HOMMAGE A NELLO SANTI


UNA CHIACCHIERATA CON NELLO SANTI

ZURIGO 17 MAGGIO 2011




Il 19 maggio 2011, prima di una recita del Ballo in maschera, ho avuto il privilegio di incontrare il maestro Nello Santi nel suo camerino all'Opernhaus. Una lunga, interessantissima chiacchierata, di cui ho trascritto le parti principali, cercando di mantenere il tono discorsivo.

La prima volta che l’ho sentita dirigere è stato nel 1979 a Parigi, due recite di Nabucco al Palais Garnier. Nella prime ricordo che Grace Bumbry si è trovata in grosse difficoltà nella cabaletta di Abigaille Salgo già del trono aurato

La Bumbry ha voluto sempre cantare da soprano. Invece era veramente il mezzosoprano. L’ho diretta anche come Aida e ha mancato il do dei cieli azzurri… Non erano in effetti cieli azzurri, ma molto tempestosi… minacciavano grandine e ha grandinato naturalmente…

Tornando alle cabalette. Lei non le fa con il da capo…

Il maestro Votto ha giustamente affermato che il da capo delle cabalette serve solamente a far stancare gli artisti.

Lei ha diretto molti cantanti considerati oggi leggendari. Tra questi anche la Callas?

Mai. Avrei dovuto dirigerla per fare un disco con Corelli, ma per vari motivi non se n’è fatto nulla.

Qualche ricordo su altri cantanti leggendari?

La prima opera che ho diretto è Rigoletto. Nel rôle en titre ho diretto i più grandi cantanti, da Carlo Tagliabue, ad Antenore Reali (un Rigoletto favoloso)... Poi Lino Puglisi, Protti, Bastianini, Gobbi, Taddei, Merrill, MacNeil, Cappuccilli (esiste un video da Ginevra: come Gilda, cantava Valerie Masterson, grandissima in questo ruolo pur non essendo soprano leggero).

Di Stefano l’ho diretto soltanto nella Forza del Destino e in Butterfly. Avendo cantato le due opere in due sere, il do non l’ha fatto né lui né Felicia Weathers che interpretava Butterfly. Un tenore che ha avuto tutto, Di Stefano: la bella voce, la personalità, la musicalità, il physique du rôle. Inoltre sapeva instaurare un rapporto molto caloroso con il pubblico.
La Tebaldi l'ho diretta in Tosca e in Otello.
Del Monaco come Otello (maggio ’56) a Sant Sebastian. Desdemona era Maria Curtis Verna, Jago Piero Guelfi, un ottimo baritono. Robert Merrill l'ho diretto nel Ballo in Maschera al Metropolitan nel 1962.
A proposito di questo Ballo (di cui esiste la registrazione)… cantavano tre coristi
[ride]… oltre a Merrill, la Rysanek e Bergonzi.

Due anni dopo ancora il Ballo con altri tre coristi: Cornell MacNeil, Richard Tucker e Birgit Nilsson. Anche di questo esiste la registrazione. Incredibile. Ho avuto il mal di braccio per una settimana, tanto a lungo hanno tenuto il do nel duetto Irradiami d’amor. Indimenticabile.

A quel tempo lei era già direttore stabile dell’Opernhaus...

Sì, ho cominciato nel 1958.

Che differenza c’è tra quell’epoca e l’epoca Pereira?

È stato
Herbert Graf (1960-62) a dare la spinta fatale all’Opernhaus. Era a Zurigo quando è stato chiamato alla Scala per portare a termine la regia del Poliuto, dopo l’abbandono di Visconti. Si è studiato la partitura per canto e pianoforte (che gli ho dato io) nel viaggio tra Zurigo e Milano, nel settembre del 1960. Graf ha portato a Zurigo una grande ventata di rinnovamento, ventata che Zurigo non ha sopportato subito. Dopo Graf è venuto Hermann Juch [1864-1975], un magnifico sovrintendente, anche se non ha portato grandi novità. Altra scossa l’ha data Claus Helmut Drese [1975-1986] che era anche regista e ha firmato molti spettacoli del teatro. Ma nessuno ha avuto la disponibilità finanziaria di Pereira, che si può definire un sovrintendente-manager. Grazie a ciò, la qualità del teatro è nettamente migliorata: più prove con l’orchestra, migliori musicisti, possibilità di ingaggiare grandi cantanti. Anche Pereira è stato un innovatore, ma si è trovato il compito facilitato dai suoi predecessori.

