vale la felicit
se non sei tu stessa? Nel fondo
dell'anima non s'odono pi voci
rumori canti... non si trova
brama di vita. Tutto
riposa in un sonno profondo
in un silenzio d'abisso di vette
di dolore ma non
i tuoi occhi – mistero infinito.
27. CON PACATA FOLLIA
Si leviga ogni asprezza
ma irride il bagliore stridente
della citt sulle dimore
di rntoli e vagiti.
Entriamo
nel freddo sepolcro
e tra i marmi
sbrecciati con pacata
follia ai teschi
chiediamo in un sussurro: Avremo luce
quando sar buio?
A tempo un lume
s'accende
per intagliare
sui muri neri
bianche figure.
Fuori la pioggia
sferza la noia
e note monotone scorrono
su un cembalo invisibile. Una schiera
di cipressi s'allinea
in ranghi compatti
ed eccitata attende di partire
per la guerra. Forse non sanno
che sono immobili.
Il Cielo si precipita
sulla terra e la stringe
con tutte
le sue membra di gloria
e la penetra con minuscole
frecce di cristallo. La vlta
rossa come in fiamme
e dopo i trastulli d'amore
tutta ricoperta
di cenere.
Che mormora la Terra
innamorata e fecondata
dopo che il Cielo l'ha graffiata
con gli artigli?
Piove a dirotto.
Le gocce scoppiano come petardi
sul selciato.
Sembrano fremere i cipressi
disillusi...
Domani
l'arcobaleno
come una spada sancir la nostra
assenza e con le nebbie
sar dissolta
la nostra gioia.
Avremo luce quando sar buio?
E – rassegnato a perderti –
mi sar concesso di fare della morte
un'abitudine?
Note
monotone scorrono ancora
su un cembalo invisibile:
"Come fiocchi di neve
eterne rifulgano sotto
le plpebre – le stelle."
28. ABBRACCI
Sull'anima si posano – giardino
incantato che mille
colori canta
– le mille immagini serene
e dolci della tua
bellezza: si accalcano in folla
in coro in galassie e nessuna
simile all'altra ma tutte
sono simili a te.
Come in una barca di fiori
mi
sento vivere
immobile nel tempo –
vortice
di delizie e d'inquietudini
che
tutto
travolge – come in un frutteto
in una foresta che sono
la dimora e l'orizzonte.
E nel cielo le stelle
come i tuoi occhi
non sono che minuscole
pietre in un torrente riarso.
29. MASCHERA LURIDA
Sulla vlta di un
cielo terso e teso
un canto nero ricama un amore
perduto. Un volo
di rondini era
la nostra ebbrezza.
Se la felicit bussa alla porta
s'insozza d'una maschera
lurida e quando il vento
infonde
urla alle cose
inanimate diventa di ghiaccio
che ognuno
scolpisce come pu
prima che al sole fonda dolcemente.
Ho soffocato i miei pensieri
nella mia pena e posto questa pena
sul dorso di un cavallo scatenato
ora scomparso chiss dove.
E la sera verr
quando, specchiandomi in un verso
d'amore, come
in una fontana o in un lutto,
non ritrover pi il tuo volto.
O Dea di un giorno, dai capelli
color dell'autunno, ho serbato
del mio passato immerso nella notte,
la passione fra tutte inebriante
d'innalzare idoli, poi di lasciare
gli sterpi invadere l'altare.
O Dea di un giorno
hai vissuto quel che le rose
e i secoli vivono: il tempo
d'una felicit.
Sulla vlta di un cielo terso e teso
un canto nero ricama un amore
perduto. Un volo
di rondini era
la nostra ebbrezza.
30. PENNA AVVELENATA
Di questi versi che leggi mi dico:
sono
futili ma non tu
li hai vergati.
Per strada un vecchio sconosciuto
mi chiama per nome, mi narra
la mia storia e poi d'improvviso
s'accascia sussurrando: "Addio".
Una piaga infuocata
mi rode notte e giorno:
invano giorno e notte
l'ho cercata sul mio corpo.
Mi osservo in uno specchio
ma un altro mi fissa che non
conosco.
Quando l'interrogo rimane muto.
Sento qualcuno che mi segue,
il suo respiro affannoso fa fremere
le mie vertebre. So che quando
mi fermer,
calpester il mio corpo.
Tu sveli il mio segreto
eppure io lo ignoro.
Quando non mi specchier pi
nei versi
che scrivo spezzer la mia
penna avvelenata sul cuore.
Tutto mi separa da te
eppure tu plasmi tutto me stesso.
Ma dimmi: quando di notte mi sfuggi
su quale stella
dimori?
