VARLIN

L’IRONIA, LA CENERE, IL NIENTE

Articolo di Roberto Barzi - Pubblicato mercoledì 23 maggio 2007

Attraverso l’uso soggettivo del colore, ma soprattutto grazie a un segno rapido e nervoso, Willy Varlin riuscì a cogliere, nell’aggressività deformante della sua visione, il significato stesso dell’esistenza, spingendosi in molti dei suoi capolavori fino alla dissolvenza del colore e dell’immagine, giungendo così all’intima dignità di ogni essere umano.

“Della pittura di Varlin, di questo misconosciuto, protervo, sgangherato e, insieme, sublime Maestro, uno dei pochi della sua generazione […] che abbia l’aria di passare indenne dai complicati tornanti delle mode; uno dei pochi […] che han preso a dare il massimo di sé quando gli altri han cominciato da un pezzo a rallentare la corsa del loro treno (di pittura, intendo, non di vita) e a sclerotizzarsi nella ripetizione; di questa pittura mi toccherà forzatamente parlare, non solo quale testimone […] sbalordito, indifeso e, immagino, sbalordente e ossessionante come un Attila senza più esercito né erba da bruciare, procombo dentro la pittura di Varlin quasi che tutto di me fosse riducibile alla testa, al cranio da folle o da imperatore delle case per i ‘no sani di mente’ […] e vi procombo proprio nel suo momento d’esplosione più totale, indignata e furente […] Ci fu un tempo in cui la pittura di Varlin pareva bearsi e fin crogiolarsi dentro la sua straordinaria, straripante succulenta materia; torcendo, magari, subito il naso o lasciandosi torcere il collo […] dai reclami montanti oltre il fondo della sua continua, amara arrabbiatura; arrabbiatura, intendo, per l’idiozia umana che non vuol vedere, proprio non vuole, da che parte, fossa, buco, materasso o valigia proviene e verso dove […] è indirizzata e cammina.”

Era il 1976 quando Giovanni Testori proponeva a Milano, alla “Rotonda” di via Besana, l’esposizione “personale” di Willy Varlin - il cui vero nome era Willy Leopold Guggenheim -, (Zurigo, 1900 - Bondo, 1977), con il quale il celebre critico d’arte aveva avuto un profondo legame di stima e di amicizia. Oggi, nel trentennale di questo memorabile evento e dalla scomparsa di Varlin, il Comune di Legnano (MI) presso “Palazzo Leone da Perego”, presenta una “antologica” - curata da Flavio Arensi e Patrizia Guggenheim, figlia dell’artefice - del maestro di Zurigo, uno fra i più illustri ed influenti artefici del Novecento europeo.

Il progetto ricomincia proprio da quello straordinario avvenimento che fu l’evento milanese, e soprattutto dalla dissertazione di Testori fin dal titolo del saggio lirico/visionario del critico d’arte composto per il catalogo: L’ironia, la cenere, il niente. L’esposizione - formata da sessanta dipinti, di cui alcuni inediti, e venti disegni - vuol indagare sul rapporto fra Varlin e l’umanità, la stessa che amava ritrarre. Non scordando che fra i suoi “modelli” vi furono scrittori e drammaturghi svizzeri del calibro di Frisch e Dürrenmatt, famosi fotografi come il celeberrimo - e forse anche troppo celebrato - Cartier Bresson e, naturalmente, Giovanni Testori - drammaturgo, poeta, romanziere, nonché pittore. Di questi intellettuali Varlin scrisse con caustica benevolenza “[…] col tempo scopro il masochismo degli intellettuali che vengono a farsi fare il ritratto da me. La loro gioia autolesionista me ne porta sempre nuovi. L’associazione dei danneggiati di Varlin annovera nomi sempre più illustri.” Le parole del “maestro” risalgono all’epoca in cui aveva finalmente ottenuto - pur non avendola mai cercata - la meritata fama, e introducono ad uno dei punti fermi della sua arte: il ritratto, soprattutto i suoi cosiddetti “ritratti danneggiati”. All’estesa tesi sui “danneggiati”, che sono ormai considerati il punto focale della sua osservazione umana, si aggiungono gli scorci veneziani e francesi catturati dal talento dell’artista, in particolare le sgargianti “vedute” veneziane ed i “d’après” Goya.