Quando vengo a sentirla in teatro mi sorprende sempre che diriga tutto a memoria, anche opere assai complesse come Falstaff o Francesca da Rimini. Mentre l’ho vista con partitura quando ha diretto…

I quatro rusteghi… Che poi non ho più ripreso perché ci sono qui a Zurigo i turni di rotazione in orchestra. E se non ho gli stessi musicisti i Rusteghi non li dirigo. Anche perché il materiale d’orchestra è pessimo. Le sembrerà paradossale ma per me è più difficile dirigere a memoria la Norma o la Sonnambula che il Falstaff...

In questo periodo all’Opernhaus va in scena il Moses und Aron di Schönberg. Qual è il suo giudizio sulla Scuola di Vienna, sulla Lulu di Berg in particolare?

Considero Lulu un capolavoro e Schönberg un grandissimo musicista e compositore, vittima dei tempi in cui è vissuto. Il suo Pelléas et Mélisande… romanticissimo… Schönberg era allievo di Brahms. Un amico mio era allievo di Schönberg e mi raccontava spesso che un argomento prediletto da Schönberg era proprio il suo grande maestro. Ho diretto le Variazioni per orchestra op. 31. Ho sentito la prima volta questa composizione diretta da un… dilettante
[ride] di nome Dimitri Mitropoulos. Guardi, non c’è una qualifica per questo direttore, la sua bravura era sconfinata. Un genio.

[Dal completamento della Lulu ad opera di Friedrich Cerha, il maestro Santi inizia a parlare dei due finali della Turandot di Puccini...]

Una porcheria è stata cambiare il finale di Turandot. Franco Alfano ha fatto un lavoro magnifico.
Puccini per tutta la vita ha cercato di comporre un duetto d’amore intenso come quello del Tristano. Invano. L’unico duetto d’amore nelle sue opere è in Manon Lescaut. Nelle altre opere ci sono dei tentativi, degli abbozzi, come nel Finale I di Bohème, in cui il duetto è una breve appendice alle grandi arie di Rodolfo e Mimì. Anche Non la sospiri la nostra casetta e Mia gelosa in Tosca non sono duetti d’amore. E nella Fanciulla, si alternano dei pezzi… non c’è un vero e proprio duetto d’amore. Il vero motivo per cui Puccini non è riuscito a concludere Turandot risiede nelle sua ‘incapacità’ di comporre il grande duetto d’amore tra Calaf e la Principessa di gelo. Ne aveva paura. Negli abbozzi bellissima la frase O mio solo mattutino, ma poi le otto battute di Nel primo giorno sì straniero sono di una noia mortale, non c’è varietà, sono otto battute… è una sorta di obbligato… Verdi per contro di duetti d’amore ne ha composti molti. E il migliore a mio parere si trova nel Ballo in maschera. Non mi si fraintenda, amo molto Turandot

Quali sono stati i suoi maestri?

Il punto di riferimento per tutti dovrebbe essere Toscanini. In tutto, ma proprio tutto, quello che ha diretto era un mago, dal Falstaff all'Ouverture del Poeta e contadino.
Io sono un allievo di un allievo di Gian Francesco Malipiero: il maestro Bruno Coltro. Malipiero l’ho conosciuto all’Ambasciata italiana di Parigi, nel novembre del 1958 (ero appena stato nominato a Zurigo), in occasione della Butterfly ai Champs-Elysées.

Ha diretto musiche di Malipiero?

Solamente Vivaldiana.

Lei ammira molto Antonino Votto…

Era allievo di Toscanini, di cui è stato sostituto per molti anni. Votto ha iniziato la carriera come pianista. Dopo un’audizione alla Scala in cui Votto accompagnava un amico cantante, Toscanini rispose a chi gli chiedeva un giudizio: Mi interessa il pianista. E lo invitò alla Scala. Da allora Votto ha lasciato a poco a poco il concertismo per dedicarsi alla direzione d’orchestra. Nel 1923 Toscanini si è ammalato. La ripresa della Manon di Puccini fu diretta da Votto, suscitando l’irritazione del compositore: Mi hai fatto rappresentare la ‘Manon’ diretta da un sostituto…
Considero anche Francesco Molinari Pradelli un mio maestro
[un lungo “aaahhh” esclamativo]. Ho sempre pensato a una cosa impossibile: un cocktail dei due sarebbe nata una cosa… [non finisce la frase]. E pensi che non è mai stato trattato bene alla Scala, mai! La sua Forza del destino è per me una delle migliori opere incise [il riferimento è all’edizione Decca del 1955]

