La porta del palazzo
nell'Elettra di Sofocle
Mary Mantziou
Alcuni studiosi, che hanno discusso la fine dell'Elettra di Sofocle, hanno
sostenuto che, quando Oreste entra nel palazzo per assassinare Egisto, Elettra resta sulla
scena, in silenzio e da sola; secondo loro questo fatto contraddice un'interpretazione
completamente ottimistica della tragedia. Tuttavia non c'è pieno accordo fra i critici
sul momento in cui Elettra compia la sua uscita finale. Mi propongo con questo intervento
di offrire un'interpretazione della breve uscita di Elettra dopo il v. 1383, quando segue
Oreste e Pilade all'interno del palazzo. A questo scopo cercherò di dimostrare il
mutamento di significato della porta del palazzo nell'azione scenica visiva, consapevole
che ciò potrà contribuire a gettare nuova luce sul modo di figurarci la scena conclusiva
di tale tragedia. Si vedano, tuttavia, in primo luogo le interpretazioni date dagli
studiosi sull'uscita di Elettra dopo il v. 1383. G. Kaibel, riferendosi ai vv. 1105ss.,
ritiene che Elettra si allontani per guidare Oreste e Pilade all'interno del palazzo,
nonché per riferire al Coro (e agli spettatori) quanto sta accadendo dentro (vv.
1398ss.). Sorprende il fatto che Sofocle assegni questa funzione ad Elettra, la quale ha
occupato il centro della scena fin dalla sua prima entrata al v. 86. Ai vv. 1307ss. e 1368
(dopo la scena del riconoscimento) Oreste è informato che Clitemestra è sola nel palazzo
e, dopo tutto, egli aveva vissuto lì fino all'età di circa dieci anni; pertanto non ha
bisogno di nessuna guida. Quanto al ruolo di Elettra come 'messaggero', ritengo che i
gridi di Clitemestra dall'interno (vv. 1404s.) dovrebbe bastare a farci comprendere che
cosa sta accadendo dentro il palazzo; acquista tuttavia un più intenso effetto drammatico
udire i suoi gridi inframezzati dai maligni commenti di sua figlia. I versi precedenti di
Elettra (1398-1403), infatti, non danno nessun contributo alla trama. D'altra parte, dopo
l'uscita di Oreste e Pilade, il suo compito era sicuramente quello di sorvegliare il
ritorno di Egisto, atteso in ogni momento. In altri termini, non c'è nessuna ragione
impellente per Elettra di entrare nel palazzo. I.M Linforth si meraviglia perché Elettra
entri nel palazzo in questo momento cruciale dell'azione ed ammette che non è facile
rispondere a questa domanda; a suo parere, l'uscita dell'eroina "segna la fine del
predominio drammatico che lei ha detenuto fin dalla sua prima apparizione in scena nel
prologo". Ma questa tragedia riguarda Elettra e, come nota S.M. Adams, "Oreste
arriva ma la tragedia rimane soprattutto di Elettra. Sono le sue qualità a dominare fino
alla fine". Anche Linforth pensa che il poeta abbia bisogno di un messaggero (ma vedi
sopra). D. Seale, rinviando a W. Steidle, considera quella di Elettra un'uscita in
funzione drammatica: "L'attesa è finita. Lei, che ha sofferto in modo 'passivo',
assume un ruolo attivo e determinante nel nuovo e intenso momento". Tuttavia Elettra,
quando poco dopo riappare (v. 1398), chiarisce di non aver partecipato direttamente
all'azione interna al palazzo: EL. O carissime donne, quei valorosi uomini presto
compiranno l'impresa: attendete in silenzio! CO. Dunque come va? Che cosa fanno ora? EL.
Lei adorna l'urna per la tomba, e loro le sono accanto. A.M. Dale, prendendo in esame vv.
1309ss., crede che Elettra segua Oreste dentro il palazzo per aiutarlo ad uccidere la loro
madre. E' vero che nel testo si trovano accenni al fatto che Elettra entrerà nel palazzo
con Oreste (vedi i vv. 1103-1105, 1296s., 1331-1337), ma, quando viene il momento
cruciale, sia il Pedagogo che Oreste sembrano ignorarla (vedi i vv. 1367ss., (cfr. vv.
21s.), 1372ss.). Un solido argomento circa l'uscita dell'eroina è offerto da T.W.