M'inoltro nel mistero
lentamente: un angusto labirinto,
come il mondo vasto ma vuoto.
Di
questi versi che leggi mi dici:
sono futili ma
non tu
li hai vergati.
31. FUOCHI D'ARTIFICIO
Come un profumo
nell'assoluto,
si disperse l'Essere
senza
limiti, senza nome e senza
forma,
simile al sonno:
in
sogno vide l'Universo –
il
Tempo vide – vide
le
creature
e gli
epigoni della Luce.
Allora
sul Pianeta
che
l'Essere
profanava
avvenne un prodigio:
il
soffio diafano del sole
divenne
musica celeste
nelle
mirifiche
liturgie
del Cosmo.
Momenti
d'oblio, minuscole
morti,
ritorni senza
ricordi,
immersi
nel
nulla per dissolversi
nell'attimo.
Si spegne
in me
la luce
ma poi
si riaccende
di
nuovi colori. E al mattino
sar
tutto spazzato dal vento.
Soltanto
la tua immagine rimane
mutevole
come le nubi
come le
onde del mare
nomade
come le ore.
E nei
veli roventi del tramonto
ho
avvolto i miei ricordi
mentre
come Narciso
ti
dilegui nei flutti.
Solo
questi detriti restano del nostro
amore:
piaghe lacrime pensieri
preghiere
sembrano stelle ma sono
soltanto
fuochi d'artificio,
naufraghi
in un ruscello azzurro e rosa.
32. ALLORA – I
Il cielo
vespertino reca
la muta stanchezza dell'anima
e un canto senza suono
tra turpi
rovine dove svariano
rondini sperdute
in poca luce, dove stride morde
dilania l'odio
non disarmato ancora, torme inquiete
di dannati alla vita.
E non hai requie come l'onda
che sferza
caparbia l'argine sconfitto
e si gonfia e s'estenua infine
alla foce sul fondo
scabro delle barche all'ormeggio,
come il vento che lungo
i vicoli ulula e scarmiglia l'edera
sulle pietre.
E non ha requie
il pensiero che esausto
si consegna al glauco silenzio
della sera quando la strada
le forre e i fossi, dimore d'amori
acerbi, annera. In tanta
ferocia implacata da troppo
tempo nemici senza
ritegno sparano
colpi in faccia o alle spalle
tra fragori fmidi di muri
crollanti – tra grida che lacerano
la bruma della notte.
E percuote il nero battaglio
le angosce della fine.
Nella strada segnata
da un fato ignoto trascini i ricordi
sulle orme e si arrotola il tempo
e si ripone
e solo una fede, anche
di sfuggita, pu ancora
illuminare
gli occhi opachi
della rinuncia.
Essere – magari soltanto
di sghembo e rattrappito...
Ma amarezze dure
assediano che inceneriscono
trascinano nel fango e di e fedi
e rosari incompiuti abbandonati
allora
alle dita di uno scheletro.
Mi dispensi un dio
l'audacia vile dell'esilio
eterno.
33. SEI INCISA NELL'ARIA
penoso
il distacco ma ora in me
s'adombra un nuovo ardimento e si placa
lo smarrimento.
Si divide tra sbagli
e rimorsi il tempo passato
che scanso come una pietra grommata
di strame sul cammino.
Lagg le nuvolaglie
incendiano le vette ancora
innevate. Smorto lo sguardo
e grevi i piedi. Vicino all'abisso
un vento
di seta scivola
sull'arsa brughiera. Al riparo
di un alberello secco
riposo nel tepore
crepuscolare. Ma non perdermi
d'occhio. Ti ho tanto
sognata e ora come se fossi
qui nel nostro rifugio
ma ogni
speranza polvere di vento.
Sei incisa nell'aria attonita
e silenziosa e intreccio le mie dita
nelle tue e ti bacio fino
al congiungimento nell'estasi
della disperazione.
Da quanto tempo
la notte vedo soltanto i tuoi occhi
e non ricordo altro nome che non
sia il tuo... La tua immagine abbrivida
l'anima stanca
che fluttua nella devozione.
Naufrago della vita
portami nel tuo porto di macerie.
34. ED SENZA MORTE L'ENTRATA ALL'INFERNO
Un'ombra del passato
mi penetra nel cuore:
sulla distesa lacrimata
di scheletri
calcinati dal vento
rovente le carni crepate
e nere di corpi emaciati
arrancano
per morire all'ombra d'un tempio
senza mai sfiorarne le mura.
Agitano appena
le mani per scacciare gli avvoltoi
che i poveri brandelli
dalle ossa staccano.
