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Il Rigoletto che va in scena in questo periodo alla Scala non presenta molti motivi di interesse per il fruitore esigente. Si è addirittura sfiorata la routine, perché lo spettacolo di Gilbert Deflo-Frigerio-Squarciapino, pur perfetto e sontuoso nel suo genere per così dire ricostruttivo-museale, risale al 1994 e già all’epoca non brillava certo per originalità e profondità. Ogni scena dell’opera, grazie a Conlon, è sorprendente. Memorabili il preludio (uno tra i più sinistri che abbia mai ascoltato in teatro), l’irrisione di Rigoletto a Monterone e il successivo duetto tra il gobbo e il sicario Sparafucile, in cui Conlon mette in rilievo la straordinaria abilità di Verdi di coordinare il suo intuito psicologico con il suo genio melodico. Mai la tensione narrativa subisce cali sotto l’attenta bacchetta del direttore americano (da questo punto di vista il terzo atto è un capolavoro interpretativo di un vertice verdiano assoluto). |
LA RECENSIONE DI PAOLO ISOTTA SUL CORRIERE DELLA SERA È indimenticabile il «Rigoletto» Ha quasi 60 anni e sembra un ragazzino. Minuto, elegante. È il maestro James Conlon, sul podio dell' ultimo Rigoletto eseguitosi il 15 alla Scala. Certo, quando il protagonista sia Leo Nucci, alla sua quattrocentoquarantesima interpretazione del personaggio, non si hanno orecchie che per lui. Ma merita altrettanta attenzione Conlon. Reduce da un intero "Ring" di Wagner, passa con disinvoltura alla più opposta possibile concezione del teatro musicale. Egli parla perfettamente l'italiano, e lo si vede per il suo implacabile inseguimento della «parola scenica» alla quale i cantanti oggi cercano di sfuggire come cosa che non li riguardasse. Va da sé che Leo Nucci della parola scenica è maestro, e la sua voce, ora morbida e duttile, ora possente, «passa» nei momenti di maggior peso orchestrale. Ma un Rigoletto così, grazie alla concertazione di Conlon, è da non dimenticare. Il maestro è autorevole e riesce a una provvisoria riparazione, o lucidatura, dell' orchestra della Scala, dagli archi agli ottoni. Ha una perfetta concezione dei rapporti drammaturgici di tensione e distensione; conosce ed applica le «tradizioni» interpretative come un direttore d' altra generazione. D'altronde il suo dominio sulla partitura è ferreo, e lo si vede subito nell'eleganza con che dirige le danze arcaiche della prima scena e il momento di oscena supplica del Duca alla contessa di Ceprano. Insomma, Conlon è uno di quei maestri che dovrebbero avere un posto fisso in ogni stagione e nel repertorio più vario. Il suo successo nel «raunar le fronde sparte» nel Rigoletto lo dimostra. Se nel ruolo protagonistico dell'opera vi sia Leo Nucci, credo la riuscita sia assicurata, anche perché da lui, così mite e buono, sapido conversatore nelle sedute a tavola nonché studioso di fisica acustica a un livello professionale, emana un sorta di metus reverentialis che induce tutta la compagnia a dare il meglio di sé. L' esempio della sua serietà è di chi non smette mai di studiare e non quello d'intervenire distrattamente alla prova generale e basta. In Elena Mosuc, interprete di Gilda, incontriamo una regina della coloratura (il suo Caro nome è un modello) ma una cantante che non sa nulla di fonazione articolata, così da render incomprensibili tutte le sue parole. Il Monterone di Ernesto Panariello è possente e lo Sparafucile di Marco Spotti temibile e misterioso. Il Duca è Stefano Secco, che «spinge» un po' troppo, e la sua adorata Maddalena Mariana Pentcheva. |