Woodard: "la sua alleanza ora è con tourgon [l'azione]", e "Il suo
atteggiamento finale oscillante fra logos [parola] e ergon [azione] è di fatto
equivalente a quello di Oreste nel Prologo". Infine, P.E. Easterling, riferendosi al
successivo canto del Coro, sostiene che Elettra entra nel palazzo come una delle
"cagne che perseguono la vendetta" (v. 1388), e che esce come loro agente. E
questo è un punto di vista interessante. Nelle pagine che seguono tenterò di
interpretare l'uscita di Elettra su diversi piani. Le prime parole di Crisotemi e
Clitemestra ad Elettra rendono chiaro che la figlia di Agamennone spesso esce fuori, di
fronte alla porta del palazzo, sia per piangere suo padre sia per denunciare pubblicamente
i crimini di sua madre e di Egisto (vedi i vv. 328s., 516ss). La critica delle due donne
non s'indirizza al consueto stato di segregazione della donna nella società ateniese.
Nella sua monodia Elettra dichiara che non cesserà di piangere e questo fatto, come noi
sappiamo, si risolve sempre in una diatriba davanti alla porta del palazzo: come un
usignolo privato della prole, in pianto, [non smetterò] di far risuonare per tutti
davanti alle porte paterne l'eco del mio lamento (107ss.). Oggi, dice Elettra al Coro, è
apparsa sulla porta perché Egisto è fuori: non credere che io, se [Egisto] fosse vicino,
verrei sulla porta; ma ora lui è in campagna (312ss.). L'aggettivo thyraios significa
"sulla porta" e anche allotrios - cioè chi non è oikeios [di casa] - una
persona connessa con l'esterno, uno "straniero". R. Seaford sostiene che Elettra
vive come uno straniero nei thalamoi [stanze] di suo padre (189s.), ed egli discute
l'ambiguità del termine thalamos, che è associato sia con la tomba sia con la camera
nuziale. Elettra, egli nota, non appartiene ai thalamos del palazzo. Secondo me, il poeta
sfrutta anche l'ambiguità dell'aggettivo thyraios ai vv. 517ss.: infatti non è qui
Egisto, che t'impediva sempre (…) di offendere i tuoi, stando qui sulla porta
(quraivan)… eppure diverse volte hai detto a molti che io sono insolente e comando
contro giustizia (…) L'eroina è una straniera nel nuovo regime e quindi un
avversario minaccioso, e questo irrita la nuova coppia regale che vive nell'angoscia
all'interno del palazzo (cfr. il 'discorso di monito' di Egisto ai vv. 1458ss). I due
respingono Elettra e lei, da parte sua, respinge loro: lei desidera essere cacciata
lontano da loro: Che io possa fuggire quanto più lontano da
voi (v. 391). Sua madre ha cacciato lei e suo fratello, essi sono esuli: cfr. v. 590
ejbalou~s' e[ceic [hai scacciato (i tuoi figli legittimi)]; questo verbo ha una sfumatura
politica ed è usato anche dalla regina nella sua preghiera ad Apollo: e se alcuni dalla
presente ricchezza con inganni decidono di cacciare me (ejkbalei~n), non lo permettere, ma
(concedi) che io, vivendo sempre una vita senza danni, regga le case degli Atridi e questo
scettro. (vv. 648ss.) Elettra e Oreste sono privati dei loro diritti sia nell'oikos [casa]
sia nella polis [città]; quest'ultimo vive in esilio, la prima è trattata come un
epoikos [forestiero, v. 189] e una schiava (vv. 264s.): e da
essi [dagli assassini di mio padre] sono comandata e da essi dipende egualmente il
ricevere e l'essere privata [del necessario]. Un altro verbo
con connotazioni politiche è usato da Clitemestra a proposito di Oreste (v. 776): allontanatosi (ajpostavc) dal mio seno e dal mio nutrimento, fuggiasco,
e da Crisotemi riguardo a Elettra (v. 912): [a te] impunemente neppure è permesso allontanarti (ajposth~nai) da
questa casa. Nel secondo caso il poeta sfrutta l'ambiguità
di questo verbo per mostrare che l'eroina è una ribelle. Come Seale osserva, l'esterno
del palazzo "è una fuga dagli sguardi interni […] come una rivendicazione di
libertà, un'espressione di sfida". L'interno del palazzo è odioso per Elettra, ma
non così lo spazio esterno ad esso; qui si può parlare liberamente e trovare
consolazione e conforto. Dopo l'annuncio della 'morte' di Oreste, Clitemestra entra nel
palazzo trionfalmente con il Pedagogo e chiude la porta in faccia ad Elettra: su entra dentro; e lascia costei fuori a lamentare i mali suoi e dei suoi
cari (v. 802s.). Clitemestra ora non è irritata dal fatto che Elettra è "sulla
porta" (thyraia); lei si sente salva sul suo trono. Di fronte alla derisione di sua
madre (v. 807) l'eroina è risoluta a non entrare più nel palazzo, ma a rimanere
accasciata sulla porta, fino alla morte (vv. 817ss.): Ma per niente affatto per il resto
dei miei giorni io abiterò con loro, anzi davanti a questa porta senza una persona amica
farò inaridire la mia vita. Con questi versi l'eroina dichiara la sua totale estraneità
a questa casa. K. Reinahardt notò qui una funzione simbolica della porta:
"L'immagine del palcoscenico diviene immagine del destino, la soglia della quinta
diventa simbolo della soglia che divide Elettra, sola e in preda alla disperazione, dal
grido di giubilo che risuona estraneo". Più tardi avremo un rovesciamento di
circostanze. Oreste e Pilade entreranno nel palazzo per uccidere Clitemestra; il momento
cruciale è venuto. Elettra trova la porta aperta e attraversa la soglia. Lei sa che cosa
accadrà là dentro. Entrando nel palazzo Elettra cessa di essere thyraios [sulla porta].