E molti con le mani
bruciate e le ginocchia consumate
si trascinano nella sabbia
tra gli scheletri e gli avvoltoi che a scheletri
li riducono. Un urlo
al risveglio: di nuovo il grigio
petroso silenzio, le rocce
delle tenebre e le ombre senza pace.
Tutto si svuota
intorno, il tempo si scolla dall'essere:
nel suo reame per i neri
sentieri della morte
precipita il vento, cinereo
il cielo barbaglia tra le ramre
e purpurea appare la rugiada
notturna. Terreo
albeggia il fiume
e ruglia inquieto. Risuona
fioco il sole in rosee nuvole
sulla collina. E nulla accade:
ho sepolto i giorni
nella pattumiera
del mondo. Su distese
lacrimate di scheletri
calcinati dal vento
dimentica il passato per avere
la forza di entrare in un altro
istante:
l'inferno forse solo la coscienza
del tempo
ed senza morte l'entrata.
35. CALLIDA CREATURA
Come
quei che sull'ultima collina,
onde
si schiude il prodigioso incanto
della
valle beata
sosta
e si rivolge indietro a riguardare
cos
viviamo noi la nostra vita
in
una serie di commiati, eterna.
Rainer
Maria Rilke
Come ti
sarebbe piaciuto,
callida creatura! Dalla riva
erbosa ancora una volta rivolgo
lo sguardo spento
alle anse del fiume d'argento
alle pendici coperte di faggi
che non adombrano la vivida
brillanza di ruggine e ambra
ma solo un lieve sprillo
d'oro, presago
del prossimo mutare.
Scendevi correndo e ridendo
da queste colline. Ti sei staccata
dalla corona della vita come
un petalo di giglio giallo
dissetato da una scintilla
di rugiada. Tramonta il sole ormai
in un alone
dorato dietro le vette lontane
e il crepuscolo a poco a poco getta
ombre sulle nostre colline
e colora di porpora le nubi.
Cammino sul largo sterrato
tra stanchi gridi ed ebbri voli
di passeri e un falco solenne
ricama un racconto nel cielo:
la storia del nostro cammino.
Estenuati bagliori coni d'ombra
proiettano e s'immergono
i piedi in chiazze di luce giallastra.
Le foglie dei faggi sussurrano
con mille voci il tuo nome: se questa
vita
un sogno, il mio risveglio
la morte.
Vagando lentamente per le vie
notturne d'improvviso
appare la tua casa
e un tedio uggioso a poco a poco
mi consuma. La luna gioca
a rimpiattino
tra le vaste radure
del cielo. L'angustia non lascia
requie come lo sgomento
del tempo
stagnante. I giorni
passati sono un cumulo e una belva
mostruosa li inghiotte e tutto
si scioglie in uno spazio
sconfinato. E il muro dinanzi
a me, si fende
come un sipario di teatro.
E come un delirio fatale
bulicano follie
incongruenze
atti sconsiderati:
ma inerme provo un insensato
desiderio di urlare
e digrignare
contro l'Impossibile. Assente
a me stesso, non ho
la forza di un rimpianto di un rimorso
di un ricordo se non
il racconto del falco
nelle vaste radure
del cielo. Potessi esaurire
il disgusto e la commiserazione
e non sentirne pi
lo sconfinato orrore.
36. ANCORA
Resisto alle tempeste del passato
eppure anche il futuro appare impuro
non pi segnato ormai da serici
arcobaleni e da salubri scrosci:
torna di nuovo l'eco di catene
antiche, scorie di vane passioni.
Ma la brama di rifiorire
ancora affiora in danzanti vertigini
mentite di profumi e trasparenze
mentre un vento severo reca ancora
oscure inquietudini e la cenere
livida che credevo fredda crepita
in fuochi che diffondono volute
nerastre di fumi ansimanti:
aliti acri in silenzi titubanti.
37. ALLORA – II
Per te volli recidere
in forre di boscaglie impervie
questi fiori selvaggi.
Sospeso
sul dirupo che sembra
di nuovo
l'ultimo giorno
sempre pi fioco
respiri sotto frcide
fronde – ricordi di piogge leggere
di nebbie impure nelle tarde estati
di allora.
Clessidra, mio tempo, son gi
le sette. Chi sussulta sulla scala?
Clessidra, forse la morte che suona
le sette?
Ti sento che sommessa–
mente respiri sui fiori selvaggi.
Gialligna e bianca
la sabbia, bianca e gialligna
nella stanza
deserta. Batte a piccoli
colpi i suoi ossetti d'argento:
s, sono io, la morte
ed entro come allora nonostante.
Muro vuoto, muro
senz'edera, ci sono
pareti
di vita che restano senza
preghiera.
Ci sono finestre che fanno
bara di vetro.