e questo nonostante che nel finale del primo quadro del secondo atto Bastianini faccia pasticci nel concertato. Del resto anche nel Falstaff diretto da Toscanini Gualera sbaglia tutte le parole di Ford. E poi nella Bohème di Toscanini c’è un si naturale di violoncello che è sbagliato. Gli errori fanno parte del live, fanno parte della vita, sono musica, non incrinano la solidità dell’interpretazione… Meglio i lives con gli errori che le registrazioni in studio rifinite nei minimi particolari: è come se l’ascoltatore mangiasse della carta vetrata...

E von Karajan?

Sa cosa diceva Celibidache? Von Karajan è come la Coca Cola. Tutti la bevono, ma nessuno sa che cosa beve.

L'ha conosciuto?

Come no, ero in ottimissimi rapporti con lui. Nel 1960 mi ha invitato a dirigere il Don Carlos a Salisburgo.

La definizione che do io di von Karajan è questa: era talmente intelligente che faceva bene anche la musica. Non era il musicista, era il Leonardo da Vinci, completo in tutto quello che faceva.

Grande interprete di Verdi...

E di Wagner no? E Mozart? Ma tutto quello che ha fatto...

E lei ha diretto Wagner?

Nel 1959 qui a Zurigo ho diretto Lohengrin con la Varnay che faceva Ortruda, con Windgassen, un Lohengrin meraviglioso. In quell’occasione ho imparato che non esiste tecnica tedesca e italiana. Esiste cantar bene e cantar male. Nel 2001 ho diretto a Tokyo un concerto di musiche wagneriane: Ouverture del Rienzi, 'Viaggio di Sigfrido sul Reno', i due preludi del Lohengrin (il preludio III con finale di Toscanini che ha utilizzato il finale del secondo atto), 'Incantesimo del Venerdì santo', 'Marcia funebre di Sigfrido', la 'Cavalcata delle Valchirie', preludio del Tristano.

E Richard Strauss?

Lo amo molto ma non l'ho mai diretto. Se dovessi scegliere, comincerei con il Rosenkavalier... Ho assistito a tutte le prove di quest'opera nel 1960 a Salzburg: regia di Hartmann, direzione di von Karajan.

Un aneddoto su Strauss, raccontato dal compositore stesso. Un giorno non sapendo cosa fare, ha preso un libro dalla biblioteca e ha letto il recitativo del numero 14 (Della vendetta alfin giunge l'istante...) che è l'ultimo numero del Rigoletto. E ha composto la Sinfonia delle Alpi. La prima volta che ho sentito questa sinfonia fu con la direzione di Mitropoulos alla Fenice di Venezia

Quanto al repertorio sinfonico?

Ho diretto la Prima e la Quarta di Brahms a Tokyo, la Seconda a Basilea con l’Orchestra della Radio. Poi le Sinfonie di Beethoven, Haydn, Mozart, Dvorak, Smetana, Schumann (la Quarta), Schubert.

Di che cosa si sta occupando in questo periodo?

Da tre mesi
[dal febbraio 2001] sto lavorando al Poliuto di Donizetti che andrà in scena nel maggio del 2012 all’Opernhaus di Zurigo. Sto cercando di mettere insieme il materiale che Antonino Votto ha utilizzato per le rappresentazioni scaligere del 1960.


OPERA INTEGRALE

Infatti il maestro piacentino ha sì considerato la partitura della prima rappresentazione napoletana del 1848 come base per confezionare la propria versione dell’opera, ma ha operato dei tagli e inserito alcune parti tratte dalla versione francese dell’opera (intitolata Les Martyres), andata in scena otto anni prima. Non è un lavoro facile ricostruire la versione Votto, che per me è un miracolo di equilibrio. Non si può fare meglio per allestire quest’opera.  Per esempio la sinfonia del Poliuto è il ballabile che Donizetti compose per Les Martyres. Tutti i materiali si trovano nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Non mi interessa la versione di Napoli.

