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MASSIMO MILA

RICHARD STRAUSS

BREVE STORIA DELLA MUSICA

EINAUDI

pp. 325-328

La cronologia vorrebbe che tra i contemporanei si inserisse il bavarese Richard Strauss (1864-1949). Ma ragioni stilistiche vogliono ch'egli sia collocato, e sia pure al primo posto, fra gli epigoni wagneriani, nell'ambito degli ideali artistici del secolo XIX. Non si vuol certo negare la continuità spirituale, pur nella diversità delle apparenze, fra la musica romantica e quella dei nostri giorni: ma è innegabile che Strauss e Debussy si pongono, all'inizio del nuovo secolo, come due pilastri che segnano la fine di una fase e l'inizio di qualche cosa che risponde alla denominazione usuale di «musica moderna». Dei due, Debussy è molto piú avanzato verso l'avvenire e contiene germi di novità che si cercherebbero invano in Strauss, il quale ricapitola ed esaurisce le principali esperienze romantiche. V'è in lui una dedizione incondizionata alle formule del romanticismo, senz'ombra di quei fermenti di reazione e di protesta per i quali l'arte moderna, ancorché non sfugga alle sue premesse spirituali, si pone come una romantica ribellione al romanticismo.
I principali tratti di quest'ultimo, Strauss raccoglie e porta alle estreme conseguenze. Diretto erede della «nuova scuola tedesca» di Wagner e Liszt, i quali si associano volentieri Berlioz, egli concepisce la musica come illustrazione e coloritura d'un'impalcatura letteraria incapace di realizzarla nella sua autonomia puramente sonora. È perciò il maggior cultore del poema sinfonico a soggetto e, assecondando la sua potente vena di barocchismo marinistico, volta a destare nell'ascoltatore la meraviglia, si compiace di realizzare coi suoni effetti imitativi realistici e convenzionali: egli è perciò il punto d'arrivo d'una tendenza al materialismo sonoro, che dall'interpretazione affettiva della natura si è a poco a poco immeschinita fino a una specie di gigantesca estetica dell'onomatopea.
Un altro tratto romantico che sopravvive in Strauss è il virtuosismo, piú spesso pletorico e ingombrante virtuosismo dell'ipertrofia orchestrale, che però si atteggia talvolta anche a virtuosismo della semplicità, con aspirazioni, costantemente deluse, alla finezza mozartiana.
Musicalmente, Strauss parte dall'armonia del Tristano e anche l'orchestra sua è sostanzialmente quella wagneriana, arricchita d'ogni genere di complementi realistici e descrittivi, di lazzi, capriole, gesti e versacci sonori conseguiti con infallibile abilità in vista d'un effetto materiale. Ma, nonostante Strauss abbia iniziato la sua carriera come audace innovatore, ed abbia subito i fulmini dei pedanti, egli la conclude come reazionario. Perciò giustamente è stato scritto del suo linguaggio musicale: «Si sente che ciò che un tempo si considerava come aggressiva modernità, è deliberatamente ricercato. È soltanto l'inverso di un romanticismo di data assai piú antica... Si sente che l'armonia diatonica è ancora l'ideale del compositore e che la cacofonia, o ciò che una volta si stigmatizzava per tale, è semplicemente frutto di un malato ma intermittente interesse per storture sperimentali del naturale e del bello. Naturale e bello - lo vediamo specialmente nei poemi sinfonici - risiedono per Strauss nella melodia e nell'armonia derivanti dalla scala diatonica, e nella loro apoteosi, la cadenza perfetta» (Blom).
Le esperienze aggressive (oggi considerate come le parti piú deboli e invecchiate dei poemi straussiani) occorrono specialmente là dove lo schetna letterario del programma induce il compositore verso il banale, il prosaico, oppure il grottesco, l'ironico e il caratteristico (si vedano parti della Sinfonia domestica, 1904; la musica dissonante dei nemici invidiosi nella Vita d'eroe, 1898; la volgarità di Sancio Pancia nel Don Chisciotte, 1897; ecc.). «Strauss, quindi, è piú fresco oggi là dove è piú all'antica... : ciò che resta realmente meglio di tutto sono quelle belle oasi basate soprattutto su tonica e dominante».
Strauss è stato spesso addirittura insultato per la sua aridità spirituale, per la sua attitudine a cogliere e rendere musicalmente soltanto la sensazione, e gli è stato fatto carico di tutti i difetti d'una prospera borghesia materialistica e positivista come quella del tardo secolo XIX. Ma realmente non si vede perché questa materia artistica dovrebbe avere minore legittimità estetica di qualsiasi altra. E là dove Strauss ha realizzato con foga e fecondità inesauribili la poesia della volgarità e della sensualità, ora spavaldamente forte e sicura di sé come nel Don Giovanni (1889), il piú pregevole dei suoi poemi sinfonici, ora sottilmente ambigua e perversa come nelle sue due migliori opere, la Salomè e l'Elettra (1909), la sua arte richiede un franco riconoscimento. C'è pure in lui una tendenza al grasso buon umore, alla burla faceta e alla grazia del divertimento viennese, i quali si realizzano nel poema sinfonico Till Eulenspiegel (1895), e in frammenti di danza sparsi in altre composizioni. L'opera Il cavaliere della rosa (1911) vuole essere un compendio di galanteria e giocondità viennesi, con un aperto ritorno alla squisitezza mozartiana, dopo le torturanti complicazioni di Salomè e Elettra, che sfioravano il delirio espressionistico, almeno per la densità dì scrittura e la violenza della carica espressiva.
L'eclettico ibridismo stilistico e l'incapacità ad organizzarsi in autonomia di valori musicali costituiscono gli autentici difetti di Strauss, e si manifestano in una inettitudine all'elaborazione tematica, sostituita per lo piú dalla ripetizione invano sottoposta a sfoggi di retorica e di enfasi orchestrale. Non è tanto il realismo sensuale, quanto piuttosto l'aspirazione vana a superiori ed astratte affermazioni ideali, inutilmente inseguite con clangori di trombe ed artifici orchestrali, l'origine degli scarti peggiori nell'ispirazione di Strauss: perciò al pronunciato materialismo e all'indubbia elefantiasi formale e orchestrale degli ultimi poemi sinfonici, come la Sinfonia domestica e la Sinfonia delle Alpi (1915), non si sa se si debbano veramente preferire le ambiziose perorazioni di Morte e trasfigurazione (1891) e di Così parlò Zarathustra (1896) spesso innegabilmente geniali negli effetti della tecnica orchestrale.