Ci sono bambini in un parco
schiuso ad altri venti. Sei forse
l come allora? lenta
la fontana! E profondo
il sangue! Sono come l'edera
di una storia trista. Rinchiudo
un alito di vento e serbo
il tuo cuore le tue
bianche braccia, un regno d'infanzia.
Laddove pi niente prevale
come uno straniero non pi
legato a niente dove
la primavera
solleva il parco e accanto
a te lo posa dolcemente
dove dolcemente tu dormi
gi da mille anni.
Sotto frcide fronde
la gente parla e su una panca
legge. I bambini son sempre nel parco
e tu splendi. Torna la sera
e la primavera alza
la sua fronte oscura al di l
dello stagno. C' nel viale
un passo
dei passi che risuonano
e alcune foglie morte e fiori
selvaggi recisi tra lacrime
e sangue. E ti tengo per mano.
Anni, mi sentite? Mi senti
primavera? Tacete
fontane! Fuggite bambini!
Sono le sette!
Questo fracasso non nulla, non
temere: un turbine di fogli
e di vento dove d'un tratto
si torna i bambini che gi
allora...
Per te
canto
questi fiori selvaggi
consacrati al martirio
per il ricordo
per l'angoscia
per la speranza
per l'amore.
Ti vedo uscire
da un limbo di nebbie e di fumi
tra oscure falangi di spettri
allo scoccare delle sette
tempo fermo ed eterno
d'impotente innocenza.
38. DESERTO DI CENERE
La solitudine del lume nevica
fra le falbe e scialbate nebbie
sopra il tuo corpo sulla riva di acque
incredule – tu taci di lussuria
e io sono davanti a te
come terra riarsa.
Vuoi trasfondere in me
l'ansia di esistere, la brama
d'amare di vedere di sapere?
Vivo una verit mendace
senza aneliti e senza
utopie: si fatica a respirare
nell'aria rarefatta – divenuta
astrazione in un vasto deserto
di cenere.
Vivo un inferno
che soffoca e fomenta giorni inerti
d'infedelt a me stesso
di speranze peccaminosa–
mente
stanche: rifugio
ultimo della mia
inettitudine
all'esistenza
consacrata.
39. CHIUSO! FINO ALL'OBLIO...
Chiuso! Fino all'oblio...
Di tra i rami degli alti
tigli del giardino il lucore
scorgo di una lucerna.
Il
vento reca le fragranze
del fiume e dodici
rintocchi di campane.
Sento forze che germinano, flutti
che si sollevano, un'aurora
che appare... Soffi
sussurri brividi.
Nel silenzio gemono lievi
le finestre che si richiudono,
cigolano le chiavi dei portoni...
Da un'osteria
risa, grida, tintinno di bicchieri,
il barbugliare iroso
d'un ubriaco e passi
che si trascinano
incerti sulla ghiaia
con i ricordi
sulle orme.
Poi silenzio e la luce
che filtra di tra le ramre
si fa scarlatta.
Camminare fino a stancarmi...
Smorzo il lume
e scendo nella strada lungo
la ripida scala di legno.
Per andar dove?
E posso nella fuga
trafugare il segreto tesoro
del mio cuore? E schivare il vuoto tetro
del mio terrore?
Giunto al ponte mi fermo:
sull'altra sponda
forse il grande
Nulla? tutto buio; soltanto
la luce
giallastra d'un viluppo
di vapori s'innalza
da un'alta ciminiera e nitida–
mente
campiti
sulle montagne nere
s'insinuano
in grevi nembi plumbei
trafitti dai raggi del plenilunio.
Sull'assito del ponte
guizza il rosso bagliore
della lucerna tra mazzi di spenti
crisantemi dinanzi a una cappella
affacciata sul fiume.
Cammino lungo l'argine del fiume:
strada senza ritorno.
Chiuder infine l'urna dei ricordi
come si sigilla una bara:
poso sul cuore
come fiori secchi le mani
chiuse in croce, chiuso fino all'oblio.
40. LA CRIPTA DELL'OBLIO
Non resta che la brama
d'un'ultima glossa alla vita
prima di spegnere gli istanti.
Una nuvola bianca
sovrasta le vette scurite
dall'ombra come un maestoso
vascello che sembra anelare
a un naufragio fastoso.
Pi non conosco parole di vita
e di luce. Il mio Dio
era un sovrano in una rocca
inaccessibile. Sigiller
il reliquiario
della memoria come si sigilla
la cripta dell'oblio.
41. DIAFANA CREATURA
Torn di primavera sotto un cielo
inebetito e plumbeo che folate
bizzose e stizzite gremivano
di nuvole sdrucite:
lacerti sudici di angosce
e spasmi che corvi voraci
nella vallata al vento acre
esulceravano.
