Paola Zonca
QUEL TURCO HA IL TRATTO DI PERICOLI
Da domani all'Opernhaus di Zurigo messo in scena
da Cesare Lievi. Dalle campagne pubblicitarie a
Rossini sognando il 'Don Giovanni' di Mozart.


Sette anni fa la fantasia di Tullio Pericoli ha incontrato l'ironia e la giocosità dell'«Elisir d'amore» di Donizetti: un connubio felice che ha portato, prima a Zurigo, poi alla Scala, a uno spettacolo pieno d'invenzioni. Ora, dopo un'incursione nel teatro di prosa con «Le sedie di Ionesco», ecco che il celebre autore di migliaia di disegni, ritratti, dipinti, campagne pubblicitarie e fumetti, è di nuovo alle prese con un'opera lirica: «Il turco in Italia» di Gioacchino Rossini, di cui ha realizzato scene e costumi, e che debutta domani all'Opernhaus di Zurigo. Regia di Cesare Lievi, direzione di Franz Welser-Möst, protagonisti Ruggero Raimondi (Selim), Cecilia Bartoli (Fiorilla), Oliver Widmer (il poeta Prosdocimo), Judith Schmid (Zaida), Reinaldo Macias (Narciso).


Nel suo studio milanese pieno di libri, manifesti, acquerelli, Pericoli mostra i risultati di un anno di lavoro. Ci sono i figurini dei costumi: il turco Selim con un grosso turbante, la bella Fiorilla con un corpricapo floreale, l' anziano marito Geronio avvolto nel pastrano marrone. Ma ecco anche qualche scenario: una grande nave, l'interno di una casa che dà su uno sfondo di morbide colline dominate dal Vesuvio in eruzione (la vicenda si svolge a Napoli), un'enorme mano che spunta dal palcoscenico. Nulla si è perso del tratto inconfondibile e leggero dell'illustratore, del suo fantasioso inventario di segni e oggetti.


«Il turco in Italia ha una storia un po' pirandelliana» spiega Pericoli. «Si racconta di un poeta che cerca l'argomento per un dramma buffo, e di personaggi che agiscono su sua ispirazione, ma che a volte discutono sul loro ruolo e si ribellano. D'accordo con Lievi, ho pensato di valorizzare la figura di Prosdocimo, di porre l'accento sul gioco della creatività. Nulla di ciò che si vede è reale, tutto è frutto dell'immaginazione dell' artista». Così la scena è occupata da un enorme tavolo (non è forse il luogo di lavoro del poeta, e pure del disegnatore?) che protende un angolo verso la platea: lì si svolge l' azione, in modo da dare l' idea di qualcosa di finto, letterario, non realistico. «La parete di fondo, invece, rappresenta l'immaginazione» continua Pericoli. «È fatta di grandi riquadri a scacchiera che si aprono a blocchi. Da lì escono ed entrano i personaggi, partoriti dalla mente del poeta. Il coro degli zingari, ad esempio, emerge dal basso. Da lì arriva anche la nave del Turco». Ma le invenzioni fantastiche di questo allestimento non finiscono qui: il poeta è sdoppiato in quattro figure; gli oggetti di scena (alcuni sono disegni, altri vere sculture) scorrono su un tapis roulant; e dalle pareti laterali spuntano quattro quinte per parte. «Rappresentano i possibili svolgimenti della trama, sono le soluzioni che il poeta avrebbe a disposizione, ma che forse lo spettatore non vedrà mai utilizzate», puntualizza Pericoli. A un certo punto arriva in scena anche un ingrandimento di quelle rubriche da tavolo a forma di ruota, che di profilo assomigliano a mulini a vento: ma al posto degli indirizzi ci sono immagini, personaggi, facce che girano, segni, parole, note. «Ho preferito insistere sul gioco piuttosto che sull' analisi psicologica dei personaggi» confessa l' illustratore. «In fondo anche Rossini si abbandona alla pura invenzione musicale. Ed io mi sono sentito legittimato a creare con grande libertà. Quando lavoro per il teatro ho una sola preoccupazione: che il segno ingrandito possa risultare semplificato. Anche questa volta sono andato spesso nei laboratori di Zurigo: quando mi pareva che mancasse la spontaneità, ho corretto di mio pugno alcune scene». Lavorerà ancora per il teatro? «Ora ho solo bisogno di riposo. Sto realizzando per Adelphi un volume di ritratti che uscirà a settembre e sarà presentato al Festivaletteratura di Mantova. Ma il mio sogno resta il Don Giovanni di Mozart».
[REPUBBLICA, 27.4.2002]