HOME PAGE
________________________________________________________________________________________________________

GIACOMO MANZONI

RICHARD STRAUSS

GUIDA ALL'ASCOLTO DELLA
MUSICA SINFONICA


FELTRINELLI
pp. 427-430


Strauss è rimasto nella storia della musica come il rappresentante piú perfetto della società borghese di fine '800. Egli va incontro alla vita con fiducia e sicurezza: accetta la tradizione per arricchirla consolidandola nello stesso tempo da un punto di vista tutto esteriore, e la sua musica rutilante di effetti, è essenzialmente affermativa. Non c'è in lui nulla del dubbio, della ricerca, della problematica che caratterizzano l'opera di musicisti della stessa generazione, come Busoni, Mahler o Debussy: egli prende per buono lo stadio a cui è giunta la società del suo tempo, sposa senza esitazione i portati di una cultura ormai giunta sulla china della decadenza e porta al limite estremo proprio questa decadenza, dandole una patina di luminosità e di forza che lo pone decisamente al centro dell'attenzione internazionale di fine secolo. Strauss accetta la realtà che lo circonda, vi si trova perfettamente a suo agio, e la sua musica è un inno a questa realtà, che egli non desidera trasformare e in cui trova le condizioni ideali per esprimersi. Non per nulla, con la prima guerra mondiale e col mutarsi dei rapporti sociali nel mondo (sconfitta dell'Austria e della Germania imperiali, rivoluzione sovietica, risveglio in tutta Europa della ricerca del nuovo in arte) Strauss rimane privo del terreno a lui piú propizio, rimane isolato in mezzo alla generale aspirazione di rinnovamento, sordo ad ogni istanza critica, prigioniero del suo vecchio mondo guglielmino che nulla piú potrà riportare a vita duratura: cosí la sua vena migliore si dissecca, e per circa un trentennio egli non farà che ripetere se stesso o cercare la via di una classicità insincera, senza piú produrre quasi nulla di veramente valido. In questo il destino di Strauss è stato simile a quello dei suo coetaneo Sibelius, a sua volta confinato dopo il 1920 in un silenzio nato dalla profonda incomprensione per quanto di nuovo fermentava intorno a lui.
Lo Strauss migliore, quello destinato probabilmente a rimanere ancora per molto tempo - nonostante il radicale mutamento del gusto - esempio tipico di un'epoca, è dunque quello giovanile, quello che va dai primi estrosi poemi sinfonici fino alla Donna senz'ombra, l'ultima sua grande opera teatrale che è del 1919. In questo lasso di tempo di oltre trent'anni Strauss creò opere uniche nel loro genere, ancor oggi ammirevoli per forza e ricchezza di fantasia. Padrone del mezzo tecnico in maniera istintiva, quasi inconscia (Bülow se ne era accorto immediatamente), Strauss affronta l'orchestra come un dominatore, come colui che conosce il fatto suo e per il quale la tecnica musicale non ha segreti, plasmandola in uno strumento docile, capace di realizzare qualsiasi intenzione espressiva. Anche in tal senso Strauss continua la linea di Berlioz e Liszt: non solo adotta in pieno la forma della musica «a programma» inaugurata da Berlioz, ma prosegue nell'opera di valorizzazione e di ampliamento dei mezzi orchestrali, tanto che viene ben presto chiamato «il mago dell'orchestra» (e vale la pena di notare che proprio Strauss curò una nuova edizione riveduta e completata del famoso Trattato di strumentazione di Berlioz).
Ma anche qui egli non mette in crisi l'orchestra: essa è per lui uno strumento pittoresco e funambolico, con cui l'artista può esprimere una visione fondamentalmente affermativa e ottimistica della realtà. A differenza di Debussy, che fa dell'orchestra uno strumento completamente nuovo e pieno di sorprese, a differenza di Mahler che mette in crisi dall'interno gli strumenti mettendo a nudo quanto c'è di banale e di falso nella concezione dell'orchestra ottocentesca, Strauss la sviluppa in senso virtuosistico, l'unico che gli, interessi, al fine di avere a sua disposizione uno strumento il piú possibile malleabile, atto a esprimere il suo mondo sonoro rutilante e a volte pletorico.
Dal punto di vista armonico egli si collega all'esperienza wagneriana, approfondendo e arricchendo il linguaggio senza mai metterlo in crisi (in questo lo stesso Wagner era stato assai piú «progressivo» di lui), senza trarre insomma dall'armonia di Wagner le conseguenze logiche e inevitabili che ne trarrà poco piú tardi uno Schönberg. Strauss sta agli antipodi di quest'ultimo, che rappresenta in modo radicale la coscienza di progresso e di rinnovamento nella musica: forse per questo la musica di Strauss incomincia da qualche tempo a declinare nel favore del pubblico mentre quella di Schönberg acquista ogni anno di piú un consenso e una comprensione che fino a qualche decennio fa non sarebbe stato lecito attendersi.
Se Strauss ha creato delle pagine di grande rilievo in campo sinfonico, egli fu anche un grande compositore teatrale, e forse proprio qui diede le sue pagine migliori. Opere come Salomé (1905), Elettra (1909) e La Donna senz'ombra (1919) hanno segnato un punto fermo nella storia del teatro musicale, e qui indubbiamente la maestria straordinaria di Strauss si è felicemente congiunta con una profonda e drammatica concezione del teatro, risultando in opere ricche di fermenti nuovi e di pagine sorprendenti, mentre il Cavaliere della rosa (1911) rimane la felice rievocazione in chiave ironica ma anche nostalgica di un mondo irrimediabilmente avviato a scomparire, quello della Vienna gaudente della corte degli Absburgo. Strauss e autore di altre undici opere teatrali, di due balletti e di una discreta quantità di musica da camera e di Lieder, che non raggiungono peraltro la validità della sua migliore produzione sinfonica.