Come empia Da senza tempio come
diafana Creatura
creata per diffondere sventura,
da roccioso recesso
sopra un torrente
d'abbacinante furore, solivaga
apparve, fatua e fastosa,
tersa e altera vertigine
aleggiante su fluidi
altari, effusa d'eccelso fulgore
e il cupido
culto, comunione sacrilega,
avida ora presiedi: come porco
da mota putrida,
come cane dal vomito
suo attratta,
l'essenza eburnea
tripudiante trangugi, turbine
dei sensi.
Venga la morte
alba di un giorno
infinito, bramata
solitudine, eremo
eterno
dell'anima
e dello
spirito.
42. PER NON ESSERE PI
Lacera foglia a foglia;
infuria e frusta
i tronchi, divarica rami
impazziti; imperversa
in turbine di pioggia: tutto
travolge il vento
d'autunno. Alti sopra le vette
spettri discorrono*
immuni alla bufera come
una sfilata
di incubi
e discendono sulla terra
morente,
si dissolvono infine
nell'aria incollerita: muri
e torri crollano,
tra brandelli di case
uomini implorano, incalzati
flagellati dispersi tra presente
e memoria. Sfugge la corda
della vita e sola certezza
il bruciore che nelle mani
a lungo resta. Finalmente
nella notte si annienta
l'avvenire e soltanto
resta il momento
che sceglieranno
per non essere pi.
43. AI CONFINI DEL SOGNO
Pulsano le tempie dolenti
e tumide del pellegrino.
Una cisterna esala
vapori che in neri veleggi
si librano
verso scure nubi rigonfie
e celano la luna.
Tremano immagini e ricordi
disfatti sul liquame fetido.
Dio
predilige i deserti dell'anima
di chi dispera e si tormenta.
All'alba sosta il pellegrino
in un tugurio come in un sepolcro.
E soffocate le preghiere esplodono
in sarcasmi.
All'ombra
dei frassini, al sussurro
delle ramre che rimemora
la disfatta, possa smarrire
pure io il cammino e me stesso.
44. OLTRE IL CONFINE
Nell'acqua che fluisce
e che rigurgita
avverto la vana vertigine
dell'incedere stento ed inesausto:
percorsi di pensieri che s'ammucchiano
e che schiacciano e a poco a poco
massacrano.
E gelo e trepidezza
mi assalgonO
e mi feriscono
con colpi fatali. Profano
la foresta dei primi
sublimi
congiungimenti.
Ma a nuove terre anelo
oltre il confine dove
cerco radici e oblio.
E tu che fai
ignara fanciulla di futili
piaceri? Tu sei come il muro
scabro che triste e muto
rasento. Il mio cammino
faticato fu la tua pena.
Guarda lass: la vetta
innevata e la nuvola
diafana: l'ultima luce
le fa vermiglie
e silenzioso il vento
affilato di gelo
staglia l'una e l'altra sospinge
che sfiocca smorta
nell'aria, sempre
pi fioca.
Cingo
la tua bellezza
e ti
spingo verso una siepe
e
sgorgo al tuo solo sfiorarmi.
Tenera
fanciulla imbelle,
sposa
mia, hai tu timore?
Di che,
anima mia?
Soltanto
sognate
furono le nostre
creature...
O madre dei sogni
trascorso il tuo tempo,
riccioli
d'acqua
folate
di vento la veste
prdono
di malinconia.
Ma gi
trascolorano
al livido
le distese
di neve
e le
nuvole ormai
annerite
disperde il vento
poi nel
sereno di perla grandeggia
la
vetta pura
come il
tuo corpo.
O tu
semplice e cara
fanciulla,
vieni
con me
lontano
e
nell'acqua che scorre e che rigurgita
avverti
forse anche tu la vertigine
vana
dell'incedere stento
ed
inesausto?
O
stella del cielo, c' ancora
speranza
per noi?
45. E TUTTO S'APRE A SBARAGLIO
Scuote la notte il latrato ostinato
di cani
furibondi
e tutto
intorno e tutto in me
si
frantuma: ma in questo
frastuono
di macerie il Tempo
concepisce
il nostro domani.
Che
cosa
ti
lacera che con la torcia sciaboli
pantani
bulicanti
e
lastroni di ghiaccio nero? Chi
ti
tormenta? Per tutta
l'estate
abbiamo sostato e versato
lacrime
sulla loro tomba.
Contro
il cielo brumoso
si
stagliano sghimbesci
vetusti
pali della luce e strascichi
di
chiarori promiscui
soffiano
sulle strade:
nelle
vetrine vuote
i
manichini nudi vomitano
sangue ma tu non puoi vedere.