Estranea e ribelle. L'interno per lei non è più repellente. Fino a questo momento la
porta del palazzo è stata il punto di transizione fra lo spazio interno contaminato e il
mondo esterno incontaminato, il simbolo fisico del suo essere estranea dall'oikos. Così
l'entrata di Elettra nel palazzo segna la rimozione delle condizioni che richiedevano la
sua esclusione. Tuttavia lei non resterà dentro a guardare l'assassinio di Clitemestra.
La sua breve uscita sembra essere simbolica. Alla fine della tragedia noi guarderemo, con
Elettra, "le ricompense dell'empietà" (v. 1382s.). Il sentimento dominante
dell'eroina nell'esodo è l'odio. La sua ultima parola è luthvrion, "mezzo di
liberazione" (v. 1490) e con questa parola il suo ruolo drammatico è finito. Negli
ultimi versi della tragedia (1491-1507) Elettra, come il Coro, è un semplice spettatore.
Ad entrare nel palazzo sono Oreste e Pilade. E' meglio concepire il finale di tragedia con
il forte quadro dell'eroina che, in piedi silenziosa sulla porta del palazzo, riassume,
con il Coro, l'intera azione. Dal punto di vista drammatico l'effetto è molto forte: la
porta del palazzo è stata il centro visivo delle sofferenze dell'eroina e della sua
liberazione. L'opinione di Segal, secondo la quale Elettra "è lasciata ancora una
volta , sola, in piedi 'davanti alle porte di suo padre' esattamente come era
all'inizio", non sembra molto valida. La porta del palazzo, come mostrato sopra, è
stata il segno della sua estraneità alla casa. Ora nella scena conclusiva della tragedia
l'eroina sta in piedi silenziosa davanti alla porta del palazzo, ma le circostanze sono
rovesciate: Elettra non è quraiva, "sulla porta"; il suo dovere di protestare
ha raggiunto il suo telos, "fine", la sua desolazione descritta nella sua
monodia è ora rovesciata, cfr. le parole di Clitemestra(1404s.): Ahimé! Oh, la mia casa
priva di amici e piena di assassini! Sebbene la figlia di Agamennone sia risoluta a non
entrare più nel palazzo, finalmente vi entra e così cessa di essere estranea alla sua
propria casa. E' Elettra che apre la porta del palazzo per Egisto, perché egli veda il
cadavere di Clitemestra e incontri là dentro il suo destino (1464ss.). Se le mie
argomentazioni sono fondate, allora il silenzio di Elettra nella scena conclusiva sembra
essere significativo. Nel corso della tragedia tutti i personaggi, comprese le donne del
Coro, hanno cercato di far tacere la figlia di Agamennone. D'altro canto, Egisto l'ha
relegata dentro il palazzo come una prigioniera. Stando agli Scolii su Pr. 436, un
personaggio sta in silenzio "o per presunzione o per una disgrazia o per un'esame dei
fatti". Il silenzio di Elettra sembra esprimere qualcos'altro: una soddisfazione
emotiva. Ecco, io suggerisco che l'eroina lascia la scena per ultima, seguendo lo
ekkyklema quando il cadavere di sua madre è trascinato all'interno. Quanto agli
spettatori, ad essi è permesso reagire in base al proprio stato d'animo.
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