È come se uno dicesse: Facciamo il Don Carlo nell’edizione di Modena. Non può esistere la versione di Modena. Esisterà che si suona nella prima mezz’ora ‘l’atto dei boscaioli’ dove Elisabetta e Don Carlo si conoscono. Certo è molto importante, ma con questa aggiunta lei va a casa la mattina e trova quelli che lasciano le bottiglie di latte davanti alle porte. Per me la versione che vale è quella in quattro atti. Senza i ‘boscaioli’. Per aggiungere i ‘boscaioli’ bisognerebbe fare come a Bayreuth con lunghe pause tra un atto e l’altro, con possibilità di mangiare di stendersi sull’erba… A queste condizioni si può fare tutto il Don Carlos e anche tutti i Vespri. Ho diretto i Vespri in Germania, a Stoccarda. Complessivamente due ore di musica. Ma l’edizione completa dura il doppio, se si considera anche il balletto. A Monaco ho diretto il balletto, ma opportunamente ridotto a 18 minuti, meno della metà. I balletti di Verdi sono pezzi sinfonici. Una volta si eseguivano all’interno di programmi sinfonici. Come ‘Il ballo della Regina’ del Don Carlos. A proposito, perché Regina? La Regina credo che fosse un grande diamante. Non è quindi un ballo che si riferisce a Elisabetta di Valois.
Anche la Sinfonia dell’Aida, come molta musica da balletto, faceva parte del repertorio sinfonico. Da non confondere con il Preludio, che si esegue normalmente in teatro. L’ho diretta tantissime volte, la Sinfonia. Verdi stesso l’ha diretta alla Scala, poi ha deciso di eliminarla mettendo al suo posto il Preludio. Con il divieto assoluto di metterla prima dell’opera. È a mio parere un pezzo straordinario. E ha una storia molto lunga. La partitura si trovava a Sant’Agata. Dopo averla diretta, Verdi non volle che venisse pubblicata da Ricordi, preferendo che fosse custodita nella sua villa. È stato Mussolini nel 1940, in occasione dei preparativi per il quarantesimo dalla morte di Verdi a interessarsi di questo pezzo. E sostenne anche la pubblicazione di numerose monografie, anche fotografiche dedicate al compositore. Ne aveva bisogno politicamente… La Sinfonia dell’Aida fu diretta la prima volta da Bernardino Molinari con l’Accademia di Santa Cecilia all’Augusteo di Roma. Nello stesso periodo l’ha diretta Toscanini a New York.

Dopo la guerra, Toscanini volle di nuovo dirigerla. Ma nessuno gliela voleva dare. Cosicché decise di corrompere la donna di servizio di Villa Sant’Agata. Quando il vecchio Carrara, il notaio che redasse il testamento di Verdi, venne a saperlo dichiarò che se Toscanini fosse tornato lo avrebbe accolto con la doppietta. Inutili furono i tentativi di Franco Abbiati e il maestro Gavazzeni per riconciliarli.
Successivamente sono stato io stesso a ottenere questa partitura da Ricordi, grazie direttore della Ricordi di Monaco di Baviera, con cui sono in ottimi rapporti di amicizia. L’ho diretta al teatro dell’opera di Colonia e a Bregenz…

Alla Scala lei ha diretto una sola volta, nel 1971…

Sì, ho diretto la Butterfly.

Poi?

Poi basta, grazie. Nella Bohème di Puccini è scritto: Occhio alla ‘scala’, tienti alla ringhiera
[ride saporitamente]. La Scala non è quello che si vorrebbe che fosse. Da anni… Si è salvata con Ghiringhelli. A quei tempi se si ammalava la Callas cantava la Tebaldi, se si ammalava del Monaco cantava di Stefano, c’erano Siepi, la Stignani, la Simionato, la Cossotto…

Ho dei bei ricordi degli anni Settanta e Ottanta, quando Abbado era direttore musicale del teatro...

Va bene, ha ripulito un po’. Ma è partito anche lui male con la Lucia di Lammermoor, partitura che non conosceva in modo approfondito.

L’ho sentita quella Lucia. Avevo dodici o tredici anni. C’era la Scotto…

Quella Lucia fu portata in tournée a Mosca. Come baritono c’era Giangiacomo Guelfi, talmente inadatto alla parte che fu subito chiamato Piero Cappuccilli a sostituirlo. Insomma è come se volessi mettermi il mantello di uno che pesa 60 chili. Un grave errore della direzione artistica. Dove ha avuto le orecchie questa gente? Nei tacchi?
L’anno della Butterfly c’era anche il Simon Boccanegra. In tournée a Parigi l’ha diretto sei volte Abbado e cinque volte io stesso (con Gianni Raimondi, Cappuccilli, Ghiaurov, Freni, Schiavi come Paolo). Dopo le sei recite di Abbado ho fatto una prova all’italiana e ho diretto le cinque recite successive. La sesta no, perché nel frattempo era arrivato l’ordine di riportare a Milano le scene che dovevano servire per delle recite laggiù. Ho poi diretto quest’opera di nuovo a Parigi con Cossutta e la Te Kanava. Opera meravigliosa, penso alla 'Scena del Consiglio'… un quadro perfetto.