Abbrivido.
Hai freddo? Sorrido:
no, tu
non puoi capire.
Apri la
porta e una pallida luce
diffonde
calore fallace.
Tutta
la notte
a
sputare suppliche amare
come un
condannato al patibolo
aggrappato
alla grata della cella.
Inghiotto
singulti
che in cachinni
rigrgitano.
E ghignando dissmulo
l'obbrobrio
del restare con la maschera
del
sentimento opposto
-
cinico si traveste con i cenci
del
rivale - per eludere e illudere
gli
sgherri della vita
e
fuggire con te feroce d'essere
in un
trionfo di velata
disperanza:
la fede, tutte
le fedi
rendono protervi. Ma
neppure
percorrendo intera
la
vita, potrai mai
trovare
i confini dell'anima.
Secchi
rintoccano bagliori
di
riflettori e schiarano una greve
solitudine
schiacciata di fumi
densi e
nerastri...
Una
striscia di luce dalle nubi
si
svincola e scivola via
sui campi
senza fine
e
spoglia spudorata-
mente
il cielo spento. Al lucore
lunare
il cimitero
dalla
finestra appare
lugubre
e luminoso come un occhio
di
vetro cerulo
fra ben
tagliate palpebre.
Per
tutta
l'estate
abbiamo sostato e versato
lacrime
sulla loro tomba.
Sull'antica
malerba
dei
tumuli negletti
e sulla
polvere dei marmi
passano
demoni inquieti
e
dannati, come ombre
effimere.
Ma tu
non puoi capire:
rimorsi
scrupoli coscienza:
ancora l'orizzonte umano
non hai
varcato, nulla
vedi
oltre l'uomo.
Sarai
libera solo quando,
come i
grandi assassini e i grandi saggi,
saprai
essere superiore
a ogni
rimorso. La fede - ricorda -
rende
protervi.
E danza
il vento e muove
la
malerba e i cipressi. Languido
volteggia
con
epifanica volutt. Strascichi
di luci
soffia sulle strade. E tutto
d'un tratto
s'apre a sbaraglio:
nient'altro
che l'abisso
ci
tiene in vita. In questo
frastuono
di bagliori sgretolati
e di
macerie
fumanti
il Tempo
concepisce
il nostro domani.
E
sosteremo, forse, e verseremo
ancora
lacrime sulla loro tomba.
46. SU STRADE ABBAGLIATE
CANTO FUNEBRE - III
Ho riletto dopo tanti anni
le tue
elegie
e
con felice stupore
ripenso
al tempo
che
vide il nostro amore,
quando
per questo mondo atroce
e vano
ti angustiavi,
orgogliosa
e ribelle.
Molto
hai faticato, sorretta
da un
fuoco puro
su strade
abbagliate dal tuo fulgente rapido
passare.
Ma ora stringi soltanto
terra
nelle mani. Davanti
a te,
spoglio d'aneliti, comprendo
infine
le lotte remote
con i
cavalli
bardati
per morire. Ora la voce
mi
manca ma il silenzio
grida
il tuo nome.
Amavo
me stesso perch
ti
amavo. Amavo il risveglio al mattino
perch
un altro giorno
mi
donava d'amore. Nudo a te
vicino,
trasognato, musica erano
le
parole che non
dicevi.
Vivo
di
sogno e questo conforta la vita
di chi
la notte abita solo:
come
armonie di colore
di
suono e di parole, come
fragranze
di lill
che
dilagano e sfumano.
E
l'ombra tua perseguo
sull'acqua
torba d'uno stagno
o sulla
tomba
nera e accanita di bufera
scalfita
appena
dal tuo
nome e da un distico
delle
tue elegie:
Piega
sulle viole del mite vento
dopo oscuro giorno la sera serena.
Se questa vita un sogno,
il
risveglio la morte.
Davanti
a te, d'aneliti
spoglio,
comprendo infine
le
lotte remote con i cavalli
bardati
per morire.
Anche
la tua
morte
mi dono.
47. UNA MADRE – CANTO FUNEBRE - III
Sognavo spesso di avere un bambino
e
tenere erano le sensazioni
ineffabile
la dolcezza.
E forse
non mi sono mai destata.
Fischia il treno improvvisamente.
Davanti
a me sul margine del bosco
una
torma di bimbi scalzi e sudici
spauriti
come cuccioli
si
sparpaglia.
Figlio mio, avevi sul corpo
le
piaghe della morte.
La tua
breve vita terrena
in
altri luoghi
in
altre forme possa culminare
in
perfezione.