Solo ora vengono esposti i suoi due primi dipinti del 1921, il più commovente dei quali è un viso librato nel vuoto, con un cappello ed una bambola: Il gioco preferito di Erna, la sua gemella ancora bambina. A fare da naturale contrappeso vi sono i suoi ultimi tre lavori realizzati l’anno prima della sua scomparsa, uno su tutti: Stare a letto, l’appassionato autoritratto dell’artista steso nel proprio giaciglio, ovvero il suo commosso saluto alla amata terra. Immune dalle influenze dei più difformi movimenti d’avanguardia, Willy Varlin ha sempre nutrito il suo stile dipingendo la fragilità quotidiana e i sentimenti umani, in primis la malinconia e la solitudine. All’inizio della carriera non furono in molti ad apprezzare il suo lavoro, difatti durante la gioventù l’artista subì in più occasioni lo smacco professionale. Vi fu un addirittura un’impresa che gli rifiutò un posto, giustificandosi in seguito così: “Non era nemmeno capace di temperare una matita”. In realtà la capacità di giudizio si arrestava davanti al suo modo di vivere e fare arte - una via di mezzo fra il clown e il bohèmien -, senza basarsi su un serio approfondimento analitico dei suoi quadri, che erano lo strumento rivelatore delle proprie connessioni con l’umanità. Fedele alla pittura figurativa, Willy Varlin non cercò mai scappatoie - come accadde ad altri artisti di chiara fama -, fu l’unico a partecipare alla “Biennale” veneziana del 1960 con i suoi dipinti non oggettivi.

Non è possibile indicare con sicurezza i precedenti di Varlin, anche se per la loro intensa carica espressiva potrebbero essere accostati a quelli di Kokoschka e Soutine, pur apparendo più in sintonia con il suo conterraneo Giacometti - che era nato nei pressi di Bondo - e alla maniera del “maudit” Francis Bacon, soprattutto a causa della sua personalissima intuizione spaziale. Nell’arte contemporanea il più assimilabile a Varlin - “L’irrimediabilmente figurativo”, come lo definì lo scrittore e drammaturgo Dürrenmatt, suo amico e “critico” - potrebbe essere considerato Alessandro Papetti.

Fra le altre opere esposte si notano e si gustano le belle vedute di Bondo e di Montepulciano, oltre ai classici ritratti dalle figure allungate ed eleganti degli amici cosmopoliti con un’espressione di stampo mitteleuropeo, percependo in questo modo il soffio vitale del secolo appena trascorso, come si nota nel Ritratto di Hans Theler, (1963). Varlin era però anche un ottimo autore di delicati nudi artistici, come ha dimostrato nel bel Ritratto della moglie Franca, (1953).

Attraverso l’uso soggettivo del colore, ma soprattutto grazie a un segno rapido e nervoso, Willy Varlin riuscì a cogliere, nell’aggressività deformante della sua visione, il significato stesso dell’esistenza spingendosi, in molti dei suoi capolavori, fino alla dissolvenza del colore e dell’immagine, giungendo così all’intima dignità di ogni essere umano. Uno fra gli incontri decisivi nella storia artistica di Varlin fu appunto quello con Testori, suo grande estimatore. Fra i due s’instaurò un forte sodalizio che portò all’imponente mostra milanese del 1976. Non sentendosi ancora pronto, l’artista posticipò più volte la data dell’esposizione, ma pur essendo malato iniziò a dipingere con reiterata passione delle tele sempre più imponenti, raffigurandovi gli oggetti quotidiani più umili, glorificandoli nella loro sofferta, misera, ma umanissima storia. Stesso discorso per i ritratti dove il personaggio, sia pur trafitto dalla sardonica ironia dell’artista, trionfa nell’esplosione della sua carica vitale.

L’anno successivo Varlin morì nella sua casa di Bondo, in Val Bregaglia. Rimane per fortuna di lui uno straordinario documentario della televisione elvetica, che lo ritrae in pieno inverno, mentre appende i suoi dipinti ad asciugare sui rami degli alberi che circondano la sua abitazione. L’artista era talmente assuefatto alla propria ironia che Dürenmatt si ricordava ancora di quando, il giorno successivo alla scomparsa dell’artista, passò “ […] da solo per il paese. L’entrata del cimitero era sbarrata. Andai all’atelier; anche qui non fu possibile entrare. Sulla porta era affisso un biglietto con la calligrafia di Varlin: ‛Chiuso per ferie’.”

Nel catalogo - pubblicato da Silvana editoriale - in aggiunta al testo di Flavio Arensi, sono riportati i saggi critici di Stefano Crespi, Giovanni Testori, Roberto Tassi e Vittorio Sgarbi.

VARLIN. L’IRONIA, LA CENERE, IL NIENTE

Dal 5 maggio al 1° luglio 2007

Legnano, “Palazzo Leone da Perego”

Via Gilardelli, 10

Orari: da martedì a venerdì dalle ore 16.30 alle ore 19.00

Sabato dalle ore 16.00 alle ore 19.30

Domenica e giorni festivi dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore19.30

Ingresso libero

Catalogo “Silvana Editoriale”

Informazioni: tel. 0331 471335

www.legnano.org