Che cosa pensa della musica contemporanea?

Sa, predire il futuro è impossibile. Credo che l'errore sia nel sistema. Quando i signori Bellini, Donizetti, Rossini e Verdi facevano degli errori di composizione, l'insegnante diceva: Ragazzo, o cambi o... fuori da qui... La Casta diva fu composta nove volte (o undici non ricordo). Sembra scritta di getto, ma è stata composta battuta dopo battuta. Allora i maestri imponevano. Ma chi andava a dire a Gian Francesco Malipiero: guardi, questo è sbagliato, deve correggerlo. Tra tutti questi enormi talenti che abbiamo avuto e abbiamo, non c'è nessuno che possa imporsi, come si sono imposti gli insegnanti del Settecento e dell'Ottocento.
Pensi al Nabucco. Un miracolo di un compositore di 29 anni. La grandezza di Verdi consiste nel fatto che ha compiuto degli esperimenti sulla propria musica, progredendo costantemente fino al Falstaff che è l'apice delle sue opere. Come per me l'apice nel campo sinfonico è la Quarta di Brahms. Per me il Falstaff poteva comporlo anche Brahms e Verdi poteva comporre la Quarta sinfonia. E tornando a Bellini, Donizetti... La fantasia di questi geni non trova paragoni nella nostra epoca. È come se si volesse appurare se corre più veloce il treno o se è più alto il campanile. Il Falstaff ha avuto influssi su Richard Strauss, Wolf-Ferrari, Puccini (penso allo Schicchi). È l'Uno che ha provocato il dopo.
Comunque si può far arte con qualunque mezzo, tutto dipende dai mezzi che si scelgono. Schönberg ha detto che la migliore melodia non è ancora stata composta. E sarà in do maggiore.

Quando l'ha diretto la prima volta?

A Vienna, in tedesco, nel 1963, spettacolo per la televisione, registrato nella 'Brahms Saal' nel Musikverein. L'azione si svolgeva a Schönbrunn, a otto chilometri di distanza. Otto Edelmann era Falstaff.

Successivamente, in teatro e ancora in tedesco, a Berna.
Ma per me l'ultima opera di Verdi è il Ballo in maschera. Dopo il Ballo si è ripetuto correggendosi. L'humor del Ballo in maschera lo ritroviamo nel Falstaff... Pensi al dileggio di Samuel e Tom alla fine del secondo atto. Siamo già in un clima falstaffiano.

Il suo parere sulle regie moderne?

Considero un furto quando il regista a partire da opere perfette come il Ballo e il Barbiere ci mette una sua storia dentro. Ma è la storia del libretto che provoca la musica al genio e il genio ce la ridà dopo che lui l'ha 'digerita'. Libretto e musica sono indissolubili. La musica non deve diventare una sorta di commento di quel che capita sulla scena. L'opera ha una trama. Se questa trama è valida, tratta da Victor Hugo, da Walter Scott eccetera non ha bisogno di aggiunte.

[Alla fine il discorso cade su Mascagni] Oltre a Cavalleria che cosa ha diretto di Mascagni?
L’amico Fritz e Iris che a Trieste con una figlia
[Adriana Marfisi] nel rôle titre, nel 2009. L’ho anche diretta tradotta in tedesco, alla Radio della Svizzera Tedesca, con Libero de Luca. E con Melitta Muszely… Nel 1961. Ho diretto molte volte l’Inno al sole in forma di concerto. Si immagini… Mi piacerebbe dirigere Isabeau, un’opera moderna, anche come tema… Dopo Verdi, Mascagni ha composto i più bei cori.
Mascagni aveva uno spiccato senso dell’humor. In occasione di un Franco cacciatore, all’uscita del tenore si rivolge alla Direzione ed esclama: «Mi congratulo molto perché a questo cantante avete fatto due contratti: come cacciatore e come… cane.»
Mascagni incontra Giordano a Roma e gli chiede che cosa facesse in quella città… Dirigo alcune recite del Re. Ma come? Il Re non lo dirige Mussolini?