Ma gi
in te tutto contieni e ravvivi
al di
fuori d'ogni spazio e d'ogni tempo.
Potessi confluire in te,
come un
fiume in un altro
e poi
insieme andare
oltre,
uniti, pi forti,
pi
profondi. Amatissimo amatissimo
insieme
a te. Non non deve
forse
essere
che
l'affine si ricongiunga?
Come
cristalli che si stanno
formando?
Quando sar libera
dalla
forma terrena
non
deve forse
essere
che al mio spirito
venga
assegnato un posto
e che
si leghi a spiriti
affini?
E gli
uomini che qui
si sono
tanto amati
non si
uniranno forse
in una
nuova Forma?
Scarna
appariva questa
consolazione,
prima.
Lo
spirito
non
l'uomo e pi non ritorna
com'era.
Ma se il desiderio
diventa
fede, allora posso
anche
in questa vita avvertire
la tua
presenza,
figlio
mio caro.
Invano
cerco di comprendere
come
sia: ma il mio Bene
riempie
i cieli e dentro di me
dimora.
Fievole
riflesso
del Tuo lume scorgo dove
la
bellezza splende e se il buio
osservo
senza
timore,
forse un giorno
mi
apparirai.
Il
treno fischia
improvvisamente.
Schiamazzano
i bimbi scalzi e sudici.
Scendendo
alla
tomba, caro bambino mio,
non si
sale forse alle stelle?
48. DISINGANNO
Il muro del sogno si sbriciola
e
sconfina la vita
tra
vicoli acri gremiti di grumi
di
miserabili: padri imbestiati
e
sbracati madri insaccate
in
vesti nere
cattive
come vacche cieche, figli
aggrappati
come pidocchi.
La pace
cerchi nei postriboli
dove il
peccato
ristagna
e sordida* la tua
origine
e sconcia l'amore.
Vigila
come malata la morte
bagliore
verde
tra
nebbie sfilacciate in mille
fiocchi
e in fioche spirali
di luce
cerula.
Non
dire le notti di veglia
e di
lacrime sotto l'acquerugiola
rasente
i muri per bagnarti
di
meno, aspettando il rintocco
dell'Angelus.
D'improvviso
ti volgi
come
chi voglia
misericordia
impetrare, ma sappia
il
benedire
nell'atto
stesso vano.
La
strada del cielo franata.
Raggi
sghembi riverbera
tremula
l'aria
al
tramonto. Il tempo s'ingorga
nella
memoria di disgusti
di
disinganni e finalmente
la
solitudine
impicca:
da una
finestra aperta
s'ode un
rantolo nero:
il
senso d'un inutile cammino.
franata la strada
del
cielo.
*Voce del verbo
sordidare
49. PERDIZIONE
precipitando
dentro
me stesso... senza
lambire
mai
il
cielo senza mai avvilupparmi
d'inferno...
Luna nera angeli neri
sulla citt
deserta. Gemono
gli
alberi antichi
si
spezzano i rigurgiti del fiume
ansiti
che sussurrano sventure.
Hanno
smesso di bere di gridare
di
bestemmiare
di
ghignare inghiottiti dalle nebbie
infette
della notte. Perch chiudi
a
chiave? Venga pure
il tuo
vecchio e ti trovi
puttana
sulla soglia dell'infamia.
Rimarr qui notte per notte
inetto
a godere e a soffrire
oppresso
da confusi
terrori
mentre
tu mi scruti al di l
del
tempo. Fiera della tua bellezza
ti
spogli rischiarata
dal
lume tenue della lampada.
Poi
t'inginocchi frmida
e
reclini la testa sul mio sesso
che
lenta-
mente
si gonfia e mi accarezzi lungo
i
fianchi.
D'un tratto
ti
trascino sul letto
e ti
penetro e forte
e mi
stringi come per farmi
confluire nel tuo
corpo
ma senti la tua tenebra
gravare
fredda sulla schiena e a tratti
udiamo
un rombo
lontano,
come di tuono
Ma non si pu
essere
in questa afflizione: sapienza
morta
della mia morta
follia.
E tutto
tenebra diventa
e
silenzio e nulla. E in questa
tenebra dimori laddove
la mia
morte matura come l'alba
nel
grembo della notte.
L'antidoto
al
tedio la paura.
Ma
occorre che il rimedio
sia pi
forte del male.
Non
voglio pi vagabondare come
un cane
randagio tra boschi
e
pietraie. Mi odiano ma
pure io
li odio, mi perseguitano,
non
prdono occasione
di
calunniarmi di vituperarmi
di
escludermi e noi ce ne andremo.
Amo te
sola e questo basta.
C' un
mondo diverso laggi
dove il
tempo come sospeso
e tutto
avviene, quando
avviene,
in un istante. Saliremo
sulla
nave che prender
il
largo
e che
dritta velegger
verso
l'orizzonte remoto
ove
saremo inghiottiti da nebbie
cerule,
a dio
stranieri
e a noi
stessi
precipitando in noi
senza
lambire mai
il
cielo avviluppandoci d'inferno...
50. IL CERCHIO ROSSO*
Da
vette
lontane
irrompe la prima tempesta
d'inverno
ma
tu,
anima mia,
non ti
curi se torvo
il
cielo appare o terso
brilla:
altre bufere le tue,
altre
requie. T'incupi
ove
letizia regna;
ma
quando smorta la natura soffre
godi
solare.
Ieri
sull'argine
del
torrente, fra chiazze
di
torba neve, ti parve
che un
lacerto di prato
avesse
fetore di morte.
In
solitudine sospesa
come
sommessi gemiti
che
graffiano un crepuscolo di porpora
stridono i nostri passi incerti
sul sentiero gelato
e infdo: timidi, gli inverni
incantati
tornano a noi,
quando
insieme si visse, inconsci
di
essere. Ancora la foresta
pullula
di lupi e folletti
che
celiano e ci beffano dai ciuffi
d'erba
aggrappati
alle
mura sbrecciate del castello
tra il
sinistro svolazzo di cornacchie.
Tremano
tetre le betulle scosse
dal
vento e barbaglia lontano
il lume
dell'estremo
avvenire.
Fradice
foglie
trascina
il vento
in scie
dorate e trbina le voci
dei
profeti spettrali
illividite
dalla luna.
Ma io
solo odo il lugubre galoppo...
e tu,
anima mia, lare vaneggi...
Chi
calpesta
laggi
le
foglie fradice
strappate
dal
vento in scie
dorate?
Camminiamo
intorno
a un cerchio rosso
e come
nebbia
dovremo
in esso
svanire.
*Liberamente
ispirata a un racconto di Buzzati.
51. IN MEMORIAM EMIL CIORAN
CANTO FUNEBRE- IV
Fedi Ideali Utopie s'infossano
in cloache limose.
Strozzati dalla vita,
sconfitti
da un odio che dirompe
e deprime, reclusi in carcere
angusto,
murati vivi. Niente
ti scarcera e nessuno.
Aneli ancora al Tempo
che brama tracce del Fare del Dire,
formidabili sforzi e malinconici
verso l'Essere, Angustie fiere,
salvifiche Bufere?
Dopo tante frodi e imposture,
mite e diletto amico
dell'anima, conforta contemplare
un mendico: coltiva
la sua rinuncia
tu dici
condizione della sua libert.
Egli se stesso e dura.
52.
IN MEMORIAM PIER PAOLO PASOLINI
CANTO
FUNEBRE - V
Se la
face funesta ti soffoca,
sommo
adorante
darmone
ferine
se
le strade di terra
battuta
sono
putrido
fango
se la
Croce sul ciglio
fu
divelta
e profanata
se il
tuo Cristo irriso e diabolica-
mente
deturpato
se
arranchi
febbrile,
sacerdote
e vittima
del tuo
stesso Genio, verso la proda
di
sabbie sudate
che ti
addita la bieca
protervia
di
pravo potere: allora, presto, i loro dmoni
tavvinghieranno
in una morsa sacri-
lega e
implacabile.
Con il
tuo nitore integerrimo
graffierai
le sertine ore
senza
un frale ferino amore
che il
tuo Genio ispiri.
Lesile
vetro, nimbo di estasi
sbigottite
di stupefatte
struggenze
con ghigno maligno
presto
frantumeranno ignominiosa-
mente e
la tua lume-
scente
gloria non sfrener
la loro
sordida stoltezza.
Salvalo,
o Signore!
Tempo ormai!
Padre,
nelle tue mani
il
mio Spirito rimetto.
Di
schianto tenebre sinistre calano
e
flebili urla trafiggono il pensiero:
hanc me
militiam fata
subire
volunt.
Nellaria
inebetita
sanguina
una
voce:
Il
tuo nome ormai la secca foglia
che
lieta nei terrazzi della sera rantola.
Un
ansito lunare ti riveste
e
disspa l'ansia di tanti
giorni:
ora tu vivi in corrusco
lucore.
Respiri
appena e l'angelo
delle
tenebre, ombra
che
sempre ti segue, implori: sommessa-
mente con un segno di croce
la vita
saluti
nel
sereno presagio dell'eterno.
Saranno
presto inceneriti
dal fuoco dello sguardo di Colui
che apparir
assiso su un cavallo bianco.